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Autore: May Jeevas    20/10/2020    3 recensioni
Urabe si fermò al semaforo rosso appena fuori dalla scuola, maneggiando nervosamente il portachiavi attaccato alla cartella. Cambiò numerose volte il piede d’appoggio, ansioso di allontanarsi e di tornare a casa. Stava quasi decidendo di prendere la strada più lunga quando una voce fin troppo famigliare richiamò la sua attenzione.
“Capitano!”
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Shun Nitta/Patrick Everett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ryo Ishizaki stava nervosamente passando il pallone da un piede all’altro sotto al tavolo. Appoggiò con noncuranza il mento sul palmo della mano e lanciò un’occhiata fuori dalla finestra che, quasi a farsi beffe di lui, donava una bella vista sul campo da calcio. Sbuffò rumorosamente, mormorando un “Non è giusto!”.
Il “SSSSSH” che gli arrivò dal ragazzo seduto di fronte a lui non aiutò il suo umore. Gli fece una linguaccia, che fu ricambiata da un doloroso calcio allo stinco.
“E smettila con quel pallone!” sottolineò l’autore del calcio.
Ryo guardò malissimo Hanji Urabe mentre si massaggiava la gamba dolorante. “Sei insopportabile!” Sibilò.
Hanji sollevò gli occhi al cielo a quell’insulto e anche il suo sguardo si fermò sulla finestra. Scrollò le spalle e tornò a concentrarsi sul libro.
Lo stinco dolorante di Ryo chiedeva giustizia, ma il difensore decise che avrebbe aspettato il prossimo allenamento, fissato dopo due giorni, per meditare la sua vendetta. Solo al pensiero di tornare sul campo da calcio la testa si girò di nuovo verso la finestra. In quello stesso momento tutta la squadra della Nankatsu stava facendo le selezioni per valutare quali kohai sarebbero stati abbastanza bravi da entrare nella squadra.
E lui era lì, segregato in biblioteca.
Insieme ad Hanji Urabe. Si voltò, e lo trovò che lo stava fissando con un’espressione indecifrabile. Beh, non proprio indecifrabile. Sai benissimo che ce lo meritiamo. Rode anche a me perdere le selezioni, quindi sopporta e cerca di stare in silenzio. Ryo sbuffò il più silenziosamente possibile. In fondo, sapeva che Hanji aveva ragione, solo che quando un imbecille del terzo anno aveva preso in giro tutta la squadra per la sconfitta subita contro la Toho alla finale del campionato nazionale (Dio se bruciava ancora quella sconfitta!) dando a tutti loro degli inetti e degli incapaci senza Tsubasa Oozora, i nervi gli erano saltati a mille. Hanji aveva provato a bloccarlo, ma il tizio doveva aver detto qualcosa che Ryo si era perso, troppo impegnato a liberarsi dalla stretta, e si erano ritrovati tutti e due addosso a quell’energumeno, esattamente nell’istante in cui un professore passava nel corridoio. Ovviamente non si erano risparmiati la punizione, anche perché agli occhi del Sensei quelli nel torto erano palesemente loro. Ergo, sarebbero dovuti restare in biblioteca fino alle sette di sera, perdendo così le selezioni dei nuovi membri della squadra. Taro Misaki era stato pure comprensivo e aveva promesso di non spiegare il motivo della loro assenza ai compagni (anche se questo non gli aveva impedito di dare a entrambi una sonora lavata di capo). Era comunque molto dura da digerire, nonostante sapessero che il professore era stato comprensivo, e sapevano anche che potevano essere cacciati a vita dalla squadra se coinvolti in una rissa.
Sentì Hanji sospirare. Chissà cosa aveva detto il tizio per farlo scattare in quel modo. Decise di non indagare e si concentrò sul libro, sperando che le sette arrivassero presto. Ogni tanto sbirciava fuori dalla finestra e beccava Hanji distrarsi nel guardare i puntini che si muovevano sul campo da calcio.
Verso le sette meno cinque, Hanji decise di smetterla con la farsa dello studio: ormai mancavano pochi minuti e nessuno sarebbe venuto a controllarli. Ritirò le sue cose e si concentrò completamente sulla finestra. Le selezioni erano finite, il cortile e il terreno di gioco ormai deserto.
Alle sette in punto lui e Ishizaki si diressero fuori dalla biblioteca. Percorsero i corridoi della scuola in silenzio, solo gli studenti dell’ultimo anno erano ancora nelle rispettive classi per il doposcuola.
Arrivati fuori dal cancello si salutarono con un gesto della mano, amareggiati per la punizione appena passata.
Urabe si fermò al semaforo rosso appena fuori dalla scuola, maneggiando nervosamente il portachiavi attaccato alla cartella. Cambiò numerose volte il piede d’appoggio, ansioso di allontanarsi e di tornare a casa. Stava quasi decidendo di prendere la strada più lunga quando una voce fin troppo famigliare richiamò la sua attenzione.
“Capitano!”
Urabe si girò mentre un sorriso sincero, forse il primo di quella giornata, si faceva largo sul suo volto involontariamente. Shun Nitta stava correndo verso di lui con il borsone dell’allenamento a tracolla e trafelato per la corsa.
“Ciao, Shun! Come stai?” Hanji si morse la lingua. Il saluto era uscito con fin troppa enfasi.
“Tutto bene, grazie! Oggi sono entrato nella squadra.” Urabe osservò la luce che brillava negli occhi dell’ex compagno di scuola, che lo guardava come se si aspettasse una reazione, un complimento, qualcosa. Beh, anche se erano in due squadre diverse, avrebbero avuto occasione di incontrarsi sul campo. Alla fine c’era già passato per tutti i tre anni delle medie, affrontando i suoi ex compagni della Nankatsu. Eppure, per qualche motivo, al pensiero di dover giocare proprio contro di lui avvertì una sensazione non troppo piacevole allo stomaco, come un crampo prolungato.
“Grande! Come ti trovi nella nuova scuola?” domandò più per cambiare argomento che per curiosità. Nitta alzò un sopracciglio, stupito e leggermente deluso. “Bene, grazie, capitano…”
“Shun, non sono più il tuo capitano da più di un anno…” mormorò Urabe,ma Nitta scrollò le spalle, come a dire: tanto sai che non la smetterò di chiamarti così.
“Piuttosto, tu perché esci così tardi, capitano?”
Urabe si morse il labbro, non sapendo se fosse più infastidito dalla provocazione con cui era stata pronunciata l’ultima parola, o dal fatto di dover ammettere perché fosse ancora a scuola a quell’ora. “Io e Ishizaki siamo stati messi in punizione.” Confessò infine, spostando lo sguardo sul marciapiede. “Siamo dovuti stare fino adesso in biblioteca.”
Nitta sembrò capire al volo la situazione e l’imbarazzo dell’amico. “Mi dispiace.” Il ragazzo si diede mentalmente dello stupido per non riuscire a dire nulla di più, ma da come Urabe gli picchiettò la spalla col pugno capì che forse quel mi dispiace sincero era bastato a recapitare il messaggio.
“Non preoccuparti, il professore ha detto che non ci sospenderà nonostante la mezza lite che stavamo scatenando…” Shun sgranò gli occhi. Sapeva fin troppo bene che il suo ex-capitano aveva un carattere che faceva scintille, ma una lite la prima settimana di scuola era troppo anche per Hanji Urabe! “… Quindi ce la siamo cavata con un pomeriggio in biblioteca. Siamo stati molto fortunati.” Ammise, sospirando. Il più giovane annuì, prima di sorridergli.
“Ora scusa, capitano, ma devo correre a casa, altrimenti i miei cominceranno a preoccuparsi! Ci vediamo presto!” e, dopo un inchino rispettoso, si avviò correndo verso casa sua.
Hanji si girò di nuovo in direzione del semaforo e notò che l’omino verde era finalmente comparso, permettendo anche a lui di dirigersi a casa. L’incontro col suo vecchio compagno di squadra aveva avuto il potere di metterlo di buonumore, più di come avrebbe dovuto sentirsi dopo un pomeriggio in punizione. Sorrise quasi senza rendersene conto, godendosi il sole del tramonto. Cavolo, avrebbe almeno potuto chiedere a Shun quale scuola (e di conseguenza squadra) avesse deciso di frequentare. L’ultima volta che ne avevano parlato, il più giovane era stato convinto di non restare nell’Otomo. E Hanji, nonostante sapesse che la possibilità era molto remota, aveva quasi sperato che scegliesse le superiori Nankatsu. Non gli aveva detto nulla, naturalmente, perché non voleva condizionare la sua scelta: il più giovane teneva ancora molto al parere del suo capitano, e Urabe non voleva approfittare dell’ascendente che aveva su lui.
Però adesso si pentiva della sua correttezza.
Scosse il capo. Si convinse che, in fondo, ora che Nitta aveva cominciato il liceo, almeno si sarebbero visti durante le manifestazioni studentesche, durante le partite… insomma, rispetto all’anno precedente, dove gli esami di terza media avevano tenuto segregato in casa Shun per mesi interi, avrebbero avuto più tempo e occasioni di poter stare insieme.
Forse, quell’anno, non era proprio cominciato nel peggiore dei modi…
 
Shun Nitta correva senza una meta precisa tra le vie del suo quartiere. Aveva fatto il giro più lungo per scaricare l’adrenalina ma non era servito a molto. Sembrava avesse due molle al posto dei piedi che non volevano smettere di fermarsi.
C’era riuscito! Aveva superato le selezioni per entrare in squadra!
Faceva ufficialmente parte della Nankatsu!
Takeshi aveva riso del suo entusiasmo, dicendo che con la sua velocità e l’Hayabusa Shot il suo ingresso in squadra era già assicurato. A questo complimento, Nitta aveva nascosto il suo imbarazzo guardando gli altri ragazzi del primo anno che stavano ancora facendo le selezioni. Perfino Taro Misaki si era congratulato con lui. Insomma, dire che non vedeva l’ora di cominciare gli allenamenti era un eufemismo. Si decise di smettere di correre a vuoto e si diresse (questa volta per davvero) verso casa. Si stupì di trovare il cancello chiuso a chiave, ma il biglietto che trovò appoggiato sul mobile dell’anticamera chiarì tutte le perplessità.
Riunione straordinaria in azienda, torniamo tardi. La cena è nel frigo.”
Il ragazzo sospirò di sollievo. Non che i suoi non supportassero la sua passione per il calcio, ma si rendeva conto che la reazione che stava avendo sarebbe apparsa esagerata ai loro occhi. Aveva addosso un’euforia come se avesse segnato il goal decisivo di una partita, come se fossero già al campionato nazionale. Era solo entrato nella squadra, perché si sentiva così felice? Perché non riusciva a smettere di sorridere? Perché dopo che le selezioni erano finite aveva cercato Hanji per tutta la scuola per dirgli che era stato preso in squadra? Sospirando, fece scaldare gli yakitori osservando il piatto girare nel microonde.
Lo smartphone suonò, risvegliandolo dal torpore dei pensieri. Videochiamata di Takeshi. Sorrise, posizionando il Samsung sul tavolo davanti a lui, in modo che non cadesse, e rispose.
“Hey! I tuoi hanno dato buca anche a te?” gli arrivò la voce dell’amico. Nitta annuì, portandosi gli yakitori sul tavolo.
“Immaginavo. Abitassimo vicini, ti avrei invitato a mangiare con me! Mia madre ha lasciato una cena che sfamerebbe una squadra intera!”
Shun alzò gli occhi al cielo, esasperato.
“Takeshi, se abitassimo vicini ci vedremmo così tanto che non ci sopporteremmo più!” scherzò, ridendo.
I genitori dei due ragazzi lavoravano per la stessa azienda ed essendosi creato anche un rapporto di amicizia tra i quattro, Shun e Takeshi avevano finito per crescere insieme come fratelli, e il fatto che condividevano la passione per il calcio e per un motivo o per l’altro avevano sempre frequentato la stessa scuola aveva reso questo legame ancora più saldo.
Takeshi rispose alla provocazione con una smorfia.
“Sei riuscito a parlare con Hanji? Come ha reagito? È svenuto?” rise il ragazzo, immaginandosi la scena.
Nitta bevve un sorso d’acqua prima di rispondere.
“Non lo so. Di sicuro non ha fatto salti di gioia. Sembrava quasi indifferente… ma aveva appena finito una punizione, magari era un po’ di malumore per quello, infatti non ci sono rimasto male.”
Kishida sembrò sorpreso.
“Davvero? Ero convinto che sarebbe svenuto sul colpo!”
“Che esagerato!” esclamò il più giovane, terrorizzato davanti alla scena di lui, da solo, col suo capitano svenuto. Scosse la testa, concentrandosi sulla conversazione.
“No, no, non scherzo! Non ti ha detto quanto era galvanizzato all’idea?”
“Tu ti sei fatto un film nella tua mente malata! Mi ha solo chiesto come mi trovavo alla Nankatsu e basta!”
“E tu cosa gli hai risposto?”
“Ma cosa avrei dovuto rispondergli? Che mi trovavo bene! Scusa, Takeshi, ma volevi che registrassi la nostra conversazione? Mi stai facendo il terzo grado!” osservò Nitta, conosceva troppo bene l’amico per non preoccuparsi davanti a tutte quelle domande. Sospirò “Comunque, poi mi ha detto della rissa e…”
Kishida spalancò gli occhi. “Rissa?!”
“Non lo sapevi?”
“No! Insomma, Taro ci ha detto che lui e Ishizaki non sarebbero venuti alle selezioni, ma non ha detto perché…” si portò una mano al mento, sospettoso. “… Comunque, punizione o rissa a parte, mi sembra una strana reazione! A questo punto il mistero s’infittisce!”
Nitta alzò gli occhi al cielo.
“Lascerai mai la tua fissazione per i polizieschi, Sherlock?” domandò, pur sapendo già la risposta.
“Qui c’è un caso da risolvere, mio caro Nitta! E stai pur certo che ne verrò a capo!”
“Tu hai visto troppe puntate di Elementary…”
“Il mio istinto non si smentisce mai! Stai tranquillo! Prima del prossimo allenamento svelerò il mistero!”
Dallo schermo, Nitta lo fissava metà scettico, metà preoccupato.
“A-ah, certo, ci conto. Che fosse solo incavolato per i fatti suoi o che a lui non cambi niente che in squadra ci sia io è un’idea che non ti sfiora nemmeno?” anche se, per qualche strano motivo, quest’ultima ipotesi lo metteva a disagio. Non lo avrebbe mai ammesso, ma quasi sperava che Kishida avesse ragione.
Nope, nein, niet! Sono sicuro che ci sia sotto qualcosa, e lo scoprirò, dovessi interrogare tutta la scuola!”
“Non dare fastidio al capitano!” lo supplicò Shun.
“Nah, tranquillo che non te lo tocco il tuo prezioso capitano!”
Nitta ridusse gli occhi a due fessure, fissando l’amico in cagnesco.
“Sai benissimo che lo chiamo ancora capitano per rispetto!” ringhiò “E poi perché prezioso e mio?”
Kishida rise di gusto. Quei due erano così lenti, ingenui e ovvi che si domandò sinceramente come fosse possibile che non se ne fossero resi conto tutti… loro due in primis! Takeshi si era accorto dei sentimenti che provavano i suoi amici almeno due anni prima! Poi sogghignò: se doveva improvvisarsi Cupido, allora avrebbe cominciato a scagliare le sue frecce!
“Massì, cosi per dire. Alla fine è un tuo Senpai, è ovvio che provi un profondo rispetto per lui e che tu gli voglia bene.”
“Infatti!” Rispose Nitta, non rendendosi conto di cosa implicasse quell’infatti appena pronunciato. Il ghigno di Kishida si fece più sicuro: prima freccia andata a segno.
“Ascolta, devo andare. Avevo promesso a mia madre che avrei messo a posto la stanza due giorni fa. Se torna dalla riunione e vede quel casino, mi obbliga a ritirarmi dalla squadra! Ci vediamo domani a scuola, oppure dopodomani all’allenamento!”
“Okay, saluta i tuoi! Ciao!”
“A presto…”
La chiamata si chiuse e Kishida non riusciva proprio a togliersi quel ghigno dal viso…
 
Hanji stava morendo di fame. Si stava dirigendo verso le macchinette per prendere qualcosa di abbastanza commestibile che gli permettesse di arrivare a pranzo senza avere un calo di zuccheri. All’improvviso sentì qualcuno mettergli un braccio intorno alle spalle.
“Hey, capitano!” lo salutò gioviale Takeshi Kishida.
“Takeshi, non cominciare pure tu, basta Nitta che continua con questo capitano, capitano...” sospirò. Anche se, rifletté, detto da Shun non gli dispiaceva più di tanto, doveva ammetterlo. Però Takeshi era da tempo ormai che non lo chiamava più cosi.
“A proposito…” per il numero quattro della Nankatsu fu fin troppo semplice proseguire con le sue investigazioni: Hanji gli aveva servito l’argomento su un piatto d’argento! “notizie dal nostro Kohai?”
Urabe fece spallucce, liberandosi dal braccio di Takeshi. “Visto ieri, proprio fuori dalla scuola.”
“Ti ha detto la bella notizia?” Andò subito al punto Kishida, seguendo l’amico davanti la macchinetta.
“Sì, è entrato nella squadra.” La risposta fu molto più neutra e disinteressata di quello che Takeshi si sarebbe immaginato. Il ragazzo assottigliò gli occhi e si portò una mano al mento, esaminando l’espressione dell’amico. Perché era così indifferente? Faceva forse finta? All’improvviso ebbe il dubbio di aver preso un granchio colossale. Ma no, non era possibile! Era dal loro terzo anno all’Otomo che i sentimenti che provavano a vicenda erano più che palesi!
“Perché mi stai fissando in quel modo?” domandò Urabe guardandolo con sospetto. Kishida si ricompose subito.
“No, no, niente. Ma quindi, è entrato in squadra! Non sei contento?” riprovò ad andare dritto al punto. Urabe sbuffò e si passò una mano tra i capelli.
“Ma sì che sono contento, ovvio che lo sono! È solo che…” guardò serio l’amico negli occhi. “…Non ti sembrerà strano averlo come avversario?”
Kishida sbarrò gli occhi. “Avv… avversario?” chiese.
Urabe sospirò. “Certo, so che adesso che è al liceo ci saranno più occasioni per vedersi, e, credimi, ne sono felice perché quello scricciolo mi è mancato, però… boh, per un attimo avevo sperato che scegliesse la Nankatsu come scuola superiore e che potessimo tornare a giocare nella stessa squadra!” finito lo sfogo Hanji diresse lo sguardo fuori dalla finestra. Il che fu un bene per Kishida perché, mentre tutti i pezzi del puzzle s’incastravano fin troppo facilmente, mantenere la poker face si stava rivelando particolarmente difficile. Urabe si girò all’improvviso, beccandolo in pieno.
“E non guardarmi così, cazzo, lo so cosa ne pensate tu e gli altri! So che con lui sono sempre stato troppo protettivo, che non è più un bambino…” e gli lanciò un’occhiataccia, mentre Kishida cercava ancora di non scoppiare a ridere in faccia al suo ex-capitano.
“Insomma, per un attimo ho sperato che il gruppetto della Otomo tornasse unito a giocare nella stessa squadra, per questo non ho fatto salti di gioia alla notizia… e mi rendo conto che è un pensiero fin troppo egoista, ma non riesco a togliermelo dalla testa!”
Il suono della campanella segnò la fine dell’intervallo e della loro conversazione, con buona pace di Takeshi a cui venne risparmiato il dover dare una risposta. Si salutarono e si avviarono nelle rispettive classi. Mentre camminava lungo il corridoio, Takeshi rifletteva che sì, quei due erano davvero troppo lenti e ingenui ad arrivare alle cose per conto loro. Istintivamente nella sua testa si formò un piano….
 
L’allenamento della Nankatsu sarebbe iniziato alle quattro in punto. Per essere sicuro che il suo piano funzionasse, Kishida chiese sia a Urabe sia a Nitta di trovarsi lì per le tre, in modo che avessero campo libero (in tutti i sensi). Aveva inventato poi una scusa assurda e banale sulla manutenzione del campo in modo che anche chi era solito arrivare in anticipo, prima delle tre e mezza non si sarebbe avvicinato.
Soddisfatto vedendo il campo ancora sgombro, trovò un nascondiglio perfetto per sentire e osservare indisturbato.
Alle tre meno cinque, Urabe arrivò, puntualissimo secondo il suo solito anticipo. Il ragazzo cominciò a palleggiare per ingannare il tempo. Passarono cinque minuti. Otto. Dieci… Kishida guardò il cellulare, preoccupato. Si rilassò quando vide arrivare alle spalle di Hanji un ragazzino con la divisa della squadra…
 
Kishida era in ritardo. Hanji continuò a palleggiare, sbuffando. Aveva sospettato che sotto ci fosse qualcosa: era da un paio di giorni che il compagno di squadra si comportava in modo strano. E quell’appuntamento un’ora prima degli allenamenti era comunque sospetto. Boh. Decise che se non fosse arrivato entro un paio di minuti se ne sarebbe andato. Riprese a palleggiare, tenendo il conto dei palleggi.
Un minuto e mezzo.
Dieci. Quindici. Venti.
Un minuto.
Trenta. Trentacinque.
“Ca… capitano..?”
La palla rotolò a terra. Hanji rimase immobile, incapace di voltarsi verso quel richiamo alle sue spalle. Non era possibile, non lo era. Cosa ci faceva lui lì? E perché era venuto? Si girò lentamente. Sbatté un paio di volte gli occhi, incredulo. La divisa non aveva ancora lo stemma della squadra, era quella dell’allenamento per i Kohai, ma non c’erano dubbi, apparteneva alla Nankatsu, alla sua squadra! Sorrise, incredulo.
“Ma… ma…” cazzo, doveva ricomporsi un attimo, doveva far rallentare i battiti del cuore che gli martellava forte nel petto, quasi volesse uscire. “Ma quando hai deciso?! E perché non mi hai detto nulla??”
Nitta si picchiò una mano sulla fronte, capendo finalmente molte cose. Esasperato scosse la testa.
“Ma io te l’ho detto! È dall’esame di ammissione che lo dico!” rimarcò, guardando l’amico con un’espressione che sembrava quasi di sfida.
Hanji arricciò il naso e drizzò la schiena, riflettendo e cercando di ricordare. In effetti, durante il periodo degli esami d’ammissione lo aveva incrociato proprio alla Nankatsu, e Nitta lo aveva salutato dicendo: “Ci vediamo a inizio scuola, capitano!” E lui, nella sua stupidità (perché, se ne rendeva conto, era stato abbastanza stupido) aveva pensato che intendesse in generale. Che fosse lì solo per sondare il terreno. Che… Boh, forse davvero la prospettiva di riaverlo in squadra gli aveva fatto perdere qualche punto del suo QI.
“Potevi essere più chiaro!” protestò, non volendogliela dare vinta. E seppe di meritarsi tutta l’espressione esasperata e scettica del compagno.
“Ti donano questi colori.” Disse infine. Il più giovane si rilassò e sorrise.
“Grazie, capitano!” mormorò, sentendo uno strano calore arrivargli alle guance. L’euforia di due giorni prima stava tornando. Shun cercò di tenerla a bada, ancora per un po’.
“Sai, adesso che siamo nella stessa squadra dovrai davvero smetterla di chiamarmi così. Creerebbe confusione.” Senza rendersene conto, Hanji si stava avvicinando a Nitta sempre di più, piccoli passi che piano piano annullavano la distanza tra loro.
Nitta scrollò le spalle. “Cercherò, ma non ti prometto niente,” alzò lo sguardo verso Hanji, fissandolo negli occhi, provocatorio. “Capitano”. Hanji rise. Esattamente come sul campo da calcio, Nitta doveva sempre avere l’ultima parola.
“Non cambi mai, vero?” disse, abbracciando il compagno.
Gli era venuto naturale. Dopotutto, quante volte si erano abbracciati a fine partita? Eppure, forse, in questo abbraccio c’era un qualcosa di più, un qualcosa che non era ancora definito nel cuore di entrambi, ma c’era.
“Benvenuto in squadra.” Cazzo, non riusciva proprio a smettere di sorridere. Gli venne il sospetto che avesse una paresi facciale!
Nitta non rispose, ma ricambiò la stretta, stringendolo forte. Sorrise. “Sarà bello giocare ancora nella stessa squadra.” Disse, sciogliendo l’abbraccio.
Eccola lì, quella sensazione di euforia. Gli saliva su dal cuore, attraversava i vasi sanguigni arrivandogli al cervello, non facendogli capire più niente.
“Facciamo due tiri?” propose. Sentiva che il calcio era un modo per tenere quella strana sensazione a bada.
Hanji annuì, il sorriso ormai fissato sul volto sembrava permanente. Prese la palla, lanciandola al compagno e cominciò a correre.
Dopotutto, quell’anno era proprio cominciato nel migliore dei modi…
 
Nello stesso momento, qualcuno nascosto in un cespuglio a bordocampo esultò silenziosamente. Vide i due compagni sciogliersi dall’abbraccio e cominciare a correre verso la porta, palla ai piedi.
“Oh, dai, sul più bello vi siete fermati!” sbuffò Kishida, ma non poteva negare che per quel giorno avevano già fatto un po’ di progressi. Sorrise soddisfatto, godendosi lo spettacolo di vederli giocare insieme con quella sintonia che li aveva sempre caratterizzati e che andava ben oltre all’essere solo compagni di squadra.
“Tu non cambi proprio mai, vero, Kishida?” sibilò una voce vicino al suo orecchio, rischiando di fargli venire un infarto. Nemmeno il ragazzo seppe come avesse fatto a non urlare dalla paura.
“Yuzo!” esclamò sottovoce, guardando il portiere della Nankatsu che era accoccolato di fianco a lui e lo fissava severo. “Mi hai fatto perdere vent’anni di vita!” si lamentò. Morisaki lo ignorò e girò la testa verso il campo da calcio.
“Quindi oggi le tue vittime sacrificali sono Hanji e Nitta?” domandò guardandolo come chi ha appena beccato qualcuno sulla scena del crimine.
“Fidati, il mio sesto senso non sbaglia mai! Va avanti almeno da un paio d’anni, ma sono troppo tardi per capirlo da soli! Piuttosto tu perché sei arrivato così presto?” Yuzo lo fissò a lungo prima di rispondere.
“Perché so che l’erba del campo è sintetica, Takeshi! Potevi inventarti una scusa migliore di quella di dover passare il tagliaerba!” sibilò, facendolo sentire un completo idiota.
“Dettagli insignificanti. Il mio colpo è andato a segno!”
“Quando la smetterai con queste missioni da Cupido?” Yuzo non si sforzava nemmeno di nascondere la sua esasperazione.
“Con te ha funzionato o sbaglio?!” ribatté l’altro. Yuzo gli tirò un pugno non troppo piano sulla spalla e Takeshi fu costretto a reprimere un gemito.
“Okay, okay, ti chiedo ancora scusa per quell’incidente, però converrai che visto come sono andate le cose…”
“Tu prega solo che Mamoru non lo scopra mai o che io sia così magnanimo da non dirglielo, o ti ritroverai in panchina per un campionato intero, chiaro?” Sibilò il portiere, fulminandolo con lo sguardo e Kishida non era così stupido da provocarlo ulteriormente. “Adesso io vado a cambiarmi, tu smettila di fare il guardone ed esci da questo cespuglio! Lasciali in pace, se è come tu pensi che sia se la sapranno cavare da soli anche senza di te, no?” il tono si era leggermente addolcito rispetto alle minacce di prima, ma era comunque perentorio. Senza aspettare una risposta, si diresse verso lo spogliatoio. Takeshi sbuffò e tornò a concentrarsi sui suoi due “protetti”. Li guardò terminare un’azione con una sincronia perfetta e guardarsi complici.
Forse Yuzo aveva ragione. Alla fine, era tutto lì. Nei loro sorrisi, nei loro sguardi, nella loro complicità, nel loro cercare in modo così naturale una scusa per un contatto fisico, seppur minimo. Era tutto lì.
Kishida strisciò fuori dal suo nascondiglio, lanciando ai compagni un’ultima occhiata soddisfatta. Non che rinunciasse al suo ruolo di Cupido, ma solo per il momento, come aveva detto Yuzo, se la potevano cavare anche da soli.
Sorrise, decidendo di dare loro un po’ di tempo. E poi, osservò, guardando Hanji che cingeva con un braccio le spalle di Nitta, esultante, la gioia nei loro occhi.
Questo comunque non gli impedì di mettere in atto la seconda parte del suo piano…
 
“Spiegami ancora cosa non ti è chiaro del concetto di lasciare in pace la gente?” domandò Yuzo.
“Scusa, lasciarli più in pace di così!” ribatté Kishida creando sul viso un’espressione così innocente da far sembrare Gandhi un pazzo omicida.
“Annullare gli allenamenti della squadra per lasciare da soli quei due non era esattamente quello che avevo in mente!” Yuzo alzò gli occhi al cielo. Lo avrebbero tirato fuori di testa, già lo sapeva.
“Io non direi che è stato inutile comunque…” Ribatté Kishida con la bocca piena di Ramen. Il gruppetto, poco prima, era passato ancora davanti alla scuola, e si era potuto sentire che dal campo da calcio arrivavano le voci di Hanji e Nitta.
Già. Alle otto di sera erano ancora lì, dimentichi di tutto e di tutti.
Yuzo sbuffò. “Non sono ancora convinto che non combinerai un altro dei tuoi casini, sappilo. Ma devo ammettere che questa volta non hai avuto un’idea malvagia.”
Takeshi s’illuminò. “Vuoi dire che…”
“Voglio dire che hai lanciato l’amo. Adesso però lasciali davvero in pace e ti prego, trovati un altro hobby!” nonostante la supplica, il tono era abbastanza serio.
Kishida si arrese. Magari per un po’ poteva anche mettere da parte il suo arco di Cupido.
Osservò la tavolata della squadra che rideva e si godeva quel momento di svago prima di rituffarsi nella routine scolastica il giorno dopo.
...Ma non troppo a lungo, ghignò tra sé e sé.
 
 
 
 
 
 
 
Chi non muore si rivede…
Dopo sette anni, eccomi con una nuova fanficiton senza pretese.
In realtà questa storia era a prendere polvere nel computer da più di due anni… E ringrazio Melanto (amoremio) per aver avuto la pazienza di averla betata più volte!
No, non mi convince ancora appieno, ma oggi l’ho presa, riletta o mi sono detta: “O la pubblichi così, o non la pubblicherai più.” e siccome in quest’ultimo anno ho imparato a sbloccarmi su parecchie cose, perché non farlo anche sulle fanfiction?
La dedico a Melanto uno perché se la merita, due perché so che non si aspetta questa pubblicazione e spero di strapparle un sorriso!! Strizzola
Io torno a nascondermi nel mio angolino e…. per quanto possibile, buona lettura!!
   
 
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