Migraine
« Sei
l’unica cosa buona della mia vita, Felix, lo sai? »
Felix è
fermo nella neve. Il fiato gli si condensa di fronte al viso ad ogni respiro.
Prende aria a bocca aperta ed esala con troppa forza, agitato, consentendo al
gelo di insinuarsi in lui ogni istante un po’ di più. Le dita guantate di
Sylvain si posano sul suo mento e lo costringono a stringere le labbra
delicatamente.
« Tappa
la bocca, scemo, o rischi di morire. », scherza, ridendo. Gli rivolge quel
sorriso privo di filtri che sua madre aveva vantato in una lettera, una volta, recuperata
chissà dove da Glenn e oggetto di gentile scherno ai suoi danni per settimane. Il
sorriso del sole ci ha raggiunto in questo luogo desolato e buio, aveva
scritto Lady Gautier alla sua nascita, rivolta alla madre di Felix e Glenn; comprenderai
come l’arrivo di Sylvain ci sembri un miracolo, il pensiero gentile della Dea
che ha finalmente deciso di benedire la nostra famiglia. Il mio secondogenito
vivrà una vita felice.
In
quel momento, guardando Sylvain dritto negli occhi, Felix si domanda se sua
madre si sia mai data la pena di proseguire oltre quel sorriso o abbia
preferito illudersi di poter ignorare una realtà così evidente. Prende la sua
mano tra le proprie e stringe le sue dita più forte che può, valutando di
togliersi i guanti perché possa percepire senza filtri quanto intensamente
vorrebbe vederlo davvero felice, quanto desidera poterlo aiutare.
Il
cielo alle spalle di Sylvain è grigio, gli alberi ricoperti di neve, ed il
terreno è un manto bianco: il risultato è un quadro pallido e sbiadito, privo
di vita. Lui, invece, è un insieme armonico di macchie di colori: il nero del
cappotto, il rosso dei capelli mossi, degli occhi spenti; il porpora del livido
che gonfia la sua guancia, prosegue verso il collo e scompare sotto bavero
della giacca.
Quella
che pende sulle loro teste è un’ora che segue di poco l’alba. È troppo presto
per mettersi a piangere, eppure Felix non riesce ad evitarlo: sente la faccia
contrarsi in una smorfia triste e le lacrime scendere giù – calde, nonostante
non avverta che freddo. Afferra la mano di Sylvain con tutta la violenza che ha
in corpo, tirandoselo praticamente addosso per abbracciarlo e affondare il viso
contro il suo petto.
«
Potevi morire! », urla. La voce è soffocata, le parole quasi incomprensibili,
ma Felix sa che Sylvain non ha bisogno di sentirselo dire da lui; quello di cui
ha bisogno è che qualcuno gli strepiti addosso, lo stringa e dia al suo dolore
invisibile e alla sua rabbia silenziosa una forma fisica. Tremano entrambi,
forse per il freddo e forse perché il ricordo della notte appena trascorsa è
ancora vivido nella memoria – così come gli avvenimenti che l’hanno preceduta:
l’arrivo alla residenza dei Gautier e la cena, cibo ed alcool in abbondanza;
Glenn che riesce a strappare al padre il permesso di far assaggiare a Felix un
bicchiere di vino e ride della sua espressione schifata; la scomparsa, dal
salone, di Sylvain – troppo silenzioso, uno spettro luminoso nella sua stessa casa,
non dissimile da una candela appesa al muro – e Miklan – la presenza scomoda,
l’infestazione: un figlio sempre troppo maleducato, troppo rozzo e troppo
rapido a venire alle mani.
Avevano
lasciato la stanza assieme, Sylvain trascinato da Miklan, e Felix li aveva
visti; ma aveva anche visto Sylvain voltarsi nella sua direzione e sollevare un
indice al volto. Non parlarne, gli aveva suggerito; e Felix, a soli nove
anni, aveva sperimentato la paura per la prima volta. Si era alzato da tavola
non appena gli era stato concesso, qualche minuto prima che il margravio
iniziasse a domandarsi dove diamine si fossero cacciati i suoi figli, e così si
era perso il ritorno di Miklan, ebbro e convinto di essersi finalmente liberato
della piaga che l’aveva soggiogato per dodici lunghi anni; ma aveva fatto in
tempo a vedere Sylvain correre fuori, sparire nella notte, e l’aveva seguito
fino a raggiungerlo. Poi, in silenzio, avevano continuato a camminare nella
neve, nel petto mille domande non poste. Infine Sylvain si era fermato, l’aveva
guardato – il livido ben visibile là dove Miklan aveva stretto per soffocarlo,
e ancor più visibile dove l’aveva colpito in volto per pura soddisfazione
personale – ed aveva mormorato quella stupida frase senza significato.
« Dove volevi
andare? », gli domanda. Non smette di abbracciarlo, ma solleva il viso quanto
basta per poterlo guardare la sua espressione triste, accondiscendente. «
Perché sei scappato via? »
« Il
più lontano possibile. », gli risponde, senza pensarci un attimo. Felix lo
osserva sfilarsi un guanto: posa il dito sulla punta del suo naso e gli sorride
di nuovo, di nuovo senza che gli occhi siano coinvolti. « Tu però faresti
meglio a tornare indietro, Fe. Dico sul serio. »
« Io
indietro non ci torno! », strepita. Là fuori nessuno può sentirli, ed il tempo
dei sussurri è già finito. Neppure la sacralità del mattino può contenere la
rabbia di Felix. « Ci torno solo per raccontare a tuo papà cosa ha fatto
Miklan! Possiamo dirlo a Dimitri, ci penserà lui a dirlo a suo papà, e lui è il
re, lui può fare qualcosa! E se comunque Miklan continua a farti del male posso
pensarci io... »
Voce e
adrenalina gli muoiono in gola. Lo sguardo di Sylvain ed il suo sorriso
sembrano prendersi gioco di lui, assecondarlo per non fargli del male. Felix
non vuole la sua pietà: sa quanto lui di non potere nulla, ma sa altrettanto
bene di voler comunque fare qualcosa perché la realtà cambi.
«
Altrimenti andiamo avanti. », continua, la voce ridotta a un mormorio triste. «
Ma ci andiamo insieme. Vengo con te. »
La
prospettiva non lo spaventa – al contrario, riempe il suo piccolo petto
d’orgoglio. Possono farcela, là fuori: mettere in pratica ciò che Glenn ha
insegnato loro e vivere facendo i mercenari, scappare dal freddo. Vuole vedere
l’Almyra, quel luogo sconosciuto di cui persino gli adulti parlano con timore e
sottovoce, e vuole vederla con Sylvain.
« Vengo
con te. », ripete. L’ultima parola la sussurra soltanto, perché Sylvain si
china e lo abbraccia così forte da soffocarlo, per un istante – un momento in
cui l’intero mondo di Felix è Sylvain, qualsiasi senso sopraffatto dalla sua
presenza. Il cuore gli affonda nel petto quando le labbra di Sylvain sfiorano
la sua guancia, lasciano un bacio lento e delicato, affettuoso.
« Sei
un bravo bambino. », sussurra. Non lo lascia andare: rimane con la guancia
premuta contro la sua, le braccia strette attorno al suo corpo, e a un certo
punto Felix ha l’impressione che non sia più Sylvain che sta abbracciando lui
ma il contrario. Lo sente piccolo e triste e indifeso, nonostante sia tanto più
grande di lui, nonostante non faccia che sorridere e soffocare ogni pensiero
negativo. Quando lo lascia andare si porta via un pezzo di lui, uno che Felix
non riesce ad identificare meglio, al momento, e che un giorno tenterà di
reclamare definendolo come l’egoista che è; ma per il momento si limita a
guardarlo negli occhi.
Sylvain
gli sta sorridendo e, nonostante il livido che deturpa il suo volto, gli sta
sorridendo davvero.
« Torniamo a casa, Fe. », gli mormora. Poi gli tende la mano ancora priva del guanto, che ha lasciato cadere a terra. Felix esita un momento: guarda la direzione che non hanno intrapreso con il cuore pesante, ancora per un momento; poi l’afferra.