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Autore: JoiningJoice    29/10/2020    1 recensioni
Sylvain cerca di scappare.
Felix lo segue.
Pre-canon | prompt: lividi
« Sei l’unica cosa buona della mia vita, Felix, lo sai? »
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Felix Hugo Fraldarius, Sylvain Jose Gautier
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Migraine

 

                « Sei l’unica cosa buona della mia vita, Felix, lo sai? »

                Felix è fermo nella neve. Il fiato gli si condensa di fronte al viso ad ogni respiro. Prende aria a bocca aperta ed esala con troppa forza, agitato, consentendo al gelo di insinuarsi in lui ogni istante un po’ di più. Le dita guantate di Sylvain si posano sul suo mento e lo costringono a stringere le labbra delicatamente.

                « Tappa la bocca, scemo, o rischi di morire. », scherza, ridendo. Gli rivolge quel sorriso privo di filtri che sua madre aveva vantato in una lettera, una volta, recuperata chissà dove da Glenn e oggetto di gentile scherno ai suoi danni per settimane. Il sorriso del sole ci ha raggiunto in questo luogo desolato e buio, aveva scritto Lady Gautier alla sua nascita, rivolta alla madre di Felix e Glenn; comprenderai come l’arrivo di Sylvain ci sembri un miracolo, il pensiero gentile della Dea che ha finalmente deciso di benedire la nostra famiglia. Il mio secondogenito vivrà una vita felice.

                In quel momento, guardando Sylvain dritto negli occhi, Felix si domanda se sua madre si sia mai data la pena di proseguire oltre quel sorriso o abbia preferito illudersi di poter ignorare una realtà così evidente. Prende la sua mano tra le proprie e stringe le sue dita più forte che può, valutando di togliersi i guanti perché possa percepire senza filtri quanto intensamente vorrebbe vederlo davvero felice, quanto desidera poterlo aiutare.

                Il cielo alle spalle di Sylvain è grigio, gli alberi ricoperti di neve, ed il terreno è un manto bianco: il risultato è un quadro pallido e sbiadito, privo di vita. Lui, invece, è un insieme armonico di macchie di colori: il nero del cappotto, il rosso dei capelli mossi, degli occhi spenti; il porpora del livido che gonfia la sua guancia, prosegue verso il collo e scompare sotto bavero della giacca.

                Quella che pende sulle loro teste è un’ora che segue di poco l’alba. È troppo presto per mettersi a piangere, eppure Felix non riesce ad evitarlo: sente la faccia contrarsi in una smorfia triste e le lacrime scendere giù – calde, nonostante non avverta che freddo. Afferra la mano di Sylvain con tutta la violenza che ha in corpo, tirandoselo praticamente addosso per abbracciarlo e affondare il viso contro il suo petto.

                « Potevi morire! », urla. La voce è soffocata, le parole quasi incomprensibili, ma Felix sa che Sylvain non ha bisogno di sentirselo dire da lui; quello di cui ha bisogno è che qualcuno gli strepiti addosso, lo stringa e dia al suo dolore invisibile e alla sua rabbia silenziosa una forma fisica. Tremano entrambi, forse per il freddo e forse perché il ricordo della notte appena trascorsa è ancora vivido nella memoria – così come gli avvenimenti che l’hanno preceduta: l’arrivo alla residenza dei Gautier e la cena, cibo ed alcool in abbondanza; Glenn che riesce a strappare al padre il permesso di far assaggiare a Felix un bicchiere di vino e ride della sua espressione schifata; la scomparsa, dal salone, di Sylvain – troppo silenzioso, uno spettro luminoso nella sua stessa casa, non dissimile da una candela appesa al muro – e Miklan – la presenza scomoda, l’infestazione: un figlio sempre troppo maleducato, troppo rozzo e troppo rapido a venire alle mani.

                Avevano lasciato la stanza assieme, Sylvain trascinato da Miklan, e Felix li aveva visti; ma aveva anche visto Sylvain voltarsi nella sua direzione e sollevare un indice al volto. Non parlarne, gli aveva suggerito; e Felix, a soli nove anni, aveva sperimentato la paura per la prima volta. Si era alzato da tavola non appena gli era stato concesso, qualche minuto prima che il margravio iniziasse a domandarsi dove diamine si fossero cacciati i suoi figli, e così si era perso il ritorno di Miklan, ebbro e convinto di essersi finalmente liberato della piaga che l’aveva soggiogato per dodici lunghi anni; ma aveva fatto in tempo a vedere Sylvain correre fuori, sparire nella notte, e l’aveva seguito fino a raggiungerlo. Poi, in silenzio, avevano continuato a camminare nella neve, nel petto mille domande non poste. Infine Sylvain si era fermato, l’aveva guardato – il livido ben visibile là dove Miklan aveva stretto per soffocarlo, e ancor più visibile dove l’aveva colpito in volto per pura soddisfazione personale – ed aveva mormorato quella stupida frase senza significato.

                « Dove volevi andare? », gli domanda. Non smette di abbracciarlo, ma solleva il viso quanto basta per poterlo guardare la sua espressione triste, accondiscendente. « Perché sei scappato via? »

                « Il più lontano possibile. », gli risponde, senza pensarci un attimo. Felix lo osserva sfilarsi un guanto: posa il dito sulla punta del suo naso e gli sorride di nuovo, di nuovo senza che gli occhi siano coinvolti. « Tu però faresti meglio a tornare indietro, Fe. Dico sul serio. »

                « Io indietro non ci torno! », strepita. Là fuori nessuno può sentirli, ed il tempo dei sussurri è già finito. Neppure la sacralità del mattino può contenere la rabbia di Felix. « Ci torno solo per raccontare a tuo papà cosa ha fatto Miklan! Possiamo dirlo a Dimitri, ci penserà lui a dirlo a suo papà, e lui è il re, lui può fare qualcosa! E se comunque Miklan continua a farti del male posso pensarci io... »

                Voce e adrenalina gli muoiono in gola. Lo sguardo di Sylvain ed il suo sorriso sembrano prendersi gioco di lui, assecondarlo per non fargli del male. Felix non vuole la sua pietà: sa quanto lui di non potere nulla, ma sa altrettanto bene di voler comunque fare qualcosa perché la realtà cambi.

                « Altrimenti andiamo avanti. », continua, la voce ridotta a un mormorio triste. « Ma ci andiamo insieme. Vengo con te. »

                La prospettiva non lo spaventa – al contrario, riempe il suo piccolo petto d’orgoglio. Possono farcela, là fuori: mettere in pratica ciò che Glenn ha insegnato loro e vivere facendo i mercenari, scappare dal freddo. Vuole vedere l’Almyra, quel luogo sconosciuto di cui persino gli adulti parlano con timore e sottovoce, e vuole vederla con Sylvain.

                « Vengo con te. », ripete. L’ultima parola la sussurra soltanto, perché Sylvain si china e lo abbraccia così forte da soffocarlo, per un istante – un momento in cui l’intero mondo di Felix è Sylvain, qualsiasi senso sopraffatto dalla sua presenza. Il cuore gli affonda nel petto quando le labbra di Sylvain sfiorano la sua guancia, lasciano un bacio lento e delicato, affettuoso.

                « Sei un bravo bambino. », sussurra. Non lo lascia andare: rimane con la guancia premuta contro la sua, le braccia strette attorno al suo corpo, e a un certo punto Felix ha l’impressione che non sia più Sylvain che sta abbracciando lui ma il contrario. Lo sente piccolo e triste e indifeso, nonostante sia tanto più grande di lui, nonostante non faccia che sorridere e soffocare ogni pensiero negativo. Quando lo lascia andare si porta via un pezzo di lui, uno che Felix non riesce ad identificare meglio, al momento, e che un giorno tenterà di reclamare definendolo come l’egoista che è; ma per il momento si limita a guardarlo negli occhi.

                Sylvain gli sta sorridendo e, nonostante il livido che deturpa il suo volto, gli sta sorridendo davvero.

                « Torniamo a casa, Fe. », gli mormora. Poi gli tende la mano ancora priva del guanto, che ha lasciato cadere a terra. Felix esita un momento: guarda la direzione che non hanno intrapreso con il cuore pesante, ancora per un momento; poi l’afferra.

   
 
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