Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: steffirah    30/10/2020    2 recensioni
Una volta iscrittosi all'università, Syaoran si trasferisce in un nuovo appartamento con due coinquilini e mezzo, e si ritrova a vivere esperienze del tutto impreviste. La sua vita però cambierà del tutto quando verrà assunto per lavorare presso una persona con cui non sapeva neppure di aver instaurato un legame... Un legame che lo riporterà alle sue origini, spingendolo a trovare quella famiglia che gli manca.
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane, Sakura, Syaoran
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XV



 
 
 
Dopo aver trascorso ben più di due ore al karaoke, approfittiamo del bel tempo per fare una passeggiata in città. Eppure, per quanto sia magica e inedita con le foglie dai colori autunnali che sfiorano i nostri corpi e le luci già accese che la adornano, continuo a camminare come se fluttuassi su nuvole di cotone rosato.
È dal momento in cui ho scoperto che la cara voce che ha cullato le mie giornate in tutti questi mesi appartiene a nient’altri che Syaoran che provo un’emozione inspiegabile. Se dovessi descrivere cos’è, non saprei proprio come farlo. So solo che è sopraffacente, che mi rende tanto gioiosa da portarmi sul punto di piangere, e che è divenuta sempre più soverchiante, dato che i suoi amici non si sono lasciati scappare questa chance e lo hanno convinto a non fermarsi ad una sola canzone. Non possono neppure immaginare quanto sono loro grata per questo, perché per me non ha significato altro che avere l’inaspettata opportunità di ascoltarlo persino di più. E il suo sfruttare frasi chiave per guardarmi in determinati momenti, sorridendomi dolcemente, non ha fatto che stringermi ulteriormente le budella, farmi palpitare maggiormente il cuore, condurmi sempre più in alto, verso l’universo infinito.
Pensavo che una volta fuori l’aria fresca autunnale mi avrebbe aiutata a ritornare lucida; e invece, ancora non riesco a togliermi dalla mente quei versi che è parso dedicarmi.
 
Okuretatte komatteiru, anata no te wo torou
Kimatteru sa
Kawaranakucha naranai sekai de


Yugandatte mayottatte
Bokura wa kowarenai
Uzukumatte tameterunda haneagaru yume wo

 
Arrossisco, chinando lo sguardo. Se fosse al suo fianco, raggiungerei qualsiasi luogo, anche se dovesse trovarsi lontano da questo mondo, e realmente non saprei più cos’è la tristezza… E con lui potrei continuare a sognare anche per il resto della mia vita…
 
Anata to no jikan wa imaya yume no yō
Iron'na koto ga okori
Iron'na hito to deai
Iron'na mono o mite kiite
Madamada shiranai koto ga aru koto o shiru
Jikkan suru koto de kawatte iku
 
E in fondo, non è tutto quello che mi sta permettendo di vivere adesso, stando al suo fianco?
Lo osservo di sottecchi, e non mi trattengo dal ridere dinanzi all’entusiasmo di Umi-san, Hikaru-san e Ryūō-san, che ancora gli girano attorno esaltati per essere riusciti a farlo cantare fino allo scadere dell’orario per cui avevano prenotato – contribuendo però ai suoi ritornelli o alle intro. Le canzoni che hanno scelto a forza per lui, intitolate “Furachi na session” e “Faith”, sono state del tutto inaspettate, molto allegre e vivaci. E aggiungendo quella gaiezza alla sua voce… Molto più armoniosa, avvolgente, calda di quanto ricordassi… Così vigorosa, sicura, magnetica…
Scuoto vigorosamente la testa, sforzandomi di non pensarci, e fortunatamente Primera-san mi si accosta, distraendomi nello sbuffare per quanto siano infantili gli altri.
In un certo qual senso mi sento a mio agio al suo fianco, poiché naturalmente ha dovuto celare il suo aspetto con occhiali e cappello, legandosi e alzandosi i capelli; così facendo, mi sono sentita meno fuori posto. Non che con gli amici di Syaoran abbia avuto tale impressione. Sono così simpatici, socievoli e spensierati.
Dopo poco Umi-san sembra riprendersi per prima dal fervore e mi rapisce, facendomi camminare giusto al centro tra lei e Hikaru-san, mentre Primera-san torna dal suo ragazzo e i ragazzi ci seguono stando alle nostre spalle.
Per non destare sospetti ho dovuto acconsentire anche a lasciarmi immortalare con loro, ringraziando il fatto che con gli occhiali e il cappello, anche se i selfie dovessero essere pubblicati, nessuno dovrebbe capire chi sono. In effetti, nessuno dovrebbe conoscere il mio aspetto, non più almeno, ora che sono cambiata, ora che non dovrei più esistere… Ma, in ogni caso, preferisco non rischiare. Il taglio del mio viso o la mia conformazione fisica potrebbero sempre tradirmi. Per non parlare dei miei occhi. 
Per non stare troppo tempo all’aperto, comunque, le ragazze decidono di approfittare del fatto che manchino ancora delle ore alla cena per visitare il teamLab – anche perché secondo loro è un’esperienza che non devo assolutamente perdermi.
Non ho idea di cosa sia, finché non scopro che si tratta di un museo completamente multimediale, di arte digitale.
Mentre ci mettiamo in fila all’entrata ci fanno posare in un armadietto borse, scarpe e calzini, viene chiesto di arrotolare i pantaloni e a noi ragazze con le gonne vengono prestati dei pantaloncini neri usa e getta, permettendoci di portare con noi soltanto il cellulare – purché non utilizziamo il flash. Procediamo poi per un corridoio buio, illuminato solo da vaghe luci circolari dapprima azzurre e poi bianche, mentre si avanza su per una pendenza coperta d’acqua fredda. Ora è chiaro perché ci hanno chiesto di togliere le scarpe.
Alla sua sommità c’è una piccola e brillante cascata, mentre sulla sinistra la prima stanza in cui si entra si dimostra sin da subito particolare: non appena poggio piede sul pavimento mi sento oscillare e affondare; mi aggrappo alla maglia della prima persona che mi capita a tiro, che scopro essere Syaoran. Mi scuso, ritrovando l’equilibrio, ma anche al buio e a queste fioche luci iridescenti lo vedo sorridere tranquillo.
«Non preoccuparti. Solo stai attenta, il pavimento cambia ad ogni passo.»
Annuisco, mettendomi dritta e impegnandomi. In effetti, è come procedere su morbidi cuscini, soffici e confortevoli, tanto che potrei anche decidere di sprofondarci dentro e non rialzarmi più. Al contempo, il pensiero che questo sia solo l’inizio e che probabilmente qualcosa di meglio mi sta aspettando mi spinge ad andare avanti.
Gasata provo a raggiungere Umi-san e Hikaru-san, traballando, e quando mi notano tutte e due mi afferrano per le braccia, facendomi cadere. Primera-san, non accorgendosene, inciampa su di noi e i ragazzi sospirano rassegnati; sennonché, dopo poco, anche Ryūō-san si sbilancia, trascinando con sé anche Syaoran e Shōgo-san. Le ragazze li prendono in giro, alzandosi per prime e afferrandomi per mano, facendo loro pernacchie per anticiparli nel proseguire.
Continuando ad essere guidati dalla musica, entriamo in una zona con tantissime porte e pareti, su cui è riflessa una foresta di fiori, di tutte le tipologie. Seguiamo alcuni petali e farfalle fluttuanti, mentre Umi-san mi spiega che le immagini cambiano a seconda di come interagiamo con esse e si influenzano l’una con l’altra; mi invita pertanto ad allungare una mano su un crisantemo, e io faccio un tentativo. Non appena vi poggio le dita tutti i petali volano via, e al suo posto compare una distesa di sakurasou. Li guardo meravigliata, sorridendole grata per avermi spiegato questa cosa.
Seguendo tale parete ci ritroviamo in un’area in cui l’acqua scorre di fronte a noi come una cascata immersa nell’autunno; al di sotto di essa c’è una roccia, su cui le persone si siedono per scattare fotografie, per cui non appena si libera vengo guidata lì, con Umi-san che affida il cellulare a Shōgo-san per commemorare il momento – a sua detta è molto abile nello scattare fotografie, tant’è che è egli stesso ad occuparsi degli album di Primera-san.
Fatto ciò ci spostiamo sulla parete opposta, dove fluttuano dei kanji. Mi accorgo che sono scritti come se fossero stati tracciati col pennello, e li osservo affascinata. Li scruto uno a uno, finché non sbatto contro la spalla di Syaoran. Di nuovo, mi scuso per essere tanto imbranata.
Lui ridacchia, come se davvero non gli desse fastidio questo tratto di me, e si china di poco per prendere una mia mano. La guida verso la parete, mentre il cuore mi salta in gola, e mi porta a toccare uno dei caratteri, quello col mio nome. E non appena le nostre dita unite vi si posano sopra esso sboccia in tanti rami di ciliegio dal colore acceso.
Trattengo il fiato, e con esso qualsiasi emozione che possa tradirmi, mentre mi giro di poco a guardarlo. Toccando il mio nome, quello che lui conosce come il mio vero nome, è come se stesse toccando direttamente il mio cuore. Come se mi stesse dicendo che lui c’è sempre, a prendersi cura di me, nel corpo e nell’anima.
Continua a rimirare con meraviglia i fiori rosati, finché non si volta nella mia direzione, sorridendomi raggiante. È accecante. Come il sole d’estate. Mi induce spontaneamente a sorridere, ma nonostante il cuore che batte a centomila all’ora è calmante, al punto che potrei restare per sempre lì a guardarlo del tutto rapita.
«Hana-chan, vieni, da questa parte!»
Hikaru-san mi si avvicina senza che io me ne renda neppure conto e mi trascina via di lì, correndo gioiosa in un’altra sezione.
«Hikaru, potevi aspettare un altro po’», sibila Umi-san, guardandomi mortificata.
Sbatto le palpebre, tentando di ridestarmi dalle mie fantasticherie, e cerco di ricompormi.
«Ma se non ci muoviamo potrebbero arrivare altre persone, e poi non ce la possiamo godere», ribatte accesa, spingendomi in una nuova sala. E non appena vi metto piede resto a bocca aperta.
«È… meravigliosa…» riesco a malapena a sussurrare.
Miriadi di luci pendono dal soffitto, riflettendosi da tutte le parti grazie agli specchi che ricoprono tutte le pareti. Lungo ciascuna di esse, i puntini di luce cambiano colore, creando di volta in volta immagini e impressioni diverse: acqua e cristalli turchesi, scie arcobaleno, pioggia color lavanda…
Scopro che a cambiarne i colori, gli effetti e la musica è Primera-san, che già aveva scaricato l’app del museo, avendo già scattato uno shooting qui. Ecco perché ci illustra anche come e dove metterci in posa, affidandosi ancora una volta a Shōgo-san per farci uscire belle alla pari di modelle.
Procediamo poi per i bui corridoi, illuminati solo dal traversamento di animali realizzati con i fiori o banchi di pesci, ritornando coi piedi nell’acqua. Qui essa brilla di un bianco leggero e profuma come un sapone all’ylang-ylang, finché non si apre in una stanza enorme, ove sulla superficie nebulosa dell’acqua sono proiettate variopinte carpe koi. Ci si sente esattamente come se si avanzasse in un reale stagno, e mentre si cammina e ci si sguazza è possibile anche giocare coi pesci, i quali, quando scontrano le persone, si trasformano in nuovi fiori.
Una volta fuori di lì i membri dello staff ci passano un asciugamano per asciugarci, da posare poi in delle ceste con gli asciugamani usati.
Proseguiamo allora per un’altra zona, somigliante ad un verde prato di una zona rurale, che richiama un campo di riso. Al di sotto delle piantagioni – che mi ricordano foglie di ninfee – è possibile vedere proiezioni di insetti, fiori o foglie soffiate via dal vento. È tutto sempre più fiabesco, evocativo e incredibile, ma torna divertente non appena giungiamo in uno spazio riempito completamente da giganti sfere fluttuanti, che bisogna spostare per poter raggiungere il lato opposto della stanza. Mentre lo si fa, però, i loro colori pastello variano, così come muta anche lo spazio e i percorsi che si aprono.
Ci divertiamo per un po’ a giocare a nascondino, affacciandoci dalle diverse sfere, finché non ci ritroviamo delle scale davanti.
Saliamo al secondo piano, dove finiamo in un universo di fiori fluttuanti. Qui è possibile sedersi o stendersi sul pavimento riflettente per ammirare i fiori sulle pareti e il soffitto che si muovono e cambiano, dando l’impressione che anche noi ci muoviamo con essi. In particolare, sono spettacolari la pioggia di rose e di girasoli.
Dopo che ci siamo riposati un po’ procediamo nella stanza successiva, che già dall’esterno mi blocca il respiro: essa è totalmente riempita da lanterne fluttuanti, che grazie ai giochi realizzati dagli specchi sembrano infinite. Entro insieme agli altri su di giri, notando che sembrano tante stelle variopinte. Quanto più avanziamo, tanto più mi sento trasportata in un altro mondo.
Tale pensiero me lo faccio sfuggire ad alta voce, al che le ragazze mi sorridono compiaciute.
«Preparati allora al gran finale!»
Scattiamo rapidamente delle fotografie scenografiche e spettacolari, essendo il tempo di sosta lì limitato, e raggiungiamo l’ultima stanza. Essa si rivela essere nient’altro che un enorme elastico immerso nel buio del cosmo, tra cui oscilla la Via Lattea, galassie, nebulose, pianeti.
Mentre lo guardo con le lacrime agli occhi – è mille volte meglio del mio mini-planetario – Hikaru-san si piazza giusto al centro, cominciando a saltare con vigore.
«Più salti, più gas si accumula, tanto più diventa grande la stella che riesci a creare», mi spiega Shōgo-san, notando probabilmente la mia aria perplessa.
Capendo mi cerco un posticino per imitarla, osservando stupita come la mia stella va via via formandosi, sempre più gasata. Dopo un po’ devo tuttavia cessare, sentendomi affannata e con la tachicardia, ma prima che si dissolva col mio spostamento riesco a vedere di essere riuscita a creare una supergigante blu.
«Wow…» ansimo stupefatta.
Syaoran mi si accosta, avvisandomi che gli altri hanno cominciato a spostarsi verso l’uscita, e mentre li seguiamo e io riprendo fiato mi si congratula, colpito da tanta tenacia.
«Eheh, hai visto? È estremamente rara ed enigmatica», mi vanto contenta, uscendo di lì.
«Ma è anche la più calda e luminosa», aggiunge con un tono di voce bassissimo, quasi ad illudermi che non l’abbia detto davvero.
Lo fisso di sottecchi, arrossendo lievemente, ma lui resta con l’espressione di sempre e mi passa la chiave del mio armadietto – ho preferito farla custodire da lui, dato che, conoscendomi, quasi sicuramente l’avrei persa.
Una volta usciti la mia mente rimane ancora in quel meraviglioso caleidoscopio, ma gli amici di Syaoran non mi concedono il tempo di metabolizzare nulla che decidono che, per cenare, ci vuole qualcosa di caldo e caratteristico. E così finiamo sul serio col mangiare del ramen!
Il ramen-ya non è molto grande, e ospita pochi clienti che non ci prestano alcuna attenzione. I camerieri non ci fanno neppure attendere molto dopo che ordiniamo – io prendo quello classico, per andare sul sicuro – e mi basta un solo assaggio per ammettere che è buonissimo. Non ho mai saggiato un sapore simile prima! E proprio per questo, anche stavolta, senza farmi notare, controllo come lo mangiano le altre ragazze, per essere certa di sembrare il più naturale possibile.
Ma anche quando esprimo il mio apprezzamento ad alta voce, fortunatamente, lo interpretano in maniera diversa, esclamando: «Non a caso è il ristorante che fa il ramen migliore di tutta Tokyo!» 
Durante la cena, comunque, chiacchieriamo a lungo di svariati argomenti. Mi raccontano delle loro relazioni, e così vengo a scoprire che Primera-san e Shōgo-san stanno insieme da cinque anni, Ryūō-san e Syaoran si sono conosciuti durante il suo anno di studio in America, mentre Umi-san e Hikaru-san sono amiche dalle medie, frequentando la stessa scuola. Inoltre, escludendo Primera-san e Shōgo-san che già è laureato, tutti sono compagni di accademia di Syaoran. Ryūō-san segue i suoi stessi corsi, mentre Umi-san è iscritta a giurisprudenza e Hikaru-san a scienze dell’educazione.
Inevitabilmente, ciò ha portato a una lunga serie di domande sul mio rapporto con Syaoran e sui nostri ricordi d’infanzia. Ogni volta che mi finiscono le idee sulle cose su cui non ci siamo accordati interviene lui per me, finché non decide di rivolgere la loro attenzione altrove, facendo riferimento a quelli che sono i loro hobby.
Così scopro che, inaspettatamente, Shōgo-san è un pilota automobilistico, Umi-san pratica scherma, mentre Ryūō-san a quanto pare è un abile kenshi e frequenta il dōjo della famiglia di Hikaru-san, che è la sua maestra; inoltre, lavora part-time come cassiere in un konbini.
Quando dico loro che i miei passatempi sono il balletto e il canto – ho cercato di evitare di parlare anche del piano, trovandolo inadeguato – mi fissano tutti allibiti. 
«Hana-chan, ammettilo, sarai anche della provincia, ma sei una signorina di buona famiglia.» 
A quest’astuta allusione di Umi-san mi sento raggelare e, automaticamente, guardo Syaoran, sperando venga nuovamente in mio soccorso. 
Senza scomporsi le chiede: «Cosa te lo fa pensare?» 
«È così raffinata!» 
«Effettivamente, sei così pacata, hai un tono di voce così sostenuto. È perché vieni dalla montagna?» ipotizza Ryūō-san, puntandosi un dito al mento. 
«Ah, dici che è per questo?» 
Hikaru-san assume la sua stessa posa, mentre io forzo un sorriso.
Shōgo-san mi sorride con gentilezza, forse notando il mio farmi tesa, e commenta: «Anche se così fosse, per noi non cambia niente. Almeno sarebbe una spiegazione per tanta raffinatezza». 
A queste parole si riceve una gomitata nel fianco da parte di Primera-san, la quale gonfia le guance come un pesce palla. 
«Stai dicendo che io sono priva di raffinatezza?» 
«Non ho mica detto questo! Non mettermi in bocca parole non mie!» prova a difendersi, invano, perché lei gli fa una bella lavata di capo che non riesco neppure a seguire. 
Quando la situazione sembra calmarsi tutti fanno oscillare lo sguardo da Syaoran a me e viceversa, quasi in cerca di una spiegazione.
Avendo finito la sua porzione Syaoran mette giù la ciotola e sospira, ammettendo: «I suoi genitori sono benestanti».
Loro reagiscono come se ciò desse una spiegazione a tutto, io invece mi sento un po’ scontenta. Per quanto mi sforzi, non riesco a confondermi nel loro mondo. 
Fortunatamente, o forse sfortunatamente, il loro interesse devia sul precedente argomento, che sembra loro più interessante, ossia la nostra amicizia. Stavolta mi chiedono più nello specifico come passavamo le nostre giornate insieme, sembrando molto interessati al periodo da liceale di Syaoran – di cui ahimè non so nulla – e, di nuovo, non so più che inventarmi.
Syaoran sembra agitarsi insieme a me per questa situazione spinosa, tant’è che ben presto si alza e raccoglie le sue cose, facendomi notare: «Hana, si è fatto tardi. Dobbiamo andare».
Mi alzo a mia volta, sollevata, e loro fanno altrettanto, lagnandosi.
«Di già?»
«Devo occuparmi di Mokona, non posso farla morire di fame.»
Per far sembrare più realistico il mio fermarmi da lui, ha finto che in questo periodo i suoi coinquilini siano assenti; e ciò, per qualche ragione, non ha fatto che rendere le ragazze ancora più curiose del nostro rapporto. Per quanto abbia insistito sul nostro essere soli amici non ne sembrano ancora convinte, e forse proprio perché non se ne sentono ancora sazie mi propongono di tornare a fare visita a Syaoran a fine mese, così da andare insieme a tutti loro a Disneyland, per festeggiare Halloween.
Li ringrazio per tale proposta, prima di salutarli e andarcene, sentendomi un po’ mogia.
«Cosa c’è che non va?» mi domanda Syaoran dopo che ci siamo allontanati, mentre svoltiamo verso i vicoli incrociati che conducono a casa mia.
«Mi dispiace non poter mantenere una promessa così semplice.»
Lui non risponde nulla per un po’, prima di proporre: «Vuoi che lo chieda io ai tuoi genitori?»
Scuoto vigorosamente la testa, rifiutando. Devo assumermi le mie responsabilità, farmi coraggio e affrontarli da sola.
«Proverò a parlargliene.»
«Dubito che te lo negheranno.»
«Credi sul serio che me lo concederanno?» chiedo insicura, guardandolo speranzosa.
Sorride, spiegando: «Non vedo perché non dovrebbero, soprattutto quando vedranno quanto sei radiosa dopo quest’uscita».
Sgrano gli occhi, non aspettandomi parole simili, e torno con lo sguardo sulla strada, portandomi le mani al viso, nel vano tentativo di raffreddarlo.
«Saranno lieti di vederti così felice. E se potranno averne un’altra occasione, non credo se la faranno sfuggire», aggiunge con fiducia.
Mi faccio scappare un risolino, osservando: «A volte ho l’impressione che conosca più tu i miei genitori che io».
«Loro vogliono soltanto il tuo bene. E se hanno la certezza che ci sono io al tuo fianco, non dovrebbero avere nulla da temere, no?»
Mi volto verso di lui, annuendo con vigore. Perché quando Syaoran è con me, ci sentiamo tutti più tranquilli – solo Touya-niisama rompe, ma quello è un altro discorso.
«Quindi non preoccuparti, è quasi certo al cento per cento che ti diranno di sì.»
«Lo spero davvero.»
Sospiro sonoramente, immaginando già quanto possa essere bello stare di nuovo insieme a tutti quanti.
Lui deve accorgersi che mi sto smarrendo nei miei sogni ad occhi aperti perché fa una mezza risata, prima di chiedere accorto: «Come ti sei sentita?»
«Completamente a mio agio», gli assicuro. «I tuoi amici sono fantastici.»
«Sono lieto di averteli presentati. Non pensavo che…» Fa una pausa, e io resto in attesa, incuriosita. Fissa dinanzi a sé con aria pensierosa, ma poi scuote lievemente il capo e, quando parla, mi dà l’impressione di pronunciare altro rispetto all’iniziale intenzione. Ciononostante, non posso che esserne ancora più felice.
«Non pensavo che la voce che udii al karaoke ad aprile fosse la tua», ammette, sembrandone imbarazzato.
«Questo dovrei dirlo io!» ribatto, spiegandogli tutto ciò che accadde quel giorno, e come la sua voce mi ha salvata.
Lui mi ascolta senza battere ciglio, sembrando spiazzato da ogni singola parola. Quando finisco condivide anche la sua esperienza, e mi stupisco di quanto possa essere stata simile alla mia.
Nel momento in cui anche lui giunge alla fine ne sorrido contenta, esclamando: «Quindi ci siamo incoraggiati a vicenda, inconsapevolmente!»
Non aggiunge altro; solo si arresta nei suoi passi e mi guarda, come se stesse trattenendo un’emozione grandissima nel cuore. Persino più grande di quella che poco prima aveva travolto me. E anche se non parla, in qualche modo mi sembra di sentire la voce del suo cuore, che tenuemente sussurra al mio.
“Non immagini quanto tu lo abbia fatto.”
Chiudo gli occhi, portandomi le mani all’altezza del cuore, rasserenata.
“Anche tu, mi hai incoraggiato tantissimo. Continui a farlo ancora oggi. E anche se non so se sarò mai in grado di ricambiare a dovere, sappi che per qualunque cosa ci sarò sempre per te. Sempre.”










 
Angolino autrice: 
Eccomi! Con un capitolo più lungo e che richiede anche più spiegazioni, yeee - se dovesse sfuggirmi qualcosa e dovesse restare qualche dubbio, al solito, non abbiate paura di farmelo notare.
Dunque, cominciamo coi versi delle canzoni. Il primo pezzetto è preso da una intitolata "Cocoro" (che potremmo tradurre con "Cuore"): "Mi chiedo se non sia un po' tardi, ma ho deciso di prendere la tua mano in un mondo che deve cambiare. Abbiamo sofferto, ci siamo smarriti, ma non abbiamo ceduto; ci siamo rannicchiati (su noi stessi per il pianto), ma ci siamo rialzati con un sogno che ci lancia verso le stelle". Il secondo da "Dare kara mo aisareru anata no you ni" ("Non essere amati da nessuno come lo sono da te"): "Il tempo con te ora è come un sogno. Succedono cose diverse, incontri tante persone, guardi e ascolti varie cose, scopri che ce ne sono altre che ancora non conosci; (solo così) potrai cambiare, vivendo tutto in prima persona". Per quanto riguarda il titolo "furachi na session", per me è "giro di bevute illegale", e mi piace tradurla così sia per l'andazzo del testo, che per i toni della canzone, oltre al fatto che sembra rispecchiare perfettamente le CLAMP *ridacchia subdolamente in un angolo*. Ad ogni modo, tutte le canzoni sono cantate da Irino Miyu e le traduzioni sono sempre mie. 
Per quanto riguarda il teamLab, ho mescolato insieme le esibizioni di Borderless e Planets (non essendo stata in nessuna delle due, mi sono basata su alcuni video che sono riuscita miracolosamente a trovare).
Il fiore sakurasou (lett. "che somiglia ai ciliegi") è la primula sieboldii o primula silvestre; non so se c'è effettivamente tra i numerosi fiori proiettati, ma l'ho citata perché col suo nome sembra quasi ironico, considerato che nella situazione descritta Sakura sia quasi sempre "Hana" ("fiore").
Il ramen-ya è il ristorante che vende ramen (ma va'?), dove "ya" sta per "negozio". "Konbini", invece, è diminutivo di "convenience store", negozi che vendono di tutto aperti 24/7. "Kenshi" significa "spadaccino", e il 
dōjo è la "palestra" in cui avvengono gli allenamenti. 
Credo di aver concluso, quindi... a domani per Halloween, wiiii! 

 
  
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