Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
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Autore: DhakiraHijikatasouji    30/10/2020    0 recensioni
Siamo in tempo di guerra, anno 1916. Nessuno però sa che sotto un bunker una donna sta partorendo e un bambino alla luce sta dando. Questo cucciolo però non sa che dovrà crescere affrontando un’orribile infanzia da orfano dove scoprirà la sua vera natura che in tutto il racconto non riuscirà a negare a sé stesso. Soprattutto quando incontrerà l’aspirante artista Bill Kaulitz. E lì riuscirà a capire tutti i ritratti del mondo…del loro mondo.
INCEST NOT RELATED
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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Kapitel 6


Il silenzio dominava quel corridoio, e questo per colpa sua. Herr Winkler, appena lo aveva visto tornare, non gli aveva rivolto la parola, così come sua moglie, logicamente. Saphira invece gli si era affiancata subito, chiedendogli in un bisbiglio dove fosse stato per tutto quel tempo. Tom non rispose inizialmente. Credeva che fosse una cosa cattiva quella che aveva fatto, andare da Bill, ma allo stesso tempo era stata anche l’unica cosa che gli aveva evitato di annoiarsi.

- Tom...ho paura che a casa i miei vogliano rimproverarti. Hai fatto una cosa che non dovevi fare e…-

- Cosa, esattamente?- Chiese serio. Non capiva. Sembrava che qualsiasi cosa facesse risultasse sempre sbagliata per qualcuno, diamine! 

- Ti sei allontanato da me. Io ho cercato di coprirti, te lo giuro…!-

- Coprirmi? Saphira, non sono il tuo cane, sono un uomo, e posso andare dove mi pare e piace!- La ragazza sgranò gli occhi di ghiaccio non aspettandosi una reazione così innervosita da parte di Tom. Egli infatti capì di aver esagerato, non era sua la colpa. In fondo, aveva cercato di evitargli l’inevitabile. Sospirò. - Scusa, è vero. Avrei dovuto non lasciarti per così tanto tempo-

- Non importa che mi dici dove sei stato se non vuoi, ma loro vorranno saperlo- Finalmente arrivarono nella biblioteca, lì dove li avevano condotti i due padroni di casa. Entrarono e si misero a sedere sul divanetto senza che gli venisse ordinato. Metteva troppo disagio tutta quella calma spinosa, inoltre gli occhi spiritati e austeri dei signori Winkler non aiutavano né Tom né Saphira a rimanere tranquilli.

- Bene, Tom. Immagino che tu possa immaginare il motivo per il quale adesso ci troviamo qui- Il ragazzo deglutì e guardò un attimo Saphira, per poi annuire leggermente. Frau Winkler era l’unica che non si era seduta. Stava vicino al caminetto ad osservare il fuoco con l’orecchio teso per non perdersi neanche una parola. - Come mai ad un certo punto della serata ti sei allontanato?-

- Io...dovevo andare in bagno e ci ho messo un po’ per...per trovarlo-

- Capisco. Beh, quasi quaranta minuti mi sembra abbastanza esagerato, non pare anche a te?-

- Lei non aveva il diritto di contare il mio tempo!- Sussurrò con un ringhio.

- Cosa?-

- Tom…- Intervenne Saphira per calmarlo, ma il ragazzo le prese la mano rassicurandola.

- Io sono una persona e non mi piace essere controllato 24 ore su 24! Eravate preoccupati che fossi andato con una donna? No, non l’ho fatto, non sono quel genere di persona!-

- Questo lo vedremo…- Disse Frau Winkler finalmente voltandosi nella loro direzione. - Visto che tu dovrai unirti con Saphira in matrimonio- Quella frase aveva distrutto tutto. Tom aveva sentito come un dolore al petto, qualcosa che per un istante gli aveva impedito di respirare. La signora prese posto sulla poltrona accanto al marito. - Esattamente- E aveva un sorrisino compiaciuto quasi a vedere l’espressione sconvolta di Tom.

- C-come?-

- Certo che potevi avere un po’ più di tatto, cara- La “rimproverò” sottovoce Herr Winkler. - Comunque sì, è così. Ti abbiamo adottato affinché tu sposassi Saphira- Tom si voltò verso la ragazza, la quale teneva lo sguardo basso e colpevole.

- Tu...tu lo sapevi?-

- Tom, io…-

- No!- Scattò in piedi allontanandosi verso la porta. - Io non voglio sposarla! Voglio bene a Saphira ma…!-

- TOM, VIENI SUBITO QUI!- La voce di Herr Winkler tuonò improvvisa e pure Sarja che stava passando fuori per pulire il pavimento si prese un bello spavento. Il ragazzo si fermò in prossimità della porta e lo fissò negli occhi un po’ intimorito, perché era in un luogo che non gli apparteneva e poteva benissimo essere sbranato. Si sentiva come un topolino in mezzo a due tigri affamate. - Ho detto...subito- Disse diminuendo il tono, ma incutendo comunque paura. Tom si avvicinò pian piano. - Tu sei qui per sposare mia figlia, ti è chiaro?-

- Ma io non…-

- TI È CHIARO!?- Tom deglutì.

- Sì...è chiaro-

- Lo spero bene, ma con il tuo atteggiamento mi stai facendo diffidare molto di te- Si alzò, prese una bottiglia di whisky ed un bicchiere riempiendolo e bevendolo in un sorso, come fosse acqua. - Mi hai fatto venire la gola secca- Aggiunse con tono di disprezzo. - Sei troppo cocciuto, sei come un cavallo che ha bisogno di essere ammaestrato. Capisci che intendo?- Tom non rispose. - Hai bisogno di un posto tranquillo, silenzioso...dove non potrai parlare o dire sciocchezze, o fare cose che comunque non ti competono. Andrai perciò a lavorare nella biblioteca del paese da domani stesso, così avrai tempo per riflettere sul fatto che tu sposerai mia figlia, sposerai Saphira, e non si discute!- Tom abbassò nuovamente lo sguardo su Saphira, la quale non sapeva che dire. Ne era a conoscenza e non gli aveva confessato niente. Gli aveva fatto credere che sarebbero stati semplicemente fratelli, nulla di più. Così, molto risentito, girò i tacchi e se ne andò via sbattendo la porta.

***

Saphira non sapeva se entrare o meno. Era ormai mezzanotte passata, ma non riusciva a dormire. Era troppo difficile chiudere occhio quando sapeva che Tom nell’altra stanza stava soffrendo come un dannato per un destino che non aveva minimamente immaginato o scelto. L’ultima cosa che voleva era che Tom stesse male per causa sua. Era consapevole di aver commesso un grosso errore a non avvertirlo o a non parlargli prima, così che perlomeno fosse preparato, anche se forse l’esito della conversazione non sarebbe stato differente. Suo padre, Herr Winkler, era un demonio nascosto dietro a degli occhi blu. E sua madre lo stesso. Erano due vipere, ma Saphira non voleva che Tom si sentisse male in quella famiglia già dal primo minuto che aveva messo piede in quella casa, così aveva nascosto ogni faccia maligna, ma adesso...adesso voleva porre rimedio a questo sbaglio, voleva spiegarsi, cercare di tornare a farsi voler bene da Tom, che forse adesso la stava odiando. Sospirò e abbassò la maniglia aprendo la porta. La stanza era logicamente avvolta nel buio, così camminò lentamente fino a raggiungere il letto. Con la lampada ad olio che aveva in mano riuscì a distinguere la figura di Tom che dormiva, e quando lo illuminò notò un particolare che le fece stringere il cuore: due righe di lacrime ormai secche sotto i suoi occhi. Doveva essersi addormentato piangendo, e come dargli torto? Improvvisamente il ragazzo sbatté le palpebre infastidite dalla luce e aprì gli occhi mettendo a fuoco la figura di Saphira.

- Tom- Lo sentì sbuffare. Sicuramente non era contento di vederla.

- Che ci fai qui? Non puoi entrare così nel bel mezzo della notte-

- Ma io avevo bisogno di vederti, di parlarti. Non riesco a dormire, e…beh…- Si spense tutta d’un tratto non avendo il coraggio di continuare. Sapeva che era riprovevole quello che aveva fatto, ma desiderava la fiducia di Tom più di qualsiasi altra cosa.

- Va bene, ho capito. Vuoi accoccolarti?- Saphira si rianimò improvvisamente con delle stelline ad illuminarle gli occhi grigio-cerulei. Annuì appoggiando la lampada sul comodino e si infilò sotto le coperte con lui. Tom coprì entrambi accuratamente.

- Fa molto freddo stasera- Commentò con il respiro leggermente tremante.

- E’ vero-

- Tom, io volevo dirti che il mio comportamento è stato ingiustificabile, non ho scusanti e…-

- Shh- Il ragazzo le accarezzò una guancia fredda e candida come la neve cercando di rassicurarla sul fatto che non ce l’avesse più con lei. - Ci ho riflettuto, e sono giunto alla conclusione che anche tu non sei d’accordo con questo matrimonio, ma mi chiedo...come mai non parlarne ai tuoi?- Saphira sospirò avvicinandosi per poggiare la testa sul petto di Tom in cerca di quella protezione che amava alla follia ormai, e che solo lui era in grado di darle.

- La fai facile, Tom. Hai visto come sono! Irremovibili, ed io sono obbligata a fare quello che mi dicono, perché sono la figlia-

- E allora perché non fuggi?- Ancora una volta gli venne d’istinto fare quella domanda. La ragione poteva essere che forse, da qualche parte nel suo animo, anche lui aveva voglia di scappare. Bill glielo aveva detto che prima o poi sarebbe successo.

- Cosa?-

- Sì, ma che avete tutti? Perché non fate di tutto per seguire i vostri sogni? Mi sembri Bill-

- Bill? Che c’entra Bill adesso?- Ecco, magari non avrebbe dovuto dirlo, ma ormai era troppo tardi. - Tu sei andato a cercare Bill quando ti sei allontanato da me. Perché?- E Saphira non era per niente stupida, dato che aveva tratto le proprie conclusioni da sola.

- Io volevo scusarmi, credevo di avergli fatto una cattiva impressione e lui mi ha confessato di voler fare l’artista mentre il padre lo costringe a intraprendere la carriera di uomo d’affari. Comunque non voglio parlare di questo ora, sta di fatto che tu, come lui, non siete liberi e non vi ribellate a chi vi tiene prigionieri, ma li assecondate soffrendo-

- Tom, Bill ed io siamo nobili, va bene? Lui è un signorino ed io sono una donna...credo che basti come parola per definire ciò che mi spetta e il fatto che non abbia diritto di scelta- Il suo tono era improvvisamente diventato duro.

- Ma…-

- Niente ma, Tom. Vorrei tanto ci fosse un “ma”...ma non c’è!- A quel punto Tom non aprì più la bocca. Forse stava solo dicendo una marea di sciocchezze. Magari era davvero così difficile e impossibile come diceva Saphira. Una via di uscita poteva anche non esistere, era inutile che cercasse di costruirla o di inventarla. - Scusa, va bene? Sono stata troppo rude-

- No, anzi...credo che tu abbia ragione e se vuoi sfogarti con me puoi farlo- Saphira alzò la testa e cercò di guardarlo negli occhi. Li aveva di un dorato così particolare che chiunque vi si sarebbe perso facilmente. Era così innocente da trasmettere tenerezza perfino in un animo sofferente come quello di lei. Cominciarono a tremarle le labbra. - Saphira-

- Tom-

- Piangi se senti di doverlo fare, non trattenerti- Quelle parole fecero esplodere la piccola Saphira in un pianto disperato come pochi. Tom la strinse a sé accarezzandole la distesa corvina, cercando invano di non farla gridare. In quel momento gli venne in mente Oskar, quando lui era appena arrivato all’orfanotrofio e si era ritrovato a piangere tra le sue braccia urlando il proprio dolore. Adesso capiva come si era sentito Oskar in quel momento: impotente e dannatamente dispiaciuto di non poter dare nulla più di quell’abbraccio.

- Io...odio...la mia vita…- Aveva pensato tante volte quelle parole, ma non le aveva mai sentite pronunciare ad alta voce e credeva che una del rango di Saphira non sarebbe mai arrivata a dirle. Era da brividi. Si sentì tremare tutta la spina dorsale, e perché sapeva che non lo diceva per recita o perché voleva attirare l’attenzione, ma perché lo provava profondamente, e Tom poteva sentirlo. - Tom...ti prego...non mi lasciare mai, ti prego. Io mi scuso per quello che è successo, mi scuserò sempre di tutto se sbaglierò, ma per favore...ti supplico...non mi abbandonare- Singhiozzò aggrappandosi al suo corpo artigliando i suoi vestiti.

- Shh...sono qui, mi hai sentito?- Le baciò i capelli sussurrandoglielo all’orecchio. - Sono qui- E riuscì a farla calmare fino a che non si addormentò tra le sue braccia. Si ritrovò ad accarezzarle delicatamente il viso latteo e bagnato delle sue lacrime. - Sarò per sempre con te...fino alla fine- E quelle parole dovettero rimanere impresse in qualche stella nefasta di quella notte, perché anche quando Sarja aprì la porta la mattina dopo, ella non ebbe il coraggio di svegliarli e li lasciò dormire placidamente.

***

Tom credeva che sarebbe stato molto noioso lavorare in una biblioteca, invece si rivelò davvero terapeutico. Certo, il signor Winkler non intendeva certo quel tipo di terapia che lo rilassava, quanto quella che lo spingeva ad una meditazione sul proprio futuro. La verità era che Tom non aveva nessunissima intenzione di pensarci. Voleva godersi l’unico momento dove non era sotto gli occhi di nessuno e poteva essere un po’ libero. Il proprietario si era dimostrato molto gentile con lui fin dai primi giorni. Gli aveva spiegato le varie sezioni e poi lo aveva incaricato di riordinare in ordine alfabetico vari libri su scaffali diversi. Le persone venivano e non si curavano di ciò, ovviamente. Quel giorno però la biblioteca era abbastanza deserta...anzi, non c’era proprio nessuno. Forse era per il maltempo. Una delicata pioggerella bagnava le strade di Berlino e Tom la trovava davvero rilassante da osservare. Ogni tanto si fermava ad ammirarla e gli veniva in mente Bill. Certo, la pioggia spesso e volentieri non era un’immagine felice, ma Tom la vedeva anche come qualcosa di bello, di benefico. E lì realizzò che stava pensando a Bill, una cosa per lui irraggiungibile, quando tra poco si sarebbe dovuto sposare con Saphira. Sospirò appoggiando la fronte alla finestra e lasciò un alone di vapore sul vetro. Sembrava un’anima in pena.

- Tom, tutto a posto?-

- Cosa?- Si alzò di scatto. Non stava bene che stesse appoggiato in quel modo. Non era più un bambino e certe pose da sognatore non avrebbero più dovuto far parte della sua figura, soprattutto per il rango che ormai ricopriva. 

- Ti ho visto pensieroso e rammaricato-

- No, signor Bücher...va tutto bene-

- Sul serio?- Tom annuì con un sorriso che al proprietario parve sincero e che lo convinse. - Bene, io dovrei uscire adesso per una commissione. Se arriva qualche cliente, ma ne dubito, mi raccomando, servilo con cortesia- Non lo disse perché Tom era maleducato, tutt’altro, ma perché in genere era lui a stare dietro ai clienti, Tom metteva solo in ordine, quindi era la prima volta che lo faceva, ma era sicuro che ne sarebbe stato capace senza alcun dubbio. Ormai in quel tempo aveva conosciuto più o meno bene la biblioteca.

- Va bene, me ne occuperò io-

- Grazie, allora a dopo-

- A dopo- Quando l’uomo chiuse la porta, però, Tom lo sentì salutare qualcuno che aveva avuto la pazza idea di uscire. Il temporale stava cominciando a diventare più burrascoso e poteva essere pericoloso mettere piede fuori. Tom però continuò a fare come se niente fosse stato, non immaginando che la persona salutata da Bücher altri non era che il cliente che più sperava di incontrare.

- Tom- Alzò lo sguardo e si pietrificò mentre stava mettendo un libro sullo scaffale. Non avrebbe scordato il suono di quella voce per nulla al mondo.

- Bill?- Era lì sulla soglia della stanza, tutto bagnato fradicio dalla testa ai piedi. I capelli completamente fradici, e anche sulla pelle del viso si riuscivano ad intravedere delle gocce di pioggia. - Dio, ma devi essere matto ad uscire con questo tempo! Vieni, accendo il fuoco, così puoi asciugarti- Lo prese per quella mano ghiaccia senza esitare e lo condusse a sedere su una poltrona in pelle, così che sarebbe stata più facile da asciugare una volta che il proprietario sarebbe tornato. - Aspettami qui- Non gli dette neanche il tempo di dire una parola, che corse a prendere la legna, la quale venne immessa nella stufa per alimentare il fuoco. Bill intanto lo guardava e non sapeva come dirgli che se era venuto lì anche sotto una tempesta, era stato solo per vederlo ancora.

- Tom- Lo chiamò delicatamente, come suo solito, e questo si voltò per dargli attenzione.

- Bill, santo cielo! Sei davvero zuppo, mi spieghi che cosa ti è passato per la testa? Vado a prendere un asciugamano- Stava nuovamente per andarsene, ma questa volta non gliel’avrebbe permesso. Il moro gli afferrò saldamente il polso prima che potesse allontanarsi. 

- Va bene così, davvero- Il ragazzo con i cornrows si prese qualche momento per osservarlo meglio. Indossava dei pantaloni scuri e una camicia bianca, logicamente bagnata. Salì un po’ più su, sul suo collo niveo che avrebbe riempito di baci e morsi fino a star male, e poi quelle labbra le aveva così invitanti, e quegli occhi erano...erano il Paradiso glorioso per un Tom che altro non era che un perdente peccatore. Ed era per questo che lui non poteva. 

- Come vuoi- Si mise in ginocchio davanti a lui. - Come mai sei venuto qui?- Bill in quell’istante non poté fare a meno di guardare gli occhi di Tom e constatare che alla luce del fuoco, quel dorato cangiava su un marrone rossiccio davvero affascinante. E fu in grado di leggervi dentro, capendo che erano la calamita e il magnete che non avevano il coraggio di attrarsi. Avevano paura di sbagliare, entrambi. 

- Io…- E pure la parola gli aveva tolto, oltre alla forza. Erano giorni che si sentiva inerme, impotente...debole. Pativa come se fosse stato privato di qualcosa, colto da un desiderio inafferrabile che sballottava il suo animo da una parte all’altra senza smettere mai. E adesso che era davanti a Tom esso aveva trovato una posizione e non sapeva se gioirne. - Ero interessato a…- Tom assunse un’espressione un po’ confusa e un po’ impaziente. -...ad un libro-

- E sei venuto sotto tutto questo acquazzone per un libro!?-

- Sì- Rispose fermo Bill. Tom invece era sconvolto. Vabbè, doveva ancora capire certa gente nobile. Sospirò cercando di mantenere il contegno.

- Va bene. Come si intitola?-

- Liebe in der Zeit der Cholera- (NdA. “L’amore ai tempi del colera”. So che è un libro pubblicato molti anni dopo, ma mi serviva per comparare la storia dei due amanti del XX secolo con quella di Bill e Tom)

- Quello di Gabriel García Márquez?-

- Lo conosci?-

- L’ho sentito nominare. E’ una storia d’amore, immagino-

- So che in questo racconto i due protagonisti, Florentino Ariza e Fermina Daza, vivono una vita piena di difficoltà. Renditi conto che il loro amore si realizza totalmente solo quando i protagonisti sono ultrasessantenni-

- Come? E’ ancora possibile? E a Florentino gli si alza ancora il...?-

- Tom!- Lo riprese ridacchiando. - Certo che sei sempre molto romantico tu, eh?- 

- Gli spagnoli sono esagerati. Credono incessantemente che l’amore duri per sempre- Rispose facendo calare la serietà in quella stanza. Improvvisamente si allontanò per andare a prendergli quella fiaba, e quando Bill ebbe il libro tra le mani, tornò a svolgere la propria mansione. Il silenzio regnò sovrano per molto tempo, nel quale Bill rifletté su quell’ultima frase detta da Tom. Egli quindi pensava che l’amore non potesse mai durare per sempre? Credeva che solo perché aveva perso Oskar, il sentimento che provava nei suoi confronti si fosse assopito? Amare un altro...voleva dire dimenticare? Forse era questa la domanda che stava accoltellando la mente di Tom. Chiuse il libro già dopo il primo capitolo. Si alzò e aggirò lo scaffale.

- Non era forse destino che ci incontrassimo ancora?- Disse, e Tom si voltò verso di lui senza pronunciare una parola. - Tom, come puoi dire che l’amore non può durare per sempre?- Il ragazzo sospirò e continuò a riporre i libri al proprio posto con atteggiamenti fiacchi, come se non avesse voglia di parlare.

- Non lo so. Sarà che mia madre è morta, mio padre mi ha abbandonato, il mio migliore amico nonché primo amore adesso è sotto terra...e tu non puoi appartenermi- Il cuore di Bill ebbe un leggero sussulto ed egli arrossì in un attimo. Quella confessione così spontanea non se l’aspettava. - Ecco come faccio a dirlo- E finalmente aveva finito con quello scaffale. Si spostò a quello accanto allontanandosi di qualche passo da Bill, il quale se n’era rimasto lì in silenzio, fino a che non aveva deciso di fare avanti.

- Ma Tom…- E non seppe che cosa scattò in lui, ma la passione in quel momento esplose. Bill non ebbe neanche il tempo, che Tom lasciò perdere tutto, gli tolse il libro dalle mani gettandolo a terra e gli prese il viso imprimendo forse il bacio più passionale che potesse dare. Non aveva mai baciato così, ma solo dio sapeva quanto desiderio stesse tenendo dentro da quando Bill aveva varcato la soglia della porta della sua vita. Erano così presi dalla foga che andarono a sbattere su una delle librerie facendo cadere alcuni libri, ma a loro non importava. In quei baci dati con disperazione non potevano fare altro che abbandonarvisi totalmente. Bill non era mai stato baciato in quel modo da nessuno, e non sapeva come fare, ma quando capì che la lingua di Tom voleva entrare nella sua bocca, la aprì istintivamente e si lasciò andare. Finirono sul divanetto senza staccare le labbra e Tom vi cadde seduto sopra. Bill salì a cavalcioni su di lui cercando di affondare le sue mani delicate in quelle treccine bizzarre che aveva sognato più notti di tirare durante un amplesso. Ed era stato durante quelle notti che aveva capito che cosa provava per Tom. Certo, non un amore come quello di Giulietta per Romeo, ma un’attrazione irrefrenabile sì. Quella l’aveva spinto a trovarsi lì, tra le sue braccia. Improvvisamente si staccarono perché non avevano più fiato e rimasero ad ansimare guardandosi negli occhi. - Che cosa è stato?-

- Non lo so...- Bill si alzò lentamente cercando di sistemarsi i vestiti che si erano leggermente stropicciati in tutto quel movimento.

- Io...credo di dover andare- E detto questo, prese il libro che era venuto a ritirare e se ne scappò via in meno di un secondo, senza neanche dare il tempo a Tom di pronunciare la parola “resta”. Ma in fondo, Tom non aveva neanche la voce per pronunciarla. Era troppo sconvolto da ciò che era appena successo. Non aveva saputo controllare i propri istinti, aveva preso Bill come se avesse voluto saltargli addosso e lo aveva baciato con un tale trasporto da far paura perfino a sé stesso. Era stato...sensazionale. Quelle labbra, sapeva che sarebbero state morbide, ma non così tanto. Rimase lì su quel divano a fantasticare per qualche minuto, poi andò a mettere tutto a posto ridacchiando e sorridendo tra sé e sé. Inutile dire che era felice di aver ottenuto quel momento. Non si fece paranoie sul fatto che Bill non lo volesse, perché - forse era un pervertito - ma la cosa che gli era rimasta più impressa fu quel leggero gemito di piacere che Bill aveva emesso. Era sicuro di averlo udito. Poi poteva pure essere fuggito facendo finta di niente, ma ormai ci aveva messo la firma in quel bacio, così come Tom. Avevano firmato una condanna.

***

Bill non riusciva a concentrarsi davvero su quelle righe. Alla fine Tom era stato il motivo principale per il quale era andato alla biblioteca, ma era anche vero che quella storia gli interessava molto e quindi aveva colto l’occasione per inventarsi una scusa su due piedi. La verità era che Bill in quel momento si ritrovava con lo sguardo perso nel vuoto, senza osservare nessun punto in particolare, a cercare anche solo di percepire nuovamente la sensazione delle labbra di Tom sulle proprie. Non aveva mai baciato, neanche da bambino, neanche per scherzo, e Tom lo aveva preso così, passionalmente, anche se da qualcuno che guardava da fuori poteva essere sembrato rude. Ma forse era quella la cosa eccitante, il fatto che nessuno li avesse visti e che erano completamente nascosti dal mondo circostante. Era scattato qualcosa in Tom, che alla fine aveva coinvolto anche Bill inevitabilmente. Era stato così piacevole che ad un certo punto aveva emesso un gemito compiaciuto accorgendosene solo l’attimo dopo. Se ne era vergognato? No. Era arrossito? Eccome! Non era facile per uno come lui cominciare ad aprire il proprio cuore a questo genere di cose. Era arrivato a vent’anni senza sapere niente dell’amore, dell’attrazione, del sentimento o degli istinti sessuali. Aveva cominciato a fare sogni erotici solo dopo la prima conversazione avuta con Tom, e non sapeva davvero che cosa fosse preso alla sua mente, ma forse non c’era solamente quella in gioco. Ogni tanto portava le dita alle labbra sfiorandosele delicatamente.

- Come puoi dire che l’amore non può durare per sempre?-

E come faceva lui a sostenere il contrario? Non aveva mai provato questo genere di cose e stava rimproverando una persona che le sue esperienze le aveva avute. Che poi non è che a lui fosse andata meglio: anche suo padre non lo aveva mai degnato di affetto e comprensione, sua madre era l’unica che credeva in lui ed era morta, e Saphira...beh, forse lei era la sola persona che gli stava donando uno dei tanti tipi d’amore, ovvero l’amicizia. Quindi Tom non aveva davvero nessuno. Era completamente solo.

- E tu non puoi appartenermi...ecco come faccio a dirlo-

Quella frase era stata forse la goccia che aveva fatto traboccare il vaso nel cuore di Bill. Esso era caduto e si era rotto in mille pezzi, era stato come una scintilla di qualcosa che aveva preso fuoco. Loro si erano improvvisamente incendiati e avevano ritenuto necessario bruciare e sfogare quella loro bramosia. Bill si era sentito così desiderato che non aveva potuto fare a meno di cedere, di aggrapparsi a Tom come fosse stato la personificazione della libertà. Tom era la sua libertà.

- Bill! Sei qui?- Improvvisamente Herr Kaulitz fece il suo ingresso, senza neanche aspettare il permesso del figlio, dato che la stanza era sua. - Che stavi leggendo?-

- Oh ehm...niente, signore...un libro- In rari casi lo chiamava “padre”, credeva che “signore” gli si addicesse di più, sia per il modo di comportarsi, sia per il fatto che in 20 anni che viveva non avevano avuto il tempo di instaurare un legame degno di una parola con una connotazione affettiva più vera e sincera.

- Mh, bene. Spero che sia un libro d’istruzione, non con quelle cose melense-

- No, è un libro che parla di storia...della Spagna-

- Vedo che hai capito che genere di libri dovrebbe leggere un signore. A tal proposito, vieni al piano di sotto che vorrei parlarti di una cosa molto importante- E così chiuse la porta. Bill sospirò e chiuse il libro domandandosi se mai avrebbe finito di leggerlo senza essere distratto dai suoi pensieri o dai propri doveri. Seguì il genitore al piano terra, dove sapeva che l'avrebbe incontrato in salotto. - Sono davvero sollevato che tu ti sia staccato da quel genere di letture- Bill alzò gli occhi al cielo senza farsi vedere. Suo padre una volta lo aveva sorpreso a leggere Pride and Prejudice di Jane Austen, e gli aveva stracciato il libro davanti agli occhi ritenendo ridicolo che un fanciullo del suo rango si dovesse intrattenere con certe “robe da donne”. Così le aveva chiamate lui. Poi gli aveva fatto un lungo discorso calcando sul fatto che avrebbe dovuto acculturarsi con letture di scienza e storia, sia del loro paese, che mondiale. Lo voleva istruito, non un sognatore di amori impossibili. - Comunque, si sta avvicinando il tempo per me di andare in pensione, e vorrei che fossi tu a prendere il mio posto- Se lo aspettava, era inutile negarlo o fingersi sorpreso. Se lo era immaginato che prima o poi quella richiesta sarebbe arrivata. - Perciò smettila di giocare con i colori, e vedi di lavorare seriamente, chiaro?-

- Ma signore…-

- Mi pare che avessimo già fatto questo discorso tempo addietro, ma ho visto un tuo nuovo dipinto in soffitta, ed inoltre non ti sei sbarazzato delle tempere come ti avevo ordinato, sicché deduco che tu non abbia capito bene cosa volessi dire-

- Invece ho capito perfettamente- Iniziò un po’ titubante, ma con l’intenzione di essere chiaro e conciso su ciò che realmente desiderava per sé stesso. - Vuoi che io diventi come te, pur sapendo che io non voglio essere come te-

- Quello che vuoi tu mi è di ben poco interesse! Io devo pensare a mantenere vivo l’onore e la reputazione di questa famiglia, perciò non posso lasciare che un ragazzo pieno di sciocchezze rovini ciò che ho costruito con sudore in tutti questi anni!- Era ovvio che si sarebbe innervosito, ma a Bill non importava, era intenzionato a farsi sentire.

- Ti sbagli. Il sudore vero lo ha versato chi ha lavorato fino allo sfinimento perché aveva dei debiti da saldare, e tu non sei stato minimamente magnanimo, persino con persone che sono venute a baciarti i piedi implorandoti di lasciar loro del denaro per campare, ma tu no...ed io non voglio diventare quel genere di persona!- A quell’affermazione il padre si mise a ridacchiare, come se il figlio gli avesse raccontato una barzelletta.

- Tu mi fai proprio ridere, Bill. Pensi di poter salvare il mondo con le tue opere?-

- No, ma almeno il nome Kaulitz avrà più onore di quanto gliene abbia conferito tu- E quello fu l’insulto più grande che avesse mai potuto rivolgergli, tanto che il signor Kaulitz arrivò ad afferrarlo per il colletto della camicia.

- Vedi di starmi a sentire! Tu non sei e non sarai mai nessuno in questa famiglia finché non ti decidi a mettere la testa a posto! VA BENE?!- Lo scosse con una certa violenza, ma Bill non aveva paura. Ormai era pronto persino a ricevere un pugno in pieno viso. 

- Tu hai sempre creduto di averla a posto, e non sei comunque nessuno per me- Sussurrò con disprezzo. Afferrò il polso dell’uomo e lo costrinse a mollare la presa, in quanto anche quella si era indebolita a sentire quelle parole. - Non abbiamo più niente da dirci. Buonanotte- Girò i tacchi e si avviò verso la porta in silenzio, per poi chiuderla alle sue spalle una volta che fu uscito. Si diresse in soffitta, nella stanza dei quadri. La aprì e un odore di vernice invase le sue narici. Lo adorava. Però, siccome era buio, tutte quelle tele appese ai muri sembravano volerlo avvolgere ed inghiottire nelle tenebre liberatorie della sua mente. Tutto quel mondo lo aveva creato lui, era la sua arte, che alcuni consideravano malata, altri ossessiva, alcuni un semplice passatempo...ma per lui era la sua vita, e grazie a Tom aveva trovato il coraggio per esprimerlo e per combattere. Si sedette al centro della stanza ammirando tutti quei capolavori che erano sempre stati nascosti agli occhi del mondo dei critici d’arte, ma che avrebbero avuto tanto da dire. E in quel momento gli si accese una lampadina in testa, e capì di averla messa a posto così come il padre gli aveva chiesto. Avrebbe indetto una mostra dove avrebbe invitato la gente più illustre di tutta Berlino. Così avrebbe sbattuto in faccia a suo padre e a tutto il creato ciò che lui era e che era destinato ad essere. Ah, e logicamente avrebbe rivisto Saphira e Tom. Chiudendo gli occhi per una volta sorrise, immaginando quale piacere avrebbe provato nell’incontrare nuovamente quegli occhi dorati con quelle sfumature rubate ad un tramonto estivo.
Erano un’opera d’arte. 

   
 
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