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Autore: thors    31/10/2020    5 recensioni
[note] I fatti narrati in questa storia si svolgono poco tempo dopo gli eventi raccontati nelle serie animata “Avatar: The legend of Aang” (quindi c’è qualche spoiler) e costituiscono un enorme “what if” della successiva stagione “The legend of Korra” (alla quale non viene fatto nessun riferimento).
[intro] Il nuovo Signore del Fuoco viene travolto dalle più terribili violenze, mentre sui quattro regni spira un nuovo vento di guerra che lo trascinerà in un abisso oscuro e profondo, ma Ethiel, una giovanissima mezzelfa, affiderà a lui la sua vita e gli mostrerà in cambio un nuovo futuro.
[cit] Nel vederlo, Ethiel ne fu sorpresa, confusa ed inorridita.
«Non… non è un elfo…» protestò, senza smettere di fissare l’orrenda bruciatura che sfigurava il volto del ragazzo davanti a lei.
«No, non lo sono», replicò lui con tono seccato, mentre ricambiava lo sguardo della ragazzina con un’espressione altrettanto perplessa.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mai, Zuko | Coppie: Mai/Zuko
Note: Otherverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di una mezzelfa'
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2. L'abisso

 

Nubi nere come la pece velarono il cielo così rapidamente da sorprendere anche il vecchio capitano, creando una tale oscurità da parer notte fonda. Poco dopo venne la pioggia, sospinta da un vento furioso, che spazzò il ponte costringendo i passeggeri a mettersi in salvo sottocoperta. E, infine, i flutti si schiantarono contro i fianchi della nave, facendola oscillare e rovesciandovi sopra cortine di schiuma turbinante.

Zuko si tenne stretto ad una corda fissata alla murata e rimase impietrito a fissare quel feroce manifestarsi degli elementi, pensando che anche gli spiriti fossero in collera con lui, un uomo che non aveva motivo di vivere ancora, un incapace che meritava la stessa sorte di chi non era riuscito a salvare. Sentì crescere in lui il desiderio di lasciarsi andare e di farla finta, ma, quando un’onda più grossa delle precedenti lo investì e gli fece perdere la presa, lanciò un grido che fu subito soffocato dall’acqua salata.

Cadde a poche braccia di distanza dalla nave, e le potenti eliche lo trascinarono in basso, verso una fine sicura, ma lo spirito dell’oceano non volle concedergli una così breve agonia e lo riportò in superficie, costringendolo a lottare contro il moto inquieto del mare per non affogare, alzandolo sin sopra le creste delle onde e sommergendolo nelle successive violente discese.

Quando la tempesta esaurì la sua furia, Zuko respirava ancora, ma galleggiava esausto in balia delle correnti, e le ferite sul volto e sul petto bruciavano in modo insopportabile. La sua sofferenza si trasformò in uno stato di delirio altalenante, dal quale più volte si riprese per poi ricadervi. Dopo due giorni, le sofferenze del suo corpo peggiorarono ancora, perché la sete divenne una costante tortura. Il terzo giorno, però, accorgendosi di esser finito su una spiaggia sabbiosa, si trascinò lentamente all’asciutto e rimase disteso a scaldarsi sotto il sole.

Mezzogiorno era passato da poco quando si rovesciò carponi e vide a poca distanza le mura di una possente fortezza; si mise faticosamente in ginocchio, alzò lo sguardo e, vedendo tre monti rocciosi stagliarsi sull’orizzonte, riconobbe la roccaforte di Pohuai. Se i soldati del popolo della terra l’avessero trovato, forse non sarebbe stato riconosciuto, ma le sue ferite avrebbero rivelato che proveniva dalla Nazione del Fuoco, e lui non intendeva cadere nelle mani dei militari, soprattutto ora che il Regno della Terra bramava la vendetta contro i suoi antichi invasori. Avrebbe potuto incontrare persone ragionevoli e di buon cuore anche tra i soldati, ma non voleva correre il rischio di capitare nelle mani di qualche fanatico e preferiva di gran lunga raggiungere un piccolo villaggio, dove riteneva più facile ricevere cure e aiuto da persone estranee ai sentimenti di guerra.

Raggiunse gli alberi di un bosco vicino con tutta la rapidità che gli fu possibile, e poi fu fortunato nel trovare un rivolo d’acqua che gli permise di dissetarsi. Rinunciò all’idea di cercare qualcosa da mangiare perché sapeva bene di non esser mai stato abile nel procacciarsi un pasto decente lontano da un villaggio, perciò si accontentò di stendersi a terra cercando di riposare.

 

Si svegliò ben prima dell’alba, tremando per la febbre e per gli incubi che avevano infestato il suo sonno agitato. Cercò poi di riaddormentarsi, ma era incapace di togliersi dalla mente i corpi di Mai e di Katara che aveva rivisto in sogno sin nei dettagli più ripugnanti, perciò si rigirò sino a quando non notò una luminescenza azzurrina provenire dalla spiaggia poco distante e, nella speranza di poter allontanare i pensieri che gli incupivano l’animo, decise di andare a vedere quale ne fosse l’origine.

L’oscurità era quasi completa perché la luna era già tramontata, e non si udiva nessun rumore oltre allo sciabordio delle onde. Questo lo rassicurò e gli permise di raggiungere abbastanza facilmente una corta scalinata costruita proprio in mezzo alla sabbia, i cui gradini di pietra emettevano la debole luce che aveva attirato la sua attenzione. Non colse l’assurdità di quella costruzione destinata ad essere sommersa ad ogni alta marea; quella scoperta, invece, lo rinfrancò e lo riempì di una curiosità che lo spinse a scendere per vedere cos’era nascosto al di sotto.

Dopo una cauta discesa, si trovò in un piccolo tempio di forma circolare, al centro del quale vi era un altare di marmo scolpito e decorato di modo che un’edera sembrava essersi arrampicata attorno alla sua base. Tutt’attorno vi erano dieci colonne scolpite con motivi molto simili a quello dell’altare, mentre sulla parete intonacata vi era un affresco tra ogni coppia di pilastri, tranne in corrispondenza della porta d’ingresso e della zona opposta. Ciascun disegno aveva come sfondo la spiaggia o la foresta e raffigurava creature molto simili agli umani, di incredibile bellezza, che costrinsero Zuko a guardarle attentamente e a domandarsi se si trattasse di una qualche popolazione di un tempo lontano.

Rivolse poi il suo interesse sul tavolo di pietra e notò un gioiello di splendida fattura tra due lunghe candele, le quali irradiavano una viva luce azzurrina in tutta la costruzione. Si trattava di una collana argentea con un ciondolo di legno chiaro e finemente inciso, che Zuko afferrò per osservarla meglio. Nel momento in cui la toccò, vide però la sua immagine riflessa su di uno specchio incassato nella parete, fatto di lucido metallo, del quale prima non si era accorto. La lastra si illuminò all’improvviso, divenendo di un bianco sfavillante, e poi gli mostrò una splendida fanciulla dai capelli d’argento, con le bizzarre orecchie appuntite che già aveva visto nei disegni sulla parete e con indosso la stessa collana che lui ora reggeva in mano.

Per una ragione che non riuscì mai a comprendere, si convinse che il suo compito fosse quello di trovare la strana fanciulla e consegnarle il gioiello, nel quale intuiva un potere sconosciuto agli esseri umani. Credere di avere ancora un destino al quale dedicare la propria vita ebbe l’effetto di rinvigorirlo e di assopire la pena per tutto ciò che sapeva di aver perduto, ma tutto il suo ritrovato benessere si sgretolò quando le candele iniziarono a spegnersi e tutto il tempio si colorò di un azzurro che si fece via via sempre più scuro.

 

Al sorgere del sole, Zuko si destò nuovamente sulla spiaggia, lambito dalle onde. Il volto della giovanissima ragazza gli era ancora ben impresso nella mente, ma non ricordava di aver risalito la scalinata per tornare alla spiaggia e neppure gli riuscì di ritrovare la collana che era certo di aver sempre tenuto in mano. Si alzò in piedi, smarrito, e camminò a lungo sulla sabbia bagnata dal mare per ritrovare sia il gioiello che l’ingresso al tempio. Esausto e sconfortato per l’inutile ricerca, cadde in ginocchio e disse: «Allora è stato solamente un sogno… Ma non è possibile! Ho sceso i gradini, ho toccato l’altare di pietra ed ho preso la collana tra le mie mani… Tutto questo doveva essere reale!» Scosse la testa. «No… avrei di certo ritrovato l’ingresso. È stata solo un’allucinazione della mia mente febbricitante. Sì, deve essere così.» Alcune lacrime caddero sulla sabbia. «Pensavo di aver trovato un nuovo scopo… Già, consegnare un gioiello ad una ragazza che non può esser vera… Non ho un nobile futuro, non l’ho mai avuto. Io… sono soltanto un idiota… Ho seppellito Katara ed ho lasciato Mai dov’è morta… Mai! Perché hai cercato di salvarmi? Tu saresti sopravvissuta! E come ho potuto ignorare cosa stava accadendo nel mio palazzo? Dovevo intuire che c’era un motivo se mio padre era tanto felice. Se fossi andato a parlare con Azula, lei avrebbe potuto darmi qualche altro indizio, ed anche uno stupido come me avrebbe potuto capire… Mia amata Mai! Forte, ombrosa, dolce e stupida ragazza… ti sei opposta ad Azula quando io non ero che un ribelle, e l’hai affrontata ancora, un ultima volta, sempre per salvarmi la vita… Perché sei dovuta morire? Saresti dovuta restare per sempre al mio fianco! Vorrei che tu fossi ancora qui con me… Mai…»

 

Rimase a piangersi addosso sin dopo mezzogiorno, poi, con l’animo ancora in frantumi pensò in quale direzione mettersi in marcia. La soluzione migliore sarebbe stata di raggiungere Harbor Town, ma questo l’avrebbe costretto a un lungo cammino, prima verso nord-est e in seguito verso sud. Sapeva invece di una ferrovia a nord della roccaforte di Pohuai che la collegava con i territori occidentali e decise di seguirla, nella speranza di trovare almeno un piccolo villaggio in cui poter ottenere un po’ di ristoro.

Oltrepassò la fortezza tenendosene ben distante, ma gli riuscì comunque di vedere alcune delle nuove armi che il Regno della Terra aveva sviluppato sfruttando le fabbriche e la tecnologia che i loro invasori avevano lasciato. Il problema più grosso, per loro, era quello di alimentare in qualche modo le armi e i mezzi militari, perché si trattava per la maggior parte di strumenti ideati per funzionare tramite il dominio del fuoco. Zuko non fu tuttavia sorpreso di vedere un carro armato in esercitazione sparare un proiettile verso le montagne alzando in aria un gran sbuffo di fumo bianco: nei rapporti giunti di recente sulla sua scrivania, infatti, si faceva riferimento ad una polvere ottenuta dal carbone, utilizzata per creare potenti esplosioni come quella a cui aveva appena assistito. A giudicare poi dalla polvere di roccia alzatasi nel punto dell’impatto, il sistema di sparo di quel tipo di carri doveva essere già a buon punto. Era poi chiaro che un buon dominatore della terra poteva muovere un veicolo su terreno solido molto meglio dei motori sviluppati dagli ingegneri della Nazione del Fuoco, perciò l’ultimo passo da fare per dar inizio alla guerra di vendetta era quello di far muovere con il carbone anche le eliche delle grandi navi da guerra.

Gli venne in mente Toph e la sua straordinaria capacità di dominare anche i metalli: evidentemente non aveva ancora insegnato ad altri questa tecnica, altrimenti anche quell’ultimo passo sarebbe stato compiuto.

Pensò alla ragazza cieca e fu tentato di andare verso Ba Sing Se e di cercare lei, oppure il proprietario della sala da tè dove un tempo aveva lavorato con zio Iroh.

«No,» si disse, continuando ad avanzare, «rischierei solo di metterli nei guai se qualcuno dovesse scoprire chi sono in realtà. E Toph, probabilmente, si sarà messa in salvo chissà dove.»

 

Desideroso di allontanarsi il più possibile dalla fortezza, cercò invece di non allontanarsi troppo dalla ferrovia, i cui binari erano stati sostituiti da lastre di pietra, e camminò sin quando non si fece buio. Solo raramente vedeva passare qualche convoglio, mentre più spesso capitava che un carro dei soldati percorresse la vicina strada, e quasi fu grato di queste distrazione perché, altrimenti, s’inabissava immancabilmente nei suoi pensieri più tetri.

Gli capitò anche di attirare l’attenzione di uno spirito desideroso di ammazzarlo, e questo accadde ben più di una volta, lasciandolo sempre confuso e sorpreso. Il primo aveva le forme di una grossa iguana e gli diede la caccia sfrecciando tra gli alberi con agilità sorprendente. Quando Zuko se ne accorse, si mise a correre con tutta la velocità che le sue deboli gambe potevano permettergli, ben sapendo che un incendio l’avrebbe messo nei guai e che, contro un simile avversario, un tentativo di fuga era inutile tanto quanto il dominio del fuoco. Com’era prevedibile, la corsa non durò a lungo perché Zuko cadde ben presto a terra, terrorizzato all’idea di venir dilaniato e privo delle forze necessarie per rialzarsi in piedi, ma lo spirito, dopo averlo quasi raggiunto, sembrò cambiar idea e se ne tornò da dove era venuto. La stessa scena si ripeté quasi identica una mezza dozzina di volte, con l’unica differenza che, a un certo punto, Zuko smise di tentare la fuga e si rassegnò ad esser sbranato se questa era la volontà dello spirito. E quale che fosse la ragione di quell’assurdo comportamento, lui non seppe immaginarne una.

Durante la giornata aveva raccolto le bacche che gli sembravano commestibili e si era dissetato ogni volta che trovava un ruscello, ma, poco dopo aver cenato miseramente, ebbe dei violenti crampi allo stomaco e vomitò buona parte di quel che aveva mangiato.

 

Riprese a camminare quando il sole stava ancora sorgendo, indebolito dalla febbre e dalle sofferenze sia fisiche che mentali. Non si accorse, però, di non avvertire più la fame e capì troppo tardi che non sarebbe andato avanti ancora a lungo se non avesse consumato un buon pasto. Gli sarebbe stato sufficiente avvicinarsi alla strada per attirare l’attenzione di qualche soldato e ottenerne l’aiuto, ma, proprio quando prese la decisione di tentare la sorte in quel modo, si accorse di aver perso di vista la ferrovia e non riuscì a ritrovarla.

«Maledizione!» urlò con rabbia e disperazione quando non seppe più dove andare, facendo alzare in volo un paio di uccelli che avrebbe preferito catturare. «La ferrovia deve essere ad ovest, com’è possibile che mi sia sfuggita? Questa mattina avrei dovuto fermare un carro. Un cavallo-struzzo l’avrei arrostito, e l’altro sarebbe stata la mia cavalcatura. Perché sono stato così stupido!»

 

Mentre camminava si sforzò di mangiare altre bacche, ma vomitò nuovamente, così continuò a mettere un piede davanti all’altro sin quasi al tramonto, quand’era ormai rassegnato all’idea di non trovare un villaggio e di non rivedere neppure la ferrovia. Il suo corpo era diventato sempre più pesante, ogni movimento gli costava fatica, il viso e il petto erano tornati a bruciare, e sapeva di aver bisogno di cambiare le bende perché da esse proveniva un odore nauseabondo. Stremato sino all’inverosimile, cadde a terra, e con le forze rimaste riuscì soltanto a girarsi a faccia in su.

“Sarei dovuto affogare in mare”, pensò tristemente, fissando uno squarcio di cielo limpido tra i rami che lo sovrastavano. “O avrei fatto meglio ad attendere la mia fine accanto a Mai. No, è giusto così. Morirò qui, in mezzo a una foresta che non conosco, dove nessuno potrà trovarmi.”

Si girò di nuovo e strisciò sotto una grande quercia, fermandosi a prender fiato più volte. Riuscì a mettersi seduto, con la schiena appoggiata al tronco, spinto dal pensiero che morire così fosse più dignitoso che farlo sdraiato sull’erba, ma anche nutrendo la vana speranza di poter vedere qualcuno in quel luogo selvaggio.

Il cielo si scurì, ricreando una tonalità di blu nella quale rivide nuovamente gli orrori delle ultime settimane, infondendogli la certezza di esser giunto alla fine. «Mai,» mormorò mentre il suo volto si rigava di lacrime amare, «nessuno ci separerà mai più. Avrei dovuto essere io a proteggerti… Ti prego, perdonami.»

Il Principe che si era preso il titolo di Signore del Fuoco ereditando dai suoi predecessori la nazione più potente del mondo, il dominatore che aveva fatto da insegnante all’Avatar, era ora ridotto a un uomo incapace persino di alzare una mano. Continuò a fissare il cielo sussurrando parole incomprensibili sino a quando perse conoscenza e gli occhi gli si chiusero. E giacque lì, sotto una quercia centenaria, dove non avrebbe riaperto gli occhi e dove nessun abitante dei quattro regni avrebbe potuto mai venire a soccorrerlo.



 




Note dell'autore

 

Con questo capitolo terminava la storia originariamente intitolata “Falso Destino”.

Purtroppo questo racconto era nato male, l’avevo scritto per completare il vuoto di narrazione tra la battaglia contro Ozai a Ba Sing Se e l’inizio delle vicende della storia preesistente “Ethiel”, ma il risultato era un finale un po’ deludente che lasciava aperti troppi punti di domanda.

Ora queste due storie sono fuse insieme. È un azzardo anche questo, perché la parte letta sinora era pensata per avere una sfumatura horror, ma certo non coglieva in pieno questo genere. Resta però il fatto che il primo capitolo sia molto più violento di quelli seguenti.

Alcune risposte a quel che avete letto sin qui avranno risposta nei prossimi capitoli, altre, come la scomparsa di Aang o la morte di Katara, in “Vigilia di un salvataggio”.

   
 
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