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Autore: francishasgone    31/10/2020    0 recensioni
Intrappolato in una vita che non gli appartiene, il Principe Haruka accetta la proposta di un misterioso pirata e fugge, per un breve tempo, dalla vita a palazzo. Che intenzioni ha in realtà, però, il suo accompagnatore?
Questa storia partecipa al contest “Overly Specific Writing Prompts” indetto da fantaysytrash sul forum di EFP.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Rin Matsuoka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mal di mare



Dall’esterno, entrava il rumore assordante delle campane delle chiese del regno. Non importa che avesse ordinato che le sue stanze venissero insonorizzate e che porte e finestre fossero di legno pesante, quelle dannate campane le sentiva comunque, sempre.

Sommerso nella sua vasca da bagno fino a poco sotto al naso, Haruka era sul punto di appisolarsi. 

«Vostra altezza!» si sentì chiamare da oltre la porta, da una voce più che familiare. 

«Vostra altezza!» sentì di nuovo. La porta si aprì con un violento tonfo. 

«Ah, siete qui, vi stavo cercando» gli disse Makoto, suo migliore amico e valletto personale. 

«Ho sentito»

«E allora perché non avete risposto?»

Haruka fece orecchie da mercante.

«Oggi è il gran giorno» gli ricordò l’amico porgendogli un asciugamano e voltandosi dall’altra parte.

«Lo so»

«Perché vi siete rinchiuso qui quindi? Dovete prepararvi»

Haruka non rispose. Che domanda era? Era chiaro come il sole perché.

«Voi non volete, vero?» gli chiese Makoto. Non rispose di nuovo.

«Avete ragione, chi mai vorrebbe?» 

Haruka si girò a guardare l’altro. Era sicuro, glielo leggeva in faccia: Makoto capiva i suoi sentimenti e il suo dispiacere era sincero. Per quanto fosse normale fra la nobiltà sposare perfetti sconosciuti, era un boccone troppo amaro per essere mandato giù e il suo amico se ne rendeva conto.

Con Makoto, Haruka non aveva bisogno di parlare: era come un libro aperto. Era un’amicizia profonda la loro, nata durante i loro anni d’infanzia da un casuale incontro nei giardini del castello. Lo ricordava bene, aveva poco meno di sette anni.

Il Re era solito organizzare grandi balli allo scopo di trovare il miglior partito per il suo unico figlio e ormai per Haruka era diventata routine: suo padre gli presentava qualche graziosa bambina mai vista prima, si allontanava e lo osservava da lontano mentre cercava, goffo com’era, di spiccicare qualche parola. Durante una di quelle sfarzose feste, Haruka lamentò, come scusa, un forte mal di pancia e scappò.

Tutte quelle persone e quel rumore e quel movimento lo disturbavano risucchiando tutta la sua energia.

Fuggito con successo andò nei giardini posteriori del castello, in un angolo che solo lui e pochi altri conoscevano: dietro un alto cespuglio, superato un roseto vi era una fontana nascosta che aveva in segreto ordinato a due complici servitori di mantenere e pulire affinché potesse nuotarci quando ne aveva voglia. Il padre difatti, un uomo, seppur dagli ottimi valori, molto severo, gli aveva con fermezza vietato il nuoto. Aveva ordinato che la piscina reale fosse chiusa e trasformata in un gigante acquario; aveva inoltre ordinato che lungo la costa del mare, sulla quale si affacciava il castello, venisse rafforzata la sicurezza. 

Haruka non aveva battuto ciglio sulla questione poiché comprendeva le ragioni del padre di voler proteggere il suo unico erede ma ciò non voleva dire che non ne soffrisse.

Arrivato, in fretta e furia, vide     qualcuno vicino alla enorme fontana. Un bambino che pareva della sua stessa età era intento a infilare la mano nell’acqua per poi osservare il suo incresparsi.

«Chi sei?» aveva chiesto Haruka.

Il bambino si girò sorpreso e, vista evidente differenza di classe, iniziò ad agitarsi.

«Chi sei?» ripetè.

«Tu chi sei?» domandò l’altro.

«Io sono il principe Haruka. Tu chi sei?»

Nessuna risposta.

«Dimmi chi sei e cosa ci fai vicino alla mia fontana, è un ordine»

Makoto, con il cuore che batteva veloce, rispose esitante «Mi chiamo Makoto»

Makoto, figlio di una cuoca, passava i suoi giorni sotto i tavoli della cucina a giocare da solo o a compiere piccole commissioni. Fino a quel momento aveva esplorato ogni angolo del castello al quale gli fosse permesso accedere ma quella fontana non l’aveva mai vista.

«Perché sei qui?» chiese ancora Haruka.

«Non ero mai stato qui, volevo solo vedere la fontana»

Makoto forse riuscì a leggere le intenzioni di Haruka e le interpretò come innocue.

«Tu sei davvero il principe?» interpellò come conferma, con un po’ di coraggio.

«Sì, tu chi sei?»

Non rispose, era troppo imbarazzato di essere davanti al principe ma di non essere nulla di più se non un umile paesano.

«Sei figlio di qualche serva?» dedusse Haruka.

«Sì»

«Non potresti stare qui, non è permesso»

«Sono bravo a nascondermi»

«Dove dormi?»

«Con mia mamma»

«Nell’ala della servitù?»

«Sì»

Entrambi si zittirono fissandosi.

«Ti piace nuotare?»

«Sì!» 

La sua risposta entusiasta causò un istantaneo illuminarsi del viso di Haruka. 

«Davvero? Dove ha imparato?» voleva sapere tutto della passione per il nuoto di Makoto.

«Mi ha insegnato la mamma. Mi portava sempre al mare!»

«Com’è nuotare nel mare?»

«Bellissimo. Tu non nuoti nel mare?»

«No, nuotavo in piscina ma poi mi è stato vietato»

Scese di nuovo il silenzio e Makoto si guardò intorno.

«È tua?»

Haruka annuì.

«È il mio segreto»

Makoto non rispose e Haruka lo confortò «Puoi usarla se vuoi, ma tu devi raccontarmi quando vai al mare»

Da quel momento la loro amicizia non fece altro che rafforzarsi tanto che Haruka, compiuti quattordici anni, lo indicò come suo valletto personale e non volle nessun’altro, nemmeno valletti dall’esperienza trentennale. Makoto, invece, si impegnò molto per studiare e cercare di diventare il miglior valletto possibile per il suo amico. 

Anche in quel momento di confusione e difficoltà, Haruka guardava Makoto e vi vedeva una fonte di comprensione seppur minima, poiché Makoto in realtà era all’oscuro dei reali motivi del suo tedio.

Non era perché avrebbe dovuto sposare, per ragioni politiche, una persona mai vista - questo era l’ultimo de suoi problemi - ma perché si sarebbe ritrovato a condurre una vita che non sentiva sua. 

Il castello lo chiamava “casa” poiché “casa” era come i suoi genitori la chiamavano. Si dichiarava “principe” poiché “principe” era come tutti a lui si rivolgevano. Si era piegato, fin dalla nascita, al volere del padre e della madre: seppur per sempre grato a loro, la vita su misura che gli avevano cucito addosso ormai gli stava stretta.

Mentre l’amico lo aiutava a indossare lo sfarzoso ma pesante completo nuziale bianco, cercò di pensare ad altro il più possibile. 

«Andiamo o saremo in ritardo» gli disse l’amico quando ebbe finito di aiutarlo. Haruka annuì, prese la spada e si guardò allo specchio.

Doveva rassegnarsi al suo ruolo nel regno, era la morale della storia di tutti gli abitanti del mondo.

 

Le campane continuarono a suonare tutta la mattina. A mezzogiorno in punto, avrebbe espresso i voti nuziali. Arrivò un’ora prima alla chiesa reale, un edificio maestoso e antico immerso in un meraviglioso giardino. Era solo assieme a Makoto che, prima di allora, non era mai stato in quel luogo.

«Questo posto è enorme» sussurrò. 

Haruka non rispose, si sedette in silenzio aspettando l’arrivo dei genitori. Pensieroso, si rivolse a Makoto.

«Cosa faresti se fossi al posto mio?»

Makoto, con tanta sincerità, rispose «Non lo so». Allora non era solo Haruka ad essere titubante: lo sarebbe stato chiunque.
«Sappi che però non vi invidio» aggiunse. L’altro lo guardò inespressivo. 

«Forse quando eravamo bambini ed eravate sempre ben vestito e circondato da giocattoli, ma non più»

«Non voglio compassione»

«La mia non è compassione. La mia è amarezza perché vi conosco»

«Guarda che non mi disturba sposarmi»

«Non è quello»

La loro conversazione venne interrotta dall’aprirsi della portone principale. Sulla soglia il Re e la Regina che svelti si avvicinano al figlio, salutandolo con animo.

«Sei emozionato?» gli domandò la madre. Pareva fosse più emozionata lei che Haruka stesso.

«Sì»

«Sai ho conosciuto la principessa, è una ragazza tanto gentile e tanto bella!»

«Ne sono certo» 

Il padre si schiarì la gola. «Gli invitati arriveranno a breve, molte carrozze erano dietro la nostra» informò il figlio. 

«Chiama il vescovo per favore» ordinò a Makoto che svelto sparì dietro ad un spessa colonna.

La chiesa ben presto si riempì e Haruka era già sull’altare. Volse la vista verso il portone aperto della chiesa. Non voleva incrociare l’occhiata di alcuno: passò dunque, veloce, gli occhi sui presenti e riconobbe tutti come nobili che aveva conosciuto a precedenti feste o come suoi parenti, vicini o lontani. Venendo meno alle sue iniziali intenzioni volse però lo sguardo verso un ragazzo che, seduto in un angolo, lo fissava. Vestito di nero e rosso, aveva un aspetto inusuale: orecchini, capelli rossi disordinati, svariati anelli alle dita, seduto scomposto ma elegante. Era, senza dubbio, ricco ma troppo trasandato e fuori luogo per essere un nobile. Chi era?

Nessuno pareva notarlo tranne Makoto. Haruka si girò verso l’amico e capì che si erano posti la stessa domanda.

Era sull’altare ad aspettare da una decina di minuti. Dietro di lui i testimoni: un cugino e Makoto. Continuava a guardarsi attorno. Non era agitato, voleva solo che quei festeggiamenti finissero il più presto possibile; aveva anche ordinato che durassero solo tre giorni invece dei consueti sette. Continuava a guardare oltre quel portone, posando gli occhi su quel mare blu. Iniziò a sentirsi a disagio.

Dopo altro poco tempo, fecero capolino dalle scale due persone e subito si alzò un brusio.

Haruka si rigirò verso Makoto, che gli sorrideva. 

Anche i suoi genitori, seduti davanti a lui, sembravano felici. La madre, poi, sull’orlo delle lacrime. 

Doveva farlo e l’avrebbe fatto.

C’era qualcosa, però, che continuava a disturbarlo e non era il mare che non avrebbe più toccato o quella vita che non sarebbe più stata sua. Continuava a sentire uno sguardo pesante addosso, uno sguardo paragonabile ad un sassolino nella scarpa. 

Era quello stesso ragazzo di prima. I suoi occhi erano fissi su di lui. Nonostante fosse un po’ lontano, vide che sul suo viso aleggiava l’ombra di quello che sembrava un piccolo sorriso figlio né di gioia e né di felicità. 

Nel frattempo non si accorse che le due figure di prima erano davanti a lui: il sovrano del regno del Nord, un uomo sorridente e calmo, e la sposa sua figlia, coperta da un velo alzato dal padre una volta giunti davanti all’altare. Quest’ultima salì, con una leggera impaccio, i gradini e si posizionò davanti ad Haruka. 

Aveva un aspetto piacevole e amichevole, nonostante il portamento poco principesco e meno elegante di quanto ci si aspetterebbe. Ad Haruka non dispiacque: non voleva che anche il suo matrimonio fosse una gabbia di convenevoli. 

Volse di nuovo lo sguardo verso lo sconosciuto di prima e, con sorpresa, notò che non c’era più. Tornò a guardare davanti a sé e la sposa gli sorrise. Se non per un momento, sembrò somigliare al ragazzo di prima.

Mentre il padre prendeva posto ed entravano le damigelle, la principessa colse l’occasione di scambiare qualche parola.

«Come si chiama vostra altezza?»

Non sapeva neanche come si chiamava?

«Haruka» rispose, chiedendo poi «posso darvi del tu?»

L’altra tirò un sospiro di sollievo e rispose «Permesso accordato»

«Gou Matsuoka?» domandò il principe aspettando conferma.

«Kou»

«Negli atti ufficiali è Gou»

«No, Kou!»

«Kou»

«Kou, esatto, ricordalo!»

Haruka annuì.

 

Il pomeriggio e le sue celebrazioni passarono in fretta. Tutto il regno era in festa e lo vide passando dalla chiesa per tornare al castello. Mentre era via, i giardini erano stati addobbati a festa. Il ballo della prima notte, il più sfarzoso assieme a quello dell’ultima notte, si sarebbe svolto in giardino. “Giardino” è una parola molto riduttiva per descrivere la maestosità del terreno che circondava il castello. Il numero di varietà di fiori, alberi e piante varie era tale da essere difficile anche solo da memorizzare, per non parlare del centinaio di fontane disseminate per tutta la sua ampiezza: marmo pregiato e con maestria intagliato a raffigurare scene di vita quotidiana o antiche divinità. 

Sceso dalla carrozza assieme alla sua novella sposa, si congedarono: dovevano cambiarsi d’abito per il ballo e anche in fretta poiché gli ospiti erano già arrivati.

Mentre camminava verso le sue stanze, Makoto si affrettò a seguirlo. 

Entrarono nella guardaroba di Haruka e chiusero la porta.

«Chi era quello?» domandò Haruka.

Makoto fece spallucce e aggiunse «Ho chiesto a tutti ma nessuno ha saputo darmi risposta»

«Non a tutti»

«In che senso?»

«Se non lo conosciamo noi può darsi faccia parte della famiglia dei Matsuoka»

«Parlate della famiglia della principessa?»

«Sì»

«Non aveva l’aspetto di un nobile»

«Neanche di un paesano»

«Perché vi interessa tanto sapere chi è?»

«È mio dovere» 

Makoto sorrise beffardo, al chè Haruka aggiunse «E poi c’è qualcosa che non va»

«E come farete?»

«Chiederò Gou»

«Gou? È un vostro cugino?»

«È la principessa»

Cadde un lungo silenzio.

«Cambiamoci» disse Haruka.

 

Quel ballo era il più vivo e movimentato al quale Haruka fosse mai stato. Il suo splendore e sontuosità stupirono pure lui che ormai non si faceva più sorprendere da nulla. Gli abiti degli invitati, i fiori, le altissime torte e le varie luci, fra cui lucciole appositamente acquistate per l’evento. Pensò alla fatica che avrebbero fatto i servitori la mattina seguente e scosse la testa. 

Immerso nei suoi pensieri, ritto in piedi vicino ad una marginale colonna, osservava la folla chiacchierare e muoversi da una parte all’altra del giardino. 

«Vostra altezza il principe Haruka» sentì chiamare. Si girò per vedere Gou e il padre avvicinarsi. 

«Vostra maestà» salutò inchinandosi. 

Il Re rise. 

«Mai avrei pensato di imparentarmi con i Nanase eppure eccomi qui» continuò con un tono canzonatorio che però non scalfì nemmeno un minimo Haruka.

«Per me è un onore considerarmi parte della famiglia Matsuoka, nonché un estremo piacere adempiere ai miei doveri di principe» rispose senza spendere il minimo sorriso o la minima emotività. Il Re rise di nuovo. 

«Fra poco si balla, tutti aspettano il vostro via. Spero siate bravo abbastanza da tener testa a mia figlia» disse infine allontanandosi.

Assicuratasi che il padre fosse lontano abbastanza da non sentirla, rassicurò Haruka «Era ironico, non sono brava a ballare»

Ripassando a mente quanto gli era stato insegnato da Makoto poche ore prima, si chinò, offrendo la mano destra, che venne subito accettata.

Senza una parola si diressero al centro della zona da ballo e, senza ancora dire nulla, il valzer iniziò.

Al contrario di quanto affermato poco prima da Gou, era piuttosto abile nel ballo ma pur essendo le sue movenze veloci e a ritmo con la musica, erano un po’ goffe.

Doveva ammetterlo, era una ragazza alquanto bella. 

All’improvviso, lo vide di nuovo. Era più vicino di quanto credesse, stretto a ballare con una vecchia signora. Si guardarono per un secondo che parve infinito: l’altro gli sorrise. Tempo di chiudere e riaprire gli occhi per assicurarsi fosse lui e all’improvviso non c’era più.

«Gou»

«Kou!»

«Kou...»

«Dimmi pure»

«Tu li conoscevi tutti gli invitati al matrimonio?»

«A parte la famiglia Nanase, sì»

«Hai visto un ragazzo sull’ultima panchina a destra?»

Gou scosse la testa. «Di chi parli?»

«Capelli rossi, orecchini, molti anelli. Indossava un completo rosso e nero»

«Non ne ho idea di chi sia» ribadì.

Haruka si guardò svelto intorno sperando di rivederlo ma così non fu. 

Il valzer presto finì e Gou venne invitata a ballare da altri. Haruka torno al suo posto di prima, lontano dalla calca.

Fece un profondo sospiro. Non era a suo agio in quell’ambiente. Per di più non c’era Makoto visto il divieto per la servitù di partecipare ad eventi del genere. Nonostante le alte siepi e gli alti roseti, attraverso i loro rami e le loro foglie riusciva a vedere il mare: lo chiamava, lo invitava. 

C’era qualcosa che il suo potere non poteva dargli, qualcosa che con il denaro non poteva comprare. Makoto gli aveva detto che non lo invidiava e infatti era lui ad invidiare Makoto, e non invidiava solo lui ma chiunque: dalla cameriera che spolverava la sua stanza la mattina fino al contadino che vedeva zappare lontano dalla sua finestra. Tutti hanno degli obiettivi e delle aspirazioni per il futuro, perché i suoi dovevano essere imposti? Perché dovevano corrispondere a quelli dello Regno? Era una gabbia, una bellissima gabbia, ma pur sempre una gabbia.

«Figliolo» 

Haruka si girò e subito vide i suoi genitori venirgli incontro. 

«Padre, madre» li salutò.

«Spero ti stia divertendo» gli augurò la madre. Annuì.

«Sei pronto per domani?» gli domandò il sovrano.

Haruka lo fissò per qualche secondo.

«L’incoronazione» gli ricordò.

L’incoronazione, ma certo! Se ne era dimenticato tanto era indaffarato coi suoi tormenti personali.

Un velo di preoccupazione scese sul suo cuore.

«Padre, io non mi sento pronto»

I due genitori si scambiarono un’occhiata di apprensione. 

«Haruka, tu sai cosa significa per il regno questo matrimonio»

«Sì»

«La corona è un passo obbligato del percorso di un principe ereditiero»

Obbligato. Un passo obbligato. 

Haruka annuì abbassando la testa.

La madre gli posò una mano sulla guancia, rassicurandolo «Finché saremo in vita, ti aiuteremo in ogni cosa farai, saremo le tue ombre»

Molti metri più in là, fra alcuni cespugli tosati con estrema cura della geometria, lo rivide. Lo fissava, gli sorrideva pungente. Fece un cenno con la testa e si mise a correre girando l’angolo sinistro. 

«Mi dovete scusare, ho un’urgenza da comunicare al mio valletto, torno subito» si congedò mettendosi a camminare veloce, per poi optare per la corsa. Quando anche lui raggiunse l’angolo, lo vide in piedi vicino all’entrata del labirinto e, incrociato lo sguardo, entrambi si misero a correre, uno per scappare e l’altro per raggiungerlo. 

Haruka era in netto svantaggio: non era avvezzo all’attività fisica che non fosse la scherma o l’equitazione. Ben presto, infatti, le sue cosce iniziarono a dolere e sentì i suoi fianchi iniziare a pungere. Dalla sua parte aveva però una conoscenza perfetta di quel labirinto. Ogni scorciatoia, buco o vicolo cieco il suo corpo lo ricordava a memoria dai suoi lunghi pomeriggi di giochi con Makoto o dalle fughe da balie e maggiordomi. 

Era davanti a lui, girò un angolo a destra. Haruka, invece, continuò dritto e girò al secondo angolo a destra. Sapeva bene che l’altro si sarebbe imbattuto in un vicolo cieco da cui si poteva entrare da due parti ed ebbe ragione. Spaesato, lo sconosciuto si guardava intorno e, una volta deciso di girarsi e di tornare sui suoi passi, si trovò davanti Haruka.

«Sono in trappola?»

«Peggio»

Sorrise ancora in modo fastidioso. 

«Dimmi subito chi siete o chiamerò le guardie»

«Quelle stesse guardie che stamattina ho messo fuori gioco da solo?»

L’espressione di Haruka si aggrottò.

«Vostra altezza, non arrabbiatevi o vi verranno le rughe prima del tempo! Sarebbe un peccato per un bel faccino come il vostro»

«Chi siete, rispondete»

Il ragazzo gli si avvicinò per guardarlo per bene. 

«Siete bello, ricco e potente. Fra meno di ventiquattro ore avrete addirittura diritto di vita e di morte su ogni singolo vostro suddito»

La faccia del principe si incupì ancor di più.

«Voi avete tutto, o quasi, non è vero vostra altezza?»

«Non mi ripeterò, dimmi chi sei»

«Io sono colui che può darvi quello che bramate da quando eravate bambino»

«Non so di cosa stiate parlando»

Lo sconosciuto rise ad alta voce.

«Ascoltatemi»

«Prima mi dovete dire chi siete»

«Mi chiamo Rin, sono un pirata. Adesso datemi ascolto» 

Fece segno con un dito verso l’esterno di quel labirinto.

«Voi lo sentite? Il mare, lo sentite?» fece una piccola pausa per dargli il tempo di ascoltare il rumore lontano delle onde.

«Vi chiamano. Voi volete andare da loro, non è così?»

L’espressione cupa di Haruka non mutò. 

«Non potete, siete incastrato in una vita che odiate, da sempre. In questo momento si stanno svolgendo i festeggiamenti del vostro completo incatenamento attraverso un matrimonio che non serve a nulla se non sancire la pace fra due regnucci che per anni si sono fatti la guerra. 

Verrete incoronato domani a mezzogiorno in punto. Sarete obbligato a portare una corona troppo pesante per voi per sempre» disse avvicinandoglisi.

«Tutto quello che vi circonda vi rende la vita pesante e voi detestate sentirvi pesanti: in acqua è una delle condizioni più sfavorevoli, si rischia di annegare» 

Si fermò. Notato che le sue parole non sembravano sortire effetto, aggiunse «Siete una pedina e voi lo sapete, volete fuggire»

«Cosa volete dire con questo?»

Rin aprì il palmo della mano.

«Cinque. Datemi cinque giorni e vi darò ciò che desiderate. Vi darò il mare, l’infinito che voi potete guardare solo da lontano e quel qualcosa che non avete mai potuto neppure chiamare per nome per venti lunghi anni»

Haruka trasalì ma poi si calmò, sospirando.

«Datemi un motivo per fidarmi di un pirata»

«Se avessi cattive intenzioni non vi avrei detto che sono un pirata, non credete?»

Il principe fece spallucce. 

«Perché io? Cosa volete in cambio?»

«Perché non voi? è la domanda»

«I vostri giochi di parole mi stanno innervosendo, arrivate al punto o potreste non vedere la luce del sole per molto tempo»

Rin si fece scappare un’altra risata, più leggera.

«Perché le persone si aspettano sempre che gli altri vogliano qualcosa in cambio? Consideratelo un regalo di nozze, cosa c’è di sbagliato?»

«Un pirata che mi offre ciò che ho sempre voluto come forma di regalo»

«Non avete bisogno di essere tanto diffidente, portatevi la vostra spada se avete timore»

Nonostante fosse titubante, fece il suo possibile per mantenere un’espressione neutra.

«I miei genitori lo verranno a sapere» ribatté.

«Non vi preoccupate. Domani stesso riceverete un autentico invito ad una festa da un ben noto duca. Sembrerà un consueto convenevolo visto il vostro matrimonio» spiegò sventolando una lettera ben sigillata.

«Come avete fatto?»

«Niente che un borsellino di monete d’oro non possa ottenere» per poi aggiungere «Tanto la vostra dolce moglie andrà in viaggio con le sue dame, voi ne avrete di tempo libero. Pensateci bene, e se volete venire vi aspetterò al molo est all’alba, dopo il terzo giorno di festa. Questa è la vostra unica occasione per non essere sotto gli occhi di tutti»

Haruka continuò a fissare Rin finché quest’ultimo non si congedò con un esagerato inchino.

Aldilà delle alte siepi, continuavano luci e danze ma di musica sentiva solo il rumore dell’acqua: fontane, mare, cascate artificiali. Sembrava lo chiamassero davvero.

 

In un batter d’occhio, quei tre giorni passarono. Il secondo giorno, con una solenne cerimonia, Haruka, contestualmente all’abdicazione del Re, venne incoronato. La corona e lo scettro, oggetti tramandati da secoli per simboleggiare l’autorità sovrana, divennero suoi. Il momento in cui il pesante copricapo poggiò sulla sua testa fu, per lui, uno dei peggiori mai vissuti.

Fu in quell’esatto momento che, fra applausi e acclamazioni, ripensò alla proposta di quel pirata. Cinque giorni di totale libertà? Un sogno dalla data di scadenza prestabilita ma pur sempre un sogno. Cosa aveva da perdere se non quei cinque giorni che, nel peggiore dei casi, sarebbero stati comunque sottratti ad una vita di noia e insoddisfazione? Valeva la pena provare.

Forse era più disperato di quanto pensasse e dopo il terzo giorno si ritrovò proprio a quel molo, proprio all’ora prestabilita.

«Chi non muore si rivede» sentì dire da dietro di sé.

«Ci siamo visti giusto due giorni fa»

Rin fece un sorriso quasi amichevole. «Vuol dire che la mia proposta vi è interessata»

«Ho due richieste» tagliò corto Haruka. Osservò per bene il pirata e pensò a come non somigliasse molto ad un pirata. Aveva i gusti di un nobile ma il portamento di un villano. Aveva il viso e le mani di una persona che non aveva mai lavorato in vita sua ma nei suoi occhi v’era la scaltrezza e astuzia di chi, del mondo, aveva visto molto.

«Non deve esserci nessuna arma a bordo, tantomeno la vostra spada e neanche io porterò la mia»

«La seconda richiesta?»

«Nessuno del vostro equipaggio deve sapere chi sono, io non mi porterò dietro il mio valletto»

Rin ci pensò un attimo su e accettò, seppur con qualche dubbio, per poi ordinare allo sguattero di caricare la piccola borsa che si era portato Haruka. Seguirono i due e dopo del tempo e senza difficoltà, salparono. 

 

Non appena all’orizzonte Haruka non vide più il castello, subito si spogliò e, senza perdere ulteriore tempo, si tuffò. Non poteva crederci, non credeva a quello che la sua pelle stava sentendendo o che i suoi occhi stavano vedendo.

«Eravate così impaziente?» commentò Rin sporgendosi. Haruka non rispose ma si immerse sparendo sott’acqua, perdendosi in quel fluido abbraccio. 

«Quando vorrà risalire tirategli un salvagente. Io vado nella mia stanza» annunciò sparendo dietro una piccola porta. Entrò nella sua stanza, ricavata dal cassone rialzato sulla poppa, e si diresse verso il piccolo tavolo osservò con attenzione la mappa lì poggiata. 

Aveva quasi tutto, era tutto pronto. Il lavoro di anni stava per essere ripagato, la sofferenza, la delusione, la solitudine stavano per essere ripagati. Tutte quelle notti passate insonne si era tradotte in un gigantesco cerchio disegnato sulla mappa. 

Quella leggenda doveva essere vera, tutti i pezzi combaciavano, ne mancava solo uno. 

«Capitano!» lo chiamò un marinaio alto e magro. 

«Che c’è?»

«Il ragazzo chiede di voi»

«Di già?» si domandò andando a vedere cosa volesse.

«Che cosa volete?» chiese una volta giunto sulla prua.

«Venite a nuotare contro me» gli gridò in risposta Haruka, la cui voce si confuse fra le urla dei gabbiani.

A Rin piacevano le sfide e di sicuro quella non l’avrebbe rifiutata.

 

Era calato il buio e la barca era ancora in viaggio. Dopo quella piccola gara finita in pareggio, Haruka e Rin si trovavano seduti vicino all’albero maestro. Gli altri erano tutti andati a dormire. Tutto era silenzioso.

«Perché avete accettato di venire?» gli domandò Rin spostandosi per guardare Haruka in faccia meglio sotto la fioca luce della lanterna. Haruka osservò come sotto quella luce calda, gli occhi e i capelli di Rin parevano di sangue. Che strano individuo, gli sembrava di conoscerlo da sempre ma di non averlo mai conosciuto. Sapeva così tante cose di lui che nemmeno Makoto avrebbe saputo dire.

«Normalmente non l’avrei fatto, sarebbe stato stupido e avventato» rispose, per poi aggiungere «Diamoci del tu»

«E allora perché questa volta sì?»

«Hai letto i miei sentimenti come se fossi di vetro, avevi ragione su tutto. Non so quali siano le tue intenzioni, se buone o cattive, ma ero così disposto a tutto...» si interruppe e poi riprese «Non avevo mai nemmeno toccato il mare» 

Tornando a fissare Rin, chiese «Come facevi a saperlo?»

L’altro sorrise con dolcezza, rispondendo «I tuoi occhi parlano più di quanto tu creda»

Forse, pensò Haruka guardandolo, poteva fidarsi. 

Affrontando la sua riservatezza, domandò «Dove siamo diretti?»

«Sei curioso?»

Haruka fece spallucce.

«Come un vero pirata, sono alla ricerca di un vero tesoro!»

«Un tesoro?»

«Sì, lo rincorro da anni»

«Dev’essere ben nascosto»

«Ben nascosto e ben sigillato»

Cadde il silenzio fra i due che adesso si guardavano negli occhi l’un l’altro. Rin mise una mano sulla spalla di Haruka, che rabbrividì.

«Grazie per aver accettato di venire»

 

Gli altri due giorni passarono veloci come cavalli al galoppo. Haruka passava la quasi totalità del tempo a nuotare avanti e indietro, instancabile. Rin invece lo guardava; la nave andava lenta. Neanche si accorgeva del tempo che trascorreva dall’alba al tramonto, risalendo solo qualche volta per riprendere fiato per poi tuffarsi di nuovo. Non mancavano poi le numerose gare fra i due, da uno scoglio all’altro, per decretare il nuotatore più veloce. Per la prima volta, Haruka, si sentiva completo, pieno. Riusciva a non pensare allo scorrere del tempo, al peso del suo cognome o alla scomodità degli obblighi reali,  ma solo all’acqua. Gli unici momenti in cui si permetteva di stare fermo era la sera, quando si sedeva accanto a Rin e parlavano per ore. Per quanto fosse strano per Haruka, riusciva a sostenere intere conversazioni senza sentire la sua energia prosciugata, come succedeva a palazzo. Sembrava un sogno perfetto.

Alla terza sera, i marinai si erano riuniti sul ponte per cantare e bere. Haruka rimase sorpreso dal fatto che Rin non partecipasse alle loro volgari melodie e osservò come fosse con eleganza appoggiato ad un vecchio barile; pareva un nobile, se non un principe. Rin, sentito lo sguardo su di sé, gli si avvicinò sorridendo non più in modo beffardo come prima ma amichevole e disponibile.

«Bevi» ordinò ad Haruka passandogli una ciotola di legno colma di vino.

«Non lo reggo bene»

«Bevi, non te ne pentirai!» lo rassicurò. Ne bevve un sorso e fu stupito dalla qualità del vino.

«Visto? Il vino ha un altro sapore quando te lo guadagni onestamente»

«Qual è il tuo concetto di onestà?»

Rin alzò un sopracciglio. «La spada, ovviamente»

Nonostante si fosse ripromesso di tenere sotto controllo la quantità di vino che avrebbe bevuto, Haruka si ritrovò a bere ciotola dopo ciotola, troppo imbarazzato per rifiutare le offerte dei marinai. Ben presto iniziò a sentire le gambe cedere e andò a sedersi in un angolo, venendo subito raggiunto da Rin.

«Troppo vino?» lo punzecchiò ricevendo come risposta un mugugno. 

Si sedette accanto a lui porgendogli dell’acqua e facendo segno, al suo equipaggio, di andare a cantare di sgualdrine e prostitute in sottocoperta.

Si ritrovarono soli nel fresco delle notti d’estate. Haruka poggiò la testa sulla spalla di Rin. 

«Mia madre mi raccontava spesso di un tesoro nascosto da secoli» disse «nascosto perché troppo pericoloso per essere lasciato in mano a noi»

Si accorse di quello che aveva fatto e rialzò subito. Il pirata fece finta di niente, mostrando vivo interesse in quello che stava dicendo.

«Non credo tu voglia sentire una favoletta per bambini»

«Se sono parole della tua bocca, potrei sentire qualsiasi cosa»

Haruka trattenne un sorriso a quell’affermazione smielata e continuò la sua storia.

«In origine il nostro regno, quello del Sud, non era sempre stato in guerra con quello del Nord. Vi fu un tempo in cui erano uniti sotto la stessa corona. Questo unico regno era vasto e potente, tanto da incutere timore anche a quelli dall’altra parte del mondo. Il re aveva un incredibile potere datogli da questa leggendaria corona fatta di alloro» si fermò.

«Alloro?»

«È simbolo di gloria»

«E poi? Cos’è successo?»

«Ci furono numerosi regicidi per la successione al trono così decisero di dividere quell’unico grande regno in due affidandoli alle due famiglie più importanti e rispettate del tempo, i Nanase a Sud e i Matsuoka a Nord»

«Non sembra abbia risolto qualcosa»

«No, affatto. I due regni hanno continuato a farsi la guerra fino a qualche anno fa, finché gli attuali sovrani non hanno trovato un accordo»

«E questa corona adesso dov’è?»

«Nascosta. La leggenda dice su un isola che solo il Sud può trovare, dopo un sentiero che solo il Nord può attraversare»

«Che significa?»

«Che la si può ritrovare solo se un membro di una famiglia e un membro dell’altra si mettono d’accordo, cooperando per trovarla. In pratica, solo se le due famiglie si legano con un forte legame»

«Tu ci credi?» 

Haruka ci pensò un po’, per quanto gli permettesse l’effetto dell’alcol.

«No»

«Perché?»

«Non credo in queste leggende di oggetti fantastici»

Rin rise, accusandolo di essere un musone. Haruka, contro ogni previsione, sorrise. Con Rin tutto sembrava migliore: nuotare, parlare, bere, dormire, ma aveva un ultimo dubbio da dissipare.

«Cosa intendevi con “qualcosa che non potevi nemmeno nominare per nome per vent’anni”?»

L’espressione dell’amico cambiò da confusa a divertita. «Davvero non avevi capito?»

Haruka scosse la testa.

«Ti sei mai innamorato?»

La domanda lo prese alla sprovvista. Si era mai innamorato? Non lo sapeva neanche lui. Dell’amore aveva sentito parlare tanto e a lungo nelle poesie, nei romanzi, nelle canzoni, nelle opere teatrali ma anche dai suoi genitori, da Makoto e dai discorsi delle cameriere.

Fino ad allora l’unico amore che aveva sentito e che combaciava con la descrizione fattagli da Makoto era quello per l’acqua; gli sembrava impossibile innamorarsi di una persona e, magari, amarla più di quanto amasse l’acqua. Impossibile in un mondo dove chi lo circondava l’acqua gliel’aveva sempre vietata perché non adatta ad un principe, perché prendeva troppo tempo, perché doveva spendere il suo tempo studiando, perché avrebbe rovinato la sua pelle e altro. Chiedere di poter nuotare come e quando voleva gli sembrava una follia, un desiderio troppo grande anche per il suo potere e per le sue finanze eppure qualcuno era riuscito a darglielo così, come se fosse la cosa più semplice possibile. 

Ma allora, forse qualcuno più meritevole dell’acqua c’era? Più meritevole di quella libertà c’era solo chi quella libertà stessa gliel’aveva data. 

Quindi, si domandò, era innamorato? Non lo capiva. Avrebbe dovuto? Oramai quei momenti che in poco tempo era arrivato ad adorare e Rin si sovrapponevano. Amava quei momenti perché c’era anche Rin? O provava qualcosa per Rin perché gli aveva dato qualcosa da amare? 

«Non pensarci troppo» lo rassicurò Rin mettendogli una mano sul braccio, «l’amore è più spontaneo di quanto credi»

All’improvviso, non sentiva più freddo.

 

Il giorno dopo, Rin venne svegliato da qualcuno che bussava alla sua porta. Mezzo addormentato, andò ad aprire e si ritrovò Haruka fradicio davanti.

«Via, via, bagnerai il tappeto! Mi è costato il piede del mio timoniere!» allontanandolo.

«Che c'è?» chiese poi scocciato.

«Potresti parlare con i tuoi marinai?»

Rin sospirò, mormorando un “che succede” mentre si dirigeva al ponte. 

Haruka rimase dietro di lui e, curioso, diede un’occhiata alla stanza. 

Era buia ma perfettamente pulita e ordinata. Sul tavolo notò qualcosa che catturò la sua attenzione: un fazzoletto rosso con ricami d’oro. Era sicuro di averlo già visto.

«Haruka!» si sentì chiamare e svelto raggiunse Rin e i marinai raccolti sul ponte.

«Di che isola stai parlando?» gli chiese.

Haruka guardò Rin, esitando. Con la mano, indicò un largo isolotto non molto lontano da lì.

Tutti si girarono e un “oh!” generale si alzò.

«Capitano, vi assicuro che prima non c’era!»

Rin e Haruka tornarono a guardarsi e si creò uno strano clima di tensione.

«Siete degli incapaci!» sbottò Rin tornando nella sua stanza.

Con qualche difficoltà, riuscirono ad attraccare; Rin sembrava molto felice.

«Capitano, cos’ha in mente di fare ora?»

«Camminare e setacciare l’area, tuttavia non dividetevi, stiamo insieme. Andate a prendere il necessario dalla nave» ordinò e subito quella piccola folla si disperse.

«Sembri un vero pirata anche tu» commentò Rin facendo riferimento all’abbigliamento di Haruka che, trovatosi a corto di vestiti asciutti e puliti, prese in prestito qualche capo dal baule dell’altro. Non si sentiva molto a suo agio con quella larga camicia di lino e gli stivali, difficile da rimuovere per nuotare, ma era indubbia la loro ottima fattura al contrario di ciò che indossavano gli altri membri del suo equipaggio.

Mentre lo prendeva in giro ancora un po’ gli altri marinai li raggiunsero e così si incamminarono. 

 

Quell’isola pareva più grande e intricata di quanto non sembrasse da lontano. Gli alberi erano fitti e il buio calò prima del previsto e, dietro le assillanti richieste di Haruka, si fermarono per la notte vicino ad un fiume.

I marinai, riuniti attorno al fuoco, si raccontavano storie di tempi lontani e vicini mentre mangiavano bacche e frutti raccolti durante il tragitto. Rin, invece, stava lontano da loro, seduto contro un alto albero. Haruka lo osservava mentre sbatteva i piedi immersi nell’acqua del fiume, troppo veloce per nuotarci di sera.

Rin sembrava sovrappensiero, quasi triste. Haruka si accorse quanto poco sapesse si lui: fu così preso da se stesso in quei giorni che non si preoccupò molto di interessarsi al passato di Rin. D’altronde, però, che passato poteva mai nascondere un pirata? 

Per quanto fosse bravo a gestire le proprie emozioni e sentimenti, non lo era altrettanto con gli altri. Non sapeva come comportarsi davanti a quel Rin dall’aria un po’ malinconica e assorta nei propri pensieri. Quell’espressione, tuttavia, donava al suo viso che era senz’ombra di dubbio bello e armonioso. Cercando di scacciare questi giudizi estetici a cui Haruka non era solito, si mise in piedi e gli si avvicinò, sedendosi accanto a lui.

Rin alzò il suo sguardo sull’amico e tornò a guardare in basso. Con la coda dell’occhio vedeva le mani e le braccia di Haruka e pensò a come pochi giorni di mare e di sole avevano reso la sua pelle più scura; ciò lo faceva quasi confondere fra il suo equipaggio mentre all’inizio del viaggio, pallido come una bambola di porcellana, lo si notava a miglia di distanza. Non sembrava dargli fastidio, tantomeno sembravano infastidirlo le ustioni sulle spalle. Quasi sorrise al ricordo all’espressione scocciata di Haruka quando gli diceva di nuotare stando all’ombra della nave.

Rimasero in silenzio tanto, a lungo. Non era un silenzio imbarazzante o teso, entrambi si sentivano a loro agio. 

«Torneremo domani?» ruppe il silenzio Haruka. Rin annuì.

«Se tutto va bene, sì»

«Ci metteremo qualche giorno per tornare»

«Non ti preoccupare per quello»

Entrambi si zittirono di nuovo, guardandosi. 

«Sei triste?» gli chiese Rin. Haruka sorrise.

«No»

Ancora silenzio. Perché tanto silenzio? si domandava Haruka. Quando erano insieme parlavano sempre tanto, nonostante Haruka fosse di poche parole. Guardò in faccia Rin e la sua onestà prese il sopravvento.

«Se mi dovessi innamorare di qualcuno mi piacerebbe innamorarmi di te»

L’espressione di Rin fu quella di viva e inaspettata sorpresa. Dopo qualche secondo di digestione di quella bizzarra affermazione, si mise a ridere. 

«Non è così che funziona» disse fra un risolino e l’altro. Haruka si sentì così imbarazzato quasi da pentirsene, ma cercò di non darlo a vedere. Dopo aver finito di ridere, Rin gli fece una sola domanda: «Perchè?»

Non ci pensò troppo a lungo «Questi momenti e queste memorie le devo solo a te»

«E quindi?»

E quindi cosa? Era quella la motivazione, a Haruka pareva più che valida. Non rispose e Rin scosse la testa. 

«Lo devi sentire, non ci devi pensare»

«Ma io lo sento»

Lento, il viso di Rin si avvicinò al suo che non si spostò di un centimetro. Quel piccolo bacio era paragonabile a quell’istante in cui, immergendosi, l’orlo dell’acqua marina gli accarezzò per la prima volta le labbra. Fu così, istantaneo.

Haruka non potè negare l’insolito contorcersi del suo stomaco ma, a malincuore, non potè far altro che domandarsi fra sé e sé: “A cosa stai pensando, Rin Matsuoka?”.

Sopra le loro teste, si sentì un fruscio di foglie. 

Rin guardò in alto e ripose di nuovo lo sguardo su Haruka: non l’aveva sentito, tanto era distratto. 

Si avvicinò di nuovo per un altro bacio, ora più lento. Quella ondeggiante lentezza gli ricordò il movimento dei capelli di Rin quando si immergevano gareggiando a chi avrebbe toccato prima il fondo. Era strano come Rin potesse essere tante cose assieme: poteva essere un intrepido bucaniere che si guadagnava oro e viveri attaccando altre navi ma allo stesso tempo un malinconico pensatore. Dalle sue labbra potevano uscire parole di sincera amicizia o velenosa sfida. Poteva essere una elegante rosa circondata da rozzi rovi e sentirsi comunque parte di loro, poteva essere un vile corrompitore o un onesto avversario.

Rin era sempre due cose diverse insieme, una medaglia a due facce come uno dei tanti antichi dobloni che collezionava e metteva bene in mostra sul suo tavolo.

Haruka si domandò quale delle due facce Rin gli stava mostrando ma quel dolce bacio, che fosse anche durato per l’eternità sarebbe stato troppo poco, lo convinse della sincerità di ogni singola parola e azione di Rin nei suoi confronti.

Che grave errore: mai fede e fiducia morirono tanto giovani nel suo cuore come quel giorno. 

Piano, Rin, posò le mani sulle sue spalle facendole scivolare fino alle sue di mani per poi mettergliele veloce dietro la schiena; posò il ginocchio a terra e, usandolo come perno, spinse schiena a terra Haruka con tutta la sua forza, sedendosi su di lui per bloccarne le gambe. Per un attimo tentennò e la sua presa quasi si allentò ma sorpresa di Haruka, che lo paralizzò impedendo ogni movimento, gli diede occasione di recupero.

Sentiva qualcosa arrotolarsi attorno ai suoi polsi e solo dopo lo notò: il cordino che chiudeva la camicia di Rin non c’era più.

«Voi là, venite a tenerlo fermo!» ordinò feroce. Nessuno sembrò sentirlo.

Rivolse lo sguardo verso Haruka e sentì il suo cuore inabissarsi. Non c’era rabbia, non c’era sdegno ma solo viva delusione. La stessa delusione che vide anni fa negli occhi dei genitori.

Se solo avesse avuto lacrime da piangere, lo avrebbe fatto ma non avrebbe mai saputo se sarebbero state di gioia o dolore. 

«Nessuno di voi ha il diritto di guardarmi così» sussurrò.

Si alzò, sicuro del fatto che Haruka non sarebbe potuto andare lontano. Andò verso l’albero sul quale era appoggiato prima e diede un potente calcio che fece cadere foglie, piccoli rametti e uno strano groviglio di forma circolare. L’aveva trovata.

Haruka spalancò gli occhi mentre osservava Rin raccoglierla da terra e mostrargliela con in faccia superba vittoria: in mano, una splendida corona di foglie d’alloro intrecciate dal colore dorato.

 

Ferma in mezzo al mare, la nave dondolava a causa delle forti onde. Haruka non sapeva quante ore fossero passate. Arti superiori e inferiori legati stretti non gli permettevano neppure di assumere una posizione comoda. Nel buio della sottocoperta, i suoi pensieri sembravano più rumorosi del normale. 

Continuava a ripensare a quel momento in cui, senza accorgersene, si ritrovò bloccato. Non solo quello, un altro elemento di tutta quella faccenda lo disturbava: la corona. 

Da dove era uscita fuori? Come l’aveva trovata Rin? E soprattutto, come faceva ad esistere davvero? 

Sentì dei passi scendere gli stretti gradini e uno di quei grossi marinai si affacciò. Haruka. un poco spaventato, non disse una parola quando quel colosso lo alzò con un solo braccio portandolo sul ponte dove ad aspettarlo c’erano Rin e il suo equipaggio. Lo posò e subito perse l’equilibrio a causa dei piedi legati, cadendo.

«Non hai perso tempo ad indossarla» commentò Haruka facendo riferimento alla corona.

«Mi sta bene, non è vero?» lo provocò ridacchiando. 

«Immagino tu abbia tante domande»

«Meno di quanto credi, Rin Matsuoka» 

Rin non sembrava sorpreso e rise, questa volta a pieni polmoni. 

«Devi scusarmi ma tutta questa situazione mi fa ridere» riuscì a pronunciare fra un riso e l’altro. Dopo essersi calmato aggiunse «Tu sapevi tutto fin dall’inizio ma non hai mosso un dito, dimmi se non fa ridere!»

Haruka non rispose: aveva ragione. L’espressione di Rin tornò seria.

«Ti concederò l’ultimo piacere di avere tutti i tuoi dubbi dissipati, mio caro Haruka, ma prima dimmi come hai fatto a capire chi sono»

Haruka scosse la testa.

«Semplicemente vedendo lo stesso fazzoletto posseduto da Gou, da tuo padre e da tua madre sul tuo tavolo»

«Hai sbirciato fra le mie cose?» 

Haruka ignorò la domanda e chiese «Perché tutto questo?»

«Perché mi stava stretto dividere tanto potere con te e inoltre vederti a fianco di mia sorella mi da il voltastomaco»

Haruka non riuscì più a fare altre domande, per quanto fosse confuso, perché la paura era troppa.

«La stessa leggenda della corona me la racconto anche mia madre ma io a differenza tua non ho fatto finta che non esistesse, anzi, ho passato giorni interi della mia infanzia a cercare di capire dove diavolo fosse e come recuperarla»

Rin non sembrava furioso e né arrabbiato ma la sua espressione era malinconica.

«Appena i miei genitori lo scoprirono mi punirono severamente e stracciarono i miei appunti e le mie ricerche. Scappai via tanto ero intenzionato a trovare ciò che cercavo»

Alzò lo sguardo su Haruka che pareva preso da una forte ansia.

«Sai come ho vissuto per anni?»

L’altro scosse leggermente la testa.

«Come sguattero di questa stessa nave. La guardo e mi rivedo piccolo piccolo a strofinare pavimenti e aprire vele pesanti cento volte me. E sai come divenni capitano a soli dodici anni?» domandò pur non ricevendo da Haruka nessuna risposta.

«Uccidendo il precedente»

Prendendolo per un braccio, sollevò Haruka che rimase sorpreso dalla delicatezza di quel tocco. Fece cenno di slegarlo.

«Ho passato così tanti anni via di casa che al matrimonio Gou ha incrociato il mio sguardo e non mi ha riconosciuto. Ero uno fra tanti, uno fra tutti gli altri!» e come un bambino, all’improvviso si mise a piangere. «Gou, piccola Gou» singhiozzava sommesso.

«La tua sete di potere è così grande?» gli chiese Haruka ricevendo come risposta un sospiro e uno sguardo criptico.

«Haruka, tu sai qual è l’ultima parte di quella leggenda? Come si otteneva la corona dopo aver trovato l’isola e averla attraversata?»

«No»

«La si ottiene nell’esatto momento in cui entrambi hanno fiducia nell’altro, e fidarsi di te non è molto difficile»

Haruka ripensò a quel momento in cui, imprudente, credette che quel bacio fosse la prova che Rin non aveva mai avuto cattive intenzioni. Maledì se stesso. Le gambe tremanti lo obbligarono ad appoggiarsi al bordo della nave. 

«Dall’altra parte» lo informò Rin spostandosi e rivelando una passerella già posizionata. «Per quanto tu mi stia simpatico, è un rischio troppo grosso lasciarti in vita»

Sentì il suo cuore sprofondare.

Con molto poco garbo, un basso e tozzo membro della ciurma gli puntò contro una grossa sciabola.

«Avevo detto niente armi»

«Infatti eravamo disarmati, questa è stataci gentilemente offerta dalla mia collezione decorativa»

Haruka continuò ad arretrare fino a che non poggiò un piede su quella sottile piattaforma di legno. Ormai le gambe a malapena lo reggevano.

Mentre indietreggiava con la punta della sciabola contro di lui, osservava il viso quasi indifferente di Rin e non riusciva a negare nulla. Non riusciva a pentirsi di nulla. Non riusciva a fare completamente finta che non sentisse niente per lui, anche se si trovava a pochi minuti dalla sua fine e per suo ordine.

Haruka del passato stava ancora nuotando, nel pieno della felicità. Haruka del passato stava ancora bevendo assieme a lui, parlando assieme a lui, baciando le sue labbra senza desiderare nient’altro e questo non poteva negarlo. La conclusione di quella fiaba era solo la conseguenza delle sue azioni e doveva accettarlo. Fin dall’inizio ebbe i mezzi per evitarlo. Egoista, per quella volatile libertà, stava sacrificando un intero regno e la sua stirpe.

«Rin» richiamò la sua attenzione «se potessi tornare indietro nel tempo...» si interruppe.

Ormai era sull’orlo. Guardò giù. Per un istante, sentì come se soffrisse di mal di mare.

Rin guardò Haruka traballare e sentì una specie di magone formarsi, ma non poteva lasciarsi prendere dai sentimentalismi. Aveva sofferto troppo per poterlo fare: ormai era re di entrambi i regni.

Lo sguardo di Haruka non era implorante ma rassegnato. Rin, a quel punto, iniziò davvero a chiedersi perché aveva fatto tutto quello e per chi? Che cosa ci avrebbe guadagnato, un giorno, quando si sarebbe guardato indietro? Quegli occhi lo avrebbero sicuramente perseguitato per sempre. A scapito di chi lo stava facendo? Di qualcuno che di lui si era fidato e al quale si era affidato? Quella sua coesistente dualità gli stava andando contro. 

Scansò quel piccolo marinaio e poggiò un piede sulla passerella. Haruka, dall’altro lato, era più terrorizzato di quanto non desse a vedere.

«Dammi la mano!»

«Cosa?»

«Fallo prima che cambi idea!»

Con un agile movimento, Haruka prese la sua mano e Rin lo tirò sul ponte. Il vento era tanto forte che obbligò Rin a strattonare Haruka dentro al cassone sulla poppa. 

«Rin» chiamò Haruka a bassa voce «la corona!» esclamò indicando la sua testa. Rin poggiò una mano sulla sua testa e non sentì niente. Per qualche ragione, si fece scappare una piccola risata e scosse la testa. Si inginocchiò a livello di Haruka stringendolo forte. Sotto le sue braccia, lo sentiva ancora tremolare, forse per il freddo, forse per pochi attimi fa.

«Torniamo a casa, Haruka»

 
  
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