Giorno
9
Vabbè,
si è capito che, con i
giorni, vado a sentimento. I prompt vengono sempre scelti dalla rosa
dei 31
giorni di ottobre ma poi è l’ispirazione che
decide che giorno è “oggi”. In questo
capitolo ci
saranno riferimenti all’ultimo capitolo dell’altra
raccolta di fanfiction
scritta sulla Calaca de azucar che avevo pubblicato ad aprile.
Voglio
essere chiara, sto facendo
voli pindarici imbarazzantissimi che nulla hanno a che fare ormai con
la trama
originale dell’opera, che sarà mille volte
più fantastica, me lo sento. Sempre
detto, e qui lo riscrivo: mi farò grasse, grassissime
risate, non appena avrò i
prossimi volumi tra le mani, e probabilmente grassissime risate se le
faranno
pure gli autori, ma abbiate pietà dei miei passatempi
fangirlosi.
Soffocamento
Il
senso di empatia di
Itztlacoliuhqui Ixquimilli era gravemente sottosviluppato ma al dio del
gelo,
del giudizio e delle catastrofi andava benissimo così.
Nessuna complicazione nell’adempiere
ai suoi doveri, nessuna preoccupazione quando doveva dare un giudizio
equo ma doloroso
– per gli altri. Aveva un blocchetto di ghiaccio al posto del
cuore insomma. Per
questo motivo era stata designata come la persona perfetta per tenere
Quetzalcóatl
lontano dagli affari degli umani per qualche tempo. Francamente,
all’inizio la
richiesta lo aveva disturbato parecchio ed era stato sul punto di
declinare l’incarico.
Quetzalcoatl
era già stato
attirato in un tranello analogo anni prima della fine del Quarto Sole.
Un lavoretto
pulito di pochi giorni al massimo, a cui si erano prestati
all’epoca i fratelli
di Quetzalcóatl, giusto il tempo necessario a far fare il
lavoro sporco a
Tezcatlipoca e a Xocipilli, ossia far sparire per sempre nel Mictlan
l’amichetta
umana del Serpente Piumato. Quetzalcóatl era
devastato alla scoperta
della morte di Malintzin e ci aveva messo parecchio tempo a riprendersi
dal
lutto, ma a Itztlacoliuhqui Ixquimilli non era importato
granché; tuttavia, da
divinità razionale qual era, aveva considerato
l’episodio come una carognata gratuita,
senza alcuna utilità, e l’aveva condannato.
Stavolta,
in effetti, una
motivazione c’era, ossia dare la possibilità alle
altre divinità di distruggere
il mondo del Quinto Sole – e non sarebbe stata questione di
pochi giorni –
senza che Quetzalcóatl si intromettesse. Sarebbe stata
l’ennesima carognata ai
suoi danni, era vero, ma le motivazioni delle altre divinità
non erano così
campate in aria: si dava per ricevere, era così tra gli
umani, così era anche
tra gli dei – fatta eccezione per Quetzalcóatl,
naturalmente. Il tempo dell’adorazione
tramite sacrifici stava per giungere al termine, presto soppiantato
dalle
favole ipocrite degli invasori. Le divinità azteche
sarebbero state dimenticate
presto e, allora, perché continuare a elargire doni a quegli
stessi umani? Qualunque
epoca al termine dei 52 anni del calendario azteco poteva essere quello
buono
per porre fine al Quinto Sole e il momento era ormai arrivato.
Xolotl
e Xocotl, turbati dalla
sofferenza arrecata al fratello la prima volta, non avevano osato
contribuire
attivamente ad ingannarlo nuovamente, quindi ecco entrare in scena
Itztlacoliuhqui
Ixquimilli. Lui non sarebbe stato influenzato dal carattere del
Serpente
Piumato. Ne era sicuro lui, ne erano sicuri tutti gli altri.
Però…
la sorte aveva un
innegabile senso dell’umorismo, quell'infame.
A
quanto pareva, un cuore lo possedeva
anche Itztlacoliuhqui Ixquimilli. Un cuore particolare il suo,
indipendente dalla
razionalità come quello di tutte le creature mortali e
immortali, ma programmato
per funzionare assai raramente e destinato ad appartenere solo ed
esclusivamente a una persona. Già questo era incredibile, se
si considerava il tipo di divinità in questione, ma
rasentava la follia se si pensava che, quella persona sarebbe
stata Quetzalcóatl stesso.
La
divinità del gelo non aveva
fatto nulla, non aveva messo in atto strategie particolari, era
semplicemente
stato presente. Parlava con il Serpente Piumato più spesso
del solito (quasi
come se l’episodio avvenuto tanto tempo prima, davanti
all’umana impiccata, avesse
costruito un flebile legame che andava soltanto alimentato
perché si
rafforzasse) e lo ascoltava, rendendosi conto che, malgrado
l’ingenuità, la bionda
divinità era davvero intelligente e sapeva parlare di cose
interessanti che
davano il via a vivaci ma rispettosi dibattiti. Non erano quasi mai
d’accordo
su nulla ma Quetzalcóatl, benché accorato nella
difesa delle sue tesi, non era
mai prevaricante nei confronti col suo interlocutore, né
consentiva di farsi
prevaricare a sua volta, e la divinità del giudizio non
poteva che apprezzare
questa sua qualità. Ben presto, Itztlacoliuhqui Ixquimilli
si era dimenticato del
suo “lavoro”.
Non
ci volle in verità molto prima
che il tempo, immutabile per le divinità, assumesse un
carattere diverso,
vibrante, se passato accanto a Quetzalcóatl. Il tempo,
immutabile per le
divinità, assumeva un carattere penoso, dilatato, se
Quetzalcóatl mancava. Se Itztlacoliuhqui
Ixquimilli cercava incessantemente il Serpente Piumato non era
perché troppo
ligio al dovere, come credevano tutti. Era cotto a puntino, e nemmeno
se ne
rendeva conto. E veder ricambiato tale sentimento dal Serpente Piumato
gli era
sembrato un miracolo, un dono. Non ci volle molto tempo
perché le due divinità
non ebbero più bisogno di parlare per essere vicini.
L’eternità, con Quetzalcóatl,
non poteva che essere luminosa, anche per una divinità di
tenebra come lui.
Poi,
un giorno nefasto, tutta la
felicità di Itztlacoliuhqui Ixquimilli andò
inesorabilmente in frantumi.
Era
bastata una frazione di secondo
per capire che qualcosa turbava Quetzalcóatl. I muscoli del
viso erano tesi, gli
occhi erano spenti, vuoti. La bionda
divinità sembrava sul punto di rompersi
da un momento all’altro e Itztlacoliuhqui Ixquimilli,
avvicinandosi a lui, ebbe
quasi timore a chiamarlo, a chiedere. Quetzalcóatl non lo
guardava nemmeno in
faccia.
“Eri
con Itzlapapalotl. Con Huitzilopochtli.
I miei fratelli, Xipe-Totec e Tezcatlipoca. Con Xocipilli. Ho sentito
tutto. Ho
sentito. Tutto”. Quetzalcóatl prese una piccola
pausa prima di porre la domanda
che gli stava più a cuore.
“Itztlacoliuhqui…
perché?” il
Serpente Piumato non aveva mai negato a se stesso di mostrare i propri
sentimenti, e nemmeno ora negò all’altro la vista
delle sue lacrime.
Probabilmente,
un pugnale di
ossidiana nel cuore avrebbe provocato molto meno dolore rispetto a
quanto ne
stava provando in quel momento Itztlacoliuhqui Ixquimilli.
“So
che ti è caro il popolo che
abita il Quinto Sole ma lo stiamo perdendo”
argomentò improvvisando. “Eri
preoccupato per i Mexica, ricordi? Chi li farà soccombere
non avrà nessuna
pietà. Perché dovremmo averne noi?”
“Non
è questa la risposta che
voglio da TE. Itztlacoliuhqui, tu lo sapevi
e non mi hai detto niente. Ti sei
avvicinato a me
per…” la voce gli
morì in gola.
Itztlacoliuhqui
Ixquimilli non
gli lasciò il tempo di insinuare il tradimento parlando con
un’urgenza mai
provata prima “Appoggio la scelta dei nostri fratelli di
annientare il Quinto
Sole. Gli esseri umani sono creature indegne. Abbiamo fatto dei
tentativi di
migliorare la specie, ne faremo altri. Sì, mi è
stato chiesto di avvicinarmi a te,
e sì, l’ho fatto. Ma ti ordino di non dubitare mai
di quello che c’è stato tra
noi: quello è tutto reale”.
“Mi…
ordini..?” Quetzalcóatl
rise. Una risata bassa, tra le lacrime, senza alcuna gioia.
“Quello non l’ho
mai dubitato, puoi stare tranquillo. Tuttavia non dubito nemmeno del
tuo
tradimento” lo guardò negli occhi. “Mi
hai taciuto i piani dei nostri fratelli.
Mi hai taciuto la verità sulla morte di Malintzin. E ora,
vuoi distruggere la
stirpe a cui lei era appartenuta e che io continuo ad avere cara,
nonostante
tutta la sua imperfezione! La lotta tra Mexica e Spagnoli è
una lotta
fratricida, ma gli esseri umani hanno la stessa origine, la stessa di
Malintzin. Ma a voi non interessa questo. Non vi è mai
interessato, purché non
vi manchi la vostra preziosa libagione all’altare del
sacrificio!”
“Perché
continui a parlare di
lei?”
“È
forse gelosia quella che
percepisco? Non te ne devi crucciare. Il tempo passato con Malintzin
è stato
come quello passato in un sogno, ma dai sogni, ad un certo punto, ci si
risveglia” Fissò uno sguardo glaciale su
Itztlacoliuhqui. “Sai perché ho rubato
le ossa nel Mictlan? Perché mi sentivo dannatamente in colpa
per lei. Amare me
l’aveva solo messa in difficoltà. Per me tutto era
immobile ma per lei no. La
vita scorreva e lei non poteva cogliere le opportunità
perché restava con me, che
apparivo ai suoi occhi come uno sconosciuto ragazzo di qualche
sconosciuta città. Era ai
ferri corti con la sua famiglia, lei non accettava alcun pretendente,
ma allo
stesso tempo non poteva unirsi a me e lei nemmeno sapeva la ragione, ma
era
così innamorata, per colpa mia. Ormai mi ero rassegnato a
lasciarla e ad
augurarle una vita migliore. Il mio appoggio agli umani, mi ero
ripromesso, non
sarebbe mai venuto meno, qualunque cosa fosse accaduta. Poi lei venne
sacrificata, ed è risaputo che i sacrifici servono a mandare
a morte gli
indesiderati, no? Quando mai si mandano donne così giovani
appartenenti e alla
stessa comunità in sacrificio, se non è il
capofamiglia stesso a offrirla ai
sacerdoti? Se fossi stato presente, lo avrei impedito. Le avevo
rovinato la
vita e non ero neppure riuscito ad impedire la sua morte. Quando venne
l’ora di
ripopolare il mondo all’inizio del Quinto Sole, decisi che
avrei fatto tornare
indietro tutti. Malintzin avrebbe avuto la sua seconda
possibilità e questa
volta l’avrei lasciata in pace. Ma lei non
c’era… lei non c’era. Avevo dato la
colpa alle ossa rotte, forse avevano cambiato Malintzin così
tanto da non renderla più riconoscibile, o forse sarebbe
rinata in qualche generazione successiva.
Ora invece so che Malintzin, dal Mitclan, non era mai uscita,
perché i
sacrifici erano in onore di Mictlantecuhtli, che non rinuncia mai a ciò che è
suo!”
Qualcosa,
nella mente di Itztlacoliuhqui
Ixquimilli, lo mise in allarme “Ma… questo come
fai a saperlo?” chiese
cautamente “Xocipilli aveva detto che era stata mandata nel
Mictlan, non che vi
era costretta a rimanerci dal suo Signore”.
Quetzalcoàtl
sorrise di sbieco “Questo
lo so perché me lo ha detto lei.
O
adesso dovrei chiamarla Mictlacihuatl? Avevo chiesto un piccolo favore
al
Signore del Mictlan, ma mi era stato rifiutato. Fortunatamente, la sua
Signora
si era dimostrata più incline ad ascoltarmi e, alla modica
cifra di una parte
della mia futura anima mortale, mi ha donato quanto avevo richiesto."
prese una breve pausa prima di aggiungere, amareggiato "Non mi ha
riconosciuto. Non sapeva nemmeno chi era lei” .
A
Itztlacoliuhqui Ixquimilli si
gelò il sangue nelle vene.
“Futura…”
balbettò.
“Futura
anima mortale. Proprio così.
Hai detto di amarmi. Ora devi dimostrarmelo” prese a
indietreggiare,
allontanandosi cautamente dall’altro. “Ti
propongo una sfida, Itztlacoliuhqui Ixquimilli. Sarai disposto a
lasciar distruggere il
Quinto Sole, quando avevo giurato a me stesso di prendermene cura,
sapendo che ci vivrò
anch’io d’ora in avanti? Fallo perire, e
io non tornerò più, poiché
sarò
solo un’anima meramente umana…”
“E
a quel punto sarai di
proprietà del Signore del Mictlan per
l’eternità! Quetzalcóatl se
è uno scherzo
è di pessimo gusto!”
“Francamente
non avrei voluto
arrivare a tanto. Davvero, avrei potuto voltare le spalle al Quinto
Sole,
pensare solo a… noi?
C’è davvero un noi?”
chiese incerto.
“Sì,
c’è un noi. Non dubitarne
mai” rispose con foga.
“Eppure,
nonostante l’esistenza
di un noi, che vorrei
così tanto
vivere assieme a te, c’è una parte di me che non
vuole… e non può… lasciarti
fare tutto questo”.
“Quetzalcóatl!”.
“Ero
rimasto solo dirti questo: ti
affido me stesso e ti affido il Quinto Sole! La nostra esistenza,
d’ora in
avanti, dipenderà da te!”
“QUETZALCÓATL!”
il grido di Itztlacoliuhqui
Ixquimilli si levò così forte che, chiunque lo
avesse udito, se ne sarebbe
pentito amaramente.
Quante
volte Emanuel aveva
rivisto la morte di Quetzalcòatl, nei suoi incubi? Quante
volte si era
risvegliato terrorizzato, con un grido strozzato in gola e la mano tesa
ad
afferrare il vuoto? Quante volte gli era mancata l’aria nei
polmoni, strozzati
dalla paura e dal rimpianto? Quante volte aveva provato a cambiare il
finale di
quegli incubi?
Purtroppo
l’inconscio di Emanuel
non aveva mai avuto pietà di lui e quell’incubo
tornava spesso a perseguitarlo
per ricordargli il suo compito: cambiare quel finale almeno nella
realtà, alternando
numerose identità e numerose vite vissute in cinquecento
anni.
Emanuel
aveva combinato un bel
casino e il prezzo che la sua condizione umana gli imponeva di pagare
era la
sensazione costante di soffocamento, al risveglio, come preso tra due
fuochi:
quello del passato, a memento di ciò che aveva avuto e che,
per sua colpa, non
aveva più; e quello del futuro, perché, ora che
era umano, il tempo scorreva
veloce e implacabile e presto, prestissimo, anche l’ultima
speranza di riavere
ciò che aveva perduto gli sarebbe scivolata via come foglie
al vento.