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Autore: Carmaux_95    01/11/2020    13 recensioni
Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prim'ancora che i corpi si vedano.
Generalmente, essi avvengono quando arriviamo a un limite, quando abbiamo bisogno di morire e rinascere emotivamente. Gli incontri ci aspettano, ma la maggior parte delle volte evitiamo che si verifichino. Se siamo disperati, invece, se non abbiamo più nulla da perdere oppure siamo entusiasti della vita, allora l'ignoto si manifesta e il nostro universo cambia rotta.
(Paulo Coelho)
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Questione di chimica'
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Incontriamo, a volte, persone che non conosciamo affatto,

ma che destano in noi subito, fin dal primo sguardo e, per così dire, di colpo,

un grande interessamento sebbene non si sia scambiata ancora una parola.

(Fëdor Dostoevskij)


 

La prima volta che l'aveva incontrato l'aveva guardato senza vederlo: una macchia rubra con un piccolo schizzo di grigio aveva fatto capolino nella sua visione periferica e, sul momento, aveva persino voltato la testa per identificarla con maggiore attenzione. L'aveva relegata in secondo piano, tuttavia, come i suoi occhi avevano abbandonato quegli spalti sgangherati per tornare a concentrarsi sulla partita che stava arbitrando.
Si era già distratto a sufficienza durante i primi due quarti della partita, lasciandosi sfuggire più di un'infrazione. Giocatrici, allenatori e anche qualcuno del pubblico non avevano mancato di farglielo notare e Riccardo non aveva potuto fare a meno di sperare che nessuno volesse esternare nuovamente il suo disappunto una volta negli spogliatoi.

Aveva soffiato nel fischietto, decretando un altro fallo. La ragazzina, la nuca rasata e il resto dei capelli, tinti di verde, raccolti in una coda alta, gli si era avvicinata allargando le braccia come a voler contestare. A Riccardo era bastato scuotere appena la testa perché quella si allontanasse sbuffando. Raramente si trovava a discutere, in campo. Paradossalmente, quando si trovava in mezzo alla frenesia dello sport si sentiva più rilassato che mai: il caldo era intenso e il sudore che gli appiccicava la maglia alla schiena era estremamente fastidioso, ma la sua mente era calma. Non sentiva il bisogno di alzare la voce e quasi non si riconosceva nel ragazzo che, seduto ad una scrivania, sentiva costantemente il bisogno di tamburellare con i piedi per tenere a bada il nervosismo e l'ansia.
Dopo una partita, per quanto stanco, tornava a casa sempre di buon umore.

Anche quella sera.
Si era fatto una rapida doccia negli spogliatoi e il buon umore non lo aveva abbandonato nemmeno quando aveva notato che la maledetta tinta arancione che rovinava i suoi capelli non accennava ancora a dare segni di cedimento. La stessa ragazzina a cui aveva fischiato l'ultimo fallo della partita – o, per meglio dire, a cui aveva fischiato la maggior parte dei falli delle ultime dieci partite che aveva arbitrato – la prima volta che l'aveva visto con la testa color evidenziatore aveva ridacchiato compiaciuta: «Che stile, arbitro!»
Odiava quel colore ma dopo una partita persino quell'emorragia oftalmica che il parrucchiere si era ostinato a definire “tinta” non sembrava più così male.

Era arrivato a casa e si era schiantato a letto con il sorriso sulle labbra, ma si era risvegliato meno di un paio d'ore dopo.
Ormai capitava sempre più spesso: la mente si risvegliava, iperattiva, e l'ansia che da subito lo assaliva gli mozzava il respiro, accelerando il battito cardiaco. Una volta in quelle condizioni, poteva continuare a rigirarsi nel letto per ore, brancolando fra le sue elucubrazioni mentali: il fruscio delle lenzuola, che finivano per attorcigliarsi attorno al suo corpo dandogli l'impressione di soffocare, sembrava mimare il rumore dei suoi respiri stanchi e frustrati.

Non aveva mai sofferto d'ansia, ma il pensiero di essere rimasto così indietro con lo studio riusciva a mozzargli il fiato dandogli un tremendo senso di nausea. Non aveva idea di come avrebbero potuto reagire i suoi genitori: se già normalmente gli riservavano una fredda indifferenza dovuta alla scelta del corso di laurea – niente di più lontano dalle ispirazioni paterne – non osava immaginare quale sarebbe stata la loro reazione se fosse finito fuori corso. Non era sicuro che gli avrebbero pagato le tasse di un altro anno accademico.

E certo i suoi guadagni come arbitro di basket non avrebbero coperto la spesa...

Questi erano i pensieri che lo tormentavano di notte e che, di conseguenza, lo portavano ad affrontare ogni giorno – quello compreso – con la stanchezza tipica di un insonne, situazione che certo non migliorava la sua prestazione studentesca.

Circolo vizioso del cazzo..., rifletté fra sé e sé, sopprimendo uno sbadiglio.

«Non ti pare di esagerare con gli zuccheri?» Francesco, seduto al suo fianco al tavolino del bar di fronte all'università, lo distolse da quei pensieri indicando la brioche e il topping di panna montata che nascondeva un alto bicchiere di caffè. «Sei già sufficientemente irrequieto di natura: non hai bisogno di peggiorare la situazione.»

Riccardo alzò gli occhi al cielo: «Non ti stavo ascoltando: dicevi?»

«Ti farebbe meglio mangiare meno adesso e non saltare il pranzo, come tuo solito: ti risparmieresti tanti pomeriggi di mal di stomaco.»

«Non mi sono mai lamentato del mal di stomaco.»

«Come io non mi lamento del tuo disordine e del casino che lasci in cucina anche quando tocca a te lavare i piatti, ma questo non cambia la realtà dei fatti.»

Riccardo fece finta di niente e prese un sorso della sua bevanda calda. Sentendo lo sguardo di Francesco su di sé, sbuffò di nuovo: «Che vuoi ancora?»

La risposta del miglior amico lo lasciò di stucco: «C'è qualcuno che ti spia.»

Corrugando la fronte, seguì la traiettoria dei suoi occhi: «Chi? Il roscio*

Lo aveva adocchiato di sfuggita, qualche minuto prima, quando era entrato nel bar, notandolo unicamente per l'insolito colore dei suoi capelli – e per un momento si era fermato a osservarlo, come colto da un ricordo – ma era tornato subito a concentrarsi sulla propria colazione.
Quando si voltò per capire di chi Francesco stesse parlando, intercettò il suo sguardo e questi, alla cassa con il portafoglio in mano, aveva alzato una mano per salutarlo.

«Lo conosci?», gli domandò il siciliano, abbassando la voce.

«Io? Chi l'ha mai visto!»

Il ragazzo dai capelli rossi, pagato il proprio ordine – glielo avrebbero preparato in un paio di minuti – si avvicinò e Riccardo incontrò i suoi occhi grigi.
Era sicuro di non averlo mai incontrato, eppure aveva la paradossale impressione di averlo effettivamente già visto da qualche parte.
Quegli occhi grigi... non era la prima volta che li vedeva.

«Non pensavo di trovarti qui», esordì lo sconosciuto, rivolgendosi al romano.

«Ci conosciamo?»

«Hai arbitrato una partita di basket femminile ieri sera, giusto?»

«E tu che cazzo ne sai?!», esclamò Riccardo, indispettito.

«Beh, non passi esattamente inosservato», rispose il rosso alludendo, con un cenno del capo e il tono divertito, ai suoi capelli arancioni, ancora vittime dell'ultima scommessa fatta con Francesco. Quest'ultimo non riuscì a trattenere uno sbuffo compiaciuto e, in risposta, ricevette un calcio sugli stinchi.
Nel frattempo, lo sconosciuto riprese la parola: «Hai fischiato un fallo a mia sorella.»

Riccardo aveva già avuto modo di conoscere la vendetta di chi riteneva non avesse svolto un buon arbitraggio – un paio delle sue magliette si erano irrimediabilmente macchiate a causa delle bibite che gli erano state rovesciate addosso – per cui, sentendo quelle parole, ritenne opportuno allontanare il proprio caffè, spostandolo al capo opposto del tavolo.

Con sua immensa sorpresa, tuttavia, sul viso del rosso prese forma uno sguardo di approvazione: «Hai fatto bene! Gioca in modo troppo violento: glielo diciamo sempre, a casa.»

Colto alla sprovvista, sul momento non seppe cosa rispondere per cui rimase in silenzio, leggermente sbigottito.
Il ragazzo si limitò a sorridere per l'ultima volta, a ritirare il suo caffè, finalmente pronto, e ad andarsene con un ultimo cenno di saluto.
Riccardo, le labbra leggermente schiuse e le sopracciglia impennate, aggrottò la fronte: «Questo non mi era ancora mai capitato.»

*

Le sedie di quel baretto non erano mai state particolarmente comode, ma non gli importava.
Si era svegliato troppo presto e, non riuscendo a riprendere sonno, era uscito di casa e aveva preso posto ad uno dei tavolini della solita caffetteria di fronte all'università.
Per ingannare l'attesa prima delle lezioni aveva tirato fuori dallo zaino uno dei suoi manuali, nella speranza di recuperare almeno parte delle lezioni arretrate... non che si sentisse motivato. Non più.
Gli piacevano i suoi studi – aveva litigato ferocemente con i suoi genitori per potersi iscrivere alla facoltà di chimica di Milano – eppure proprio il ricordo di quei continui diverbi non faceva che scoraggiarlo.
Osservò le stesse due pagine di testo per dieci minuti, continuando a dimenticarsi di quanto letto non appena arrivava ad un punto fermo. All'ennesimo tentativo fallito, incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò la testa, sbuffando e sbadigliando: in pochi minuti il torpore si impadronì di lui e si appisolò.
Forse per cinque minuti, forse per un'ora: non avrebbe saputo dirlo.

Si risvegliò solo quando una mano si appoggiò sulla sua spalla, scrollandolo leggermente e mitigando quella sonnolenza: «Colazione?»

«Come?», biascicò schiudendo gli occhi appannati e sollevando a fatica la testa. Impiegò qualche istante prima di riuscire a mettere a fuoco la figura che gli si stagliava davanti e che aveva incontrato di persona ormai quasi tre settimane addietro, prima di riconoscere quegli occhi grigi.

«Caffè.»
Il ragazzo dai capelli rossi aveva preso posto di fronte a lui, appoggiando sul tavolino due bicchieri. Avvicinandogli quello da cui spuntava un ricciolo di panna montata, sorrise: «A giudicare dal tuo aspetto, credo tu ne abbia bisogno.»

«Oh...»

Con un gesto automatico cercò il portafoglio, ma il ragazzo scosse la testa: «Non ti preoccupare: offro io. Non sapevo che caffè ti piacesse, mi ricordavo solo della panna montata: spero che vada bene.»

Ancora un po' intontito, Riccardo assottigliò lo sguardo: «Non è che lo hai avvelenato perché ho continuato a fischiare falli a tua sorella nelle ultime tre partite?»

«Chi può dirlo», rispose il rosso riducendo gli occhi ad una fessura e lanciandogli una teatrale occhiataccia. Con un gesto altrettanto plateale portò alle labbra il proprio bicchiere e ne bevve un lungo sorso. «Onestamente non pensavo che ti ricordassi di me.»

«Diciamo che non passi esattamente inosservato, roscio», rispose Riccardo, indicandogli la testa con un sorrisetto beffardo, recuperando le parole che lui stesso gli aveva rivolto tre settimane prima.

«A questo proposito: è da quando ti ho visto la prima volta che mi domando di che colore siano davvero i tuoi capelli.»

Questa volta era stato Riccardo a lanciargli uno sguardo risentito. Era perfettamente consapevole di essere terribilmente osceno con quella testa che sembrava esser stata colorata con della vernice acrilica: non aveva bisogno di qualcuno che continuasse a rigirare il coltello nella piaga.

«È stata solo una stupida scommessa con il mio migliore amico.»

«Sento di doverlo chiedere: scommessa vinta o persa?»

«Chi può dirlo...»

Scambiandosi uno sguardo divertito, si resero improvvisamente conto di non conoscere nemmeno i reciproci noni.
La naturale spontaneità della conversazione intavolata con quello che, a tutti gli effetti, era ancora un totale sconosciuto aveva fatto sorridere Riccardo: era da tanto tempo che non si trovava in sintonia con qualcuno che non fosse Francesco.

Dov'è la fregatura?

Avendo forse intercettato i sui pensieri, anche il rosso aveva alzato un angolo della bocca: «Mattia.»

«Riccardo.»

Nell'immaginario grafico che rappresentava la sua giornata, la freccia arancione che, per una volta, sembrava aver deciso di volare alto, cadde improvvisamente in picchiata non appena Mattia tirò fuori dal proprio zaino un libro probabilmente per seguire il suo esempio e recuperare qualche minuto di studio in sua compagnia. Come aveva adocchiato la parola “legislazione”, Riccardo aveva distolto lo sguardo, infastidito.

Eccola, la fregatura.

«Ho sbagliato caffè?», domandò Mattia, notando il suo improvviso cambio di espressione.

Per un momento lo odiò: come poteva rispondergli male quando lui non faceva che mostrarsi disponibile?

«Senti, roscio, non ce l'ho con te. Anzi, grazie per la colazione, davvero. È solo che non mi vanno a genio gli studenti di legge. In generale.»

Mattia non si scompose: «Questo razzismo di facoltà a cosa è dovuto?»

Mi ricorda i miei genitori.
La freccia arancione sfondò il pavimento: «Sono cazzi miei.»

Di nuovo, il ragazzo rimase imperturbabile: «Ero solo curioso: la cosa, fortunatamente, non mi tocca.»

Corrugando la fronte, Riccardo rilesse con più attenzione il titolo del manuale: “Legislazione dei beni culturali”.

Mattia sorrise: «Cosa dice la tua politica in proposito? Puoi stringere amicizia con un aspirante archeologo disoccupato?»


 


 

*roscio è una parola del dialetto romano che significa, molto semplicemente, “dai capelli rossi”


 


 

Angolino autrice:

Buona sera! ^^

Benvenuti in questa nuova piccola raccoltina! ^^ Prende ispirazione da una challenge che avevo trovato tempo fa su internet e che prevedeva di scrivere alcune storie che ripercorressero i piccoli passi compiuti dalla propria otp (o da una coppia a scelta), a partire, chiaramente, dal primo incontro ^^

Era da una vita che non scrivevo su questi miei personaggi! Sebbene non li abbia mai “dimenticati”, per un motivo o per l'altro non sono mai riuscita a pubblicare niente in proposito.
Mi sono mancati tantissimo!!! *^* E, dato che hanno aspettato UNA VITA per scoprire qualcosa in più su di loro, un pensiero speciale va alle care Soul, Kim e Sabriel!

Per quanto riguarda Mattia... beh, tra Francesco che studia medicina e Riccardo che studia chimica, avevo bisogno di qualcuno con il quale sentirmi più in sintonia AHAHAHA per cui ho deciso di renderlo un mio “compagno di facoltà”! AHAHAHAHHA

Spero che questo primo capitolo (primo di quattro soltanto '^^) vi sia piaciuto o che, almeno, vi abbia strappato un sorriso.

Ringrazio chiunque mi dedicherà qualche minuto! <3

Un bacione a tutti quanti! ^^

Carmaux


 

P.S. Questo capitolo partecipa alla challenge “Just stop for a minute and smile” indetta da Soul_Shine sul forum di efp

  
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