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Autore: crazyfred    05/11/2020    1 recensioni
{FRANCESCO & EMMA} "La neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, del cioccolato, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé"
Prosieguo ideale della storia d'amore di Emma e Francesco, dove li abbiamo lasciati alla fine della quinta stagione. La voglia di ricominciare da zero, ma anche di non cancellare quello che è stato, il ricordo indelebile di errori da non commettere più. E chissà, magari coronare il loro amore con un nuovo arrivo...
Ma anche la storia di quella banda di matti che li circonda: Vincenzo, Valeria, ma anche Isabella, Klaus e naturalmente Huber.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 19 - Ottavo mese o "aria di casa"




 
 
Nonostante l'incubo della notte, Francesco si svegliò di buon'ora. Si divincolò delicatamente dalla stretta di sua moglie, posando un bacio sulla sua pancia, nel punto dove era quasi certo ci fosse la testolina del loro bambino, cercando di non svegliarla. Nell'ultima ecografia avevano accertato che si era già messo in posizione cefalica, pronto per uscire fuori. A quanto pareva, lui, o lei, non vedeva l'ora di conoscere la sua famiglia.
Il forestale, infilate tuta e scarpette, uscì silenziosamente per un'ultima corsetta mattutina attorno al lago. Il sole, nelle prime ore del giorno, aveva iniziato a fare capolino in direzione della spiaggia antistante alla caserma, lasciando tutto il resto in penombra e nella frescura. Avrebbe continuato a vedere quello scenario tutti i giorni, grazie al suo lavoro, ma non sarebbe stata più la stessa cose. Fino a quel momento era stata casa sua, il posto a cui, dopo tanto tempo, sentiva di appartenere, dopo anni passati a sentirsi come un vagabondo. Così, quella mattina, finì camminare, anziché correre, guardando le conifere quasi una ad una, dal basso verso l'alto, dove sembravano sbattere contro il cielo, sfiorando la nuda roccia laddove l'anello del sentiero l'affiancava, beandosi degli scorci di quelle acque smeraldine tra le piante di sorbo, che impreziosivano il verde dominante con il rosso delle loro bacche. Tante volte aveva passeggiato tra quegli alberi, respirato i profumi che si alzavano dal lago e dai boschi, sentendoli cambiare di stagione in stagione, meravigliandosi, ancora, ogni giorno del più piccolo cambiamento: del piccolo sasso spostato dalla acqua, del fiore che il giorno prima non c'era, della buca scavata da qualche piccolo animaletto.
Quei luoghi erano un tesoro e lui se ne sentiva il guardiano: sperava, ora, di poter continuare ad assolvere al suo compito. Pietro gli aveva detto che la palafitta era come un'abitante del lago, un'antica ninfa generosa ma difficile, e non poteva restare senza qualcuno che se ne prendesse cura: stava a lui ora trovare qualcuno che ne fosse degno.
Tre ore più tardi, quando i primi segni di vita arrivavano dalla caserma e dal commissariato, Emma e Francesco erano finalmente pronti ad andare via. Emma era al settimo cielo: un messaggio di Valeria le aveva svoltato la giornata, confidandole che con Vincenzo avevano parlato  e le cose erano tornate a girare per il verso giusto; pur nella malinconia di dover lasciare un luogo tanto speciale, vedeva anche il nuovo inizio e le tante opportunità che le si aprivano davanti, positiva e curiosa di scoprirle volta per volta. Francesco, invece, era più taciturno.
"Emma ho dimenticato il borsone con le divise, torno un attimo indietro" disse, mentre aiutava sua moglie a sistemarsi nella sua auto.
"Io comincio ad andare, vorrei passare in paese a prendere del pane fresco." "Ci vediamo a casa. Stai attenta, è pieno di motociclisti in giro a quest'ora" si raccomandò, facendole l'occhiolino.
Ci vediamo a casa. Era davvero casa? Sì, lo era. Sarebbe stata casa dove avrebbe avuto il suo cuore, e il suo cuore era Emma. Dal parcheggio si diresse lungo il viale che conduceva alla piccola casa sul lago: lo emozionava ancora il modo in cui si rivelasse poco alla volta, ma senza troppa attesa, agli occhi di chi la visitava. Era il punto più ambito e più amato del lago, spesse volte si era trovato a dover scacciare curiosi e turisti convinti che fosse un bar o una struttura pubblica per poter fare foto. Per lui era solo casa sua. Percorse a passi lenti quel pontile, gli occhi fissi sulla sponda sud del lago, sulle venature della Croda del Becco, argentate dai raggi del sole. Forse, inconsciamente, aveva lasciato la sacca di proposito, per avere un momento tutto suo per salutare la sua tana, il posto dove, dopo anni di apnea, aveva preso a respirare di nuovo. Proprio su quella terrazza era andato in apnea meccanicamente, si era tuffato da solo nelle acque gelide di aprile e ne era uscito respirando a pieni polmoni, accogliendo Emma nella sua vita. Quel loro primo incontro, legato a doppio filo con quei luoghi, era la metafora perfetta per la sua vita, una vita tranciata in due di netto. Una volta avrebbe detto: prima e dopo Marco; ora ne era sicuro: prima e dopo Emma. Una vita in cui aveva potuto contare solo su sé stesso, contro un'esistenza condivisa.
 Zaino in spalla, chiuse con una catena e con un lucchetto la porta della palafitta. Mentre ripeteva quei gesti che aveva compiuto già meno di 10 minuti prima, con la lentezza di un bimbo che non vuole andar via dal suo parco giochi preferito, ripensò a tutto quello che quelle assi di legno avevano visto e avrebbero potuto raccontare: i suoi giorni più bui, le bugie di Livia, le trame di Elena e di Kroess, le risate con Vincenzo, i suoi alti e bassi con Emma, i baci, le grida, le lacrime. Non avrebbe lasciato indietro nulla, perché tutto, anche la cazzata più orribile che aveva fatto, aveva contribuito a renderlo l'uomo che era diventato.
 
Arrivato a destinazione, Francesco si mise subito all'opera scaricando dalle auto lo stretto necessario che avevano lasciato in palafitta fino all'ultimo. Emma, che era arrivata prima di lui, era ferma davanti casa ad osservarne tutti i dettagli. Non era la prima volta che ci andava e, nei giorni precedenti, con il via vai per l'arredo e le pulizie aveva passato più tempo lì che in palafitta, ma voleva prendersi un momento per fermare quel ricordo nella sua memoria, prima che la routine quotidiana iniziasse a farle dare tutto per scontato. Il segnavento con il gallo in ferro battuto piantato nel recinto del piccolo orticello che erano intenzionati a coltivare, i gerani colorati piantati nei vasi del balcone, una panca di legno di addossata alla parete vicino alla porta d'ingresso, a cui presto avrebbe fatto compagnia anche il tavolo del terrazzo della palafitta, la piccola decorazione di benvenuto in pannolenci che aveva appeso il giorno prima, lo zerbino e il portaombrelli. Era casa loro, era il Maso Neri.
"Bene" disse Francesco, aprendo la porta di casa e lasciando le valigie e le scatole all'ingresso "ora bisogna rispettare le tradizioni"
"Quali tradizioni?" chiese Emma, dubbiosa. Francesco le si parò davanti, le braccia spalancate. "No … no no no, non ci pensare nemmeno …" Emma lo pregò facendo qualche passo indietro. "Come no?! Ooohissa!"
Senza che potesse dire nulla, Emma si ritrovò tra le sue braccia. Si arrese: non era la più comoda delle posizioni, ma sarebbe stato per pochi secondi. "Stai diventando pesante, mamma papera" "Non chiamarmi mamma papera…o il pigiama di flanella non lo tolgo neanche ai 18 anni di Leo. Lo sai che non lo sopporto!"
Il pigiamone di flanella era diventato la minaccia perfetta per far desistere Francesco dalle sue idee più malsane, ma entrambi sapevano che Emma non lo avrebbe mai indossato, neanche con mezzo metro di neve a terra. Francesco sbuffò; la trovava adorabile nonostante la sua camminata ondeggiante, nonostante i chili in più, le guance più paffute e  le caviglie gonfie a sera e non riusciva proprio a capire cosa ci fosse di male il quel nomignolo affettuoso.
"Benvenuta a casa, signora Neri!" proclamò, mettendola giù. "Grazie signor Neri, anche a te". Emma accarezzò il suo viso, guardandolo fisso negli occhi, pieni di orgoglio per quel nuovo piccolo grande passo per la loro famiglia.
"Ti va un caffè?" domandò Emma. "Ok" rispose lui, sorridendo. "Che c'è?" "Niente…" ma sapevano entrambi che non era esattamente niente. Dopo tre anni dalla morte di Marco, dopo tutto quello che era successo con Livia, la proposta di un caffè fu la cosa più vicina ad un senso di casa che Francesco aveva provato; non era affatto un caso che tra tutti, fu proprio Emma ad offrirgli quella piccola attenzione. Per la prima volta, dopo tanto tempo, sentiva che qualcuno si stava prendendo cura di lui.
"Tu prepara il caffè, io porto questa roba su"
Emma entrò in cucina e si ricordò della prima volta che aveva messo piede dentro al maso, quando ancora Zoe lo abitava: oltre al disordine di una ragazza sola in un momento difficile, pensò che nessuno meritasse di vivere in un posto tanto angusto e malsano. Vederlo così, arioso, accogliente, con il profumo delicato e intenso, dolce e penetrante allo stesso tempo che emanavano le travi e i mobili in cirmolo, a stento lei stessa riusciva a riconoscerlo. Non solo era una casa degna di quel nome, ma era la sua casa, della sua famiglia. Mentre la moca era sul fuoco e prendeva le tazzine e la zuccheriera da una delle scatole che avevano portato quella mattina, Emma si trovò a fantasticare su quella nuova vita, sul giorno in cui finalmente avrebbero ricevuto il nulla osta al trasferimento di Leonardo, sul giorno in cui sarebbe uscita di casa con le contrazioni e sul giorno in cui sarebbero entrati in quattro da quella porta anziché solo in due, come quella mattina. Non poteva credere che fosse successo davvero, che le era stata concessa l'opportunità di progettare ancora; per quanto estasiata, si sentiva addosso la sensazione che fosse un privilegio: non lo avrebbe sprecato.
Decise di portare il caffè a Francesco al piano di sopra, anziché farlo scendere: salì le scale lentamente, un po' per la paura di rovesciare il caffè, un po' per far piano, levando le scarpe per alleggerire ancora di più il suo passo. Sentiva il movimento venire dalla cameretta che sarebbe stata adibita a nursery; si domandava cosa stesse facendo, visto che avevano deciso di aspettare la fine del trasloco per iniziare a prepararla. Una cosa per volta, gli aveva detto.
Mentre si avvicinava, Francesco uscì dalla stanza, chiudendo la porta alle sue spalle. "Che fai?" le domandò, colto alla sprovvista. Sembrava un bambino che aveva appena fatto qualche marachella. "Non si vede?!" ribatté Emma, mostrandogli il vassoio. "Non dovresti fare sforzi …" "È un vassoio con due tazzine e una zuccheriera, non una palla di piombo! Tu piuttosto, che ci facevi nella cameretta del bebè?"
Francesco prese il vassoio tra le mani di Emma, raccomandandole di rimanere dov'era e posandolo sul piccolo comò in corridoio. Emma lo guardò perplessa ma si attenne alle istruzioni. "Doveva essere una sorpresa, avevo pensato a qualcosa di più d'effetto … ma con te è difficile attenersi ad un piano." "Ah! Con me?" "Sì va beh, con noi … hai capito cosa voglio dire"
Emma sorrise facendogli una linguaccia, annuendo. Sì, con loro due il banco saltava sempre.
"C'è una cosa che devo farti vedere, entra" "Ok ma facciamo in fretta, lo sai che Leo si preoccupa se facciamo tardi."
Nella stanza non era cambiato granché dal giorno precedente: la finestra che dava sul giardino del retro della casa non aveva ancora le tende e le pareti erano immacolate. In un angolo in fondo alla stanza però campeggiava una culla in legno, tradizionale, con una tendina bianca e qualche pupazzetto sul materassino.
"Quando hai…" "Ieri pomeriggio, dopo che sei andata via con Valeria"
Emma rimase senza parole; si avvicinò, silenziosa, indugiando con lo sguardo su ogni dettaglio, sul cuoricino intagliato sulla testata, sugli animaletti ricamati sulla copertina e naturalmente sulla giostrina di stelline appesa al baldacchino.
"Lo so che mi avevi chiesto di fare una cosa per volta" esordì Francesco, rimanendo un passo dietro a sua moglie, grattandosi la testa "ma questa culla è sempre stata qui, in questa stanza. Sembrava solo aspettare un nuovo ospite. Quando l'ho trovata non ho saputo resistere e l'ho sistemata" "L'hai fatta tu?" "Rimessa a nuovo, sì … ma se non ti piace ne prendiamo una nuova … " "No … no è assolutamente perfetta"
Francesco però scorse un velo di malinconia negli occhi di Emma, un tristezza che nessun sorriso e nessuna parola di rassicurazione potevano nascondere. "Ehi! Va tutto bene?" Emma non riusciva a dare voce a quello che provava: vedeva suo marito così preso, così libero dai suoi fantasmi, che non era giusto farlo ripiombare di nuovo nell'angoscia. Ma lui insistette e non riuscì a tenergli nascosto oltre quello che provava, non ora che Francesco ce la stava mettendo tutta per essere sempre aperto ed onesto con lei.
"Non riesco a smettere di pensare al bambino che abbiamo perso, Francesco. Lo so che ora c'è Leonardo e c'è lui… o lei" disse, accarezzandosi la pancia "e dovrei essere felice. E lo sono. È solo che non riesco a smettere di pensarci"
Nel primo trimestre, quella presenza era stata un memento costante di ciò che poteva andar male, una raccomandazione quotidiana a non strafare e stare attente. Ma quando tutto sembrava andare nel verso giusto, quando si era lasciata andare a godersi l'arrivo della nuova creatura, poco alla volta il senso di colpa per quella ritrovata serenità si faceva sempre più forte. Più ripeteva a sé stessa che non era colpa sua, più si convinceva che anche lei meritava di avere una vita normale, più ripensava a quello che era successo un anno prima.
Mentre Emma parlava, il suo sguardo era fisso su un punto qualsiasi della culla, e sfregava tra le sue mani la stoffa leggera e immacolata della tendina della culla. Tutto, pur di non guardare suo marito negli occhi, che nel  frattempo non le staccava gli occhi di dosso e che, con la coda dell'occhio, vedeva annuire ad ogni sua singola parola.
"Nemmeno io." sussurrò Francesco, la voce commossa. Emma si voltò verso di lui, stupita. "Veramente?" Fece sì con la testa. "E a Marco, naturalmente. Ci penso in continuazione. Mi sento in colpa quando penso a loro e poi mi sento in colpa se mi accorgo che non li sto pensando" Francesco fece spallucce. Era la verità, nuda e cruda, non poteva cambiarla. Meglio essere onesti che tenersi tutto dentro: nascondere, arrivati a quel punto, non aiutava affatto.
"Anch'io" ammise Emma. Tante volte aveva detto a suo marito che non doveva darsi colpe che non aveva, ma per la prima volta sentiva quello che sentiva lui e lo capiva profondamente. Si sentiva piccola piccola ora di fronte a lui per averlo quasi sgridato, a volte. "Come si fa?" gli domandò.
"Non possiamo farci molto" decretò Francesco "ci vuole del tempo perché il dolore e la colpa passino …  nel frattempo bisogna concentrarsi sul bene che ci hanno lasciato e tenercelo stretto. Me lo hai insegnato tu no?!" Emma annuì; anche un esserino talmente piccolo da essere fisicamente impercettibile poteva lasciare un'orma nella vita di quanti lo avevano comunque amato. In quella di sua madre, che lo aveva protetto dall'inizio alla fine e in quella di suo padre, a cui aveva insegnato che davanti ai propri figli non ci possono essere priorità.
 
A pomeriggio inoltrato, Valeria si preparava a concludere la sua giornata lavorativa. Le indagini sugli ibridi proseguivano e nel pieno della stagione turistica bisognava sempre tenere d'occhio che gli amanti delle grigliate non appiccassero il fuoco a mezzo Alto Adige dalle aree picnic. Coordinare tutto, con Francesco a mezzo servizio per qualche giorno, era una bella impresa; erano un bel gruppo, ma la sua giovane età spesso la metteva in difficoltà con i colleghi più esperti. Concluse la relazione che avrebbe presentato al suo capo l'indomani e salutò i colleghi che stavano lasciando la caserma. Prima di ritirarsi in foresteria, avrebbe dovuto dare da mangiare a Luna, secondo la turnazione prestabilita.
Scese verso le stalle, dove il maniscalco aveva appena terminato la ferratura di tutta la scuderia.
"Donksche, Dieter!" "Bitte, Försterin. Pfiat-di!" "Pfiat-eich!"**
Trasferitasi lontana da San Candido aveva messo da parte il tirolese, perdendo totalmente l'accento tipico con tanto di r moscia. Le dava fastidio che tutti glielo facessero notare. I suoi conoscenti pensavano di essere simpatici con le loro caricature, ma dopo la terza volta, aveva iniziato a sforzarsi e ripulire la sua pronuncia italiana da quel fastidioso difetto. In fondo, il suo cognome, quello di suo padre, era italiano … del lato materno, altoatesino fino al midollo, le era rimasto solo il cognome di sua nonna, Valeria Weitlaner, che non aveva mai accettato che San Candido si chiamasse in qualsiasi modo al di fuori di Innichen.
Tornando a casa però, era stata costretta, suo malgrado, a rispolverare quella lingua che le dava l'orticaria, che le ricordava posti che le stavano stretti e persone che l'avevano profondamente ferita. Scopri invece, che fu come andare in bicicletta: non solo per la rapidità con cui l'aveva ripreso, ma anche per il piacere che in fondo in fondo le aveva dato.
"Valè! Valeria!!!"
La forestale riconobbe la voce di Vincenzo. Voltandosi, notò che non era solo. Carmela era con lui nel passeggino e scendevano la piccola discesa dell'ingresso della caserma.
"E voi che ci fate qui? Piccolina, vieni! Vieni!"
La forestale si inginocchiò, le braccia aperte verso la piccola, che il padre fece scendere dal passeggino appena il terreno ripianava; la piccola le andava incontro spedita, da sola, se pur ancora un po' goffamente. Valeria la accolse tra le sue braccia, abbracciandola forte per godersi quel profumo di latte e di pulito che le era mancato da morire, più di ogni altra cosa, in quei giorni di distacco. Si sentiva totalmente affascinata all'odore di quella bambina, un profumo così inebriante capace di prendere alla sprovvista anche una persone cinica come Valeria. La calmava, la riportava tra gli umani quando decideva di fare la supereroina dall'armatura indistruttibile.
"Come sei cresciuta piccolina!!! Che ti hanno dato da mangiare?" "Quella è mia madre … se potesse darebbe pure alla bambina lo zabaione a colazione …" "E adesso dov'è?" domandò Valeria. "Le ho regalato un pomeriggio di sauna e altri trattamenti al parco acquatico" rispose Vincenzo, facendole l'occhiolino "su per giù ho ancora un'ora di libertà, prima di cena" "Vorrà dire che mi aiuti a far cenare un'altra cucciolotta mangiona"
Valeria entrò nella stalla, con la piccola Mela in braccio e Vincenzo a seguire.
"Oh Maronn ro Carmine! Ma è un lupo!" esclamò Vincenzo, appena si rese conto di che cucciolo di trattasse, strappando la bimba dalle braccia di Valeria "vieni Carmela, a papà!"
La piccolina, un po' perché presa energicamente dal padre, che aveva anche alzato il volume della voce, un po' perché era stata allontanata da Valeria, iniziò a piangere.
"Hai battuto la testa da piccolo?" domandò Valeria, allibita e stizzita, prendendo Luna in braccio. Non sapeva chi fosse più inutilmente apprensivo di fronte a Luna, se lui o Francesco. Vincenzo, nel frattempo, provava a consolare sua figlia. "Non lo vedi quanto è piccola? Sembra più un peluche che un animale vero … e comunque è ibrida: metà lupo e metà cane. Ciao piccola Mela!"
La forestale, con la vocina da cartone animato, mosse su e giù la zampetta della lupetta, come stesse salutando la bambina. Non ci volle molto perché la piccola, incuriosita e svagata, ritrovasse il sorriso, ricambiando il saluto e chiedendo come poteva di poter accarezzare la cucciolotta.
"Ma ancora non avete avuto novità sul caso?" "Non mi dire che ora ti interessano anche i noiosi casi della forestale…" rimbeccò Valeria, pungente come al solito. Se c'era una persona che sapeva rimettere Vincenzo al suo posto, quella era lei.
"A parte che non ho mai pensato una cosa del genere" spiegò l'uomo, mentre Valeria gli rivolgeva uno sguardo dubbioso "ma era solo per fare conversazione. È vietato? Il tuo comandante lo fa sempre con me. Ma se proprio è un segreto di Stato mi farò i fatti miei"
Valeria rise sotto i baffi: sapeva benissimo che Vincenzo era profondamente annoiato dal doversi occupare solo del trasferimento nel nuovo commissariato e al massimo di qualche cellulare o portafogli smarrito. San Candido era tornato ad essere un tranquillo paesotto di provincia e non era più abituato.
"Abbiamo trovato la mamma di Luna. Domani lei e i suoi fratelli torneranno dalla madre, sono ancora troppo piccoli per stare soli, anche loro hanno bisogno di un adulto che insegni loro le buone maniere" spiegò Valeria mentre preparava del mangime  in una ciotola assieme all'acqua. Emma e il veterinario erano stati categorici, affinché lo svezzamento proseguisse in maniera scrupolosa anche in assenza della mamma e Valeria non ci teneva affatto a sorbirsi le paternali della sua amica. La lupacchiotta le gironzolava attorno freneticamente, affamata, e la forestale doveva stare molto attenta a non pestarle le zampette.
"Nel frattempo" continuò "siamo risaliti all'allevamento dove è avvenuta la riproduzione. Ora inizia la fase più delicata delle indagini, perché di sicuro non sono gli unici cuccioli ibridi in circolazione spacciati per cani"
"Cosa succederà a tutti questi animali? So che non possono essere tenuti in casa"
"Sì è così, generalmente si procede al sequestro degli esemplari, che vengono spostati presso delle riserve per loro. Ma in questo caso parliamo per lo più di animali nati e cresciuti in famiglie, non abituati alla vita di branco. Di solito vengono restituiti ai proprietari."
"Ma non è rischioso? Non si può prevedere quale dei due lati verrà più fuori." "No, certo, ma i proprietari saranno affiancati da esperti che li aiuteranno a gestirli al meglio."
La piccola Mela, in braccio al suo papà, guardava rapita la cucciolotta mentre puliva la ciotolina fino all'ultima briciola. La sua boccuccia era diventata appuntita in una smorfia di concentrazione, le pupille dilatate per mantenersi all'erta. Valeria se la sarebbe mangiata di baci.
"Che c'è Mela? Eh? Ci siamo innamorate della cagnolina?" le domandò Valeria, con quella vocina leziosa che le usciva in automatico ogni volta che si rivolgeva alla bambina. "Non ci pensare" Vincenzo troncò ogni velleità sul nascere "abitiamo in un appartamento e neanche il chihuahua della mamma ci dovrebbe stare in un appartamento per come la vedo io"
"Non c'è pericolo" concluse Valeria "sono proprio gli animali a non voler condividere un appartamento con te. Che persona arida, mamma mia!" "Eh eh! Sfotti, sfotti tu …"
A Vincenzo erano mancati come l'aria quei loro battibecchi. Dal di fuori la gente forse poteva pensare che non andavano d'accordo, ma quel punzecchiarsi era il loro modo di volersi bene. Una volta Valeria gli aveva detto, provocandolo, che in una relazione lui avrebbe potuto mettere solo la simpatia perché in quanto ad aspetto fisico non c'era un granché. Sì, forse era vero anche quello, ma ora sapeva che glielo aveva detto principalmente perché era stato l'unico capace di riportare un sorriso su quelle labbra.
In quel momento, se fosse rimasto ancora qualche dubbio dalla discussione della sera precedente, si sarebbe dissipato totalmente. Per Mela aveva resistito alla tentazione di una relazione con Valeria perché temeva che potesse essere fugace e deleteria, ora invece sia per Mela che per sé stesso, si stava convincendo che far funzionare quella cosa che c'era tra di loro non era solamente inevitabile, bensì un dovere. Non solo ci dovevano provare a farla partire, ma dovevano darsi da fare anche per mantenerla viva e forte. Tutti e tre, ciascuno a proprio modo, ne aveva bisogno: insieme, infatti, avevano trovato quell'aria di casa che stavano cercando.



**dialetto tirolese
"Grazie Dieter!" "Prego, Ispettrice. Arrivederci!" "Arrivederci!"
   
 
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