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Autore: xitsneverenoughxx    08/11/2020    0 recensioni
A volte c'è bisogno di lasciarsi andare, di allontanarsi, e questo Brando lo sa bene. Ma riconosce anche che è più faticoso di quel che sembra, perché in alcuni casi è complicato dire addio. Fabio è semplicemente troppo importante per lui, perché insieme ne hanno passate tante, troppe, e sarebbe ingiusto nei suoi confronti non degnarlo nemmeno di un saluto.
Una lettera, lacrime e fin troppi sentimenti. Brando pensa che questo sia il modo perfetto per uscire di scena.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Caro Fabio,

non disperare. Non c'è nulla che il tempo non possa guarire. Non è colpa tua. D'altronde, come potrebbe? Fabio, mi hai stravolto la vita. Non avresti potuto mai ferirmi.

Il tempo gioca brutti scherzi, a volte, tanto che è semplice perdere il conto delle ore, dei giorni. A me succedeva spesso. Tu, però... tu facevi in modo che non mi perdessi mai il tramonto. Tu contavi ogni minuto, vivendolo come fosse il primo e l'ultimo allo stesso momento. Il tempo, Fabio, ho imparato a viverlo solo vivendoti.

Ricordo tutte le nostre prime litigate: non sopportavi quando facevo ritardo. Non riuscivo a capirne il perché. Mi sembrava esagerassi, prendendola troppo sul serio. E' stato il tempo stesso a svelarmi i tuoi segreti. Il tempo non ci ritorna indietro e allo stesso tempo noi dobbiamo guardare davanti, perché sarebbe inutile focalizzarci su un passato che non c'è più. Su un passato che già è morte, ormai.

Incontriamo la morte ogni giorno, sfidandola. Morte. Adesso questa parola ti sembrerà una pugnalata dritta allo stomaco. Io la vita ho voluto lasciarla andare, non ho potuto fare altrimenti. Avevo dimenticato come si vivesse già da tempo. Ad un certo punto, prima o poi, questo momento sarebbe arrivato, e io lo sapevo perfettamente. Forse avevi cominciato a comprenderlo anche tu. Ricordo l'espressione sdegnata ogni volta che alludevo ironicamente alla mia condizione. Tu mi guardavi con la paura negli occhi, paura di chi non ha idea di cosa controbattere, di come agire. Già da tempo, ogni traccia di ironia era sparita, lasciando il posto a nude e crude constatazioni.

Non angosciarti. Non avresti potuto prevederlo. Non c'era modo di salvarmi. Io, in prima persona, non ho voluto essere salvato. La mia decisione l'avevo presa già da un po'. E' successo ciò che doveva succedere.

Non piangere. E' inutile che te lo dica. Sorridi, piuttosto, e ripensa a cosa siamo stati e non a cosa avremmo potuto essere. Forse è stato meglio concluderlo così, il nostro rapporto. Con molta probabilità, col tempo avrei rovinato tutto.

Il tempo ritorna sempre, onnipresente nelle mie parole. Cavolo, quanto mi hai cambiato... Prima non mi sarebbe importato di queste piccolezze. Ma che dico... il tempo è tutto tranne che una piccolezza! Vivi pienamente le tue emozioni, non posso impedirtelo, ma non perdere tempo! Io ormai me ne sono andato, e il tempo sprecato a farsene una ragione nessuno potrà restituirtelo. Prima o poi diventerò un pensiero secondario, col tempo, appunto, sarò collocato in un antro polveroso e inesplorato della tua mente, laddove giacciono tutti quei ricordi che ritornano a galla una volta ogni mille anni, che non saltano fuori nemmeno quando la sera, disteso sul letto ad occhi chiusi, i pensieri di qualsiasi tipo ti inondano la testa.

Dimenticherai la mia voce, ne sono certo. Scorderai i motivi delle canzoni che ti dedicavo sottovoce quando, a notte fonda, eravamo entrambi sotto le coperte, abbracciati, e i tuoi capelli mi solleticavano il petto nudo, perché a dormire vestito proprio non riuscivo.

"Cantane un'altra!"

"Fa', sono le tre e mezza, domani hai scuola. Poi non riuscirò a svegliarti nemmeno con le cannonate."

"Dai, una soltanto, per favore!" Mi guardavi con quegli occhi a cui non ho mai imparato a resistere. Ti passavo una mano fra i capelli e sapevo per certo che non avrei mai potuto dirti di no.

Ci sono troppe canzoni che non ti ho dedicato, ma non c'è stato abbastanza tempo. Anzi, il mio, di tempo, non l'ho utilizzato pienamente e, soprattutto, nel modo giusto. C'è un quaderno, in camera mia. Le pagine sono sgualcite, piene di cancellature, disegnini ai margini, le righe riempite di parole, canzoni, che avrei voluto cantarti, prima o poi. Parlavano tutte di te. Quel quaderno è tuo, ti appartiene di diritto. Capirai che non scherzavo quando dicevo che eri la mia musa ispiratrice. Tu scoppiavi in una risatina imbarazzata, io, invece, ti guardavo con gli occhi di una persona che ha scordato persino come mentire.

Fabio, mi mancherai forse più di tutti quelli che mi sto lasciando alle spalle, lo sai, vero? Ma la vita va avanti. La tua. La mia no di certo. Troverai qualcun altro, sicuramente qualcuno migliore di me, che sappia darti ciò che non sono stato in grado di lasciarti. Qualcuno che non ti faccia soffrire nel modo in cui continuo a fare io.

Stasera passerò a prenderti sotto casa. Ti regalerò un mazzo di fiori, quelli più belli che riuscirò a trovare. Stasera ti terrò la mano stretta nella mia. Ti abbraccerò forte, consapevole che, quando mi sarò staccato, tutto ciò che mi rimarrà sarà un vuoto incolmabile e gelido. Stasera non avrò paura di baciarti nel bel mezzo di una piazza affollata. Voglio che tutti ci guardino. Vorrei che il tempo si fermasse senza andare più avanti, in modo che questa sera sia eterna. Ti dirò che sei bellissimo, che sarebbe riduttivo affermare che ti amo, che ogni volta che ti guardo perdo il respiro.

Potessi farlo, sceglierei di morire guardandoti.

Ti lascerò davanti alla porta di casa tua quando l'alba sarà passata già da un pezzo, trattenendoti un secondo in più prima di aprire la portiera dell'auto, baciandoti ancora una volta. Mi dirai di lasciarti andare, che mi ami e che ci vedremo lunedì mattina, prima di scuola.

"Passi a prendermi, vero?"

Annuirò, incapace di controbattere. Mi sorriderai. Io tratterrò le lacrime e, una volta lasciata l'auto, ti vedrò andar via e non tornare più. Sono io, in realtà, quello fra i due che non farà più ritorno. Una volta andato via, chiusa la porta di casa, non prima di esserti voltato un'ultima volta a guardarmi, tornerà di nuovo a possedermi, quella sensazione di sconforto, di irrequietezza.

Sto piangendo, me ne sono reso conto solo adesso. Ho paura. Sono terrorizzato. Ma non posso continuare così. Fabio. Sei impresso sull'etichetta del contenitore dei miei antidepressivi. Un cuore in penna blu, abbozzato, disegnato per gioco. Quel giorno eri a casa mia, fuori la tempesta annebbiava il cielo. Io, invece, avevo la mente annebbiata dalla tempesta che infuriava nel mio stomaco. Quel cuore sarà, con tutta probabilità, l'ultima cosa che vedrò prima di andarmene. E mi ricorderà di te. E mi ricorderò di te, dell'odore del caffè che sei sempre solito prendere alle tre del pomeriggio, della moto che cerchi di riparare da una vita, della sigla della serie che guardavamo insieme, dello stupido peluche in camera tua, di quella volta in cui mi hai spiegato che il tramonto era la parte della giornata che non potevi assolutamente perdere, perché tutto nella tua testa si acquietava per un minuto e non riuscivi a percepire nulla se non la pace e la luce che ti colpivano dritto in volto.

Oggi il tramonto non ho voluto perdermelo. Non potevo. Sarebbe stato l'ultimo che avrei potuto condividere con te, di certo non fisicamente. Ma se c'è una cosa sicura, quasi quanto la morte, è che ogni giorno, ogni dannato giorno, alle sei del pomeriggio ti affacci al davanzale della finestra di camera tua, quella che dà sulle colline poco distanti, e aspetti impaziente che la luce dorata ti irradi. E pensi a tutto, o a niente, non sono mai riuscito a capirlo.

Alle sei di questo pomeriggio ho contemplato il tramonto, con la certezza che anche tu stessi facendo lo stesso. Chissà se anche domani, quando ormai io non ci sarò più, ti affaccerai alla finestra allo stesso modo; se la tua mente inquieta riuscirà a placarsi anche solo per un istante? Non potrò mai saperlo, ma forse è meglio così. 

Sono molte le cose che mi lascio alle spalle, ma a questo punto poco importa. Anche se devo ammettere che mi mancherai. Ma che sto dicendo? Quando non ci sarò più, non sentirò più nulla, nessuna sofferenza, né alcuna sensazione. Mi manchi adesso. Non smetti mai di mancarmi, anche quando siamo insieme, perché forse anche quando sono lì con te sono io quello che fra i due si assenta. Forse esisto in un'altra dimensione. Mi sembra sempre di allungare la mano per sfiorarti ed essere accolto da un vuoto insopportabile, irreprensibile. Ma è colpa mia. Tu non c'entri assolutamente nulla con tutto ciò. 

Il vuoto. Lo avverto costantemente dentro di me. Vorrei che scomparisse. Vorrei scomparire. Ci sto riuscendo. Solo un po' di tempo in più. E' solo questione di tempo. 

Spesso ti parlavo di come la mia mente fosse un continuo alternarsi di pensieri, di come mi sembrasse di assistere ad un concerto dal vivo che andava avanti ininterrottamente, senza pausa alcuna. Mentivo. Perché quando mi baciavi tutto si fermava per un secondo, e, dopo tanto tempo, riuscivo finalmente a percepirlo, il silenzio. 

Ho imparato a far buon uso di quegli attimi di pace, ben rendendomi conto che non sarebbero stati eterni. Ma nulla è eterno, no? Prima o poi a tutto c'è una fine. E forse l'unica cosa ad essere davvero immortale è l'arte, un po' come quel quadro appeso nel tuo soggiorno, quella veduta del canale di Venezia, che assomiglia quasi ad uno dei dipinti del Canaletto. Se adesso ci rifletto su è buffo: non ci sono mai stato, a Venezia. Avrei voluto portartici, un giorno, solo per vederti terrorizzato dai piccioni in piazza San Marco. Forse non solo per quello. Avrei voluto vederti scattare una miriade di foto a qualsiasi cosa avesse suscitato la tua curiosità. Avrei voluto passare la notte con te in un posto che non odorasse né di camera tua, né di camera mia, che fosse estraneo ad entrambi. Avrei voluto portati dovunque e tenerti per mano, perché questo è l'unico modo che ho per sentirmi al sicuro.

Avrei voluto portarti a Venezia. Ma questo lo riserveremo ad una prossima vita, no? O forse ci andrai con un'altra persona, e io te lo auguro, davvero. 

Venezia è il nostro tempo sprecato, quello che non ci torna indietro, e che avremmo potuto utilizzare per fare delle cose meravigliose. Venezia è un'occasione buttata al vento. Tutti abbiamo le nostre Venezie, dunque. Non fare come me: vivi al meglio, senza sprecare nemmeno un secondo. Senza Venezie. Non lasciare che diventino una zavorra insostenibile. Io ne sono stato inglobato, e adesso ne pago le conseguenze. 

Ho paura, Fabio. Paura di morire. Paura di vivere. A questo punto che si fa? Nulla. Semplicemente si attende. Ci si trova in una situazione di stallo, dove semplicemente si esiste senza però essere coinvolti nell'esistenza stessa. Non ho tempo di aspettare. Non c'è più tempo. Avrei dovuto dirti addio in un modo più consono, ma non sono mai stato bravo a congedarmi.

Lo ripeterò ancora una volta, forse ho bisogno di imprimerlo nella mia mente in modo indelebile. Nella vita una sola cosa è certa: la morte, e io ho bisogno di certezze. Perdonami, Fabio. E perdonati, soprattutto, perché non hai fatto nulla di cui pentirti. Non incolparti inutilmente. Semplicemente lasciami andare, lentamente, poco a poco, senza sentirti in colpa.

Alle sei di domani pomeriggio, nonostante nulla sarà più come prima, ti prego, guarda il tramonto, come se questo fosse un giorno uguale a tutti gli altri.

Fabio, questo lunedì non passerò a prenderti per andare a scuola. Fabio. Vivi ogni minuto come se fosse il primo e l'ultimo allo stesso tempo. Fabio. Non perdere altro tempo.
Ti amo. L'ho sempre fatto, segretamente, dal primo momento in cui i nostri sguardi si sono incrociati, e lo farò fino all'ultimo istante. Fino all'ultimo respiro. Senza perdere tempo.

Tuo,

Brando

 

   
 
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