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Autore: Soul of Paper    08/11/2020    7 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 48 - Pali e Paletti


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

“E taci!”

 

Premette compulsivamente il pulsantino del cellulare per spegnere la sveglia.

 

Come minimo si sarebbe ritrovata con ottocento foto, anzi screen, come li chiamava Valentina, della schermata di avvio del suo cellulare, ma era esausta.

 

Si era addormentata nuovamente dopo le quattro e la stanchezza cominciava ad accumularsi. Del resto, avere Calogiuri così vicino ma così lontano non era facile neanche per lei.

 

Si chiese se fosse ancora in casa.

 

Da un lato era ancora molto arrabbiata con lui e non lo voleva vedere. Un’altra parte di lei però sentiva la sua mancanza.

 

Del suo sorriso, dei suoi occhi e del suo abbraccio la notte.

 

Ma era proprio per quello che doveva essere forte, vederlo il meno possibile e non farsi infinocchiare un’altra volta da quegli occhioni azzurri da cucciolo spaurito. Non avrebbe ceduto finché lui non le avesse dimostrato di aver capito i suoi errori e di essersi svegliato.

 

Se non lo avesse fatto… sperava veramente di non doverlo cacciare nuovamente di casa e stavolta definitivamente.

 

Anche se forse… forse sarebbe stato per il bene di entrambi.

 

La storia del notaio del giorno prima l’aveva molto turbata. Il pensiero di essere un peso per lui in futuro, una zavorra, ovviamente non era la prima volta che la coglieva, anzi. Ma leggere la disperazione di Ferdinando Spaziani nelle parole che aveva lasciato alla moglie era stato uno schiaffo, una botta di realtà. Allo stesso tempo, però, vedere Calogiuri tanto commosso l’aveva fatta un poco sciogliere.

 

E poi le piaceva ancora tanto, troppo, lavorare con lui.

 

Per carità, sapeva che Calogiuri doveva scegliere da solo quale fosse il suo bene e non pretendeva da lui la maturità assoluta di colpo, come insinuava Valentina. La sua innocenza era pure il suo bello. Ma non se diventava stupidità, un alibi o un motivo per mancarle di rispetto. E mancarsi di rispetto.

 

Se no sarebbe stato meglio senza di lei e lei senza di lui, perché vedere quella foto di lui che si baciava con Irene l’aveva distrutta. L’aveva fatta sentire stupida e patetica come mai prima. Per non parlare di quando si era immaginata la scena della sauna.

 

E non poteva permettersi altri contraccolpi del genere.

 

Lentamente, aprì la porta della camera, guardandosi intorno, per capire come fosse la situazione.

 

La casa era silenziosa ed ancora mezza in penombra. Aprì il bagno e non c’era nessuno. Si avviò verso la zona giorno e trovò il divano perfettamente richiuso. 

 

Non sapeva se fosse più sollevata o più delusa.

 

Si guardò intorno e notò che la tavola era già apparecchiata per la colazione. Si avvicinò e trovò, nell’ordine, un cartoccio bianco contenente un bombolone alla crema, la moka sul fornello, pronta da accendere, e, soprattutto, un biglietto al centro della tovaglietta, con la scrittura ordinata e precisa di Calogiuri.

 

Sono uscito a correre presto, mi cambio in procura prima che arrivino gli altri.

Ti amo, anche se forse non ci credi più, ma io non smetterò mai di credere in noi due.

 

Mannaggia a lui, mannaggia! Aveva questo potere, pericoloso, di dire e scrivere cose che avrebbero squagliato pure il Polo Sud.

 

Non era il momento di cedere alla commozione.

 

Però prese il biglietto, se lo portò in camera, se lo richiuse nel comodino, sopra alla cornice con le foto di loro due, ancora ribaltata, e poi si avviò a fare colazione, sentendo che avrebbe avuto un poco più appetito dei giorni precedenti.

 

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“Buongiorno.”

 

Alzò gli occhi immediatamente, sentendo la sua voce.

 

E balzò in piedi, mentre cercava di coglierne l’umore.

 

Non sembrava arrabbiata ma era comunque illeggibile: una maschera di professionalità, un po’ brusca, come era sempre.

 

Anche se non con lui.

 

“Calogiuri, puoi seguirmi da Mancini? Dobbiamo riferire su quanto scoperto ieri.”

 

“Naturalmente, dottoressa,” rispose, sollevato che, quantomeno, si rivolgesse direttamente a lui, pure guardandolo negli occhi, senza ignorarlo come i giorni precedenti.

 

“Portati dietro la registrazione e la copia della lettera.”

 

“Dottoressa, se vuole posso stampare la trascrizione, ci metto un attimo, veramente.”

 

“Hai già fatto la trascrizione?” gli chiese, sembrandogli sorpresa e forse un poco colpita.

 

“Sì, ho avuto un poco di tempo stamattina e quindi…” rispose, in quello che era un messaggio in codice tra loro.

 

Effettivamente era arrivato in procura un’ora prima di tutti gli altri, almeno, per non essere a casa quando Imma si sarebbe svegliata, come gli aveva ordinato.

 

“Bene. Allora stampala e portala con te. Per intanto dammi la copia della lettera. Ti aspetto da Mancini,” proclamò, prima di afferrare la cartellina, girarsi e sparire oltre la porta della PG.

 

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“Dottoressa, si accomodi. Voleva parlarmi?”

 

“Sì, dottore, volevo aggiornarla sul caso Spaziani. Siamo ad una svolta,” spiegò, sedendosi sulla poltrona di fronte alla scrivania del procuratore capo.

 

“In che senso?”

 

Sentendosi ancora male al solo rivederla, Imma estrasse la copia della lettera dalla cartellina e gliela passò.

 

“Ho già disposto per una perizia grafologica sulla firma dell’originale, dottore. Se… se risulterà compatibile con la scrittura di Ferdinando Spaziani, vorrei disporre l’immediata scarcerazione di Amedeo Spaziani.”

 

Mancini non disse niente ma, mentre leggeva, i suoi occhi si spalancarono e parve completamente sconvolto.

 

Non che non lo capisse, anzi.

 

“Dottoressa, io-”

 

In quel momento bussarono alla porta e la segretaria di Mancini annunciò, “dottore, il maresciallo Calogiuri.”

 

Mancini guardò verso Imma, sembrando ancora più sorpreso, e facendole segno come a chiederle se la presenza di Calogiuri le fosse gradita o meno.

 

“Ho chiesto al maresciallo di raggiungerci perché ha la registrazione e la trascrizione dell’incontro di ieri col notaio, in caso volesse consultarle.”

 

Mancini sospirò e fece segno alla segretaria di farlo passare. Calogiuri comparve sulla porta, un’altra cartellina in mano, e la passò a Mancini.

 

I due uomini si fissarono in un modo che non prometteva niente di buono ma poi Calogiuri si sedette accanto a lei, rigidissimo, e Mancini, con un altro sospiro, iniziò a leggere la trascrizione.

 

Attese fino a quando ebbe finito, guardando dritta davanti a sé, anche se percepiva le occhiate di Calogiuri, pur senza poterle vedere.

 

“Dottoressa, che vorrebbe fare ora?” le domandò poi Mancini, una volta che ebbe terminato la lettura, incrociando il suo sguardo.

 

“Come le ho detto, se la perizia grafologica rivelerà che quella firma è realmente di Ferdinando Spaziani, vorrei predisporre la scarcerazione immediata di Amedeo Spaziani, dottore. Il notaio, oltre ad essere un professionista, mi è sembrato sincero pur nella… difficoltà nell’esprimersi a voce. E, in ogni caso, mi pare una storia troppo… dolorosa… per essere inventata, per favorire il giovane Spaziani, magari.”

 

Mancini rimase un attimo immobile, ma poi chiuse gli occhi ed annuì.

 

“Immagino lo sappia meglio di me, dottoressa, ma questa si configura come eutanasia vera e propria, non come suicidio assistito, secondo la sentenza della Cassazione. Il medico che l’ha praticata andrebbe perseguito. Che pensa di fare?”

 

“Come ha letto, dottore, il notaio sostiene di non conoscere l’identità del medico e che si tratti di un professionista svizzero. Come lei sa meglio di me, in Svizzera l’eutanasia non è un reato. Certo, praticarla in Italia lo è, ma… possiamo fare ulteriori ricerche, ma ritengo improbabile riuscire ad individuare il dottore, o almeno averne le prove definitive. Sa che è molto facile muoversi tra l’Italia e la Svizzera senza essere individuati e chiedere l’estradizione non è semplice, soprattutto visto che è un atto con rilevanza penale in Italia ma non in Svizzera. Comunque la terrò aggiornata.”

 

Mancini annuì e li congedò, sembrando ancora un poco scombussolato.

 

Calogiuri si alzò, le aprì la porta e la fece passare per prima, come da copione ormai consolidato.

 

La accompagnò fino alle scale e poi la guardò per un attimo, con un misto di dolore e di... senso di colpa?, finché con un “se avete bisogno di me, sono in PG.” si voltò e scese le scale.

 

Ma lei quasi non lo sentì nemmeno.

 

Perché in quel momento tutto le fu chiaro.

 

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“Buonasera. Calogiuri, se non tieni cose urgenti da fare, andiamo?”

 

Si era appena tirato in piedi e per poco non ricascò sulla sedia. Vide Mariani sorridere dalla sua scrivania e fargli l’occhiolino. Carminati invece aveva un’espressione che non prometteva niente di buono, ma non disse niente.

 

“Sì, certo che posso venire,” rispose, spegnendo di corsa il computer, afferrando la sua giacca e raggiungendola, mentre notava che erano solamente le diciassette e trenta.


Presto per lei per rientrare. Si preoccupò che stesse poco bene, ma sembrava camminare al suo solito passo marziale.

 

Non appena uscirono, vennero accecati dal flash di uno dei fotografi rimasti a presidio, ormai giusto un paio. Come al solito, le fece da scudo, la aiutò a salire in auto e si mise al volante.

 

Partì rapidamente, per evitare di essere seguiti.

 

“Faccio un giro un poco più largo e ti riporto a casa. Ma come mai così presto questa sera?”

 

“Perché non andiamo a casa, Calogiuri,” rispose lei, semplicemente, picchiettando sul cellulare, “ti dò un indirizzo. Lo imposti sul navigatore, appena ci siamo allontanati un po’?”

 

“V- va bene,” acconsentì, sorpreso ed intrigato da tutta quella segretezza.

 

Una parte di lui sperava che magari Imma lo avesse perdonato e fosse una sorpresa per fare pace. Un’altra parte però, conoscendo Imma, e sapendo di essere lui stesso a dover fare ammenda, dubitava che, al limite, lei si aspettasse che fosse lui ad organizzarle qualcosa.

 

Guidò in silenzio per qualche minuto, poi Imma annunciò, “dobbiamo andare a fare una visita non ufficiale, Calogiuri. Per questo non mi sono portata dietro Mariani: uscendo con te nessuno avrebbe sospettato che fosse per lavoro.”

 

La guardò, ma lei era sempre concentrata sulla strada.

 

Da un lato era deluso, che quella non fosse l’apertura che sperava, il ricominciare a tornare a casa insieme. D’altro canto, era comunque un gesto di fiducia nei suoi confronti, anche se solo lavorativamente parlando.

 

Ma con Imma era già tantissimo.

 

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“Ma questa è….”

 

Calogiuri aveva la bocca spalancata in un modo quasi comico. Non se lo aspettava proprio.

 

La scritta Villa Mughetto era incisa sul cancello e su alcuni cartelli che indicavano il parcheggio e dove fosse la reception.

 

“La clinica dove è morta la moglie di Spaziani, sì,” confermò, non perdendo tempo a scendere dall’auto, “forza, Calogiuri, veloce, che è già tardi, se no rischiamo di non trovare più nessuno!”

 

Lui le sorrise e si affrettò a raggiungerla. Lei scosse il capo e si infilò tra le porte automatiche dell’ingresso.

 

“Buonasera. Ho bisogno di parlare urgentemente con il dottor Renato de Carolis.”

 

“Ha un appuntamento, signora…?”

 

“Sostituto Procuratore Immacolata Tataranni ed il maresciallo Ippazio Calogiuri. Non abbiamo un appuntamento, a meno che il dottore non voglia seguirci in procura. Se lo può chiamare… gli dica che ci manda il notaio Torregalli.”

 

La ragazza sbiancò, poi divenne rossa da far concorrenza a Calogiuri, ed infine si mise a digitare rapidamente sul telefono interno.

 

“Dottore, sì, c’è qua una certa dottoressa Tataranni, un magistrato, con un carabiniere. Dice che la manda il notaio Torregalli. Che cosa-? Va bene, va bene, riferisco.”

 

“Potete passare,” proclamò la ragazza, dopo aver messo giù il telefono, “quarto piano, terzo studio sulla sinistra.”

 

“Grazie…” sospirò, avviandosi il più rapidamente possibile all’ascensore.

 

Il rischio di fuga di De Carolis era minimo - e del resto dove poteva andare? - ma meglio affrettarsi.

 

Scesi al piano, fece un cenno d’intesa a Calogiuri e lui la precedette, una mano sulla fondina, in caso di guai.

 

La porta era chiusa e Calogiuri bussò.

 

“Avanti!”

 

Calogiuri spalancò la porta ed Imma si trovò di fronte all’uomo che aveva visto nella foto con Spaziani, forse leggermente invecchiato.

 

Di sicuro con un’espressione sorpresa e spaventata.

 

“Dottoressa,” sospirò, alzandosi dalla scrivania, prima di fare un cenno verso le sedie di fronte a lui.

 

“Immagino lei sappia perché stiamo qua, dottore.”

 

“Rodolfo ha parlato, non è vero?” sospirò nuovamente, sembrando rassegnato, “Amedeo Spaziani non c’entra niente, dottoressa, quella dell’insulina è stata un’idea mia.”

 

“In realtà il notaio non ha fatto il suo nome, dottore, ma era chiaro che ci fosse lei dietro a tutta questa vicenda.”

 

De Carolis spalancò e poi chiuse la bocca, di scatto, infine si lasciò cadere sulla poltrona.

 

“Senta, facciamo così. Io le dico cosa è successo e lei mi conferma se è giusto, va bene?” gli chiese Imma, vedendolo provato, ed il dottore annuì flebilmente.

 

“Lei aveva già aiutato la prima signora Spaziani a morire, non è vero?” iniziò e De Carolis immediatamente parve ancora più sorpreso e ancora più rassegnato.

 

Annuì una volta, chiedendole, “ma come…?”

 

“Nel leggere l’ultima lettera di Ferdinando Spaziani, una cosa mi ha colpito. Parlava di essere rimasto tanto tempo da solo per il senso di colpa e raccomandava alla consorte ed al figlio di non fare i suoi stessi errori. Barbara ed Amedeo Spaziani avevano i loro scheletri nell’armadio, belli grossi pure, ma mi chiedevo perché Ferdinando Spaziani dovesse sentirsi tanto in colpa verso una moglie morta per una malattia incurabile, per tutti quegli anni, poi. Non era solamente il senso del dovere nei confronti del figlio, no, lui parlava proprio di senso di colpa. Lo rimarcava più volte. E allora mi sono chiesta… e se la morte della signora Spaziani non fosse stata così… naturale? E se Spaziani si fosse sentito in colpa per aver assecondato il desiderio di lei di morire, magari aiutato da un medico compiacente e che entrambi conoscevano molto bene?”

 

De Carolis non disse niente: era proprio ammutolito.

 

“Poi, quando anche Spaziani ha contratto una malattia terribile ed è arrivato ad un punto in cui era in uno stadio avanzato, ha pensato bene di chiederle aiuto, sia per smettere di soffrire, sia per risolvere il problemi della moglie e del figlio. E lei ha accettato di aiutarlo, no, dottore? Entrambi speravate che, viste le condizioni di salute di Spaziani, la sua morte sarebbe stata classificata come naturale. Ma, purtroppo per lei e per lui, il figlio di Spaziani ha fatto fuoco e fiamme, odiando la matrigna e ritenendola capace di uccidere il padre. E quindi c’è stata un’inchiesta ed un’autopsia e… lei ha rischiato che si scoprisse tutto quanto. Il figlio di Spaziani è stato implicato e lei… ha pensato bene di aiutarlo, fornendogli l’insulina per incastrare il povero Galiano.”

 

Un altro sospiro ed il medico finalmente parlò.

 

“Sì, dottoressa, con Amedeo ci eravamo visti al club e… ero preoccupato per lui. Sa, io l’ho visto crescere, l’ho incontrato che era un ragazzino, un adolescente. E pensare che ora Amedeo ha l’età che avevo allora, più o meno. Non… non avevo nulla contro Barbara, dottoressa, ma Amedeo mi aveva detto che lei aveva un alibi e lui no e che era sicuro fosse stato l’amante di lei, ma non sapeva come fare a provarlo e a scagionarsi. Io… mi sentivo in colpa nei suoi confronti, dottoressa, e allora… mi sono offerto di procurargli l’insulina.”

 

“Si è offerto lei di procurargliela o Amedeo Spaziani l’ha manipolata per farsela offrire da lei, dottore?” gli chiese, perché era stato un rischio enorme per il medico fare una cosa simile.

 

“Non… non lo so, dottoressa. Ma sono stato io a fare l’offerta e… Amedeo ha accettato. Lo sapevo di stare facendo una cosa sbagliata, dottoressa, ma almeno sia Barbara che Amedeo sarebbero stati salvi, che era la cosa che Ferdinando voleva più di ogni altra. E…”

 

“E chi se ne frega se un povero cristo si sarebbe fatto la galera, da innocente, no? Tanto lui non lo conosceva da quando era adolescente,” esclamò, incazzata nera, anche se non avrebbe saputo bene dire il perché, “sarebbe bastato che lei ammettesse quello che aveva fatto, se realmente non voleva coinvolgere nessuno.”

 

“Lo so, dottoressa, lo so, ma… mi creda, ho pensato diverse volte di costituirmi, ma… temevo di finirci io in galera e di non poter più fare il mio lavoro, dottoressa, aiutare chi ha bisogno di me. Ho sperato che prima l’avvocato e poi Amedeo riuscissero alla fine a scagionarsi, se no mi sarei presentato spontaneamente prima della fine del processo.”


“E lei pensa che stare in galera fino alla fine del processo sia una passeggiata di salute, dottore?”

 

“No, no, ma… speravo che Amedeo riuscisse a ottenere presto gli arresti domiciliari, vista la sua posizione e gli avvocati che si può permettere. Mi rendo conto che può sembrare egoista, dottoressa, ma per me il mio lavoro è una missione e viene prima di tutto.”

 

“Quale lavoro? Salvare vite o toglierle?” sibilò, non riuscendo a nascondere il tono sprezzante, davanti a tanta faccia tosta, “se lo ricorda il giuramento di Ippocrate, dottore? Primum non nocere.”

 

De Carolis balzò in piedi, sporgendosi verso di lei, tanto che Calogiuri lo imitò e stava per afferrarlo, quando Imma lo bloccò per un braccio, sollevandosi a sua volta per affrontare il medico.


“Lei pensa di sapere cosa vuol dire nuocere, dottoressa? Mi spieghi lei cos’è più nocivo, se aiutare un paziente a smettere di soffrire, dandogli una morte serena, o costringerlo a cure per tenerlo in vita artificialmente con dolori atroci. Oppure costringerlo a morire di fame, o sete, o senza respirare, per potersene andare senza violare le leggi. Io questa scelta l’ho fatta molti anni fa, dottoressa, dopo aver visto in che condizioni queste persone sopravvivono, anzi, sono costrette a sopravvivere arrivate ad un certo punto. E perché? Perché ci deve essere un valore nella sofferenza, neanche fosse un merito? In molti stati l’eutanasia è legale, dottoressa, ma in Italia no, c’è solo il suicidio assistito. Ma se un uomo ha i problemi che aveva Spaziani, che non riesce neanche a tenere in mano una penna, come deve fare ad andarsene da solo, senza aiuti? Mi dica lei se questa sua legge è giusta, dottoressa, se è giusto costringere delle persone a vivere soltanto perché la medicina può tenerle in vita.”

 

Imma rimase senza parole, di fronte a tanta veemenza e disperazione.

 

Sulla condotta riguardo ad Amedeo Spaziani e all’insulina, il dottore aveva sbagliato completamente ma su questo… poteva veramente lei giudicare? Poteva una legge giudicare?

 

“Io non so cosa sia più giusto in questo caso, dottore, ma non spetta a me deciderlo. Io devo fare rispettare le leggi, che però si possono cambiare, se ingiuste.”

 

“E quando, dottoressa?! Ci è voluta una sentenza della Cassazione per avere uno spiraglio minimo. Ma a lei pare giusto che un giudice possa decidere se un medico che aiuta un paziente ad andarsene ha compiuto un omicidio o un suicidio assistito secondo una minima differenza procedurale? Che legge sarebbe questa?”

 

“Dottore, già gliel’ho detto. Le leggi si possono pure cambiare e penso che questa storia potrebbe aiutare a farlo, che la sua esperienza potrebbe aiutare a cambiare le cose, invece di continuare a fare tutto sottobanco. Le dò ventiquattr’ore per costituirsi. In caso lo faccia spontaneamente, cercherò in ogni modo di perorare la teoria che sia stato un suicidio assistito e quindi legale. Naturalmente però le resteranno le imputazioni per aver aiutato Amedeo Spaziani nel tentativo di incastrare Galiano per la morte di suo padre. Nonché per aver sottratto illegalmente l’insulina da questa clinica.”

 

“Dottoressa…” sospirò lui, accasciandosi nuovamente sulla sedia.

“Non me ne faccia pentire, dottore,” gli intimò, guardandolo dritto negli occhi, che gli si riempirono di lacrime, e De Carolis annuì.

 

“Andiamo, Calogiuri?” gli chiese poi, voltandosi verso di lui e notando che pure lui di sicuro non ce li aveva asciutti.

 

Non che lei fosse messa meglio.

 

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“Pensi che si costituirà veramente? E che non avrà problemi?”

 

Erano appena saliti in macchina e stava avviando il motore, ma non poteva più trattenersi dal domandarglielo.

 

“Lo spero, Calogiuri. E, ovviamente, qualche guaio con la giustizia ce l’avrà e pure con l’Ordine dei Medici - e giustamente, con quello che ha combinato a Galiano! - ma… sempre meglio di un’imputazione per omicidio, no?”

 

Partì, non riuscendo ad evitare di essere preso da tanti pensieri, confusi e contrastanti, su quella storia.

 

“A che pensi?” gli chiese all’improvviso e si voltò, trovandola ad osservarlo, con curiosità e forse un po’ di preoccupazione.

 

“A che… che sono orgoglioso di te, moltissimo,” le rispose, temendo per un attimo che lei reagisse male, essendo lui più giovane ed un sottoposto. Invece le labbra le si tesero in quello che pareva quasi un accenno di sorriso, “e poi… e poi che… non so cosa farei se… mi trovassi in una situazione simile. Sia se… se fossi io il malato, sia se fossi uno dei parenti. Il figlio, magari.”

 

Imma abbassò gli occhi, sospirò e poi riprese a guardare la strada.

 

Rimase deluso, pensando che la conversazione fosse già finita, ma invece lei riprese a parlare, come se stesse ragionando anche tra sé e sé, “non lo so, Calogiuri. Credo che in certe situazioni bisogna trovarcisi per sapere come si reagirebbe ma… so solo che, anche se la sua morte improvvisa è stato uno shock, sono felice di non essere arrivata a quel punto con mia madre. Se invece toccasse a me essere… condannata ormai a morte e sofferente… credo che non vorrei soffrire all’infinito o essere un peso per gli altri.”

 

“Non potresti mai essere un peso, Imma, non dirlo nemmeno per scherzo!” non potè trattenersi dall’esclamare, ma lei fece una risata amara e lo guardò in un modo che gli fece malissimo.


“Certo che lo potrei essere, invece: non prendiamoci in giro, Calogiuri! C’ho sedici anni più di te. È molto facile che io possa un giorno diventare non autosufficiente, mentre tu sarai ancora giovane!”

 

“Sedici anni non sono trenta, Imma, e se… se tu soffrissi troppo… è un conto ma… se si ama si ama sempre, pure se uno è malato o non si può muovere. Finché c’è vita e… e appunto non si soffre tremendamente, per me c’è speranza, lo sai, no? A parte che potrebbe pure capitare a me, col lavoro che faccio, e lo sai. E poi… e poi le donne vivono in media cinque anni più di noi uomini, quindi, alla fine se ci pensi resta una decina d’anni, forse neanche, visto come sei fatta tu.”

 

“E da quando saresti un esperto della speranza di vita alla nascita, Calogiuri?” gli chiese, alzando un sopracciglio, con un’espressione indefinibile.


Accostò l’auto, ricambiò lo sguardo e le disse, “da quando non so immaginare la mia vita senza di te.”

 

Le uscì dalla gola un suono strozzato, che gli fece una tenerezza incredibile, e poi vide gli occhi di lei riempirsi nuovamente di lacrime, mentre una le sfuggiva sulla guancia.

 

Si sentì stringere la mano, un calore che gli si irradiò lungo il braccio, mentre il cuore gli batteva fortissimo, di felicità. Dopo un attimo di esitazione, non solo ricambiò la stretta ma, con l’altra mano, le sfiorò la guancia, per asciugarle le lacrime.

 

Imma, per fortuna, non si ritrasse e-

 

E in quel momento un trillo rimbombò nell’abitacolo ed Imma si staccò bruscamente, finendo di asciugarsi il viso da sola.

 

Maledicendo il tempismo di chiunque lo avesse cercato, prese il telefono dal suo posto sotto la radio e lesse quel nome.

 

Irene

 

In tralice, vide Imma irrigidirsi sullo schienale, le braccia incrociate al petto, e capì che l’aveva visto pure lei.

 

“Tieni, leggilo tu, non ho niente da nascondere,” si affrettò a dirle, passandole il cellulare.

 

“Non stiamo alle elementari e non è necessario, Calogiuri. Il problema non sono certo due messaggetti, è tutto il resto il problema.”

 

“Va bene, ma comunque pure i due messaggetti non hanno segreti per te. Leggi,” ripetè, mettendole praticamente il telefono in grembo.

 

Temette per una frazione di secondo che glielo spaccasse da qualche parte - in faccia, per non dire altro - ma poi Imma sospirò, sbloccò lo schermo e lesse con un sopracciglio alzato.

 

E poi gli mostrò il display.

 

Lo so che non è il momento migliore e che dobbiamo tenere le distanze, ma sabato è il compleanno di Bianca e mi ha chiesto se ci sarai alla sua festicciola che faremo qua a casa. Ci saranno un paio di mie amiche e le loro figlie. Se ti andasse di venire sarebbe un regalo bellissimo per lei, ma capisco se non te la senti. Scusami ancora.

 

Si rivolse ad Imma ma lo fulminò con un, “non guardare me, Calogiuri! Ovviamente non ti impedirei di andare al compleanno di una bambina.”

 

Ma capì sia dal tono che dalla postura quanto l’atmosfera fosse radicalmente mutata.

 

Erano tornati all’Era Glaciale.

 

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“Vado in camera. Tanto non c’ho fame.”

 

Aveva gettato cappotto e borsa all’ingresso e si stava avviando a falcate rapide verso il corridoio.

 

“No, Imma, non puoi non mangiare. Esco io a comprarmi qualcosa sotto casa.”

 

Imma si voltò, fulminandolo con lo sguardo. Era già arrivata troppo vicina a cedere ma, per fortuna, il messaggio della gattamorta l’aveva riportata alla realtà.

 

Non aveva nulla contro Bianca, anzi, ma era uno dei motivi per i quali Calogiuri difficilmente si sarebbe staccato da Irene e lei avrebbe continuato con i suoi assalti più o meno ambigui.

 

“Ti ho già detto che non ho fame, Calogiuri!”

 

“Non se ne parla, sei già abbastanza magra, non puoi digiunare. Non ho problemi ad andarmi a prendere qualcosa,” ribatté, decisissimo, ed Imma sapeva che quando era così non c’erano santi, quindi non disse niente, mentre si rinfilava il giaccone e metteva una mano sulla porta d’ingresso.

 

Si fermò, però, e le disse, guardandola negli occhi, “perché… perché non vieni anche tu al compleanno di Bianca?”

 

Scoppiò a ridere, perché le sembrava paradossale, “Calogiuri, non ho niente contro Bianca, anzi, ma ci manca solo il tutti insieme appassionatamente con la cara Irene, ci manca! E poi abbiamo proprio fatto tutto!”

 

“Ma qua non si tratta di Irene, si tratta di Bianca. E, da quando ti ha conosciuta, ogni volta che la vedo chiede sempre di te. E comunque da solo non ci vado: o vieni con me, o niente. Decidi tu ed in base a quello risponderò ad Irene.”

 

Rimase bloccata per un secondo, sorpresa da tanta veemenza: sembrava ancora più convinto di quando la rimproverava sul non mangiare.

 

E lui uscì prima che potesse fermarlo, anche se forse era meglio così.

 

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“Maresciallo.”

 

Stava tornando dal bar e per poco non gli venne un colpo quando si ritrovò davanti a De Carolis, che aveva la faccia di un morto che cammina.

 

“Dottor De Carolis.”

 

“Volevo… parlare con la dottoressa Tataranni. Per fornire una dichiarazione spontanea.”

 

“Sì, certo, seguitemi,” gli rispose, precedendolo lungo le scale e poi verso l’ufficio di Imma.

 

Bussò.

 

“Avanti!” lo raggiunse l’urlo di lei, con quel tono che gli strappava sempre un sorriso.

 

“Dottoressa, c’è qua il dottor De Carolis che vuole conferire con voi.”

 

Vide l’espressione sorpresa e poi sollevata di Imma.

 

“Sì, fallo pure passare, Calogiuri. Mi andresti a chiamare Mariani, per prendere la deposizione?” gli chiese, con uno sguardo eloquente che era non te la prendere, sai perché è meglio che lo faccia Mariani!

 

“Naturalmente, dottoressa. Dottor De Carolis,” lo salutò, avviandosi a passo svelto verso la PG.

 

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“Io vado, dottoressa. Buon finesettimana!”

 

Fece un cenno con la mano verso Asia che uscì dal suo ufficio, alla gran di corsa. Magari aveva qualche appuntamento.

 

Guardò l’ora: erano già le diciotto ed effettivamente si sentiva stanchissima.

 

La deposizione di De Carolis aveva richiesto un paio d’ore di lavoro almeno e l’aveva spompata quasi quanto quella del giorno prima.


Sentire quella storia era come incontrare uno di quei lenzuoli ambulanti dei libri di Harry Potter che leggeva Valentina: ti toglieva ogni gioia, ogni energia.

 

Con uno scatto, chiuse il fascicolo a cui stava lavorando e decise che poteva pure attendere lunedì.

 

Si infilò il cappotto e si avviò verso le scale, mentre ragionava se farsi accompagnare da Mariani o da Calogiuri.

 

“Dottoressa, aspetti!”

 

Mancini era uscito dal suo ufficio in quel momento e l’aveva chiamata.

 

“Ha bisogno di qualcosa, dottore?” gli chiese, mentre lui si avvicinava, “sto andando a casa.”

 

“No, volevo solo dirle che… mi ha sorpreso molto che De Carolis si sia presentato spontaneamente, dopo che il notaio ha parlato. Sarebbe stato molto difficile risalire a lui. Lei c’entra qualcosa, per caso?” le domandò, con un’occhiata che indicava che aveva intuito benissimo cosa fosse successo.

 

“Ho solamente fatto il mio mestiere, dottore. Ed il caso Spaziani, almeno per quanto riguarda le indagini, è veramente chiuso, non crede?”

 

Mancini scosse il capo ma le fece un sorriso,

 

“Lo vuole un passaggio fino a casa, dottoressa? I fotografi forse si sono arresi, ma meglio non rischiare.”

 

Imma si morse il labbro e poi scosse il capo, “dottore, la ringrazio molto ma… penso che tornerò a casa con Calogiuri, che tanto dobbiamo andarci entrambi.”

 

“Dottoressa, il maresciallo non c’è. Questo pomeriggio è stato via con Irene ed immagino che saranno poi andati direttamente a casa, se hanno finito, o comunque che ormai non torneranno qui in procura.”

 

Una fitta di gelosia la colpì proprio dietro lo stomaco.

 

Cercò però di trattenerla: Calogiuri con la Ferrari ci lavorava e già non poteva collaborare con lei, non voleva certo impedirgli di farlo con la procuratrice che aveva i casi più importanti.

 

Una parte di lei era tentata, molto tentata, di accettare la proposta di Mancini e tornare a casa con lui. E magari fare un poco poco rodere qualcuno.

 

Ma sarebbe stato infantile e poi non voleva rischiare assolutamente di passare dalla parte del torto, perché una mancanza di rispetto non ne giustifica mai un’altra, né in positivo, né in negativo.

 

“Allora vorrà dire che mi farò accompagnare da Mariani. Dovrebbe essere ancora qua, visto che abbiamo lavorato insieme fino a poco fa.”

 

Il volto di Mancini sembrò farsi infinitamente più triste.

 

“Dottoressa, ma è… è soltanto per i giornalisti o sono io ad aver fatto qualcosa che non va?” le chiese, con un tono chiaramente ferito.

 

“Dottore, lei è sempre gentilissimo ed ultimamente mi ha aiutata molto ma… sappiamo entrambi quali sono i… pregressi tra di noi, no? E, vista la situazione, non voglio essere io a creare ulteriori fraintendimenti, in nessuno,” rispose, guardandolo negli occhi e sperando che capisse che in quel nessuno c’era compreso anche lui, oltre a Calogiuri e ai giornalisti.

 

“Dottoressa, lo capisco, ma… le ho già detto una volta che… non ci avrei più provato con lei e non avrei tentato altri… avvicinamenti, salvo sia lei a fare la prima mossa. Anche perché non vorrei mai essere un ripiego o una ripicca nei confronti del maresciallo. Mi dispiace se non si sente a suo agio a stare da sola con me, pensavo che quella fase l’avessimo superata. Ma la capisco e… allora le auguro buona serata ed un buon finesettimana.”

 

“Anche a lei…” riuscì giusto a pronunciare, perché Mancini se ne andò rapidamente, forse a leccarsi le ferite in privato.

 

Una parte di lei non poteva che dispiacersi per lui: le faceva tenerezza e poi era sempre così incredibilmente gentiluomo. Ma, d’altro canto, sarebbe stato peggio illuderlo, perché lei al momento, purtroppo, rimaneva innamorata di un altro, pure se si comportava da idiota.

 

Stava per avviarsi pure lei - due passi non le avrebbero fatto male! - quando, con la coda dell’occhio, notò una macchia chiara vicino alla porta della PG.

 

Mariani, che la guardava a bocca mezza aperta.

 

“Ha sentito tutto, immagino?”

 

Mariani si impanicò e balbettò un, “s-sì, dottoressa. Ora ho capito perché Calogiuri sembrava sempre avercela tanto con Mancini.”

 

“Mariani, se si fa sfuggire qualcosa…!” le intimò, col suo tono più minaccioso.

 

“Stia tranquilla, dottoressa. E a chi dovrei parlarne? A parte a Calogiuri, che tanto già lo sa e non mi pare il caso di rigirargli il dito nella piaga in questo momento.”

 

“Sarà meglio!”

 

“Però… dovrebbe svelarmi il suo segreto, dottoressa. Io i due di picche li prendo sempre e non li dò mai.”

 

“Il segreto? Migliorare i suoi gusti in fatto di uomini, Mariani. Gli stronzi possono attirare quando si è giovani, ma dopo un poco bisogna capire che gli uomini che non devono chiedere mai e che non si esprimono, non è che abbiano chissà quale mistero o profondità da svelare. In realtà è perché non hanno proprio niente da offrire e da dire.”

 

Per un secondo temette di essere stata troppo diretta e brusca, ma Mariani sorrise ed annuì con un, “ha ragione. Ma al cuore non si comanda, dottoressa.”

 

“Lo so. Ma ad un certo punto si comanda, se ciò che ci suggerisce ci rende infelici.”

 

“Però bisogna pure ascoltarlo, no? Se non farlo ci rende infelici,” ribattè Mariani ed Imma si sentì colta in fallo.

 

Mariani non era affatto ingenua, anzi.

 

“Mi scusi, lo so che non sono affari miei, dottoressa e lei fa bene a tenere Calogiuri sulle spine, eh, ma… ieri sera ho sperato che vi foste riconciliati.”

 

Ed era pure coraggiosa, parecchio.

 

“Diciamo che dovrà darmi qualche dimostrazione pratica, Mariani, di aver capito i suoi errori. Ma ci stiamo lavorando. Ora però, mi potrebbe accompagnare a casa?”

 

“Certamente, dottoressa, porto l’auto qua davanti, in caso ci fossero ancora i fotografi.”

 

La vide sparire oltre il portone.

 

Era felice che Calogiuri avesse un’amica così. Ma di un’amica così forse avrebbe avuto bisogno pure lei, con Diana tanto distante.

 

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Ti ho lasciato purè e polpette in frigo, solo da scaldare.

Io ho già mangiato e sono andato a fare un poco di spesa.

Avvisami quando posso rientrare e se hai bisogno che compri qualcosa in particolare.

Sempre e solo tuo,

Calogiuri

 

Imma rifletté sullo strano potere che aveva da sempre Ippazio Calogiuri su di lei. Se con il resto dell’umanità, figlia compresa, doveva sforzarsi per non perdere la pazienza, con lui doveva sforzarsi per rimanere in collera.

 

Altro che pericoloso era!

 

Estrasse le vaschette dal frigo e le mise a scaldare in microonde.

 

Stava mangiando la seconda polpetta - doveva farsi dare la ricetta! - quando, d’istinto, prese il telefono ed iniziò a comporre un messaggio.

 

Non fare lo scemo e rientra, mica sei in esilio e

 

Riuscì a scrivere giusto quello, perché il telefono iniziò a vibrare e squillare, cadendole sul tavolo.

 

Stava già maledicendo chiunque fosse - per fortuna il cellulare era robusto - quando il nome sul display le fece chiudere lo stomaco.

 

Non poteva rifiutare di nuovo la chiamata, ma non ne aveva assolutamente voglia.

 

“Pronto, Pietro?”

 

“Imma! E finalmente! Sono giorni che provo a chiamarti e tu non rispondi! Ero preoccupato, ho pure chiesto notizie a Valentina per capire se stessi bene.”

 

“Sto bene, Pietro, sto bene, sono solamente stata intasata da telefonate di gente che, appunto, voleva sapere se stessi bene. E lo sai che ho una pazienza molto limitata.”

 

“Ma c’abbiamo una figlia in comune, Imma, abbiamo condiviso vent’anni di vita, direi che, rispetto a tutte le altre telefonate, una priorità, almeno piccola, dovresti pure concedermela, o no?”

 

Imma sospirò e si sfregò gli occhi: effettivamente se fosse successo qualcosa a Pietro, se lei lo avesse cercato e lui non le avesse risposto, si sarebbe incazzata e non poco.

 

“La prossima volta cercherò di risponderti prima, Piè, ma pure tu, però, non mi cercare subito, cinque secondi dopo che escono le notizie. Puoi capirlo che sarò impegnata, no?”

 

“Va bene. Ma hai una voce strana. Sei sicura di stare bene?”

 

“Stavo mangiando, Pietro, sarà per quello.”

 

“Lui è lì? Per questo sei strana? I giornali prima dicono che lo hai cacciato di casa, poi che avete fatto pace, non è facile capire che succede nella tua vita.”

 

I buoni propositi svanirono e l’irritazione la prese di nuovo.

 

“Pietro, con tutto il rispetto, sono affari miei.”

 

“Allora non lo hai perdonato, visto il tuo tono e-”

 

“Visto che ci tieni tanto a saperlo, Calogiuri non è qui ma a fare la spesa, dopo che mi ha preparato la cena. Immagino che tornerà tra poco. Se vuoi ti passo la ricetta delle sue polpette al sugo, già che gliela devo chiedere pure io. Meritano assai.”

 

“Imma, ma perché reagisci così? Sono solo preoccupato per te!”

 

“Perché sei umano, Piè, e so benissimo che non è solo per preoccupazione che mi chiami, ma anche perché una parte di te non vedeva l’ora di dirmi, magari non esplicitamente, ma tra le righe, che me lo avevi detto, che Calogiuri è un ragazzino, che mi lascerà o mi tradirà eccetera, eccetera, eccetera….”

 

“Veramente volevo solamente accertarmi che non stessi troppo male, Imma. Ma buon per te se al tuo maresciallo perdoni un bacio appassionato con una collega dopo due giorni. Una volta eri diversa.”

 

“Sì, sono diversa, ma un bacio con un’altra col cavolo che lo perdonerei, pure a Calogiuri! Ma quello era solamente lavoro.”

 

“Sei proprio cambiata, Imma! Se sta bene a te, buon per te. Volevo proporre a Valentina di rimanere lì domani, per starti vicina, invece che venire da me, ma a questo punto, visto che stai bene, non mi pare il caso. E, se reagisci in questo modo ogni volta che mi preoccupo per te, eviterò di farlo in futuro.”

 

La linea si interruppe bruscamente. Le aveva chiuso il telefono in faccia.

 

L’irritazione ormai era debordata in incazzatura. Si infilò in bocca in rapida sequenza le due polpette ed il poco purè rimasti, buttò tutto nella lavastoviglie ed andò in camera.

 

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Non avrebbe dovuto mangiare così in fretta e poi mettersi a letto.

 

Le sembrava di avere un cinghiale sulla pancia, peggio di una nota pubblicità, ma erano le polpette che le nuotavano nello stomaco.

 

Si alzò, decidendo di andare in bagno e poi a farsi una limonata calda, sperando che risolvesse.

 

Uscendo dalla stanza, notò subito che era tutto buio.

 

Effettivamente non aveva sentito alcun rumore, mo che ci pensava.

 

Calogiuri non era né in bagno né in salotto. Ma dov’era finito?! Erano le ventitré passate.

 

La limonata poteva attendere. Prese il telefono e gli inviò immediatamente un messaggio.

 

Ma la spesa sei andato a farla a Grottaminarda? Dove sei finito?!

 

Lui lo lesse immediatamente e vide che prese a rispondere. Voleva proprio capire che scusa si inventava mo!

 

Veramente aspettavo un tuo messaggio per rientrare, come ti avevo detto. Per fortuna non ho comprato i surgelati. Sto nel bar sotto casa.

 

Alle polpette si aggiunse una fitta di senso di colpa: presa dalla rabbia nei confronti di Pietro, si era completamente scordata di inviargli il messaggio.

 

Lo ripescò e lo completò.

 

Non fare lo scemo, rientra! Mica sei in esilio che devi aspettare il mio permesso!

 

La frase “sta scrivendo…” rimase attiva molto a lungo, ma alla fine le giunsero solo due parole.

 

Va bene.

 

Era incazzato, era evidente.

 

Ed un poco lo capiva pure.

 

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Sentì la porta d’ingresso aprire e poi richiudersi.

 

Lo vide liberarsi del giubbotto e poi, senza una parola, poggiare le buste della spesa di fronte al frigorifero.

 

Cominciò a ritirarla, sempre senza parlare, con una rapidità che non era da lui, tanto quanto quel genere di silenzio, pur essendo uno di poche parole.

 

“Calogiuri….” gli sussurrò, ma lui continuò a infilare le verdure nell’apposito scomparto, “Calogiuri, io-”

 

“Imma, lo capisco che sei arrabbiata con me, lo capisco,” proclamò improvvisamente, mollando i gambi di sedano per voltarsi, e lesse chiaramente la rabbia ed il dispiacere trattenuti in quegli occhi azzurri, “posso pure capire che non mi vuoi vedere. Lo so che ho sbagliato e che mi devo fare perdonare. Ma basta che me lo dici e mi attrezzo per cenare fuori e tornare solo per dormire, invece di rimanere da qualche parte come uno scemo ad aspettare per ore che tu ti degni di darmi un cenno. Ti amo e farei quasi qualsiasi cosa per dimostrartelo, ma non sono un cagnolino che sta fuori in giardino ad aspettare che gli apri.”

 

Imma rimase a bocca spalancata. Un senso di qualcosa, tra la colpa e l’orgoglio, le si mosse nel petto.

 

Quanto le piaceva quando tirava fuori il carattere!

 

“Hai ragione,” le toccò ammettere, con un sospiro, “e ti chiedo scusa ma… ho ricevuto una chiamata di Pietro e mi sono così arrabbiata che il messaggio mi è proprio passato dalla capa.”

 

“Pietro? Ma che è successo? Che ti ha detto?” le chiese, l’incazzatura che sembrava essergli svanita all’istante, trasformandosi in preoccupazione.

 

Sul mettere da parte l’orgoglio in caso di emergenza erano molto simili, pur essendo due testoni.

 

“Tranquillo, non è successo niente. Diciamo che si aspettava di trovarmi disperata ed in crisi, ma non gli ho voluto dare soddisfazione. E quindi abbiamo discusso e mi ha attaccato il telefono in faccia.”

 

“Mi- mi dispiace. Lo so che tutto questo casino è colpa mia. Ma l’ultima cosa che avrei mai voluto era che qualcuno potesse dubitare di quello che provo per te. Soprattutto tu.”

 

Il cuore le si sciolse peggio dei surgelati che Calogiuri non aveva comprato. C’era qualcosa di così disarmante nel modo in cui aveva pronunciato quelle parole, dritto negli occhi.

 

Ma finì di ritirare la spesa e lui la aiutò, in silenzio.

 

Poi la guardò, come a chiederle il da farsi.

 

Forse un permesso.

 

“Il… il bagno è libero, l’ho già usato. Se hai bisogno di farti una doccia è tutto tuo.”

 

Lui parve un poco deluso ma annuì e con un “allora, buonanotte...” si avviò verso il corridoio.

 

“Aspetta!”

 

La lingua si era mossa più rapidamente del suo cervello. Era stato il cuore a parlare per lei e Calogiuri si voltò nuovamente, fissandola in un modo speranzoso che le faceva male.

 

“Sì?”

 

Lottò contro se stessa per qualche interminabile istante.

 

“Per… per il compleanno di Bianca.... se Irene mi vuole tra i piedi, ci vengo pure io.”

 

Non era quello che avrebbe voluto dirgli, o meglio, non solo. Le era mancato il coraggio.

 

Ma lui le regalò un sorriso bellissimo e sembrò quasi commosso nel dirle, “se non ti vuole non ci vado neanche io, te l’ho già detto.”

 

“Ma non è giusto nei confronti di Bianca, Calogiuri.”

 

“Sarebbe Irene a farle un torto in quel caso, non io.”

 

La commozione e l’orgoglio ormai le scoppiavano nel petto, mentre qualcosa dentro di lei urlava di abbracciarselo, lì, subito.

 

E non solo quello.

 

Ma, mentre combatteva la sua battaglia invisibile, Calogiuri pronunciò un altro “buonanotte!” e, prima che quasi se ne accorgesse, la porta del bagno gli si richiuse alle spalle.

 

Meglio così! - le suggerì una voce.

 

Ma ne era sempre meno convinta.

 

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Diede un pugno al cuscino e si voltò di nuovo, come una cotoletta.

 

Di dormire non se ne parlava. Continuava a pensare a lui: al suo sorriso, al suo sguardo, perfino a quando le aveva tenuto testa.

 

Alle sue braccia, alle sue mani, alle-

 

Troncò quel pensiero, che stava prendendo una deriva molto pericolosa.

 

Del resto era una donna, non era una santa.

 

Prima quasi di rendersene conto, si trovò in piedi, la mano sulla maniglia della porta.

 

Rimase in stasi, per qualche secondo, mentre cuore - e ormoni - lottavano contro la ragione.

 

Ma poi si costrinse a mollare la presa e tornare a letto: se lo avesse visto non sarebbe riuscita a controllarsi ed era chiaro come sarebbe finita.

 

La attendeva una notte in bianco, in tutti i sensi, in compagnia dei bollenti spiriti.

 

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Aprì la porta, sentendosi più stanca quasi di quando era andata a dormire.

 

Se cinque ore di sonno potevano essere definite dormire.

 

Si incamminò verso la cucina, con l’idea di farsi un caffè doppio, notando il silenzio perfetto che c’era in casa e chiedendosi se Calogiuri fosse uscito a correre o chissà che altro.

 

E fu in quel momento che se lo trovò davanti ed il sonno le passò di colpo.

 

Era disteso sul divano letto, tutto avvolto nel lenzuolo, tanto che sembrava un bozzolo. Forse aveva fatto sogni agitati, la fronte era corrugata e dormiva profondamente.

 

Dio, quanto era bello!

 

Si avvicinò piano piano, per non svegliarlo e godersi ancora un poco quei momenti in cui poteva ammirarselo, non vista.

 

Quanto le era mancato osservarlo dormire! Anche se di solito aveva un’espressione molto più tranquilla e serena.

 

Sempre piano, per quanto fosse - poco - capace di essere delicata, si sedette sul bordo del letto, in uno spazietto lasciato libero dalle braccia di lui.

 

Rimase per un attimo come ipnotizzata, ma poi la sua mano si mosse da sola e si ritrovò ad accarezzargli una guancia.

 

“Im-ma, Imma…” lo sentì sussurrare nel sonno.

 

Almeno sognava lei e non la gattamorta, era già qualcosa!

 

Aveva appena sollevato le dita dalla pelle di lui, quando incrociò due occhi azzurri che la guardavano sonnacchiosi.

 

E poi li spalancò di scatto e si mise a sedere, balbettando, “scu- scusami, non devo avere sentito la sveglia, ma-”

 

“Ma oggi è sabato, Calogiuri, è per quello che non hai sentito la sveglia: non c’è,” lo interruppe, intenerita dal panico di lui.

 

“Con tutto quello che è capitato me ne sono dimenticato!” le disse e, dopo essersi passato una mano sugli occhi ed una tra i capelli, fece per avvicinarsi all’altro capo del letto, come per alzarsi.

 

“Dove pensi di andare, maresciallo?” gli chiese, abbrancandolo per il braccio e lui la guardò, un poco confuso.

 

Si morse le labbra per trattenere un sorriso, ma continuò a fissarlo, dritto negli occhi.

 

L’espressione di lui mutò dalla confusione alla speranza, ma pareva anche come intimorito.

 

Le faceva una tenerezza immane: le ricordava il Calogiuri dei primi tempi della loro relazione clandestina che, quando non la buttava al muro in un bacio appassionato, sembrava aver sempre paura che lei non gradisse i suoi contatti e che potesse respingerlo da un momento all’altro.

 

“Ma perché sei sempre così ingenuo?” gli chiese con un sospiro.

 

“In- in che senso?”

 

“Nel senso che quando una ci sta a provare con te non lo capisci proprio!” gli rispose, dandogli un pizzicotto al braccio.

 

Calogiuri spalancò occhi e bocca e poi le chiese, con un sorriso a ottocento denti, “ma intendi che-”

 

E proprio in quel momento, squillò il telefono di Calogiuri.

 

Una chiamata e, chiunque fosse, era pure insistente.

 

Allungò il collo e lesse il nome sul display.

 

Irene

 

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Il cuore, dallo scoppiargli per la felicità, pareva all’improvviso schiacciato in una morsa tutt’altro che piacevole.

 

Spiò l’espressione di Imma e la vide mutare dal giorno alla notte.

 

Certo che Irene aveva un tempismo che neanche il signor De Ruggeri ai tempi!

 

Il telefono smise di squillare ma ci fu ancora il trillo di un messaggio.

 

Rassegnato, prese il telefono e lo passò ad Imma, facendole segno di leggerlo.

 

“Leggilo pure tu, Calogiuri. Ti ho già detto che non stiamo alle elementari.”

 

Scusami ma vorrei solo sapere se alla fine riesci ad esserci oggi pomeriggio, almeno preparo Bianca se non puoi venire, che non ci rimanga troppo male.

 

Sospirò e mostrò il testo ad Imma, perché non aveva niente da nascondere.

 

Poi, davanti a lei, digitò la risposta.

 

Vorrei portare anche Imma con me. Spero che non ci siano problemi, altrimenti non mi pare il caso di venire, con quello che è successo.

 

Imma rimase impassibile, un sopracciglio alzato, mentre attendevano la risposta.

 

Non c’è problema, ovviamente, ma non voglio discussioni alla festa di Bianca, quindi se vieni con Imma spero che lei non sarà sul piede di guerra.

 

“Ma mi prende per scema?! Secondo lei per ripicca a lei rovinerei il compleanno di una bambina?!” esclamò, visibilmente incazzata, “e comunque a che ora sarebbe questa festa?”

 

“Alle quindici.”

 

“Il regalo lo hai già comprato?”

 

“N-no, no… non sapendo se ci sarei andato… non ancora.”

 

“Allora dobbiamo sbrigarci ad andare a prendere qualcosa, prima che i negozi chiudano per la pausa pranzo. E scrivi alla cara collega che, se lei non si mette a scoccare frecciatine peggio di Robin Hood, io sarò più che civile.”

 

Un’ultima occhiata ed Imma si alzò, sparendo nel corridoio, verso la sua stanza.

 

Sospirò: qualsiasi cosa avesse voluto dire o fare prima di quel messaggio, ormai l’atmosfera era rovinata.

 

Digitò poche parole, sperando che Irene capisse il messaggio.

 

Imma è bravissima con i bambini. Non ci saranno problemi, a meno che non li crei tu.

 

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“Ha bisogno di qualcosa? Per un regalo immagino?”

 

Una moretta sui venticinque anni si era fiondata su Calogiuri che guardava gli scaffali poco distante da lei.

 

“Beh sì, sono un poco grande per i giocattoli ormai,” le rispose, passandosi una mano sulla nuca, in evidente imbarazzo.

 

“Non è detto: ci sono giocattoli per i piccoli, è vero, ma alcuni che piacciono pure ai più grandi, specialmente a voi uomini,” scherzò la ragazza, sorridendogli in quello che era un palese tentativo di flirtare.

 

Sentiva già l’incazzatura salire di nuovo, dopo che si era appena calmata dai messaggi della gattamorta.

 

Ma Calogiuri, di colpo, si girò verso di lei, la raggiunse e la prese sottobraccio, dicendo alla ragazza, “cerchiamo un regalo per una bimba di sette anni.”

 

La commessa si rimangiò il sorrisetto seduttivo e li guardò con il solito stupore che suscitava la rivelazione che lei e Calogiuri fossero una coppia.

 

Almeno non era una che leggeva i giornali spazzatura.

 

Poi però si riprese con un, “vostra figlia?” pronunciato con un sorriso evidentemente forzato, per rimediare alla figura fatta.

 

Imma lanciò uno sguardo a Calogiuri e vi lesse la stessa malinconia che stava provando lei.

 

Chissà se avrebbero mai avuto una figlia loro, o un figlio.


Probabilmente no.

 

“No, è la figlia di un’amica,” chiarì poi Calogiuri e la commessa annuì.

 

“A quell’età… di solito gradiscono le bambole, i peluche o le costruzioni, almeno alcune bambine. Altrimenti ci sono i giochi da tavolo.”

 

“No, guardi, deve essere qualcosa con cui può giocare da sola.”

 

“Va bene. Seguitemi: le bambole ed i peluche sono da questa parte. Se non trovate niente che vi convinca, le costruzioni sono due scaffali a sinistra. L’età consigliata è scritta su ogni confezione, anche se a sette anni il rischio di soffocamento non dovrebbe più esserci.”

 

Dopo aver finito la spiegazione, la ragazza sparì dietro un altro scaffale, probabilmente ancora un po’ mortificata.

 

Imma decise di ignorarla, si staccò dal braccio di Calogiuri e si guardò un poco intorno.

 

E poi la vide. Incontrò gli occhi di Calogiuri e, dal sorriso di lui, capì che anche lui l’aveva notata.

 

“Questa è perfetta!” commentò lui, prendendola dallo scaffale, “e pago io, visto che Irene era me che aveva invitato.”

 

“Non se ne parla, Calogiuri: facciamo a metà!” gli urlò dietro, inseguendolo perché lui si era già avviato con inattesa celerità verso le casse.

 

Dopo aver dovuto cedere almeno temporaneamente le armi - Calogiuri aveva estratto la carta di credito manco fosse il tesserino in una situazione di emergenza - Imma uscì con lui dal negozio e gli infilò la metà dell’importo nella mano che non reggeva la borsa col pacco regalo.


“Imma! Ma non potevi aspettare a casa?”

 

“Sì, se aspetto a casa va a finire che i soldi non te li dò più. Guarda che è un ordine, maresciallo! Altrimenti nel tuo futuro ci sarà solamente il divano per un tempo indeterminato.”

 

Calogiuri sospirò ma si infilò in tasca le banconote.

 

Soddisfatta, lo prese per il braccio libero e gli disse, “comunque, apprezzo il tuo mettere i paletti, Calogiuri, ma basta che fai capire che non sei interessato, non è necessario che sottolinei ogni volta che stiamo insieme.”

 

“Veramente io sono soltanto che orgoglioso che sappiano che stiamo insieme. Ma se ti dà fastidio che lo dica in pubblico, io-”

 

“Ma che non mi conosci, Calogiuri?” gli domandò, facendogli l’occhiolino e stringendogli di più il braccio.

 

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“Ippazio!”

 

Calogiuri barcollò un poco all’indietro, placcato per la vita.

 

“Bianca! Tanti auguri!” le rispose, sollevandola un poco e facendola ridere.

 

Come la mise giù, Imma si trovò stritolata pure lei in un abbraccio, con Bianca che sorrideva e le diceva: “che bello che ci sei anche tu!”

 

“Non potevo mancare per la festeggiata. Allora, quanti anni compi, signorina? Che diventi sempre più alta, diventi!”

 

“Sette.”

 

“Allora speriamo che tu non sia troppo grande per questo mo,” ironizzò, dandole il sacchetto col regalo.

 

“Calogiuri, Imma, benvenuti!” sopraggiunse Irene, con l’aria da padrona di casa dei film in costume di una volta.

 

“Irene, hai visto che mi hanno fatto un regalo? Posso aprirlo?” le domandò la bimba, con aria implorante.

 

“Va bene, ma lo apri ora davanti a loro e poi lo porti subito in camera. Che, quando si ricevono regali da tante persone tutte insieme, è buona educazione aprirli in privato e non davanti a tutti. Capito?”

 

“Sì,” rispose Bianca, iniziando obbedientemente a scartare un poco di nascosto.

 

Certo che la gattamorta quando ci si metteva era la regina del bon ton. Si immaginava Valentina alla sua età: avrebbe già strappato tutto, anche perché Pietro l’avrebbe appoggiata in toto. E poi lei non aveva il problema di invitati multipli ai quali non far vedere i regali.

 

“Ma è bellissima: sembra te, però bionda!” esclamò la piccola, entusiasta, estraendo leggermente dal sacchetto la Barbie Fashionista che le avevano comprato.

 

Aveva una gonna leopardata ed una maglia a righe rosse e nere. Impossibile resistere.

 

Irene, come vide la bambola, fece un’espressione che pareva un oh signore! ma si riprese rapidamente, sorrise e si raccomandò, “bene, ora ringrazia e corri a ritirarla.”

 

Mentre Bianca li ringraziava, un poco timida, Imma pensò che, fosse stato per Irene, la bambola sarebbe stata ritirata sì, ma in un buco nero.

 

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“Tu sei Imma, giusto?”

 

“Sì,” rispose, mentre si versava un calice di vino: ne avrebbe avuto bisogno.

 

La gattamorta - o la sua donna di servizio - aveva organizzato una specie di buffet con tartine varie, un succo multicolore per le bimbe e nemmeno spumante ma addirittura champagne per loro.

 

Quando lo aveva visto, Calogiuri era parso voler sprofondare ed Imma si era chiesta se fosse una frecciata implicita della cara Irene.

 

Una delle due amiche presenti, una brunetta minuta con un caschetto sbarazzino - l’altra era una biondona dall’aria algida, tanto che nella sua mente Imma le aveva già ribattezzate le Ricche e Povere - si presentò con un, “io sono Giulia. E lui deve essere il famoso Calogiuri, giusto?”

 

“Famoso?” domandò Imma, alzando un sopracciglio.

 

“Sì, vi ho visti sui giornali, li hai visti anche tu, Amalia?”

 

“E come no! Manco io ci sono mai finita sui giornali, che faccio l’attrice.”

 

“Ah, e che lavori ha fatto? Ammetto che non seguo molto né il cinema né la televisione, con il mio lavoro non c’ho tempo,” spiegò Imma, cercando di deviare il discorso.

 

“Non mi ci avrebbe vista comunque: lavoro a teatro. Shakespeare, soprattutto, ed i classici. Dicono che sono portata per la tragedia.”

 

Per quello ahimé ci sono portata pure io! - sospirò Imma tra sé e sé, rivolgendosi alla brunetta con, “quindi attrice anche lei?”

 

“No, gallerista. Ho procurato ad Irene un paio dei quadri che vedi esposti qui, è così che ci siamo conosciute. Ma ti prego, diamoci del tu.”

 

Imma si sforzò a sorridere, pensando che a casa sua la stampa più cara era costata dieci euro, cornice compresa, e chiedendosi quanto valessero quelle opere astratte e candide che decoravano la casa di Irene.

 

“Comunque non pensavo di vederla qui, visto quanto è successo, almeno secondo quanto dicono i giornali,” proclamò poi l’attrice, con un mezzo sorrisetto, “non è che siete una coppia aperta? Perché, in caso….”

 

Imma per poco non sputò fuori il vino e prese a tossire. Stava cercando di parlare quando Calogiuri si mise letteralmente in mezzo, le diede due pacche sulla schiena e rispose, “no, siamo una coppia chiusa, chiusissima.”

 

“Chiusissima,” confermò Imma, squadrando con gelosia la tipa bionda che ebbe la faccia tosta di esclamare un, “peccato: ci stavo facendo un pensierino!”

 

“Ma io no: per me c’è solo Imma!” ribadì Calogiuri e ad Imma venne da sorridere dentro il bicchiere, perché lo spaghetto dei giorni prima evidentemente gli era servito.

 

Fece l’errore di bere un altro sorso, proprio quando Amalia esclamò con un sorrisetto, “ma mica su di te!” e poi si voltò verso di lei e le fece l’occhiolino.

 

Imma riprese a tossire.

 

“Lasciatela perdere: adora mettere in imbarazzo le persone!” intervenne la gallerista con un sospiro.

 

“Senti chi parla!” replicò la bionda, ridendo, prima di allontanarsi verso Irene, Calogiuri che la guardava con le fiamme negli occhi.

 

“Calogiuri, non dirmi che sei geloso pure di lei? Lo sai che le donne non mi attraggono, o almeno non mi è mai capitato.”

 

“Io sono geloso di tutto, lo dovresti sapere,” le ricordò con un sorriso.

 

“Comunque sei diventato bravo a metterli i paletti, Calogiuri, anche se qua li avrei dovuti mettere io.”

 

“Eh va beh… meglio un paletto in più di uno in meno, no?” rispose, facendole l’occhiolino e prendendosi una tartina al salmone.

 

*********************************************************************************************************

 

“... tanti auguri a Bianca, tanti auguri a te!”

 

“Dai, soffia sulle candeline!”

 

Su esortazione di Irene, la festeggiata, ancora un poco timorosa - a quanto pare il fuoco non le piaceva - spense le sue sette candeline.

 

“Brava! Allora, Victoria Sponge Cake per tutti?” chiese poi Irene, con un coltello in mano, indicando la torta.

 

“Per me una fettina piccola. Che mi hanno già preso le misure per il nuovo spettacolo e se non entro nei costumi mi uccidono.”

 

“Per me normale!”

 

Imma annuì, chiedendosi cosa fosse quella specie di torta, anche se immaginava che la Victoria a cui era dedicata fosse la regina.

 

L’amore di Irene per le cose british era proprio una costante.

 

Dopo aver constatato che si trattava semplicemente di un pan di spagna alto con marmellata e panna, le toccò ammettere che era molto buona.

 

Pure Calogiuri se la mangiava a quattro palmenti.

 

Si rese conto in quel momento che sulle torte non aveva proprio idea dei gusti di Calogiuri: lei si era sempre rifiutata di festeggiare il compleanno, sia perché lo trovava ridicolo alla sua età, sia perché, soprattutto ora che stava con Calogiuri, non faceva che ricordarle la vecchiaia avanzante. Sapeva che Calogiuri compiva gli anni durante le festività natalizie, anche se non glielo aveva detto esplicitamente, quindi non erano mai riusciti a festeggiarlo insieme.

 

Si accomodarono su divano e poltroncine per mangiare più comodamente e, ad un certo punto, la bionda, che ogni tanto le lanciava qualche occhiata che un poco la metteva in imbarazzo, chiese a Calogiuri, “allora, ti era poi piaciuto il nostro ultimo spettacolo? C’eri anche tu con Irene, no?”

 

Calogiuri rimase a bocca spalancata, evidentemente in panico, poi le chiese, con tono un poco dubbioso, “ma… intendi Sogno di una Notte di Mezza Estate?”

 

“Bravo! E non ti preoccupare: lo so che senza la parrucca ed il costume da Titania sono un po’ diversa.”

 

“Sì, ma… la tua interpretazione mi è piaciuta. Moltissimo. Anche se Shakespeare per me è ancora complicato.”

 

“Dai, non fare il modesto, Calogiuri, che stai imparando. E poi l’italiano antico per te dovrebbe essere una passeggiata,” ribatté Irene, facendogli l’occhiolino in un modo che le fece andare quasi un pezzo di torta di traverso.

 

Ma come si permetteva?! Quelle battutine a Calogiuri poteva farle soltanto lei, al limite!

 

“Beh, magari con l’italiano dell’ottocento ti viene più facile. Ci sarete alla prima di mercoledì, non è vero?”

 

“La prima?” chiese Calogiuri.

 

“Sì, Rosmersholm di Ibsen. Più drammatico di così non si può, sono nel mio elemento,” rispose Amalia con un sorriso.

 

“Ibsen… avevamo già visto qualcos’altro di Ibsen, come si chiamava?”

 

Casa di Bambola?” gli chiese l’attrice, spiegando, quando lui annuì, sorpreso, “tranquillo, non c’ero nel cast, ma è forse l’opera più popolare di Ibsen. Lo hanno fatto e rifatto in tutte le salse.”

 

Calogiuri annuì, sollevato di essersi evitato una figuraccia.

 

“Allora, ci venite?” chiese nuovamente Amalia, alternando lo sguardo tra Calogiuri e la cara Irene.

 

Imma trattenne il fiato, curiosa di sapere cosa avrebbe detto Calogiuri. Da solo a teatro con la gattamorta proprio non ce lo voleva, dopo quello che era successo, ma non poteva di certo impedirglielo.

 

E pure Irene lo stava fissando: aveva una faccia tosta incredibile!

 

“Guarda, con tutto quello che stanno scrivendo sui giornali… non mi pare il caso di venire a teatro da solo con Irene. Non voglio che ci siano altre voci inventate su di me e su di lei. Non è che, pagando il biglietto, ovviamente, potrebbe venire anche Imma? Se le va, naturalmente,” le propose, guardandola negli occhi.

 

Imma dovette trattenere un sorriso, soprattutto perché Irene sembrò aver inghiottito un rospo e si bevve una sorsata di champagne.


“Una persona in più fa sempre piacere. Questa in particolare,” ironizzò Amalia, facendole un occhiolino che era tutto un programma, “certo, non so se vi rendete conto che i giornalisti  così potrebbero pure ipotizzare che siate una coppia apertissima, invece che chiusissima, ma se ci portate un po’ di pubblicità allo spettacolo mica ci dispiace!”


“Veramente quel tipo di pubblicità, con tutto che sai quanto ti apprezzo come attrice, me la eviterei, Amalia. Ma se Imma vuole venire… perché no? Anche se forse non è l’opera migliore per i triangoli.”

 

“E perché?” chiese Calogiuri.


“Perché uno degli angoli del triangolo è morta già prima di iniziare, Calogiuri!” spiegò Imma, con un sospiro, sibilando allo sguardo stupito di Irene, “beh, che c’è? Magari in gioventù non avrò avuto la possibilità di andare per teatri, che a Matera non ci sta la scelta che c’è a Milano e Roma, non che avrei avuto i soldi per farlo, ma ho fatto studi classici e chi è Ibsen lo so da me.”

 

“Che carattere! Se cambi idea sull’aprire, mi metto in lista,” si inserì Amalia ed Imma si sentì avvampare.

 

Essere corteggiata era sempre lusinghiero, poi lei non ci era per niente abituata se non negli ultimi anni, ma vedeva benissimo quanto ne fosse geloso Calogiuri, dal modo in cui stringeva la forchetta - che pareva volerla pugnalare la Torta della Regina Vittoria - e non voleva tirare la corda.

 

Soprattutto non dopo che Calogiuri a piantare paletti stava diventando meglio di Van Helsing.

 

*********************************************************************************************************

 

Era andata un attimo in bagno ma, al ritorno, non vide Calogiuri.

 

Irene per fortuna era con le sue amiche, ma erano sparite pure Bianca e le bambine.


Sentì dei risolini ed un “come sei buffo!” e si avvicinò piano piano alla stanza di Bianca.

 

Le trovò tutte sedute a terra, in cerchio, a giocare con le Barbie, intorno a Calogiuri che aveva in mano sia un Ken che una Barbie.

 

Sempre beato tra le donne lui, pure con le bambine, e mica sceme!

 

“Perché non prendi anche il Ken Biondo? Piace di più alla mia Barbie!” disse una delle bimbe.

 

“No, con i capelli scuri è più bello!” rispose Bianca, stranamente decisa.


E come non capirla!

 

“Allora oggi decide la festeggiata e tre mani purtroppo ancora non le ho,” scherzò Calogiuri, facendo prendere al suo Ken la mano della Barbie nuova che teneva in mano Bianca e fingendo in qualche modo un baciamano, vista la rigidità delle bambole.

 

Bianca rise, anche se un po’ timidamente, e ad Imma fece una tenerezza infinita. Poi, all’improvviso, sollevò lo sguardo e le disse, “Imma, ma ci sei anche tu?”

 

Beccata!

 

“Sì, non vi vedevo più e allora….”

 

“Perché non vieni a giocare anche tu con noi?” le chiese Bianca e anche le altre bambine annuirono.

 

“Veramente… non sono mai stata molto brava a giocarci con le bambole. Facevo giochi diversi, da maschiaccio.”

 

Il fatto che erano pure le uniche cose che sua madre si poteva permettere lo tenne per sé.

 

“E dai, Imma!” le disse Calogiuri, con sguardo implorante ma anche furbetto.

 

Questa gliela pagava!

 

Su un coro di “e dai Imma!” non potè fare altro che avvicinarsi e sedersi nel posto che Bianca le aveva liberato accanto a lei, allargando il cerchio.

 

“Che personaggio può fare?” chiese una delle bimbe.

 

“Il Ken biondo! Lei le mani libere le ha, no?”

 

“Meglio che li evito i bambolotti maschi, va! Non sono la mia passione, anche se in parecchi lo pensano,” ironizzò Imma, dando un’occhiata a Calogiuri, “una Barbie non ce l’hai?”

 

“Allora puoi fare Imma!” rispose Bianca con entusiasmo.


“Effettivamente di solito sono capace a fare me stessa.”


“Imma è la bambola nuova di Bianca. L’ha battezzata così,” chiarì Calogiuri, sorridendo, e Bianca fece per passarle la Barbie Fashionista.

 

“Ma figurati, ma continua pure tu a giocarci, che è il tuo regalo! Ma non farle passare troppi guai, che già ce ne ha abbastanza la Imma reale, va bene?”

 

“Va bene,” sorrise Bianca, prima di girarsi verso la cesta dei suoi giochi ed estrarne una bambola dalla chioma rossa ed il vestito verde, “allora puoi fare Anna, che ha i capelli rossi come te.”

 

“Anna di Frozen?” chiese Imma, un poco incerta, perché di quel cartone aveva ricordi parecchio confusi di quando Valentina l’aveva costretta a sorbirselo.


Ricordava solo che per le protagoniste ogni scusa era buona per cantare e che Anna aveva gusti pessimi in fatto di uomini, almeno all’inizio.


Anche se… il montanaro in apparenza un poco tonto… forse qualcosa del carattere di Calogiuri ce lo aveva.

 

“In questo periodo Elsa è molto più adatta,” proclamò Calogiuri, di nuovo con quel sorrisetto che gli avrebbe molto volentieri levato dal viso e senza rischio di ematomi, ma con ben altri metodi.

 

“Allora può fare sia Anna che Elsa!” decise Bianca ed Imma si ritrovò in mano pure la platinatissima principessa.

 

Chissà se pure lei si mangiava la Victoria Sponge Cake.

 

“Ma che c’entrano Anna ed Elsa con Imma e le nostre bambole?” domandò la bimba che voleva il Ken biondo.

 

“Possiamo essere anche noi delle principesse venute in visita da un regno più moderno,” si inventò sul momento Bianca.

 

“Dove ci sono molti leopardi!” rise l’altra.

 

“Ma che scherziamo? Elsa ed Anna con i leopardi al massimo cantano canzoni smielate su quanto sia bella la natura, non ci fanno mica le pellicce!” ironizzò Imma, prima di guardare Calogiuri, “quindi lui, dato che è moro, sarebbe quel simpaticone del principe?”

 

“Hans? Sì! Allora però prendiamo il Ken biondo che fa Kristoff!”

 

“Elsa invece può fidanzarsi con una delle principesse!” proclamò Bianca, con un grande sorriso.

 

Imma si sorprese un attimo ma l’altra bambina intervenne, “non lo sai? Ad Elsa piacciono le ragazze. Lo ha detto la Disney.”

 

“Sono rimasta al primo film. Ma allora spero per la mia Elsa che le piacciano le bionde platino come lei, che con le Barbie o è così o le tocca restare single!” scherzò: le principesse sembravano uscite da uno di quei film sulle riccone americane, almeno per il colore della chioma.

 

“E che le Barbie siano abituate a rimanere chiuse fuori dal castello ed abbiano molta pazienza, visto il caratterino di Elsa,” si inserì Calogiuri, l’aria di chi si stava divertendo un mondo.

 

“Sta zitto Hans, che non mi sei mai piaciuto!” lo rimproverò, facendo dare da Elsa uno sganassone al Ken moro.

 

Le bimbe risero tantissimo, ed iniziarono ad inventarsi storie incredibili, mentre decidevano chi dovesse fidanzarsi con Elsa.

 

*********************************************************************************************************

 

“Kristoff è il mio fidanzato e sono assai gelosa. Se non lo lasci subito, mia sorella ti trasforma in un ghiacciolo, di quelli alla granatina, che avanzano sempre nel congelatore perché non piacciono proprio a nessuno e-”

 

“Imma?!”

 

Si voltò e vide Irene che la guardava dalla porta, a bocca spalancata.

 

Dal calore che sentì in viso, temette di essere diventata peggio di Kristoff e Calogiuri messi insieme.

 

Forse si era un po’ troppo lasciata trascinare nel gioco e nella narrazione dalle bambine, che però sembravano divertirsi un mondo, per non parlare di Calogiuri, soprattutto visto che ogni tanto lanciava qualche frecciatina che poteva capire solo lui.

 

“Perché, a te la granatina invece piace?” le chiese poi, riprendendosi in corner, alzando un sopracciglio come a dirle prova a dirmi qualcosa e ti ci affogo nella granatina.

 

“Non particolarmente ma… sono venuta ad avvisare Carlotta e Letizia che le loro mamme stanno preparandosi per andare via. Ormai è tardi.”

 

Imma guardò l’ora e le prese un colpo: erano le diciannove passate.

 

A furia di giocare ad inventare storie cretine avevano perso il senso del tempo.

 

“Mi sa che è meglio se ce ne andiamo pure noi mo, Calogiuri, che siamo in moto,” gli disse, dopo che le bimbe furono uscite, facendo per alzarsi in piedi, ma Bianca la trattenne per una manica.


“Ma non finiamo il gioco?”

 

“Un’altra volta. Tanto con quelle temperature resistono tutti surgelati ancora per un bel po’,” la salvò Calogiuri, con il suo sorriso più da scioglimento.

 

“Allora però torni pure tu, Imma?” le chiese ed Imma percepì, ancora prima di vederla, l’espressione di Irene.

 

Che soddisfazione!

 

“Perché no? Ma mo ci tocca tornare a casa.”

 

“Ma vivete insieme?” le chiese Bianca ed Imma annuì, “ma tanto distante?”

 

“No, non tantissimo. Diciamo che è vicino a dove lavoriamo io ed Irene.”

 

“Allora non ci posso venire, perché dove lavora Irene non ci posso andare,” rispose la bimba, con tono mogio mogio.

 

Imma sentì una stretta al petto: vedendo Bianca così serena quel pomeriggio si era quasi scordata del fatto che dovesse sempre stare attenta a quei galantuomini che avevano ucciso sua madre.

 

“Cioè… vuoi dire che vorresti andare a casa loro?” le domandò Irene con un tono incredulo e commosso che le fece provare un moto di empatia perfino per la gattamorta.

 

“S- sì, credo di sì.”

 

A giudicare dagli occhi lucidi di Irene, evidentemente non doveva essere una cosa molto comune per Bianca.

 

“Non ci si autoinvita a casa degli altri, signorina. Ma, se loro ti invitano, in qualche modo si può fare, penso.”

 

“Ma certo che è la benvenuta a casa nostra, no?” le chiese Calogiuri ed Imma, per tutta risposta, diede un rapido abbraccio alla bimba.

“Puoi venire quando vuoi…” le sussurrò, scompigliandole i capelli riccissimi come aveva voluto fare fin da quando era arrivata.

 

Perché poteva pure detestare la cara Irene, ma Bianca era un’altra cosa.

 

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Prese il casco dalle mani di Calogiuri e se lo infilò: ormai era diventata un’esperta.

 

Calogiuri salì in moto e si sedette dietro di lui, abbracciandolo stretto come faceva sempre quando viaggiavano sulle due ruote.


Calogiuri diede gas un paio di volte e poi accese il motore.

 

Si aspettava di partire da un momento all’altro ma, improvvisamente, Calogiuri si voltò verso di lei e la guardò in un modo strano.

 

“Tutto a posto, Calogiuri?” gli domandò, preoccupata che ci fossero problemi col motorino.

 

“Sì, sì, ma… ma mi chiedevo se… insomma, cosa vuoi per cena?”

 

“Qualcosa di salato che compensi tutto il dolce della Torta della Regina Vittoria della cara Irene.”

 

“Sei tremenda!” rise, scuotendo il capo, poi però prese un respiro e le chiese, “ti… ti andrebbe di andare a mangiare qualcosa da qualche parte? Se no possiamo ordinare qualcosa a casa, magari la pinsa, come ai vecchi tempi.”

 

L’agitazione di lui era adorabile: sembrava tornato alle primissime uscite - ancora clandestine - insieme.

 

“Calogiuri, sono stanchissima, quindi meglio mangiare a casa. E vada per la pinsa!”

 

Lui annuì e, con un sorriso, partì improvvisamente, tanto che lei gli si strinse più forte per non cadere.

 

Quell’impunito era dal suo primo viaggio a Roma che usava questo metodo!

 

Non che se ne sarebbe mai lamentata.

 

*********************************************************************************************************

 

“Ecco qui: che ne dici se ci guardiamo un film mentre le mangiamo?”

 

Calogiuri, portando in mano i cartoni delle pinse, le appoggiò sul tavolino davanti al divano.

 

Imma ci pensò un attimo: non era sicura che fosse una buona idea abbassare del tutto gli scudi, non ancora, ma… quel giorno si erano già avvicinati parecchio, era innegabile, e poi Calogiuri con Irene aveva costruito una bella recinzione di paletti, tipo quella intorno al castello di Vlad L’Impalatore.

 

“Va bene. Ma pretendo qualcosa di leggero, Calogiuri, che non c’ho la testa per film tristi o pesanti stasera.”

 

“Allora ti va un film d’animazione?”

 

“Non con principesse canterine però, Calogiuri, che per oggi di principesse, principi e regine ne ho avuto abbastanza!”

 

“Agli ordini, dottoressa!” proclamò lui, estraendo anche le birre dal frigo, togliendo i tappi e piazzandole accanto alle pinse.

 

Prese posto pure lei sul divano, tenendo però una distanza di sicurezza, e si bevve una sorsata di birra mentre Calogiuri faceva scorrere icone con personaggi variopinti.

 

“Ti andrebbe di guardare Cattivissimo Me? Rosaria mi ha detto che Noemi lo adora e quindi almeno mi preparo sui personaggi.”

 

“Ma quel tizio col nasone che sembra una maschera contro la peste sarebbe il protagonista?”

 

“Sì.”

 

“E quei bitorzoli gialli?”

 

“A quanto ho capito sono i suoi collaboratori, i Minions, quelli che piacciono tanto a Noemi.”

 

“Diciamo che a me, rispetto a Nasone, è andata leggermente meglio come collaboratori,” ironizzò e Calogiuri sorrise così tanto che le venne da ridere e da precisare, facendogli l’occhiolino, “guarda che tu ormai non sei praticamente più un mio collaboratore, Calogiuri. Io parlavo di Mariani, non montarti la testa!”

 

Calogiuri le regalò uno sguardo felice ed esasperato al tempo stesso ed avviò il film, mentre lei apriva le scatole di cartone, affamata nonostante tutto.

 

*********************************************************************************************************

 

“L’ultima fetta alla mortazza la vuoi tu?”

 

“No, per carità, Calogiuri, te la lascio! Mi prendo quella con le acciughe, che sto già piena così.”

 

“Che ne pensi del film?” le domandò, afferrando con cautela la fetta per non rischiare un disastro sul divano.

 

“E che ne penso? Nasone mi sta più simpatico del previsto, Calogiuri, che tra i piedi non ci vuole nessuno. E la bimba più piccola mi ricorda qualcuna….”

 

“E chi?”

 

“Tua nipote. Mo ho capito perchè le piace tanto sto film, a parte per quei cretini gialli utili come Capozza, ma più simpatici. Il peggio è il medico, che mi ricorda Taccardi, mi ricorda.”

 

Rise: sentire le opinioni di Imma sui film era la cosa più bella di guardare un film insieme, a parte il poterle stare vicino.

 

Anche se… vicini vicini non erano. Le distanze si erano un poco accorciate, tra fette di pinsa e sorsate di birra, ma… non c’era ancora quel contatto che normalmente c’era tra loro.

 

Vedendola concentrata sul film, con un poco di apprensione alzò un braccio e, piano piano, lo appoggiò allo schienale del divano, appena sopra di lei.

 

Imma non reagì.

 

Allora, sempre con molta delicatezza, abbassò la mano, fino a toccare la spalla di lei, in un mezzo abbraccio.


Nel giro di due secondi, si trovò con due occhi marroni che lo fissavano con un sopracciglio alzato.

 

Ritirò rapidissimamente la mano, portandosela in grembo con uno, “scusami, io-”

 

Ma Imma, per tutta risposta, scoppiò a ridere.

 

“Calogiuri, va bene che non me l’ha mai fatta nessuno in adolescenza, ma non siamo un po’ troppo vecchi per fare la manomorta come i ragazzini al cinema? Eddai!”

 

“Hai ragione, scusami, io-”

 

“Piantala di scusarti e dammi un abbraccio come si deve, maresciallo!” lo interruppe, facendogli l’occhiolino in un modo che fu la sua fine.

 

Senza farselo ripetere due volte, se la strinse tra le braccia, più forte che poteva, sentendola ridere e poi abbandonarsi tra le sue braccia, stritolandolo quasi.

 

Rimasero così per non avrebbe saputo dire quanto, a godersi la vicinanza ed il calore di cui aveva sentito terribilmente la mancanza in quei giorni.

 

“Ti amo…” le sussurrò all’orecchio e lei lo strinse più forte, anche se non rispose.

 

“Mo però finiamo di vedere questo film che già ce ne siamo persi un pezzo!” gli ordinò lei, staccandosi leggermente, ma poi si sentì stringere di lato, la testa di lei che gli si appoggiava su una spalla.

 

“Agli ordini, dottoressa!”

 

Continuarono a guardare il film, finché ad un certo punto sentì il viso di Imma ciondolare sul suo collo, il corpo a peso morto su di lui.

 

Notò che aveva gli occhi chiusi. Anche dal respiro era chiaro che si era addormentata.

 

Aveva un’espressione dolce e rilassata che aveva veramente temuto di non rivedere mai più, almeno non rivolta a lui.

 

Capendo quanto dovesse essere stanca, spense la televisione e poi, il più delicatamente possibile, se la prese in braccio per portarla a letto.

 

Tenerla nuovamente in quel modo era un’emozione indescrivibile per lui: aveva un nodo in gola e sentiva il cuore martellargli nel petto.

 

Arrivò in camera, aprì la porta con un piede e, piano piano, poggiò Imma sul letto.

 

Fece per risollevarsi per cercare qualcosa con cui coprirla, quando si sentì tirare per la maglietta.

 

“Dove pensi di andare?” gli chiese, aprendo a fessura gli occhi, appannati dal sonno.

 

“A prenderti una coperta. E poi sul divano, a dormire.”

 

Ma lei scosse il capo e gli sussurrò, “resta qua. A dormire però, che ho sonno.”

 

Fu come se un peso gli si fosse tolto dal petto, mentre il nodo in gola si faceva enorme e gli occhi gli pungevano da matti.


“Ne… ne sei sicura?”

 

“Sta zitto e vieni a letto, o ti faccio un livido dall’altra parte, pure!” gli intimò, per poi infilarsi sotto la coperta, buttare per terra il vestito, seguito dalle calze, e ridistendersi del tutto, chiudendo gli occhi.

 

Deglutendo, all’idea di averla di nuovo vicina con addosso soltanto la vestaglietta leopardata che aveva intravisto mentre si spogliava, si liberò dei pantaloni della tuta e la raggiunse.

 

Un poco timoroso, ma facendosi coraggio con quanto era successo sul divano, la abbracciò da dietro, come faceva sempre quando dormivano insieme, anche se mantenendo un po’ di spazio tra i loro corpi: non voleva esagerare.

 

Ma Imma indietreggiò fino ad appoggiarsi completamente al suo petto e gli accarezzò leggermente un braccio.

 

Non potendo quasi credere a quanto fosse fortunato, le posò un bacio leggero sulla nuca e, con i ricci di lei che gli solleticavano il collo ed il viso, se la guardò a dormire più a lungo che riuscì, prima di cedere anche lui al sonno.



 

Nota dell’autrice: Ed eccoci alla fine del quarantottesimo capitolo. Finalmente il ghiaccio si è un poco sciolto ed Imma ha riammesso Calogiuri in camera da letto, anche se solo per dormire. Chissà se e come si avvicineranno di più e chissà come andrà la sera a teatro in trio con Irene. Ci sarà presto anche un salto temporale e… succederanno alcune cose abbastanza attese.

Spero la storia continui a piacervi e che lo sviluppo psicologico ed emotivo dei personaggi risulti credibile. Ormai è passato un anno esatto da quando l’ho cominciata e vi ringrazio per l’assiduità con cui la seguite.

Vi ringrazio di cuore per le vostre recensioni, mi motivano un sacco e mi sono utilissime per capire come sta andando la scrittura e cosa vi piace di più o di meno.

Ringrazio anche chi ha messo questa storia nei preferiti o nei seguiti.

Il prossimo capitolo arriverà tra due settimane, domenica 22 novembre.

Grazie ancora!

 
   
 
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