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Autore: Eneri_Mess    08/11/2020    2 recensioni
FINE (Prima parte)
Con il segreto che nasconde, Yokohama è una città dove non si possono dormire sonni tranquilli.
Dal Preludio:
Una mano di Dazai gli strinse il braccio, mentre le dita dell’altra si aggrapparono alla sua camicia sgualcita sul petto. Il nemico barcollò, ma si rimise in piedi, recuperando una delle proprie pistole.
«Chuuya...» ridacchiò Dazai, fuori luogo. «Di nuovo: ho mai sbagliato nel formulare un piano?»
«Smettila!» e la prima nota di supplica si mischiò alla richiesta. «Non sei lucido!»
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Sakunosuke Oda
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 7

The sky is falling apart 

(Parte 1)








 

Sometimes there's things a man cannot know
Gears won't turn and the leaves won't grow
There's no place to run and no gasoline
Engine won't turn
And the train won't leave

[Stay Alive - José González]





 

All’interno del Lupin era calato un silenzio così vuoto che il ticchettio dell’orologio di Ango risuonava come i rintocchi di un campanile. Per ognuno di questi, Dazai osservò un dettaglio nuovo su un volto che assomigliava a un ricordo. 

Odasaku era cambiato. 

Erano passati quattro anni anche per lui e avevano lasciato segni tangibili. Era cresciuto e il suo fisico lo rispecchiava. I suoi capelli erano più lunghi, raccolti sulla nuca. Una cicatrice gli attraversava l’occhio, ma non sembrava aver intaccato la sua vista. L’inespressività dei suoi sentimenti era rimasta, ma c’era una durezza di fondo che non trasmetteva più sicurezza. 

«Oda- Odasaku» chiamarlo fu più forte di Ango. 

Nessuna emozione si accese a quel nome, a malapena un battito di ciglia. Nessun sussulto, anche minimo o rassicurante. Niente. 

«Quando quella finta tomba fosse stata aperta, sarei dovuto venire qui e prendere la spia del governo e la spia della mafia» disse Odasaku di punto in bianco. La voce era rimasta la stessa, bassa, lenta, scivolò dalle orecchie al cuore in un veleno paralizzante. 

Odasaku era vivo

«Odasaku! Siamo noi! Siamo-»

«Sakaguchi Ango» lo interruppe lui, secco, interrompendo il suo slancio. «E Dazai Osamu. Due spie doppiogiochiste.» 

«Siamo-»

«Ango, lascia perdere» lo fermò Dazai. «Non si ricorda di noi.»

Le pareti del Lupin erano sfocate alla sua vista. L’uomo che aveva conosciuto come Odasaku era la parte più veritiera di quello che vedeva, ma allo stesso tempo anche la menzogna più crudele. Cominciava a capire le mosse sulla scacchiera, ma accantonò l’idea. Mise da parte la logica, anche se questa avrebbe potuto mitigare il dolore che sentiva all’altezza del petto. Un dolore che lo mantenne vigile. Una paura che si pose come filtro a una realtà ribaltata. 

Odasaku era vivo, ma non era Odasaku. 

Quegli occhi non gli stavano mentendo. Non stavano nascondendo qualcosa. Erano lo sguardo di una persona che Dazai non conosceva.   

«È pericoloso abbassare la guardia» riprese, riuscendo a mantenere la voce ferma. «È l’Odasaku che non abbiamo mai conosciuto, quello capace di uccidere senza pentimento.»

L’uomo non mosse un muscolo, imperturbabile, e Dazai tentò di fare lo stesso, svuotato di ogni pensiero o intenzione. 

La situazione si sbloccò, e peggiorò, quando Oda fece scattare il braccio con cui impugnava la pistola. Un proiettile lasciò la canna e riecheggiò nell’aria densa, sfiorando la guancia di Dazai. 

Sullo sgabello dietro di lui, Ango si lasciò sfuggire un gemito tra sorpresa e dolore. 

«Niente scherzi» commentò Odasaku, impassibile. «L’arma che hai nella fondina è inutile.»

Dazai lanciò un’occhiata sgranata ad Ango da sopra la propria spalla. L’ex spia era piegata su se stessa, le dita, macchiate di sangue, premute sulla parte alta del braccio destro. Digrignava i denti, a occhi chiusi. 

«Flawless» mormorò Dazai. Tornò a fissare il loro nemico. «L’abilità di vedere cinque secondi nel futuro.»

Fu impercettibile, ma un angolo della bocca di Odasaku ebbe un guizzo verso l’alto, simile a una nota stonata in una sinfonia. «Nove secondi» lo corresse. «Quasi dieci.»

L’accenno d’orgoglio fu così fuori luogo che, per un istante, la paura di Dazai assaggiò l’acre sapore del panico, il sentore che il baratro dell’amnesia fosse più oscuro e pieno di trappole di quanto stesse ipotizzando. Nell’autocontrollo che ostentava, Dazai avvertì tendersi ogni muscolo del proprio corpo, un elastico tirato all’estremo. Non mostrò nulla, continuò con la commedia. 

«Quindi è vero che le abilità possono evolvere.»

Era, tuttavia, un discorso che Odasaku aveva già deciso di accantonare. 

«Scegliete: potete venire via con me, senza opporre resistenza, o morire nel tentativo di scappare.»

Dazai sollevò le mani, i palmi bene in vista. Imbastì un sorrisetto. Doveva pensare. E guadagnare tempo. 

«Mi vanno bene entrambe le opzioni.» 

In risposta ricevette un’occhiata sottile, forse la prima vera reazione, a cui seguì un nuovo scatto della mano armata. Non sparò. Dazai stava abbassando un braccio, lentamente, verso la tasca del proprio trench. 

«Calma» disse il detective con una pacatezza lungi dal provare, ma registrando ogni reazione sul viso di Odasaku. Pensa. Pensa. Pensa. «Voglio prendere un fazzoletto. Se dobbiamo seguirti, Ango non può farlo in queste condizioni, seminando sangue in giro.» Suonò ragionevole persino alle proprie orecchie. Poi osò per tastare il terreno. «Se fossi una minaccia lo vedresti

Furono secondi che durarono il tempo di una marcia al patibolo. Un’ennesima scommessa. Dazai non aveva mentito sull’accettare entrambe le possibilità. Odasaku avrebbe potuto ucciderlo e tutto sarebbe finito. Non riusciva a percepire la scintilla a reagire, soffocata sotto gli strati di quella strategia montata nei suoi confronti.  

Dazai continuò il suo gesto con lentezza. Infilò la mano in tasca e tirò fuori un lembo del fazzoletto come prova. 

«Visto?» si concesse. Poteva ballare con la morte, se questa aveva la maschera di Odasaku. Forse, alla fine, sopravvivere era un’opzione a cui una parte del suo essere tendeva. 

Sempre sotto lo sguardo attento di Odasaku, Dazai si voltò, dandogli le spalle, per assistere Ango. 

«Lasciatelo dire da un aspirante suicida» sussurrò, premendo il fazzoletto sulla ferita, indifferente al sangue che gli imbrattò le dita o al sussultò di Ango per la sua poca delicatezza. «Il tuo istinto di sopravvivenza fa schifo.»

Il fatto che Odasaku non stesse in alcun modo reagendo, assistendo passivamente al tutto, diede una conferma a Dazai. Una conferma che sfruttò a proprio vantaggio, facendo scivolare nella mano di Ango un piccolo foglietto piegato in quattro. Questo sparì stretto nel palmo dell’agente del governo a una nuova fitta di dolore. Non si scambiarono sguardi per non destare sospetti, ma il detective sfruttò la propria posizione di spalle per mormorare una cosa. Due parole che avrebbero aumentato le loro possibilità di uscirne.

«Andiamo» ordinò Odasaku, accennando alle scale. 

Dazai non si staccò da Ango. Lo aiutò ad alzarsi dallo sgabello e lo sostenne, passo dopo passo. Superarono Odasaku e Dazai si concentrò solo su ciò che della realtà poteva controllare. Salire i gradini, uscire nell’aria pungente di un inverno che faticava ad andarsene, osservare il minivan dai vetri oscurati verso cui Odasaku li spinse a camminare e come la stradina, dalla parte opposta, fosse sgombra. Non c’erano persone in giro. Nessuno da coinvolgere. 

«Ango, ora

Dazai non lo gridò. Fu un segnale semplice, diretto. I suoi movimenti furono altrettanto precisi, nonostante il sangue gli rimbombasse nelle orecchie. Si staccò dall’ex amico e usò entrambe le mani per forzare Odasaku ad abbassare il braccio con cui teneva la pistola. Avvertì la protesi di metallo, ma non ci pensò. Odasaku era forte e Dazai dovette usare tutto il proprio peso per direzionare il colpo che partì verso l’asfalto. 

Nello stesso momento, Ango aveva aperto il foglietto con dita tremanti e sporche di sangue. 

«Granata accecante!»

I kanji vergati a penna ci misero un istante di troppo, ma reagirono. Una luce verde trasformò quanto descritto. 

Il bang risuonò tra i palazzi, il flash di luce fu breve, ma il fumo si alzò in una voluta grigiastra che inghiottì i tre in pochi istanti.

 

 

* * * 


«DOPPO GINKAKU!»

Kunikida era scattato in piedi, rovesciando la sedia. Era tardi ed era nella sala riunioni dell’Agenzia. Dall’altra parte del grande tavolo, Tanizaki sussultò, mentre Ranpo, dopo un’iniziale sorpresa, lo osservò al microscopio.  

Passato lo sbigottimento, Kunikida frugò in mezzo ai fogli e alle cartelline del caso, trovando la propria agenda verde. La sfogliò con dita rapide fino alle ultime pagine, dove aveva appuntato le “scorte in caso di emergenza”: pagine già segnate dalla sua calligrafia, con vari oggetti utili se non avesse avuto a portata di mano una penna. 

Vicino ai resti di una pagina strappata c’era un messaggio a matita. 

La prendo in prestito! 

Era la scrittura di Dazai, corredata anche di una sua caricatura minuscola che faceva la linguaccia. Una freccia che indicava la pagina mancante. 

«Maledizione a quell’idiota!» ringhiò Kunikida tra sé, richiudendo l’agenda con un colpo secco. 

«Non può averla attivata da solo» fece presente Ranpo, silenzioso e attento. 

«Sakaguchi deve averlo trovato.»

«Che cosa c’era scritto sulla pagina?» chiese piano Tanizaki. 

Kunikida si prese un momento per fare mente locale. «Una granata accecante.»

Il più giovane lanciò un doppio sguardo agli altri due. «Questo significa che qualcuno li ha attaccati!?»

«Red Hood.» 

«Ranpo-san, ne sei sicuro?» 

Nel tono di Kunikida non c’era reale scetticismo, più il desiderio che non fosse così. Iniziavano a esserci nuove ombre sul suo viso, ombre che rimarcavano una preoccupazione altrimenti repressa. 

«Dostoevskij è ossessionato da Dazai» disse Ranpo senza girarci intorno. «È il suo principale avversario. Possiamo continuare a revisionare tutti questi rapporti per ore, ma qualcuno sta cancellando le prove, mentre Dostoevskij usa la carta di Oda per abbattere Dazai. Perdere anche lui significa fine dei giochi per noi.»

Kunikida imprecò. Gli servì per buttare fuori il veleno che era diventato ogni pensiero relativo a quell’indagine. La situazione stava andando fuori controllo. Raddrizzò le spalle e si impose di tornare a essere il detective che era. 

«Non possiamo farci cogliere di nuovo in difetto» le sue parole suonarono ferme, più un’ancora per se stesso che un discorso rivolto agli altri due compagni. «Siamo in inferiorità numerica e non possiamo perdere nessun altro membro dell’Agenzia» e non sembrò mai essere stato più serio come in quel momento. 

«Tanizaki» chiamò e il ragazzo si alzò di scatto, pronto a eseguire le istruzioni. «Rimani qui con Ranpo e chiama Kenji. Avvisate la polizia militare se notate qualcosa di sospetto.»

«Ricevuto

«Io mi farò raggiungere da Atsushi e Kyouka e andremo a cercare Dazai e Sakaguchi.»

Ranpo approvò il piano con un assenso del capo e Kunikida andò a recuperare una fondina ascellare, la propria pistola e la giacca, dove sistemò l’agenda. Quando fu sulla porta, Ranpo lo fermò, allungandogli un post-it. 

«Vai a questo indirizzo. Troverai un posto chiamato Bar Lupin. Dazai sarà lì, o da lì potrai iniziare a cercarlo.»


* * *


Dazai aveva afferrato Ango e lo aveva trascinato via. Erano scappati sfruttando il diversivo della granata, ma Dazai era conscio che era stato dato loro solo del vantaggio. Quella non era altro che una caccia selvaggia. Loro erano le prede di quella notte e Odasaku era il loro cacciatore. 

Zigzagarono per varie stradine e vicoletti, in una delle parti meno affollate della città. I loro passi erano febbrili, come gli sguardi che continuavano a lanciare sopra le spalle. 

«Da-Dazai...»

Ango era senza fiato e incespicò. Il detective lo afferrò per il braccio sano, passandoselo dietro il collo, e svoltò di nuovo, in un vicolo più stretto e appartato. 

Dazai fece appoggiare Ango contro il muro e controllò la ferita. Continuava a perdere sangue e, con un’occhiata al terreno, si accorse che la perdita stava giocando a loro svantaggio, in una macabra scia di Pollicino. Si sfilò la cintura del trench e la legò alla spalla. L’occhio gli cadde poi sulla fondina di Ango e recuperò la pistola, sganciando il caricatore e contanto i colpi. 

«Vuoi... sparare a Odasaku?» 

L’occhiata che Ango ricevette per la domanda fu tagliente e piena di biasimo. 

«Tu non ti stavi facendo problemi al Lupin» replicò Dazai velenoso, rammentando l’intenzionalità stroncata sul nascere da Flawless. Con un colpo di palmo risistemò il caricatore e continuò a fissare solo l’arma. I secondi scorrevano a velocità raddoppiata e lui faceva ancora fatica a pensare. 

«Non gli sparerò se non sarò costretto» spiegò. Era una mezza verità, più il bisogno di fare il punto con se stesso. «Non è Odasaku. Non ho idea di cosa ricordi o che lavaggio del cervello gli abbiano fatto. Hai visto anche tu che è cambiato.» 

Nel dirlo, fissò negli occhi Ango, per leggerci i propri stessi timori, le sue stesse conclusioni. Erano davvero passati quattro anni anche per Odasaku. Dove e come erano domande per cui non avevano né tempo né energie.

«Comunque» riprese, alzando la pistola. «Questa è più utile se la uso io. La mia abilità mi rende invisibile alla sua. Non può prevedere quello che farò.» 

Era una magra consolazione, un’ennesima beffa in un teatrino di marionette di seconda mano. Dazai provava la sensazione di avere dei fili a direzionarlo - un sentore che aveva avuto anche durante lo scontro con la Mimic finché Mori non gli aveva sbattuto in faccia la verità. Ripromettersi di non cadere più nella tela di un ragno non era servito. Il problema era che Odasaku era l’unica variabile che andava oltre ogni sua previsione. 

«Che cosa facciamo?» 

Ango lo riportò alla realtà.

«Scappiamo e cerchiamo di seminarlo finché non ci viene un’idea migliore. E tu hai bisogno di andare in un ospedale, non svenire.» 

Dazai afferrò di nuovo Ango dal braccio sano per sostenerlo. Avevano sostato troppo.

Un proiettile gli sfiorò la testa. Un istinto che Dazai aveva ignorato per anni prese possesso dei suoi riflessi, facendogli rispondere al fuoco. Come predetto, l’invisibilità data da No Longer Human giocò a loro favore, facendo guadagnare una manciata di secondi al detective per riprendere a correre. Individuò un’insegna spenta e pericolante. Con due colpi mirati cadde alle loro spalle, spingendo Odasaku a balzare indietro. 

Prima di svoltare all’ennesimo angolo, Dazai incrociò lo sguardo con quello di Odasaku. Si era rimesso la maschera integrale vermiglia che gli valeva il nome di giustiziere e da cui non trasparivano emozioni. Il nulla totale, salvo l’avvertimento che il vantaggio stava per finire, come i granelli di sabbia in una clessidra. Dazai non aveva spazio anche per il timore.




 

Ricordi accantonati aiutarono Dazai a riconoscere, svoltare e correre per una serie di strade che il se stesso del passato aveva percorso per anni. Le luci erano poche, i locali avevano già chiuso, ma Dazai si accorse di uno spiraglio. 

Bloccandosi senza preavviso, con la conseguenza di trattenere Ango dal rovinare a terra, lo trascinò davanti a una porta di servizio. La spalancò con un calcio, puntando l’arma. Davanti a lui si aprì una cucina e lo sguardo sgranato di due sguatteri che interruppero l’opera di pulizia e le chiacchiere, pietrificandosi nel vedere la canna della pistola. A Dazai non passò inosservato come entrambi lanciarono uno sguardo sotto a uno dei banconi, dove dovevano aver lasciato le proprie armi.

«La parola d’ordine è Il sole si spegne. Non direte a nessuno di averci visto. Quando uscite andate a sinistra e non guardatevi indietro. Ora sparite» ordinò Dazai e i due ragazzi mollarono scopa e straccio senza una parola e si precipitarono fuori, passando loro a fianco. 

«Dove… siamo?» domandò Ango, reggendosi malamente in piedi. 

«Uno dei tanti locali facciata della mafia. È una fortuna che la mia parola d’ordine ancora funzioni» spiegò sbrigativo Dazai. Recuperò una pezza pulita e la lanciò ad Ango, per poi dedicarsi a sigillare la porta di servizio. 

«Questo non lo fermerà, ma dovremmo riuscire a guadagnare tempo. Se non ci ha visti.» 

Spinse poi Ango verso l’ingresso della cucina, guardandosi intorno. Era un locale piccolo, modesto, per una bevuta dopo il lavoro. La vetrina dava sulla strada principale, anche se in quel momento la saracinesca era calata ed entrava solo qualche sprazzo di luce. Dazai non si soffermò e imboccò una seconda porta, su cui era affisso il cartello bagno rotto

Non si trovarono in un vero gabinetto, ma in una seconda stanza, un ex magazzino rimesso totalmente a nuovo e lungi dall’avere l’aspetto dimesso del locale. Era, in una scala ridotta, la sala di un night club, con pareti insonorizzate, divanetti di lusso e una pedana centrale con un palo da pole dance. 

Dopo aver fatto sedere l’ex spia vicino al bancone del bar, il detective ispezionò velocemente la sua ferita. 

«Hai ancora il cellulare?» 

Ango scosse la testa. 

«È rimasto nella mia borsa al Lupin. Ma ho ancora...» 

Con la mano tentò di raggiungere una delle tasche del suo completo, ma le fitte di dolore lo bloccarono. Dazai fu più sbrigativo e frugò per conto proprio. 

«Fantastico» commentò, svuotato di entusiasmo ma colmo di disprezzo, rigirandosi un cercapersone tra le dita. «A voi del governo questi giocattoli retrò piacciono parecchio. Spero tu abbia il numero dell’esercito qui dentro, perché non basterà un’unità d’assalto contro Odasaku.»

Ango piegò la testa all’indietro in cerca di aria. Il suo viso sofferente si faceva sempre più pallido, ma tentò di trovare il fiato per spiegarsi. 

«Ha un raggio d’azione che copre tutta Yokohama e indica la nostra posizione al centimetro. Attiverà il cellulare scelto anche se è spento. Non si può ignorare. Seleziona il terzo contatto.»

Anche se dubbioso, Dazai non esitò a farlo. Avevano bisogno di aiuto per uscire da quella situazione, per quanto la richiesta avrebbe portato qualcuno di poco attento a lasciarci la pelle. Pensare a Odasaku con le mani sporche di sangue era un altro argomento che finì in fondo alla lista di cose di cui preoccuparsi in quel momento. Prima sarebbero dovuti sopravvivere alla sua caccia.

Il silenzio prolungato in cui la sala del night club si immerse lo portò ad alzare lo sguardo su Ango. Gli diede uno schiaffo leggero, per prendergli poi la testa tra le mani. 

«Rimani sveglio. Se svieni è la fine» e stanotte non posso perdere qualcun altro

Dazai si odiò per averlo pensato. Si sentiva emotivamente uno schifo e solo la tensione della situazione gli stava impedendo di fare i conti col reale significato di quanto stava succedendo. 

«Sarebbe ironico se morissi per mano di Odasaku» sussurrò Ango con voce rotta. «La giusta punizione da parte del karma.»

Dazai gli raddrizzò gli occhiali sul naso con un sospiro. Poteva concedersi di allentare un po’ la pressione, se questo fosse servito a mantenerli vigili. 

«Non lo dirò per farti stare bene. Prendila per una constatazione.» 

Abbassò lo sguardo sulla sua ferita. Alla fine, il sangue era indistinguibile. Rosso e caldo per ognuno di loro. La sua mano si era sporcata del sangue di Ango come quattro anni prima era successo con Odasaku. 

«Tu non c’entri con la morte di Odasaku. O quella che abbiamo creduto fosse la sua fine. Il fatto che tu fossi una spia non è stata una mossa leale, ma nel quadro generale degli eventi… sei stato solo la pedina giusta al momento giusto nelle mani di Mori-san.»

Forse avrebbe dovuto sentire quelle parole alleggerirgli la coscienza, ma riusciva solo a pensare ai ricordi di Odasaku seduto di fianco a lui al Lupin. Chiuse gli occhi. 

«Non hai nessun debito verso di lui, se non quello di avergli mentito. Ma ti avrebbe perdonato.»

Ango trattenne la commozione a fatica, scuotendo la testa, ignorando le fitte di dolore. 

«Ho capito troppo tardi che mi ero affezionato a voi due quando non avrei dovuto...»

Dazai non rispose, guardando altrove. Il devasto fisico ed emotivo di Ango scorreva quanto il sangue dalla sua ferita. Probabilmente quella conversazione sarebbe stata diversa in un altro frangente. O avevano avuto bisogno di trovarsi in una situazione del genere per aprire la porta su quattro anni prima. 

Il concetto di perdono era estraneo a Dazai, anche dopo anni in quel lato dove lo aveva spinto Odasaku. Come l’odio non era che un fastidio che lo portava a fare del male a chi lo provocava. La naturalezza con cui i suoi pensieri trovavano i punti deboli dove colpire era un processo che non gli aveva mai provocato troppi scrupoli. In fondo, Ango stesso era stato una sua vittima, nonostante una parte di lui continuasse a considerarlo importante. Ciò che Dazai realizzò in quel momento di confessione, fu come la presenza dell’ex spia stesse riaffiorando nei suoi ricordi legati al Lupin. 

Il rumore violento di una porta scardinata li colse nel momento di debolezza. Entrambi sussultarono, ma Dazai premette la mano sulla bocca di Ango, tirandolo in piedi per portarlo dietro il bancone del bar e nasconderlo. Impugnò di nuovo la pistola, contando mentalmente i colpi rimasti, e scelse l’angolatura migliore con cui tenere d’occhio la porta della sala. 

Era una stanza dove l’ingresso coincideva con l’uscita. Le probabilità che ne uscissero vivi erano minime e il pensiero gli provocò una sensazione che aveva sperimentato di rado, quella di voler sopravvivere. Odasaku era vivo e lui… non voleva morire.

L’uscio del night club segreto fu abbattuto con un calcio, volando addosso ai divani più vicini. 

«Dove cazzo sei quattrocchi!? Vieni fuori! Il mio cellulare non smette più di suonare per il tuo allarme di merda!»

Chuuya apparve sulla porta, mani in tasca ed espressione al limite dell’intento omicida. Sentimento che si stemperò quando incrociò gli occhi con quelli senza parole di Dazai. Di fianco a lui, Ango riuscì a mettersi in piedi a fatica. 

«Che cazzo significa?» sbottò Chuuya, marciando verso di loro con l’aria di qualcuno che non si sarebbe accontento delle spiegazioni. «Che cosa ci fate voi due qui!?»

Dazai lo ignorò, voltandosi verso il suo - un po’ meno - ex amico. 

«Perché Chuuya è nel tuo cercapersone?»

Ango riuscì ad abbozzare un sorriso di sollievo. 

«Volevi l’esercito…» e nel dirlo si accasciò contro il bancone. «Il resto è una storia lunga, non è il momento...»  

Chuuya annullò il resto della distanza in poche falcate, gli occhi fissi sulla ferita al braccio di Ango. 

«Che cazzo è successo!?»

«Red Hood ci sta inseguendo» replicò secco Dazai. Dare spiegazioni a Chuuya era complicato e non ne avevano il tempo. «Dobbiamo andarcene da qui. Subito. Ango non resisterà ancora a lungo.» Nel dirlo, lo sorresse per cercare di avviarsi verso l’uscita, ma Chuuya gli si parò davanti, premendogli una mano sul petto per fermarlo.

«Aspetta un momento. Quello stronzo è qui in giro!? È stato lui a sparargli!?»

«Dobbiamo andarcene» insistette Dazai, serrando le dita intorno al polso di Ango, che non protestò ma, anzi, comprese il gesto, la difficoltà a esprimersi. 

«Nakahara-kun, Dazai ha ragione… è meglio andare.»

«Col cazzo!» li liquidò Chuuya. «Dove diavolo è!? Così la finiamo una volta per tutte!»

Sottolineò la frase colpendosi un palmo con il pugno, il famigliare bagliore della gravità a circondarlo. 

Dazai liberò una mano per afferrare Chuuya e annullare l’abilità. 

«Non puoi ucciderlo.»

«Guardami farlo» ribatté il Dirigente, sostenendo il suo sguardo.

La dita di Dazai si conficcarono nel polso dell’ex partner. 

«Red Hood è Odasaku. È il mio amico

Le intenzioni di Chuuya persero di intensità. Dopo un iniziale momento di smarrimento, certo di aver capito male il nome, Chuuya si liberò con uno strattone e spostò lo sguardo dall’uno all’altro. Ango annuì debolmente, confermando le parole di Dazai. 

«Non è possibile» buttò fuori Chuuya, sconvolto. Un sentimento che fu presto inquinato dall’incazzatura. Anche se era la verità si sentiva preso in giro. «È morto. Cazzo, hai mollato la mafia per la sua morte!» 

Fissare in faccia l’ex partner, e ricevere solo silenzio in risposta, gli restituì un boccone più amaro. Dazai era concentrato sulla situazione, ma a Chuuya non era passato inosservato quello che si annidava nel suo sguardo. Scosse la testa. 

«Com’è possibile che sia vivo?»

«Dostoevskij.»

Un nome che ebbe il potere di aumentare il malumore di Chuuya. 

«’fanculo. Quel ratto di merda dovevate ucciderlo quando lo avete fregato.» 

«Ti assicuro che non andrà lontano la prossima volta» promise Dazai. «Adesso dobbiamo andarcene.» 

Chuuya non fu d’accordo. Non si spostò, nonostante l’occhiata combattuta che gli rivolse. 

«Non posso lasciare...» Imprecò. «Non posso lasciare che il tuo amico se ne vada in giro come se nulla fosse. Non con quello che ha combinato fino a ora. Degli agenti sono morti.»

Lo sguardo di Dazai promise una tempesta, ma non ebbe modo di discutere ulteriormente. L’ultimo granello di sabbia si era appena depositato nella parte bassa della clessidra. Il tempo a loro disposizione, il loro vantaggio, era finito. 

Ango fu il primo ad accorgersi dell’entrata silenziosa e distaccata con cui Odasaku mise piede nella sala. La sua espressione sconvolta fu l’allarme che fece scattare Chuuya. La prontezza con cui attivò la gravità li salvò dalla prima pioggia di proiettili e servì a Dazai e Ango per tuffarsi di nuovo dietro al bancone. 

«Non attaccarlo!» gridò il detective all’ex partner. «La sua abilità può vedere fino a dieci secondi nel futuro!»

«Figlio di puttana» digrignò tra i denti Chuuya, continuando a collezionare proiettili finché entrambe le pistole di Red Hood finirono i colpi. Fu il momento del contrattacco, ma Odasaku lo aveva già previsto e scartò dietro a una fila di divanetti, prima che i proiettili tornassero indietro potenziati dalla gravità. 

«Usa la Muraglia Cinese!» urlò Dazai, sovrastando il rumore frastornante. 

«Lo so!» replicò furioso Chuuya, sbattendo le mani sul pavimento. 

Dopo un secondo di puro silenzio, seguì un fracasso tale che difficilmente i muri insonorizzati arginarono. L’intera sala tremò e tutto quello che non era inchiodato alle pareti o a terra volò davanti a Chuuya, iniziando ad accatastarsi in un muro fatto di mobilio, bottiglie, elettrodomestici, tendaggi e qualsiasi cosa il richiamo della gravità riuscisse a trascinare con sé. 

Sforzandosi, Chuuya mantenne attivo il potere abbastanza da correre verso il bancone del bar, scivolarci sopra e atterrare davanti a Dazai e Ango. Senza perdere un secondo di quel nuovo vantaggio, colpì la parete con un pugno e aprì un varco. 

«Via! Ora!» urlò.

Lui e Dazai afferrarono Ango e scapparono via.  


To be continued.





 

Spazio autore 

 

Due settimane di pausa, ma ce l’ho fatta a correggere e postare ;) 

Il capitolo è dedicato a Europa91 che lo aspettava con tutta la passione che riesce a urlarmi in chat e che mi aiuta ad andare avanti con questa storia :°) Grazie! 

 

Al prossimo weekend col seguito ~

 

Pagina autore su FB: Nefelibata ~ @EneriMess


Prossimo capitolo → The sky is falling apart [Parte 2]

   
 
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