Per alcuni istanti, Ryu e Rashid restano immobili, stretti in un abbraccio. I loro pensieri quasi si perdono nell’appagamento, seguito a quell’amplesso. Calmo, serio, Ryu gli sfiora la schiena nuda. – Ti va di bere del vino? – chiede l’arabo. Ryu non risponde e la sua bocca si posa sul collo dell’altro. – Sei diventato sordo Ryu? – domanda Rashid, sorpreso. Perché non gli risponde? Il guerriero si ferma e le sue braccia cingono la vita dell’altro. – Non voglio bere. Non ha senso. – dice, ad un tratto, gli ardenti occhi neri fissi in quelli di Rashid. Le lunghe ciglia proiettano ombre morbide nelle iridi cupe, accentuandone la bellezza. Rashid sussulta. La sua pelle, in quel momento, brucia e il suo respiro accelera. Sotto lo sguardo di quegli occhi neri, simili a carbonchi, si sente completamente indifeso. E non gli dispiace tale sensazione. Cauto, solleva il braccio destro e le sue dita sfiorano la guancia di Ryu. – Perché? – chiede. – Non c’è bisogno del vino, se si è veramente felici. E io sono felice di essere qui. – dice, pacato. Sorpreso, Rashid annuisce. Le parole di Ryu racchiudono una loro semplice saggezza. Che senso ha bere, quando si è felici? Il vino oscura i sensi e impedisce il godimento pieno della gioia. Poi, una luce maliziosa riverbera nelle sue iridi. – Ti va di riprendere dopo? – domanda. Il nipponico appoggia la testa sulla spalla di Rashid. – Sì… Ma non programmiamo nulla. Lasciamo che siano i desideri a parlare per noi. –