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Autore: thewickedwitch    17/11/2020    1 recensioni
Sentimenti contrastanti imperversano nell'animo di Emma durante la sua battaglia contro l'oscurità. Sentimenti fin troppo conosciuti e repressi, nobili ed egoisti, pericolosi. Ed un attentato alla vita di Regina non migliora di certo la situazione.
Ma si scioglierà, tra le mura di pietra, nel fuoco di una danza e di un vestito, il ghiaccio che minaccia di bloccare il suo cuore. O forse si annullerà, in un sussurro di tentazione, l'orgogliosa volontà di due anime ferine, relegandole in una vuota dimensione di abbandono, mai così piena.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills, Robin Hood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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//Un'alternativa alla serata del ballo di Camelot della 5x2 ed un tentativo di sfruttare il potenziale di Emma come signora oscura meglio di quanto sia stato fatto. 
Scritta sulle note del telefono durante un viaggio, prendetela così com'è e perdonate eventuali, terribili orroriXD.
Grazie in anticipo a chiunque leggerà e, se vorrà, commenterà, e buona lettura.
 
 
 
I am the Fallen
You are what my sins enclose
Lust is not as creative
As its discovery.
To paradise, with pleasure haunted, haunted by fear.

-She is my sin (Nightwish) 
 
 
Ad Emma non piacevano i balli.
Non erano mai piaciuti.
Nonostante le dispiacesse non aver potuto portare a termine gli studi, era grata di aver potuto evitare il famoso ballo di fine anno che la scuola, o meglio, la società americana, imponeva. Aveva sempre pensato, immaginandone l’occasione, che sarebbe stato una tortura per lei.
Non le piaceva seguire ciò che tutti gli altri facevano, non le piaceva dover essere invitata da un ragazzo a ballare, e non le piaceva, soprattutto, sentirsi osservata da tutti.
Non le piaceva e basta.
E ora, non le piaceva neppure l’idea di stare in un posto cosí affollato a “festeggiare” mentre dentro di lei imperversava una delle battaglie più difficili che avesse mai combattuto.
 
Non era andata a quel ballo, Emma, con la scusa ufficiale di stare poco bene.
E dire che Killian ci era rimasto male era un eufemismo.
Doveva essere stato impaziente, aveva pensato, di poter mostrare a tutti la “sua donna”, la “sua conquista”.
Ma no, Killian non era cosi, e lei non doveva pensarlo; non era giusto.
Era l’oscurità, si, solo quello, a farla pensare in questo modo.
Lei amava Killian. In fondo glielo aveva detto, prima di sacrificare la sua vita e tutto quello che aveva per Regina.
Insomma, non che avesse avuto scelta, lei era Regina. La sua migliore amica, la madre di suo figlio, la donna che le aveva cambiato la vita.
Aveva dovuto farlo.
E ora Regina era a quel ballo.
Non riusciva a smettere di pensarci, Emma, chiusa nella sua stanza, tra quelle possenti mura di pietra.
Chissà che vestito stava indossando, Regina.
Doveva star ballando con…con Robin si, con chi altro?
Doveva starsi divertendo, Regina.
Magari in quel preciso momento sorrideva. Forse rideva persino, mente lui la avvolgeva tra le braccia…
Le fiamme nel camino guizzarono improvvisamente verso l’alto, ed Emma notò la sua mano stretta in un pugno.
Prese un respiro, cercando di calmarsi.
Dannazione, perché era cosí nervosa?
Forse la colpa era di Regina e di quel continuo pensare a lei. Si, doveva essere cosí.
E perché pensava sempre a lei, poi? Perché la sua mente non riusciva a smettere di provare ad immaginarla?
Non lo sapeva perché, Emma, ed in tutta onestà non voleva scoprirlo. O meglio…non doveva, scoprirlo, perché quella nuova oscurità in lei era invece affamata di rispose e verità, ne cercava sempre di più, ne pretendeva sempre di più. Ma una volta ottenutele… le sfruttava per sconvolgere tutto, tutta quella vita che lei si era costruita con cosí tanta fatica. Non poteva permettere che sconvolgesse anche il rapporto che aveva con Regina, perché era certa che, per la persona stessa che Regina era, non avrebbe potuto fare altro che distruggerlo.
 
Prese un respiro profondo e si sforzò di pensare a Killian. Chissà se se lo stava godendo quel ballo, anche senza di lei.
Magari aveva trovato una dama con cui danzare, lí a Camelot. O magari danzava con Belle, rimasta ora sola. O forse si limitava a bere in un angolo, dopotutto era bravo a farlo.
Strinse gli occhi cercando di fermare quel nuovo pensiero nocivo che stava nascendo nella sua testa.
E davvero non le capiva, quelle nuove emozioni. Davvero non capiva perché ora sorgessero quasi spontanei alla sua mente tutti quei pensieri cattivi su Killian.
Non era giusto, lui la amava. Non poteva permetterselo.
E se ci pensava su, faceva anche parecchi pensieri negativi su Robin, da quando lo aveva reincontrato con gli altri a Camelot. Ma dopotutto, di questo non si dispiaceva molto. Non era un mistero neanche per la Emma di sempre il non aver mai provato grande simpatia per lui, men che meno dopo quanto accaduto con Marian.
Però doveva stare attenta: quei pensieri scaturivano dalla sua oscurità, non poteva lasciarli liberi o avrebbe perso la sua battaglia contro di essa.
 
Eppure, chissà se Robin avrebbe ballato tutta la sera con Regina oppure ad un tratto sarebbe passato a stringere tra le braccia una bella dama di Camelot. Le ammiratrici non dovevano mancargli, in fondo.
E allora cosa ne sarebbe stato di Regina? Avrebbe danzato con altri? Si sarebbe lasciata andare? E, nel caso, con chi?
Avrebbe dovuto danzare con lei, Regina.
No. No, cosa andava a pensare? No.
La verità era che quelle pareti erano davvero troppo…opprimenti per lei. Dopo quei mesi in prigione, aveva imparato a disprezzare le fortezze. E stava cercando di evadere con la mente, raggiungendo quel ballo.
Quel ballo a cui non voleva andare. Non per ballare con Killian o con strani cavalieri di Re Artú.
Forse aveva bisogno solo di un po’ d’aria fresca, ragionò. Forse una camminata nel giardino del castello avrebbe potuto schiarirle le idee. Si, era ciò che doveva fare.
E magari sarebbe passata vicina al ballo, e vi avrebbe dato un’occhiata.
Certo, non che le interessasse come stesse andando la serata. Era solo curiosa.
Voleva davvero scoprire cosa stesse indossando in quell'occasione Regina.
Si alzò di scatto, facendo fare alla pesante sedia in legno un forte rumore che risuonò tra le pareti di quella camera. Fece appena una smorfia, e si guardò ad uno specchio poco distante.
Indossava una lunga veste bianca, una veste che le avevano dato, in sostituzione dei consunti mantello  e veste con cui era arrivata.
Non le piaceva quel vestito, non addosso a sé stessa.
Le venne spaventosamente automatico il gesto della mano con cui lo trasformò in un più comodo completo moderno, di pantaloni neri e leggera camicia bianca. Si stupì delle sue stesse abilità.
Non le interessava essere fuori luogo, dopotutto, non apparteneva a quell’epoca e non aveva nessuna intenzione di sentirsene parte.
E si, Emma non aveva mai indossato una camicia bianca e dei pantaloni neri in vita sua, ma in fondo lo aveva sempre voluto, e ora le sembrava semplicemente giusto.
 
Era cosí presa a rimirarsi, con timorosa soddisfazione, che d’inizio non vide la figura presente nell’angolo della sua camera. Finché essa non batté le mani.
“Bravissima, mia cara!”
Emma roteò gli occhi.
“Non eri andato via?”
Lui emise quella piccola ed acuta risata che aveva iniziato davvero a darle sui nervi negli ultimi giorni.
“Io non vado mai via, mia cara. Sono nella tua testa, ricordi? A volte mi vedi, altre no. Ma sai benissimo che dipende solo da te.”
Emma sospirò, rifiutandosi di rispondere, scuotendo la testa.
“Cosa c’è, pensieri oscuri?” Tremotino, o almeno l'immagine di lui, rise di nuovo e si avvicinò ad ampi passi.
“Devi dire però, che con questo hai fatto un ottimo lavoro…”
Le poggiò le mani sulle spalle e lei si affrettò a scrollarsele di dosso.
“Non toccarmi!”
Lui parve non darle retta, fissando nello specchio la sua immagine riflessa.
“Guardati…cosí bella…cosí libera…cosí potente…” sussurrò al suo orecchio,
“Potresti avere qualunque cosa e chiunque tu voglia, con tutto questo…”
Ed Emma questa volta non ribadì. Rimase immobile, quasi incantata a guardare il proprio riflesso, i suoi nuovi vestiti, la sua espressione, i suoi stessi occhi…
Qualunque cosa e chiunque tu voglia… Chiunque…
Serrò gli occhi per uscire da quella trance e si scostò da lui.
“Lasciami stare, vado a fare un giro. Ho bisogno di aria.”
Lui rimase a fissarla, le mani allacciate dietro la schiena.
“Già, è soffocante questo posto, vero? Cosí grande, cosí chiuso, cosí solitario…”
Ma Emma non volle più ascoltarlo e lasciò chiudersi la pesante porta alle sue spalle con uno schianto.
 
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L’aria della sera era stranamente calda sulla sua pelle, eppure avrebbe giurato fosse fresca, quando erano arrivati.
Aveva attraversato le sale del castello, tutte vuote eccezion fatta per i servitori che le avevano lanciato curiose occhiate, forse più dovute al suo abbigliamento che alla sua presenza, per giungere poi finalmente all’esterno. Per fortuna almeno, nessuno aveva provato a fermarla: non sapeva come avrebbe potuto reagire.
La conversazione, o meglio, l’ultimo monologo di Tremotino le avevano lasciato sulla pelle una strana sensazione, quasi l’eco di un avvertimento, una leggera consapevolezza che, strisciante, si insinuava nella sua mente e nella sua vita, più seducente e subdola di qualsiasi altra con cui l’oscurità l’avesse messa a contatto fino ad allora.
Era spaventoso. Ma era possibile, sentiva che tutto era possibile, se solo lei lo avesse voluto. Ed era proprio questo a spaventarla, perché la vita non si vive cosí, il bene non é dipendere solo dai propri desideri.
E lei era buona, no? Doveva esserlo, doveva restarlo.
Ma seguire i propri desideri era poi male?
Catturò quell'aria che le pareva priva di ossigeno in una profonda boccata.
Forse doveva solo smettere di preoccuparsi. Forse, se non ci avesse pensato troppo, l'oscurità non l'avrebbe avvolta tra le sue spire e divorata. In fondo sapeva che tutto partiva proprio da quello, dal pensiero.
Ma d'altronde, proprio quello era anche il problema principale: smettere di pensare.
Ci stava provando, ci provava davvero, ma...qualsiasi cosa pensasse finiva per portarla lí, all'oscurità.
E a Regina.
 
Sentì la musica e cercò di concentrarsi su quella. La seguí fino al grande cortile pavimentato in marmo e circondato di siepi.
Furono proprio quelle a permetterle di fermarsi per "spiare",  attraverso una fenditura, i danzatori.
Non li stava spiando, lei...voleva solo distrarsi. E assolutamente non voleva farsi vedere, perché, insomma, sarebbe stato...inopportuno, dopotutto.
Lo spazio intorno, dal suo lato della siepe, era buio e deserto. Sperò non vi si avventurasse nessun servitore.
Era certa che avrebbe potuto fare un incantesimo per rendersi invisibile, ma aveva usato già abbastanza magia oscura per un giorno solo, sapeva che ogni volta la trascinava un po' di piú nel baratro.
Non era mai stata esperta di magia Emma, neanche della sua, non poteva dire di saperla usare del tutto e senza conseguenze, in fondo erano in pochi a poterlo dire, però doveva ammettere di essere dispiaciuta di non poterla più usare del tutto. Insomma, una volta conosciuta, di luce come era la sua o d'oscurità come era diventata, era difficile privarsene. Senza dubbio portava dei vantaggi, oltre ad essere...beh, magia. Incantata, meravigliosa.
Ma si riscosse di nuovo: da quando faceva quei pensieri sulla magia? Insomma si, era bella oggettivamente, però...
L'oscurità la stava davvero cambiando.
Scosse la testa, quasi a voler cacciare quei pensieri, e si concentrò sui danzatori.
Erano in molti, volteggiavano in coppie sulle note di liuti ed arpe suonati da un minuto gruppo di abili suonatori. Era...pittoresco, non poteva negare di essersi sempre chiesta come fossero quei tempi cosí lontani dal suo presente. Non aveva mai sentito note tanto scandite ed al tempo stesso soffici come non aveva mai visto cosí tanti persone vestite a quel modo...insomma, sembrava una sorta di festa in maschera, solo che non lo era.
Vide Henry parlare con una ragazza dai lunghi capelli castani in un angolo. Sorrise. A quanto pareva, il "ragazzino" iniziava ad interessarsi alle ragazze. Era cresciuto cosí tanto...ma Emma era felice di quello che era diventato.
E lo era diventato principalmente grazie a Regina.
Regina...
Era tutto molto bello, solo che...lo sguardo di Emma non riusciva a fermarsi. Scandagliava tutti i presenti alla ricerca di qualcosa, di qualcuno, che sapeva perfettamente chi fosse, sebbene la sua mente si rifiutasse di ammetterlo.
Cercava Regina. E quando la trovò...il suo sguardo trovò la sua destinazione e finalmente la sua quiete, perché non c'era nient'altro che valesse la pena guardare, allora.
Perché, se avessero chiesto ad Emma, Regina si elevava rispetto a tutti i presenti in quella sala in una dimensione di bellezza a lei quasi sconosciuta, ma non per questo meno incantevole ed ammaliante.
 
Indossava un vestito bianco, no, rosa. Un rosa leggero.
Cosa ci fa Regina con un vestito rosa?
Fu il primo pensiero coerente che riuscì ad elaborare. Ma la sua non era una lamentela, affatto.
Cioè si, quel vestito non le piaceva più di tanto, ma il problema era più che altro che non era abituata a vederla indossare qualcosa di chiaro, e per altro non l'aveva mai vista con un vestito cosí...principesco. E ora le sembrava una delle figure del libro di fiabe che da bambina aveva avuto e tanto amato, una principessa, ricca, felice, che aspetta un eroe che arrivi a salvarla portandole il suo lieto fine.
Solo che Emma sapeva che Regina non era nulla di tutto questo.
Lei era una regina, non una principessa, era ricca, certo, ma non era sicura che fosse felice, no, Emma sapeva lei non era felice, forse perché la felicità non esiste, forse perché alcune ferite non si rimarginano mai.
E soprattutto, Emma sapeva che Regina non era mai stata salvata. E questo era il motivo per cui la sua figura volteggiante la incantava ancora di più.
Regina aveva conquistato tutto con le sue mani. Da sola, si era presa tutto quello che le era stato sempre negato, almeno, quello che aveva potuto prendersi, aveva cercato di costruirsi un lieto fine, non aspettando che un fantomatico eroe glielo regalasse, ma diventando il cattivo della sua fiaba.
E non c'era nulla, a parere di Emma, o almeno di questa nuova versione di lei, di più incantevole dell'oscurità mascherata dalla luce e dal colore.
Non che Regina fosse solo oscurità, ovviamente, ma ne aveva in sé, sebbene nell'ultimo periodo cercasse con tutte le sue forze di reprimerla, e, sempre secondo il parere di Emma, era una delle cose che la rendevano piú la persona che era, che era davvero, e per nulla al mondo avrebbe dovuto ripudiarla del tutto o...nasconderla.
Perché Emma amava l'oscurità di Regina.
Strinse gli occhi.
Cosa andava a pensare?
Davvero quel potere la stava corrompendo più velocemente di quanto avrebbe mai creduto possibile.
Preferì non rimuginare oltre, limitandosi a fissare le scene che si succedevano davanti ai suoi occhi.
 
Regina ballava con Robin. Ovviamente.
Ballava e gli sorrideva, come se lui lo meritasse, dopo quello che aveva fatto.
Certo, era stato giusto, Emma non osava metterlo in dubbio. Marion, o la presunta tale, era sua moglie. Era stato onorevole in verità, a non abbandonarla.
Però aveva abbandonato Regina. Aveva potuto averla, e l'aveva abbandonata. E solo questo aveva importanza per Emma, solo questo riusciva a vedere del suo gesto, in questa nuova visione che ora aveva delle cose.
E non riusciva proprio a perdonarglielo, come invece Regina aveva fatto. E ancora di più, quello che Emma non riusciva a perdonargli era come fosse tornato e si fosse ripreso il suo posto come se niente fosse. Lui.
E forse non riusciva a perdonare neanche Regina per averglielo lasciato fare.
Era stata lei a starle vicino, quando lui se ne era andato. Era stata lei a rifiutare di lasciarla sola, praticamente ignorando Killian per settimane, al punto di dover essere grata che lui volesse saperne ancora qualcosa di lei, pur di essere sicura che non si lasciasse andare, che non facesse qualcosa di stupido, perché ormai aveva capito come reagiva Regina quando l'amore le veniva portato via: credeva di non meritarlo. E cosí, sprecava la sua vita.
Non era lei il problema, ora Emma lo sapeva, non lo era mai stata. Era sempre stato il mondo troppo meschino per comprenderla.
E dopo tutto quello che aveva fatto, i regali, i passatempi, Henry, le serate cinema tutti insieme, i pasti a cui l'aveva quasi costretta, magari per sentirsi dire che era un'idiota, ma solo per vederla poi sorridere, ad Emma non pareva giusto.
Lo aveva fatto perché era ciò che doveva fare, perché regina era sua amica, la sua migliore amica e lei non sopportava di vederla cosí, non voleva certamente ricompense, però sapeva cosa aveva passato, ed in tutto quel tempo lui non c'era stato, non aveva mai chiamato neanche per chiedere come stesse. E forse lo aveva fatto per il suo bene, ma per Emma, l'aveva solo dimenticata.
Perché Robin era andato via e non solo: in meno di un mese aveva ricominciato. Perché aveva un figlio, anzi due, ed una famiglia.
Ma anche Regina li aveva, eppure non aveva ricominciato tanto facilmente come lui.
E questo forse, Emma non poteva perdonarlo neanche a lei.
 
Comunque, ora erano lì.
Loro due a ballare, felici.
Emma nascosta nell'oscurità a guardarli, in quella stessa oscurità che in nome di Regina aveva accolto dentro di se, anche a costo si venirne consumata.
Era una tragedia quasi divertente.
Ed improvvisamente ad Emma venne voglia di dire tutte quelle cose a Regina. Anche se forse Regina non aveva colpe e non lo meritava.
E pensò che sarebbe stato estremamente facile farlo, se fosse stata a cosí poca distanza da lei come ora era Robin.
E si chiese allora, come sarebbe stato tenere le mani sui suoi fianchi, stringerle leggermente la vita, per volteggiare con lei. Come sarebbe stata al tatto la stoffa di quell'insolito abito.
Come Regina avrebbe reagito.
Allargarono le braccia, fecero una giravolta.
Poi lei poggiò la schiena al petto di lui, che a sua volta la avvolse tra le braccia.
Lo stomaco di Emma si strinse, cosí come i suoi pugni.
Come si permetteva?
La stava stringendo come se fosse sua.
Regina non era sua. Regina non era di nessuno.
Regina era troppo per tutti loro. E nessuno poteva neanche solo pensare di possederla.
Sentì qualcosa scoppiettare a poca distanza, e quando si girò vide che un cumulo d'erba secca poco distante aveva preso fuoco.
Chiuse gli occhi cercando di calmarsi e non esitò ad usare la magia questa volta per spegnere le fiamme prima che tutto il giardino andasse a fuoco.
Solo quando ne rimase solo fumo Emma tornò a rilassarsi e a concentrarsi sulla scena di fronte a sé.
Perché proprio non riusciva ad evitarlo.
Regina stava facendo un giro su sé stessa tenendogli la mano, mentre l'orlo del suo vestito ondeggiava con lei. I suoi capelli erano legati.
Peccato.
Si, peccato, perché Regina aveva dei capelli meravigliosi, lucenti, e presumibilmente straordinariamente morbidi. Non poteva saperlo Emma, non aveva mai potuto affondarci le dita. Non che non lo avesse mai desiderato.
E ora sarebbero dovuti restare sciolti, ora che aveva preso la magnifica decisione di lasciarli allungare, perché vederli ondeggiare seguendo i suoi movimenti, rilucendo di quelle decine di fiaccole che la circondavano, sarebbe stato uno spettacolo unico.
 
Tornò a stringersi al petto dell'uomo, ma questa volta Emma seppe controllarsi, semplicemente perché si sentí ridicola.
Cosa stava facendo? Se ne stava lí nell'oscurità, a spiare ed accusare, senza aver avuto neanche il coraggio di presentarsi. Che diritto aveva dunque, di farlo?
E poi quale era il suo problema? Si preoccupava per la felicità della sua amica? Senza dubbio.
Era gelosa?
Dannazione, si. Più di ogni altra cosa.
Ma non aveva diritto di provare neanche quello, perché tutto era già deciso e segnato dal destino, e Robin era il vero amore di Regina e dunque, in un modo o nell'altro, sarebbero stati felici insieme.
Ed Emma voleva solo che Regina fosse felice.
Eppure…
 
Poi, qualcosa cambiò, improvvisamente.
La musica si fermò, il ballo era finito.
Prima che potesse iniziare il successivo però, qualcuno si avvicinò ai due: un uomo, che le sembrava li avesse accolti o qualcosa del genere. Lo aveva già visto, anche se non ricordava dove.
Non poteva sentire le sue parole ma vide i suoi gesti.
Invitò Regina a ballare.
Come vorrei fare io.
Il pensiero sfiorò la sua mente ma si affrettò a reprimerlo, concentrandosi.
Chi era poi, quell'uomo, per permettersi di chiedere a Regina di ballare?
Respirò profondamente. Doveva calmarsi. Non poteva reagire cosí, era anormale e strambo e...inquietante. Soprattutto da parte della signora oscura.
Era normale le chiedesse di ballare, Regina era obbiettivamente una bella donna, chiunque le avrebbe chiesto di ballare.
Però...le dava fastidio. E le avrebbe comunque dato fastidio, chiunque fosse stato a farlo.
 
La musica riprese ed iniziarono a muoversi.
Killian con la sua dama, compagna nella danza, le passò davanti e i suoi occhi guizzarono a malapena nella sua direzione, tornando subito dopo a concentrarsi su Regina e sul suo strano cavaliere.
Non stavano solo ballando. Ballavano e...conversavano, a quanto pareva.
O meglio, l'uomo conduceva la conversazione, e Regina si limitava a rispondere con vaghe parole.
Ma c'era qualcosa che non andava, Emma lo percepì subito. Regina non sorrideva, e dall'espressione che aveva assunto era chiaro fosse a disagio.
E se quell'uomo non avesse smesso di dirle quello che la stava infastidendo a quel modo seduta stante, Emma avrebbe potuto bruciare quelle siepi e superarle per raggiungerlo in un momento e fargli capire chiaramente come doveva comportarsi con una regina.
E in tutto quello, Robin dov'era? Ballava tranquillo con un'altra dama, non la stava neanche guardando, non si stava neanche assicurando che stesse bene.
Emma si sentí ribollire di rabbia.
E fu davvero sul punto di fare irruzione e far saltare tutto quel dannato ballo in aria, quando accadde ancora qualcosa.
Lo strambo uomo estrasse la sua spada e la puntò contro Regina.
A quel punto, Emma perse ogni razionalità. Percepí a malapena suo padre avvicinarsi a loro di corsa per difendere Regina, ma nel frattempo lei aveva già agito.
Quasi senza accorgersene, aveva sollevato l'uomo da terra con la sua magia e stava stringendo la sua gola, di più, sempre di più.
Perché se anche poteva tollerare che qualcuno ballasse con Regina, di certo non poteva tollerare che qualcuno tentasse di farle del male.
La spada gli sfuggí di mano, atterrando con un clangore quasi assordante nell'improvviso silenzio che si era venuto a creare.
Presto, come immaginava, Emma sentí la voce di Tremotino alle sue spalle.
"Ma tu guarda! Che incresciosa situazione..." sentí di nuovo le sue mani sulle spalle.
"Cosa aspetti cara? Voleva uccidere la tua Regina, dovresti ucciderlo...finirlo, snap!" schioccò le dita:" Basterebbe cosí poco...se solo tu stringessi un po' di più..."
Emma rabbrividí. Lei non era quello. Lei non era un'assassina. Lei era una salvatrice, la, salvatrice. Doveva esserlo.
Eppure Regina aveva rischiato la vita perché aveva preso il suo posto, per difenderla. Era tutta colpa sua, e lei doveva proteggere Regina, sempre.
Lo aveva giurato, tanto tempo prima, e ci credeva ancora.
"Forza...devi stringere solo un po' di più..." sussurrava lui, e le sembrava quasi che il sussurro non venisse più da dietro di lei ma da dentro, dal suo stesso petto, dalle sue stesse labbra.
E aveva ragione, sarebbe bastato cosí poco...
Guardò Regina e, inspiegabilmente, incrociò il suo sguardo. Lei fissava la siepe. A differenza di tutti, che si guardavano intorno cercando inutilmente il responsabile di quella magia, lei aveva lo sguardo fisso su un punto. Fisso su di lei.
Lei l'aveva trovata.
C'era sorpresa, nei suoi occhi, dubbio, forse persino paura.
Ma fu davanti ad un riflesso di delusione che Tremotino scomparve ed Emma distolse lo sguardo e lasciò la presa.
L'uomo cadde a terra privo di coscienza.
 
Quando Emma trovò il coraggio di riaprire gli occhi, o meglio, quando si trovò costretta a farlo, da quel potente richiamo che stava tirando le stringhe della sua mente e del suo cuore, vide a malapena suo padre verificare che l'uomo fosse vivo, registrando di non averlo ucciso, ma si accorse di nutrire scarso interesse nella notizia.
Tutto ciò che le interessava in quel momento erano gli occhi di Regina, quegli occhi che non potevano vederla, nell'oscurità, nascosta dietro la siepe, ma che ugualmente aveva l'impressione che la stessero osservando.
E continuarono ad osservarla, gli occhi di Regina, quando Robin arrivò di corsa alle sue spalle e la abbracciò protettivo.
Solo allora.
Poi lo vide girarle il volto per baciarla, la vide ricambiare il bacio distrattamente. Fu troppo.
Emma si voltò ed a passo spedito ritornò nella sua camera, senza guardarsi indietro.
 
Dopo pochi minuti, Regina lasciò la sala da ballo con la stessa fretta.
 
 
 
Emma decise di andare a trovare Regina quella sera. Perché forse Tremotino non era riuscito a farle uccidere quell'uomo, ma di certo in qualcosa era riuscito.
Qualcosa era cambiato. Qualcosa dentro di lei.
Le sembrava di essere più pura, più leggera, più libera.
E iniziava a chiedersi perché tutti fossero cosí convinti che l'oscurità fosse qualcosa da eliminare e da rifuggire. In fondo, l'aveva spinta ad uccidere quell'uomo, ma poi si era fermata, no? E comunque, aveva difeso Regina, l'aveva salvata. Poteva mai essere un male?
Non era certa che nelle sue normali condizioni di "frutto del vero amore" ci sarebbe riuscita altrettanto facilmente.
Però non doveva permettersi di pensare certe cose, e dunque si sforzava di tenere a bada il proprio cervello.
Ma più si sforzava, più cercava di allontanarsi e distaccarsi dalla possibile idea di una vita con quell'oscurità all'interno, più veniva attirata all'idea di ciò che a quell'oscurità l'aveva condotta.
E cosa era poi, Emma non lo sapeva di certo, però sapeva chi era.
Era Regina.
Ed alla fine Emma aveva rinunciato a cercare di smettere di pensare a Regina, perché aveva capito che era inutile.
E visto che non riusciva a smettere di pensarci, tanto valeva andare da lei e parlarle.
Si, voleva parlarle. Cosa voleva dirle? Non ne era sicura.
Avrebbe voluto dirle di essere stata lei, a salvarla. Avrebbe voluto dirle che mentre il suo fidanzato ballava e non si accorgeva di niente, lei era stata pronta ad intervenire sin da subito, anche per una sola parola sbagliata.
E si sarebbe vergognata di dirle che era stata sul punto di cedere all'istinto primario e divorante di ucciderlo, ma sarebbe stata orgogliosa poi, di confessarle che le era bastato guardarla negli occhi per fermarsi, che era stata Regina stessa, a salvarla dalla sua oscurità.
Ma in fondo, Emma non voleva dirle nessuna di queste cose, perché non avrebbe mai voluto che Regina si sentisse in colpa. Né voleva dei meriti per quello che aveva fatto, perché lo aveva fatto per il suo stesso istinto di sopravvivenza, che ormai al benessere di Regina era legato, e perché glielo doveva comunque e non avrebbe potuto evitarlo.
Solo che...solo che la sua oscurità stava invece scalpitando per essere da lei vista, riconosciuta, ricompensata.
Ed il punto era che c'erano momenti, sempre più frequenti con il passare dei minuti e poi delle ore, in cui Emma non riusciva più a distinguere cosí chiaramente la sua volontà da quella della sua oscurità. E questo la spaventava, ma allo stesso tempo le dava coraggio, tutto il coraggio che le era servito per decidere di raggiungere Regina nelle sue stanze. Perché forse come era stata in grado di placare la sua oscurità, Regina sarebbe stata anche in grado di placare i suoi dubbi.
E oltretutto, anche Henry glielo aveva chiesto.
Poco dopo della festa era andato da lei e le aveva raccontato l'accaduto. Sembrava non sospettare di lei, ma Emma si era tenuta comunque sul vago, per ogni evenienza. Prima di andare tuttavia, il ragazzo le aveva chiesto di passare dalla sua altra madre, perché, come aveva detto, a lei avrebbe fatto sicuramente piacere se Emma fosse andata a chiederle come stava.
E quella richiesta, o meglio, quell'invito, era stato tutto ciò di cui Emma aveva avuto bisogno per convincersi.
Ora, ferma davanti alla sua porta, aspettava il momento giusto per bussare. Aspettava il coraggio che l'avrebbe spinta a compiere quell'ultimo passo. E non sapeva da dove si aspettava che arrivasse, sperava solo che sarebbe arrivato.
 
E qualcosa poi, in effetti, arrivò. Ma ebbe forma umana e maschile.
Mentre sostava davanti alla porta di Regina, senti delle risa lontane, in fondo al corridoio. Poi dei passi, forse inizialmente persino troppo lontani per essere uditi dalle sue orecchie in condizioni normali. Ma lei li percepì comunque, forse grazie al suo potere, o forse solo alla tensione e al nervosismo prossimi allo spasimo che la riempivano quella sera.
Ad ogni modo, quando si avvicinarono abbastanza, Emma riuscì a scorgerne anche il proprietario.
Robin.
Stava tornando nella sua stanza evidentemente, diversa da quella di Regina per un motivo che Emma non era certa di aver capito, ma verso cui si sentí improvvisamente, immensamente grata.
La scorse ferma davanti alla porta in legno e le sorrise.
Emma provò a ricambiare, ma non fu certa di essere riuscita a generare più di una smorfia.
Lui alzò una mano per salutarla e quando le fu abbastanza vicino si fermò addirittura per parlarle.
Una mossa del tutto inutile ed evitabile, a parere di Emma, che comunque si sforzò di mostrarsi cordiale.
"Emma! Come stai?"
Di nuovo quella smorfia,
"Abbastanza bene, grazie"
Lui guardò la porta di Regina. Ancora quel sorriso sulle labbra che Emma iniziava a non sopportare più, che forse non aveva mai sopportato.
Se solo credeva di poter sfiorare Regina anche solo con un dito quella sera...avrebbe anche accettato di fare la guardia come un cane davanti alla sua porta per tutta la notte, purché lei fosse al sicuro. E anzi, forse lo avrebbe fatto in ogni caso, perché aveva avuto la prima dimostrazione, non del tutto inaspettata, che quel palazzo non fosse affatto sicuro.
Lo vide fissare i suoi abiti in modo strano, e per qualche motivo prevedette le sue prossime parole.
"Sai, le donne qui...indossano delle vesti diverse, più...femminili" 
disse.
Arrogante e terrorizzato.
Qualcosa dentro di lei ghignò.
"Ho visto" rispose, noncurante.
Lui tacque per un momento, poi accennò un sorriso.
"Cosa ci fai qui?"
Le chiese, alla fine.
Emma deglutí, sforzandosi di non sbraitargli contro.
Quello che dovresti fare tu, idiota.
"Oh sai, volevo solo...salutare Regina. Darle la buonanotte"
Disse invece.
Lui la guardò in uno strano modo, una strana diffidenza, quasi volesse esaminare le sue vere intenzioni, che ad Emma diede oltremodo fastidio.
"Certo. É stata una brutta serata per lei. Un uomo ha cercato di ucciderla, lo avrai saputo."
Come poteva...come poteva dirglielo cosí, con tanta noncuranza, quasi la cosa non fosse capitata a lui?
Qualcuno aveva cercato di uccidere Regina, dannazione!
Perché la cosa pareva un'inaccettabile tragedia solo a lei?
"Si..." disse solo.
Robin sospirò, grattandosi appena il retro del collo:" beh allora...sai, non farla stancare. Deve essere molto provata. Per fortuna é salva."
Per fortuna? Per me, grazie tante!
fu la prima cosa che pensò, sebbene quella frase le suonasse sbagliata in ogni sua parola sin dall'inizio.
Lei l'avrebbe fatta stancare? Lei?
Lei che durante la sua assenza aveva fatto della stanchezza di Regina carburante per le sue risate? Lei che si era sacrificata per lei, donandole non tutto ciò che aveva, ma tutto ciò che era?
Già, proprio lei. Lei e la sua oscurità.
Ghignò, forse più pericolosamente di quanto avrebbe voluto.
" Già, per fortuna..."
Anche Robin, uno strano sguardo negli occhi, accennò un sorriso.
"Buonanotte, Robin" terminò, fredda.
Perché non sarebbe stata la prima a ritirarsi, non quella sera.
"Buonanotte, Emma" disse lui, muovendo poi quasi a fatica un passo, allontanandosi finalmente da lei.
Emma aspettò che si chiudesse la porta, poco distante, alle spalle, per riprendere a muoversi e a pensare liberamente.
Ma a quanto pareva, restare soli era un lusso eccessivo e a lei non concesso.
Tremotino comparve subito dopo.
"Allora, cosa ne dici cara? Busserai a questa porta per mostrare alla tua Regina quanto tu valga più di lui?"
Emma si voltò di scatto questa volta, nel corridoio deserto, fronteggiandolo.
"Smettila di dirlo. Lei non é mia. E non devo mostrare niente a nessuno."
Lui rise:" certo, come no. E quella che hai appena lanciato a quell'uomo non era una sfida?"
Si, lo era. Ed era una sfida ad uno scontro che Emma sapeva di aver già vinto.
Ma dannazione, non era giusto! Perché Robin amava Regina, davvero. Provava a fare il suo meglio per lei, sempre. Aveva anche provato a fermare l'oscurità, però...
Lui non poteva.
Robin sarebbe dovuto essere l'anima gemella di Regina, eppure l'unica che poteva e aveva mai potuto aiutarla, aiutarla davvero, era stata Emma.
E gli tornò in mente il suo sorriso, la sua indifferenza, la sua ingenuità.
E tremò.
Emma tremò quando realizzò che non le importava.
Non le importava se fosse giusto o sbagliato, non le importava quello che lui aveva fatto o non avrebbe potuto fare. Non le importava e basta.
E tremó, si, però sorrise, come se si fosse appena liberata di un enorme fardello.
Sorrise a Tremotino.
"Lo era."
E davanti al suo ghigno compiaciuto, forse solo un riflesso del proprio, capí.
Capì che per quella notte non voleva cambiare. Capí che per quella notte voleva restare esattamente cosí, libera, fiera, potente, oscura.
Per una notte, voleva smetterla di essere quella persona che pensa sempre alla cosa giusta da fare, la persona che aveva riportato Robin da Regina solo perché era la cosa giusta da fare  quando tutto quello che avrebbe voluto era infilare Henry in quella macchina e partire, solo loro tre, fuggire, liberando Regina, portandola dove nessuno avrebbe più potuto ferirla o odiarla o accusarla. 
D'improvviso, quella persona non le piaceva più.
E forse se ne sarebbe pentita, si, senza dubbio se ne sarebbe pentita, ma forse, e soltanto forse, ne sarebbe valsa la pena.
Questo pensò, quando decise che non ci sarebbe mai stato un buon momento per bussare, che il prossimo passo che l'attendeva era quello che fece materializzandosi nella sua stanza senza preavviso alcuno.
Non avrebbe bussato quella notte, Emma.
 
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Quando Regina si vide comparire all'improvviso Emma alle spalle, fece del suo meglio per restare immobile e non mostrarsi sorpresa, né minimamente interessata.
Era arrabbiata, oh, se lo era.
Con Emma soprattutto.
Non le avrebbe dato la soddisfazione di sorprendersi per l'uso spropositato, e quanto mai inopportuno, della magia che stava facendo.
E poi l'aveva già percepita a poca distanza, qualche minuto prima.
Dopotutto si aspettava sarebbe andata da lei, dopo quanto accaduto.
 
Si limitò a lanciarle uno sguardo attraverso lo specchio davanti cui sedeva. Uno sguardo quanto mai truce.
Ma non si alzò, ne smise di fare quello che stava facendo.
"Emma" disse solo, forse più dura di quanto avrebbe voluto.
La vedeva sorridere, poggiata al muro, e quel sorriso non le piaceva per niente.
Era beffardo, era orgoglioso, oscuro. La stava sfidando prima ancora di parlarle.
E non che non fosse anche magnetico, a coronare quella sua fine eleganza di pantaloni neri e camicia bianca che le era cosí insolita, e seducente in modo quasi dileggiatorio, ma, semplicemente, non era suo.
Emma l'aveva sfidata, era stata la prima a farlo, centinaia di volte, ma mai in quel modo, mai cosí, come se già sentisse la vittoria in pugno.
La sua Emma non era cosí.
Ed era esattamente questo suo possibile cambiamento quello che più temeva dell'oscurità che ora albergava in lei. Perché sapeva che Emma non avrebbe mai ferito chi amava, ma sapeva anche che aveva cosí tante cose che teneva nascoste agli altri, segregate nel profondo di sé, cosí tanto rimorso e rancore di cui l'oscurità avrebbe potuto nutrirsi, che non sarebbe stato poi cosí difficile per lei abbandonarsi a quel dolce oblio di potere e bendata colpevolezza.
E lei...lei non poteva cadere nei suoi tranelli, nella tentazione tutta nuova che quella figura sprigionava, perché cosí non l'avrebbe aiutata.
Lei doveva salvare Emma, e se le avesse fatto credere che andava tutto bene non avrebbe fatto altro che trascinarla di più nell'oscurità, affondando con lei.
 
Nonostante la sua accoglienza poco calorosa, Emma continuava a sorriderle in quel modo dall'angolo della stanza. Solo dopo secondi di silenziosa stasi, in cui Regina sentí il suo sguardo bruciarle sulla nuca, parlò.
"Non mi piace il tuo vestito."
Decisamente, non se lo aspettava.
Ad Emma non piaceva il suo vestito.
Non aveva altro da dirle?
"Non ti piace il mio vestito, davvero? Beh mi dispiace tanto. Non piace neanche a me se é per questo, ma la "salvatrice" non può presentarsi vestita di scuro, sai."
Rispose acidamente togliendosi gli orecchini, ostinandosi a non incrociare quei suoi occhi di malachite.
D'un tratto l'espressione di Emma fu sfiorata da un leggero turbamento, quasi un'onda di senso di colpa, che però presto si dissolse.
"Come é andata la serata?" chiese.
"Se ci fossi stata lo sapresti, Emma."
E si, un po' le dispiaceva trattarla cosí dopo quello che aveva fatto per lei, dopo quel...sacrificio che ancora non riusciva a giustificare, ma la serata, in tutta onestà, era andata male, Emma non l'aveva neanche avvisata che non sarebbe venuta e si era richiusa nelle sue stanze e lei aveva continuato ad aspettarla tutta la sera, sperando che venisse, nonostante tutto, che non la lasciasse sola, quando partecipava a quel ballo organizzato in suo onore solo per proteggerla.
Ma Emma non si era presentata.
E poi quell'uomo aveva tentato di ucciderla e...le aveva ricordato il suo passato. Le aveva ricordato chi era stata, e chi Emma sarebbe potuta diventare.
Poi qualcuno l'aveva salvata, qualcuno con la magia, che era  stato sul punto di uccidere quell'uomo, qualcuno che Regina aveva riconosciuto, in qualche modo, o almeno cosí le era sembrato.
E allora era scivolata nel senso di colpa. Verso di lei e verso di Robin, nel cui abbraccio non aveva provato nulla.
Così aveva fatto una cosa che non faceva mai, era fuggita. Da lui e da Emma, non passando neanche dalle sue stanze per vedere come stesse.
Dopotutto, di certo non avrebbe potuto stare bene, nelle sue condizioni, consapevole o meno che ne fosse. Ma Regina, quella sera, non aveva avuto davvero idea di come aiutarla.
 
Si sciolse i capelli con un gesto rapido, quasi sbattendo il fermaglio sul legno antico, in preda alla frustrazione per quella sua presenza silente, e la guardò attraverso lo specchio.
Vide di nuovo quell'ombra di colpa sul suo volto, allora si girò verso di lei, in un misto di esasperazione ed improvviso, profondo senso di disperazione che non seppe spiegarsi.
"Dov'eri, Emma?"
Per un attimo vide il vuoto sul suo viso, una scintilla nei suoi occhi, persi a guardare... Non sapeva cosa. Le pareva la stessero guardando, esaminando, dissezionando, non con cinico distacco ma con appassionanto interesse,  ma...non poteva essere lei, l'oggetto di tanta attenzione.
Deglutí Regina, improvvisamente a disagio.
"Perché non sei venuta?" disse, per riempire il silenzio.
Ma Emma sembrava aver perso tutta la sua sicurezza, e se fosse andata avanti cosí, cambiando di istante in istante, Regina non aveva proprio idea di come avrebbe fatto a tenerle testa, a farle capire ciò che era sbagliato e ciò che era giusto, a farle da guida, proprio lei, che da lei per prima si era fatta guidare, in passato, e che ora nei suoi occhi non riusciva a distinguere il giusto dallo sbagliato.
Perché Emma era Emma, sempre. Non poteva essere sbagliata. Ma non poteva neanche essere giusta ora, e di lei restava una creatura sola, dilaniata, fragile.
E Regina voleva salvarla, ma aveva una terribile paura di spezzarla.
E, lei lo sapeva bene, una volta spezzata, aggiustarla sarebbe stato molto difficile.
"Io..."
Emma si staccò dal muro, le mani in tasca, lo sguardo ora distante da lei.
Si strinse nelle spalle.
"...non avevo voglia di festeggiare."
"Beh, neanch'io, ma se vogliamo essere aiutati da queste persone, e noi vogliamo essere aiutati da queste persone..." disse, e parve più una minaccia
"...dovremmo per lo meno essere cordiali con loro. E un buon modo per iniziare sarebbe stato presentarsi ad un ballo in tuo onore"
Ecco di nuovo quel sorriso, no quel ghigno, sul volto di Emma, dopo un attimo di esitazione.
Credette quasi di odiarlo in quel momento, ma il punto era che le era impossibile odiare una qualsiasi parte di lei.
"Beh, in verità la festa era in tuo onore, salvatrice"
Regina roteò gli occhi e si alzò, quasi con foga.
Non si aspettava Emma l'avrebbe contrastata anche su quello, non dopo che lo stava facendo per lei.
Ma il suo darle le spalle non impedì ad Emma di continuare a parlarle.
"Dimmi, Regina, come ci si sente ad essere me?"
Uno schifo.
Fu la prima cosa che pensò. E ovviamente non per Emma, ma per il peso della responsabilità che quel titolo le metteva sulle spalle.
Essere puri, perfetti, senza macchia. Per una donna come Regina era quasi impossibile persino fingere di esserlo, per Emma doveva essere straziante.
Ma non poteva dirglielo, non poteva riconoscerglielo: il vittimismo era l'ultima cosa che Emma necessitava provare in quel momento.
Si voltò con un falso sorriso.
"Credimi, non vuoi sapere cosa si prova ad essere me."
"Oh, in realtà credo di saperlo già."
Regina alzò le sopracciglia. Si scostò appena i capelli dal viso poggiando poi le mani sui fianchi.
"Da quando sei diventata cosí arrogante, Emma?"
Scandì le sillabe del suo nome, liberandole con calma esasperante dalla stretta delle sue labbra.
Vide una scintilla guizzare nei suoi occhi, esaltata dalle lingue di oscurità presenti in essi, e se ne sentí soddisfatta; sapeva benissimo che effetto le faceva sentirsi chiamare da lei a quel modo, glielo aveva sempre fatto: scoprire di riuscirci ancora, e nonostante tutto, le fece recuperare speranza e combattività.
A quanto pareva la signorina Swan aveva bisogno di ricordarsi quale fosse il suo posto.
Emma deglutí, poi sorrise di nuovo, avvicinandosi di un passo.
"Forse da stasera, chissà..."
Ma già quel passo era troppo, già Regina era troppo vicina a lei, vicina come era stata un tempo, vicina come Emma non le aveva più permesso di essere, vicina come se l'era ritrovata prima del ritorno di Robin, ma in modo diverso.
Robin...
Sospirò e fece un passo indietro.
"Emma." suonò come un ammonimento. "Ricordi perché siamo qui, vero? Dobbiamo trovare Merlino e lo faremo. Ti libereremo dalla tua oscurità."
Emma guardò il soffitto:" Si, forse..."
Regina fu sul punto di ribattere perché non poteva assolutamente lasciare che lei dimenticasse il motivo per cui erano lí, ma poi, dallo spigolo sollevato delle sue labbra, capí: lo stava facendo apposta. Voleva provocarla.
Roteò nuovamente gli occhi dandole la schiena, andando a poggiare il bracciale che aveva al polso sul mobile di legno, un qualcosa da togliersi che aveva cercato solo per avere un pretesto per allontanarsi da lei e da quella sua aura intossicante e fastidiosamente avvolgente.
"Smettila, Emma. Non sei divertente. Ho già avuto una serata abbastanza difficile."
Emma incrociò le braccia al petto, rimettendo sú quel sorrisetto che Regina avrebbe voluto tanto ba... cancellare.
"Dunque la serata con il tuo bel principe é andata male?"
Regina deglutí, avvalendosi della facoltà di non rispondere. Dopotutto, non poteva dire fosse andata bene.
A questo proposito...
"Anziché farmi domande dovresti rispondere a quella che ti ho fatto e che stai tanto accuratamente evitando. Dov'eri?"
Emma non smise di sorridere.
"Beh, anche tu stai evitando di rispondere alla mia domanda..."
Allora, Regina decise di giocare sporco.
Si girò e la guardò negli occhi.
"Avevo bisogno di te, Emma."
Ed in un attimo, come sapeva sarebbe accaduto, il sorriso di Emma vacillò e di nuovo quel senso di colpa si delineò sulle sue fattezze, nonostante lei si stesse sforzando di nasconderlo. Regina la conosceva troppo bene ormai: oscurità o no, sapeva dove e come colpirla.
Emma si strinse le braccia al petto, fuggendo dai suoi occhi, lasciando vagare lo sguardo sui muri di pietra circostanti.
"In giro...nelle mie stanze."
Ma Regina non la liberò tanto facilmente.
"Non mentirmi."
"Non lo faccio."
Tacquero entrambe. Regina capí che, in quel momento, era inutile continuare. Aveva innalzato barriere troppo alte, Emma, ci sarebbe voluto tempo per superarle.
Ma ce l'avrebbe fatta, lo sapeva.
Lasciò cadere lo sguardo sul proprio vestito.
Un buon pretesto forse per distrarla.
"Perché non ti piace il mio vestito? Credi che saresti stata capace di fare qualcosa di meglio?"
Emma riportò lo sguardo su di lei, gli occhi leggermente sgranati
"Lo hai fatto tu?"
Regina sbuffò, infastidita da tanta incredulità.
"Certo che l'ho fatto io, perché ti sorprende tanto?"
"Niente, é che non credevo che tu..." accennò al suo vestito con le mani:"...potessi ideare qualcosa del genere."
Regina non rispose, Emma esitò.
"É per questo che non mi piace. Non é da te. Non sei tu."
E questo, arrivò a Regina. Le arrivò davvero. Distolse lo sguardo.
"E come credi che sia 'io'?" disse poi, riutilizzando le sue parole, riferendosi al proprio vestito, come lei aveva fatto.
Emma fece un passo indietro, fissandola per un momento come se la stesse valutando.
"Posso?" chiese.
Regina si trattenne dal roteare nuovamente gli occhi, più per nervosismo che per reale disagio, e annuí.
Non c'era nulla di male, era un buon modo per distrarre Emma dal suo reale obbiettivo di superare le sue barriere, però Regina aveva quasi paura di vedersi come Emma la vedeva.
E quando lei mosse le mani e si vide comparire quel vestito addosso, restò senza fiato.
 Per più di un motivo.
Forse la sua mente, la sua povera e stupida, illusa mente, trovò fin troppe giustificazioni, fin troppe spiegazioni a quello che poteva essere solo un parere estetico.
Innanzitutto, il vestito che Emma creò per lei non era nero, come si sarebbe aspettata, ma rosso. Rosso profondo.
Lo stesso rosso del sangue, quando scorreva pulsante, scandendo battiti di passione.
E poi non era corazzato, regale, intoccabile.
Era di velluto. Di morbido velluto, semplice, privo di inutili ornamenti oltre gli orli dorati e una cinta sottile.
Era raggiungibile, era confortevole, era persino...invitante.
E soprattutto, era bellissimo. Di una bellezza potente, seducente, travolgente, eppure al tempo stesso delicatamente avvolgente.
Era cosi bello che Regina si sentí lusingata dal pensiero che Emma la vedesse cosi, ed incrociando lo sguardo di quest'ultima, incantato, stupefatto dal suo stesso operato, sorpreso come quello di una bambina eppure predatorio come solo quello di un'adulta avrebbe potuto essere, non riuscì ad evitare di arrossire, sperando che la tonalità del vestito ne nascondesse, almeno in parte, l'effetto.
Regina Mills che arrossisce, che assurdità! pensò. Tanto più che ne era Emma Swan la causa, o meglio, la sfacciataggine della sua oscurità.
Poi questa parve recuperare il controllo di sé.
Deglutí e poi sorrise.
"Ecco, questo decisamente ti si addice di più."
Regina, ostentando a sua volta un'espressione scettica, sollevò le sopracciglia guardandosi allo specchio.
Poi, Emma le tese la mano, chinandosi leggermente:
"Mi concede questo ballo, mia regina?"
Regina sobbalzò a quell'appellativo, sebbene cercò di nasconderlo, e restò ad osservare quella mano testa per interminabili secondi. Poi sbuffò.
"Non essere ridicola, Emma. Non sento nessuna musica, non vedo perché dovremmo ballare. E poi sono stanca. " aggiunse alla fine, dopo una rapida ricerca di un argomento valido da sollevare.
Ma a quelle parole l'espressione di Emma si indurí e la sua mano si ritirò.
"Perché? Perché hai ballato con il tuo principe per tutta la sera?"
E davvero non seppe spiegarsela la rabbia che percepì nella sua voce.
Sbuffò, perché Emma non poteva recriminarle niente e non poteva recriminare niente neanche a Robin.
E, per come la vedeva Regina, si stava comportando in modo infantile. Se aveva qualcosa da dire, avrebbe potuto dirla e basta.
"Si può sapere che diavolo vuoi stasera? Prima critichi il mio vestito, poi te la prendi con me, ora con Robin..."
Fu sicura di vederla digrignare i denti alla menzione del suo nome.
"Se davvero volevi ballare con me saresti potuta venire al ballo e chiedermelo."
Emma alzò le sopracciglia, divertita.
"E me lo avresti concesso?"
No, in effetti no. Perché lì le cose funzionavano diversamente dal mondo moderno a cui Emma era abituata. E non doveva dar loro alcun motivo per rifiutare di aiutarle.
Regina distolse lo sguardo.
"Te lo sto chiedendo adesso." le disse Emma, con voce improvvisamente calma e priva di qualsiasi traccia di rancore. Quasi dolce.
Di nuovo quella mano, tesa verso di lei.
"Vuoi ballare con me, Regina?" 
C'era così tanta sincerità nei suoi occhi che Regina semplicemente non seppe cosa dire per qualche secondo.
Ed era ovvio che Regina volesse ballare con lei. Avrebbe sempre voluto ballare con lei, aveva sempre voluto poter essere stretta dalle sue braccia... Si sforzò di non pensare a quelle...quelle cose, e pensò invece a cosa sarebbe potuto servirle in quel momento un ballo.
Si, sarebbe stato perfetto per distrarre Emma. E per parlare.
Roteò gli occhi, perché era importante che Emma capisse che Regina le stava concedendo di ballare con lei, non che non vedeva l'ora di farlo.
Poggiò la mano sulla sua :" va bene, come vuoi."
Emma strinse appena la sua mano. Ed era fredda, la mano di Emma, era gelida, ma per un momento del calore di quella di Regina  si riscaldò. Poi, lentamente, la avvicinò alle proprie labbra, lasciando Regina senza fiato e senza parole.
Non la toccò, come la tradizione imponeva, si limitò a sostarvi sopra,sfiorando la sua pelle solo con un lieve respiro.
Rimasero cosi per un secondo interminabile, in una stasi struggente, finché Regina si schiarí la voce facendole chiaramente intendere che il momento era finito ed Emma la lasciò andare.
E non importava a nessuna delle due che non ci fosse alcuna musica su cui ballare, i loro pensieri, in sintonia, e, se vi avessero prestato abbastanza attenzione, persino i battiti dei loro cuori,creavano già tutta la melodia necessaria.
Emma strinse meglio la sua mano, incrociò il suo sguardo per un momento, un solo momento forse sufficiente a leggerle l'anima. Poi l'attirò a sé, e Regina si lasciò attrarre senza opporre resistenza. Sentí la mano di Emma scivolarle piano sul fianco, quasi accarezzando il velluto del suo vestito. Rabbrividí, e per lenire quell'improvviso calore fece un passo avanti, mentre Emma ne fece uno indietro, prontamente.
Regina rimase sorpresa da tanta prontezza.
"Dove hai imparato a ballare?"
Emma scrollò le spalle.
"Da nessuna parte. Sento di saperlo fare e basta."
Certo, magia. Senza dubbio portava anche conoscenza, non c'erano dubbi su questo.
Forse anche per questa ragione Regina non era mai riuscita a disprezzarla del tutto.
Fecero un altro passo.
"Immagino invece che tu lo abbia sempre saputo fare." le disse.
Regina fece una smorfia, stringendo leggermente di più la sua mano, scivolando un po' di più sulla sua spalla.
"In verità, l'ho imparato stasera da tuo padre."
Emma si fermò, stupita.
"Cosa? Ma...sei una regina!"
Regina distolse lo sguardo, infastidita.
"Smettila di dirlo. Non sono una regina qui."
Emma riprese a ballare tirandola con sé, stringendosi di nuovo nelle spalle.
"Per me tu sei una regina ovunque."
Disse con noncuranza, ma arrivò come un complimento alle orecchie di Regina.
Uno dei tanti, troppi, che le stava facendo quella notte.
Si sforzò di pensare ad altro e rispose alla sua domanda.
"Si, ovviamente mia madre me lo ha insegnato, ma non avevo mai ballato con nessuno prima."
"Cosa?!" chiese di nuovo Emma, tra lo scioccato e l'adirato.
"Ma...eri sposata!"
Regina alzò gli occhi al cielo :" mio 'marito' ballava solo con sua figlia. Con me era interessato a fare solo altri tipi di...'danze'." terminò, senza riuscire ad evitare di sentire quell'usuale brivido lungo la schiena che la percorreva ogni volta che provava anche solo a ricordare quei tempi.
Sentì la presa di Emma stringersi, sul suo fianco e sulla sua mano.
Non disse nulla all'inizio, ma Regina vide i suoi occhi scurirsi, mentre si fingeva impassibile, perché Emma sapeva che a Regina non piaceva essere compatita.
Così disse solo: "Mi dispiace."
E la allontanò da sé.
Regina ruotò su sé stessa. La presa delle loro mani si allentò, ma non interruppero del tutto il contatto neanche per un istante, continuando a sfiorarsi durante tutto quel movimento.
Poi, Regina tornò a fronteggiarla, si avvicinò di nuovo a lei che l'accolse solo con le mani, a differenza di prima, stringendo le sue, in uno sguardo che da solo diede a Regina tutta la comprensione di cui aveva bisogno, e che le fece capire che Emma poteva percepire e raccogliere ogni goccia del suo dolore.
Ma in fondo lo aveva sempre saputo.
Tornò tra le sue braccia.
"E ha saputo ballare bene stasera, il tuo principe? Sono certa lui si sia divertito." di nuovo quel tono canzonatorio.
"Emma." lo disse come un ammonimento, perché davvero non aveva voglia di mettere Robin in mezzo a tutto quello. Qualsiasi cosa fosse che stavano facendo.
Sapeva Emma non avesse mai provato tanta simpatia per lui, sapeva fosse quasi giunta ad odiarlo, quando era tornato. Sapeva che lui non rientrava tra le persone che Emma avrebbe risparmiato e salvato; non lo avrebbe esposto ulteriormente al pericolo della sua liberazione.
"Di certo sapeva ballare meglio di te." aggiunse, solo per mettere della distanza tra loro, una distanza di cui aveva assolutamente bisogno, dopo quanto si erano avvicinate con poche mosse.
Ma Emma non si distanziò, anzi.
Senza preavviso la attirò di più a sé, intrecciando le dita alle sue e spostando l'altra mano dal suo fianco al centro della sua schiena, avvolgendola maggiormente con il braccio, lasciando i loro corpi sfiorarsi appena, solo per un istante.
Regina sussultò, vedendo anche il suo viso avvicinarsi, fino a sentire il suo fiato sfiorarle l'orecchio.
"Questo me lo dirai quando il nostro ballo sarà finito."
La spinse via, continuando a tenerle la mano. L'aria che attraversò con il suo corpo, che le smosse i capelli, dissimulò il brivido caldo, piacevole questa volta, che quelle parole avevano provocato.
Regina allungò il braccio unito al suo, allontanandosi da lei quanto più possibile a sua volta.
Non era quello, il suo obbiettivo. Non era cosí che quello scambio si sarebbe dovuto svolgere.
Ballava con lei per capire cosa davvero le passasse per la testa, come stesse combattendo quella guerra che imperversava dentro di lei, non per lasciarla avvicinare e lasciarsi soggiogare da lei e da quella sua nuova determinazione.
Pensò, con malcelato risentimento, che magari ricordarle di Killian sarebbe servito. Dopotutto, era sempre stato importante per lei, no?
"Perché invece non pensi al tuo, di principe? In tua assenza, ha ballato con tutte le donne di Camelot."
"Non mi importa di lui."
Troppo tardi.
Non le importava di lui. Emma non lo avrebbe mai detto. Dov'era, quella Emma? Qual era la vera Emma? Tra la tentazione ed un'ideale giustizia, diventava sempre più difficile capirlo.
Regina doveva sapere. Ne aveva bisogno.
Tornò vicina a lei, facendo un passo laterale in perfetta sintonia col corpo di fronte, quasi contro, il proprio.
"Hanno provato ad uccidermi."
Le sopracciglia di Emma schizzarono appena verso l'alto.
"Davvero? E chi é stato?"
Regina non riuscí a capire se la sua sorpresa fosse sincera.
"Uno dei cavalieri della tavola rotonda. Mi hanno detto che si chiama...Percival, credo."
"Uno di quelli di cui ci dovremmo fidare?"
"Aveva motivi personali."
Le girò intorno continuando a tenerle la mano e poggiò la schiena contro la sua.
"Motivi personali?" chiese Emma.
Regina lasciò andare la sua mano, afferrando l'altra e tornandole di fronte.
"Quando era un bambino ho bruciato il suo villaggio. Poi l'ho visto e gli ho sorriso."
Emma si lascio sfuggire una breve risata.
"Allora aveva ragione."
"Già, aveva ragione."
Regina rimase a guardarla per un momento, stringendo la sua spalla.
"Qualcuno mi ha salvata."
Vide un piccolo sorriso increspare appena le labbra di Emma, mentre la spingeva nuovamente lontana da lei.
"Qualcuno?"
"Qualcuno con la magia."
Regina tornò da lei e quasi la bloccò, per scrutare nei suoi occhi, cercandovi la verità. Per impedirle di scappare.
Un ghigno beffardo nuovamente deformò le sue labbra.
"E il tuo principe in tutto questo dov'era?"
"Ballava."
Emma alzò di nuovo le sopracciglia.
"Ballava? Molto utile. Come sempre..." aggiunse, rafforzando la presa su di lei impercettibilmente.
E si chiese perché stesse facendo cosí Emma, ma al tempo stesso si costrinse a non pensarci troppo, a non lasciarsi distrarre. Dopotutto, era l'oscurità che le faceva dire e fare tutte quelle cose, nient'altro.
"Stava per intervenire, ma colui o...colei con la magia é intervenuto prima." 
Emma allungò il braccio sinistro in laterale, Regina ritirò il destro, allungando l'opposto che invece Emma ritirò, il tutto fronteggiandosi, senza mai separare le mani. Regina portò cosí una mano di Emma vicina al proprio petto, e senti battere il cuore di Emma sotto la propria contro il suo.
"Allora...merita una ricompensa, non credi?" Emma quasi sussurrò, guardandola cosí profondamente negli occhi che Regina non riuscì più a tenere nascosto quel dubbio che la stava lentamente divorando. Perché era tutto cosí chiaro, e insieme cosí terribilmente oscuro, che la stava spaventando.
Lasciò le sue mani e fece un passo indietro bruscamente.
Gli occhi di Emma le rimasero incollati addosso, la inseguirono, si svuotarono per un istante per venire riempiti subito dopo da paura, rabbia, desiderio, una necessità quasi vitale, come se l'avesse privata dell'ossigeno.
Ma non poteva permettersi di indugiare, non poteva avere pietà.
"Dimmi la verità. Sei stata tu?"
Ma allora un piccolo sorriso si disegnò sul volto di Emma e raggiunse anche i suoi occhi. Voleva essere beffardo, ma le riuscí cosí dolce, innocente e sincero che per un attimo Regina non ebbe più alcun dubbio a riguardo.
"Cosa te lo fa credere?"
"Quella magia...la conoscevo. Mi era familiare. Era la tua."
Emma sorrise chiudendo gli occhi e chinando il capo per un istante, quasi fosse divertita.
 
Poi rialzò lo sguardo su di lei, uno sguardo indecifrabile, e le tese di nuovo la mano in un silenzioso invito.
Regina lo accettò, perché in fondo quella vicinanza, quel contatto, stava diventando necessità anche per lei.
Prese la sua mano e si avvicinò, tuttavia non si unirono; con la mano sollevata all’altezza del viso, iniziarono a girarsi intorno, come predatori, lasciando che le loro dita si sfiorassero appena, nell’attesa di uno scontro temuto ma quasi ardentemente desiderato.
Emma parlò con calma, un sorriso di ghiaccio sotto occhi ferini.
“Se anche fossi stata io, cosa cambierebbe? Per te resterebbe sempre Robin l’eroe, no?”
Regina ricambiò quello sguardo, perché non sarebbe mai stata una sua preda.
“Sai bene che non è cosí. Se fossi stata tu, vorrebbe dire che ti saresti fermata prima di ucciderlo.”
Allora Emma afferrò la sua mano in una presa ferrea e rimase a fissarla, fermando i loro passi.
“Se fossi stata io, e se mi fossi fermata…sai cosa mi avrebbe trattenuta?”
Regina non rispose, non poté. Di fronte al suo viso, unica cosa che le fu possibile fissare a quella distanza, il suo sguardo scivolò inevitabilmente sulle sue labbra, calamitato dai loro movimenti e dalle parole che le abbandonavano.
E non perché volesse che fossero quelle che aspettava di sentire da anni, ma semplicemente perché si sentí così vicina alla verità, allora, da prestare tutta la sua attenzione al non lasciarsela sfuggire.
E vide quelle stesse labbra sorriderle maliziose prima che Emma le girasse intorno mettendosi alle sue spalle, più vicina di quanto sarebbe stato conveniente alla loro conversazione.
Sentí la sua mano destra serpeggiare sul suo ventre, e presto si trovò poggiata al suo petto con la schiena, dolcemente invitata da un’inevitabile attrazione, accolta da una presa tanto decisa ed al tempo stesso delicata da farla sentire al sicuro, carezzata da gesti tanto spudorati quanto casti da tenerla sull’orlo di un pericoloso baratro in cui non era sicura di volersi lasciar cadere, per paura delle ferite, e da cui non era sicura di riuscirsi a salvare, dipendente dall’ebbrezza della tossica caduta.
Senti la mano che stringeva la sua, mantenendola ancora all’altezza dei loro volti, allentare appena la presa, i suoi polpastrelli scivolare dal palmo della sua mano alla sottile pelle del suo polso, lasciata scoperta dall’orlo della sua manica, scesa a causa dell’unica forza di attrazione più potente di quella irradiata da Emma in quel momento.
“Tu.” Disse, rispondendo alla domanda che lei stessa le aveva posto.
Regina trattenne il fiato, schiava di quella voce profonda e dipendente da quei tocchi leggeri.
“Tu e la tua bellezza; tu e la purezza che irradiavi con quel terribile vestito, a ricordare vecchi sogni; i tuoi occhi, e lo sguardo deluso che avrei visto in essi se avessi ceduto e lo avessi ucciso.” Sussurrò, avvicinandosi sempre di più al suo orecchio.
“Se fossi stata io.” Terminò, non allontanandosi tuttavia, ma restando a quella irrisoria distanza da lei e dal suo collo, pulsante come il polso che ancora stringeva tra le dita, percependone i battiti.
Regina respirava. Si, respirava, ma cosí piano da fare quasi fatica, perché l’aura di Emma era travolgente, intossicante.
Voleva avvolgerla, soggiogarla, sottometterla.
Eppure Regina non ne aveva paura, perché al tempo stesso, in un barlume di motivata presunzione, sapeva che si sarebbe inginocchiata a lei, avrebbe eseguito ogni suo ordine, se solo lei lo avesse chiesto.
Perché in fondo, Emma le aveva dimostrato di avere totale fiducia in lei già affidandole il suo pugnale, già avrebbe potuto, Regina, se avesse voluto, farle eseguire ogni suo ordine.
Ma non poteva cedere, doveva resistere, e non sottomettendola, ma fronteggiandola, al suo stesso livello.
Parlò, sebbene la sua voce non risultò stabile come avrebbe voluto.
“Che cosa stai dicendo?” deglutí:” Hai preso quell’oscurità per colpa mia.”
Trovò la forza per scostarsi e girare il viso verso di lei, leggermente, calcolando le distanze, per non rischiare di trovarsi al suo troppo vicina. Emma abbandonò il suo polso, e Regina lasciò ricadere il proprio braccio lungo il fianco.
Sentí appena una leggera pressione delle sue mani sui fianchi, restie a lasciarla andare eppure senza il coraggio di trattenerla.
“E potrei lasciarla andare solo per merito tuo.” Sussurrò ancora, lasciando poi del tutto la presa su di lei, che si voltò, incrociando nuovamente il suo sguardo.
“Ti sei mai chiesta perché io l’abbia fatto?” le chiese, in un passo laterale di rinnovata rapidità, mentre le loro mani si ritrovavano a vicenda senza bisogno di invito o d’attenzione.
Fin troppe volte, pensò Regina, ma non fu quello che disse. Non parlò, ed Emma continuò da sé.
“Perché da quando è tornato Robin non ho avuto più nulla da perdere.”
Si chinò leggermente ed improvvisamente la sollevò, afferrandola per i fianchi.
Regina sentí il fiato mozzarsi per quella stretta improvvisa ma non un verso uscí dalle sue labbra, mentre poggiava le mani sulle spalle di Emma che faceva un giro su sé stessa, guardandola dal basso con qualcosa di cosí simile alla devozione negli occhi da farla rabbrividire, schiudendo le labbra.
E solo quello sguardo, e quella mossa improvvisa, le premisero di non concentrarsi sulle sue ultime parole e sul loro significato.
E Regina non volle recuperare il filo di quei pensieri neanche dopo, quando i suoi piedi toccarono di nuovo terra, ponendo fine a quel breve, intenso volo, a cosí poca distanza dal terreno eppure a cosí tanta dalla terra.
Prese un profondo respiro, senza mai smettere di guardarla negli occhi, senza mai abbandonare quelle spire smeraldine in cui stava, lentamente, perdendo l’orientamento e la ragione.
“Ed Henry?” chiese.
Semplice fu la risposta di Emma.
“Io amo Henry.”
E chiaro fu, per Regina, come intendesse che amava Henry nonostante tutto. Che lo avrebbe sempre amato, non importava quanta oscurità subentrasse nel suo cuore, perché la loro unione semplicemente trascendeva tutto quello.
“E lui ama te.” Rispose quindi, lasciando intendere ad Emma quel nonostante tutto che entrambe avevano paura di pronunciare.
Afferrò le braccia di Emma.
“Per favore, non deluderlo. Non farlo mai, non importa cosa accadrà. Non devi farlo per me. Devi farlo per lui.”
Emma annuí, seria come non le era mai sembrata quella sera.
Poi, ricaddero nel vortice. Un pensiero attraversò la mente di Regina e per questo si lanciò contro di lei, tirandosela vicina dirigendo improvvisamente ogni loro passo.
“E ad Uncino? Non ci pensavi?”
Emma accennò una risata, tirandola poi vicina a sua volta in un improvvisa quanto dirompente decisione, una necessità.
“Uncino è cambiato, ma…non riesce a capire il mio dolore. Per lui conta solo sé stesso.”
Regina rise.
“Beh, invece mi pare che sia molto legato a te, il tuo principe. Quasi incollato direi.”
Fu lei questa volta ad alzare il braccio e a far fare ad Emma un giro su sé stessa.
“Sembrava piuttosto rammaricato della tua assenza stasera.”
Emma rise di nuovo:” certo, perché non ha potuto mostrare a tutti la sua donna. “
Regina le lanciò uno sguardo di fuoco, prendendole le mani, che questa volta sperò potesse incendiare ogni parte di lei.
“Non sei la sua donna.”
Ma Emma da quello sguardo non si lasciò bruciare. Dopotutto, lei era già fiamma e già carbone. Rispose.
“Infatti. Ti ho detto che non mi importa di lui.”
E nonostante la stranisse un cambiamento tanto repentino, nei suoi occhi c’era una tale serietà e decisione che Regina fu portata a credervi senza dubbio alcuno.
Non sapeva, non capiva perché, ma Emma le stava dicendo la verità.
Poi la bionda incrociò le loro braccia, portandola più vicina a lei, quasi strattonandola, e bloccandola in un intreccio  che non riuscí a districare, anche perché presto giunsero le sue parole a rendere ogni cosa più vaga e meno definita, alla sua vista come nella sua vita.
“Sai benissimo…” le disse, sussurrò, vicina a lei, senza incrociare i suoi occhi :" che se solo tu me lo chiedessi gli volterei le spalle all'istante."
Ed era inebriante, la sensazione di poter avere tutto quel potere su una persona...no, ormai una creatura, come lei, assuefacente.
Eppure Regina non poteva permettersi di crederlo. Non poteva lasciarsi tentare ancora dal potere, perché sapeva che se solo lo avesse accettato, se solo avesse ceduto alla tentazione di liberarla, sarebbero state uniche, potenti, invincibili. Ma sole.
E lei non poteva permettere che Emma restasse sola, perché non era quello che voleva, nonostante l'oscurità la portasse a crederlo.
Si tirò indietro con altrettanta decisione.
"Non é vero, non lo faresti. Tu hai bisogno di lui come io ho bisogno di Robin."
Emma rise di nuovo. E la sua risata fu così fredda e vuota da metterle quasi paura.
"Forse la vecchia Emma ne aveva bisogno, ma non io."
Regina mise un altro passo di distanza tra loro ed incrociò le braccia al petto.
"Smettila. Non mi piace che tu dica cosí. Sei e resterai sempre Emma. Non puoi lasciare che l'oscurità ti cambi."
Lei non le rispose subito. Lentamente, con passi felpati, quasi felini, le si mise alle spalle e poggiò delicatamente le mani sui suoi avambracci.
"E perché no?" fece scorrere leggermente le mani sulle sue braccia, raggiungendo il loro intreccio, cercando di scioglierlo delicatamente, nonostante la sua strenua resistenza.
"Non ti piaccio cosí?" sussurrò, facendo sembrare la sua voce triste, arrivando quasi al punto da corrompere la determinazione di Regina, quando rilassò le braccia abbastanza da permetterle di raggiungere le sue mani e di prenderle, quasi accarezzandole, sciogliendo quell'intreccio e facendo scendere gli arti lungo i suoi fianchi.
Regina sbuffò, sforzandosi di mantenere la concentrazione nonostante tutto.
"Non é questo, Emma. É che non puoi."
Ed Emma rimase cosí, ad un respiro da lei, le mani poggiate sulle sue ad intrecciare delicatamente le dita.
"Dammi una buona ragione. Perché non posso farlo?"
Regina chiuse gli occhi e deglutí. Doveva smetterla di torturarla a quel modo. Doveva smetterla di darle ventate di libertà ed infiniti sogni solo per privarla del tutto dell'ossigeno pochi secondi dopo.
Non poteva reggere a lungo cosí, Regina.
"Adesso é tutto più chiaro. É tutto più semplice..."
Ed era proprio quello il problema. Era tutto più semplice, tutto fin troppo semplice. Ma c'era un motivo, se di solito era molto più complesso. Più di un motivo, e più che valido.
Avevano sofferto per anni, loro due. E quel passato, quel dolore, aveva lasciato su di loro un'impronta indelebile. Semplicemente, con il tempo avevano smesso di credere di poter essere aggiustate. E poi non avevano più voluto essere aggiustate, per paura di diventare dipendenti da qualcuno, per paura di subire anche solo un'altra ferita, che inferta da quel qualcuno avrebbe fatto male, si sarebbe infettata perfino, distruggendole lentamente e dolorosamente. Allora si erano aggiustate da sole, chiudendosi nella falsa consapevolezza di aver trovato ciò che cercavano, un qualcosa, un qualcuno di sicuro, che non le avrebbe aggiustate ed al tempo stesso non le avrebbe distrutte.
E se ora, solo perché l'oscurità stava sbiadendo ogni cura che Emma aveva di sé stessa, si fossero lasciate andare, la loro distruzione sarebbe stata inevitabile.
Regina si divincolò dalla sua presa, ma non ci riuscí del tutto. Poco prima che una sua gamba cercasse di fuggire, lontana da lei, la mano sinistra di Emma si strinse alla sua, bloccandola.
Regina si girò e la guardò, la schiena inclinata all'indietro.
"Sai che non é così."
Emma sembrava quasi incantata, guardando il suo viso. Non si mosse né la lasciò andare.
"Lo so" disse appena:" Il problema é che non riesco più a vedere il motivo per cui deve essere cosí difficile. Io non ho più paura, Regina."
Regina fece leva sulla sua mano per tornare dritta, ma Emma ritirò il braccio portandola ancora una volta contro di sé. Le poggiò le mani sui fianchi tenendola vicina, e Regina sentí ogni volontà e sicurezza abbandonarla nel momento in cui Emma poggiò la fronte contro la sua, guardandola delicatamente, dolcemente, disperatamente. Si accorse inoltre di aver intrecciato le mani dietro la sua schiena, lasciandosi cullare da quei movimenti lenti, tutto ciò che era rimasto di quella danza che non era antica e non era moderna, che era qualcosa, come loro non erano amiche e non erano amanti, erano qualcosa.
Eppure doveva parlare, doveva, perché se avessero continuato cosí, a fissarsi, a cercarsi, a respirarsi, nella stessa aria che di rose profumava, come Regina, e che si annullava nell'oscurità di Emma, sarebbe stato impossibile per entrambe trattenersi ancora dal lasciarsi cadere in quel tenero abisso.
"E non ti sei chiesta..." sussurrava, Regina:" ...non ti sei chiesta se questo sia quello che voglio io?"
Sentí Emma immobilizzarsi per poi togliere le mani dai suoi fianchi, ed il contatto le mancò istantaneamente.
Alzò lo sguardo nei suoi occhi, li trovò chiusi, non riuscí ad entrarvi. La sua espressione severa, qualcosa di gelido nella sua postura, di indecifrabile e spaventoso nella sua voce quando parlò.
"Allora cosa é che vuoi?"
Regina aveva già riportato le braccia lungo i fianchi, ma non fece passi indietro.
Restò a fissarla, sapendo che altro stava per venire, e capendo che forse sarebbe servito. Ad entrambe.
Infatti Emma le afferrò la mano sinistra con la propria destra, dopo pochi secondi, e le levò in alto, invitandola a rotazioni da cui Regina non si sottrasse, ormai persa a sua volta in quella loro farsa che di falso aveva solo l'ostentazione.
Così Regina si mosse, si allontanò da lei, ruotando, spingendosi a perdere l'orientamento per non perdere, vicina a lei, la ragione, in un onda rossa e dorata di velluto pronto a diventare fuoco. Ma non le lasciò mai la mano, mai ne ebbe il coraggio.
E le parole di Emma la inseguirono, in quella corsa infinita ed inutile.
"Vuoi lui? É questo che vuoi?"
Quando si fermò, lei le fu addosso, mantenne la mano destra legata alla sua sinistra e avvolse il suo corpo tra le loro braccia collegate, restando dietro di lei ormai senza neppure la parvenza di una distanza. E non irradiava calore, il corpo di Emma, ma non per questo Regina non desiderò restare cosí, unita a lei, quasi una cosa sola, per sempre, senza neppure accorgersi di starlo facendo.
Con la mano libera Emma le scostò i capelli dal collo, lasciando che il suo respiro freddo, tremendamente freddo lo sfiorasse.
Poi sentí la sua voce, vicina al suo orecchio, talmente tagliente da sfiorarle le ossa, mentre la sua mano andava a posarsi leggera sul suo avambraccio sinistro.
"Vuoi che ti accolga nel calore del suo corpo per farti dimenticare il freddo del tuo cuore?"
Non la strinse, la tenne immobile, in attesa. Non si impose in alcun modo, perché, Regina capí, il suo obbiettivo era quello: lasciare che fosse lei a cederle, nel piú dolce e subdolo dei modi.
Con lentezza e delicatezza disarmante, poi, Emma poggiò le labbra sulla pelle appena sotto il suo orecchio.
Un brivido percorse le spalle di Regina, mentre il suo ventre dolorosamente si contraeva in una sensazione che stava tentando disperatamente di non riconoscere. Perché era capitato, che le labbra di Emma toccassero, anzi sfiorassero, la pelle di Regina, in saluti affettuosi ma rapidi, fin troppo per entrambe; ma mai le labbra di Emma avevano toccato la pelle di Regina in quel modo, come fossero bende a coprire e lasciar guarire ferite ancora aperte.
Ed Emma, forse grazie alla sua magia, forse perché fu così evidente che solo uno stolto non se ne sarebbe accorto, se ne accorse e, quasi involontariamente, strinse la sua mano, abbandonando la pelle del suo collo senza tuttavia distanziarsene abbastanza per non farle piú percepire il suo respiro, stranamente irregolare, che si infrangeva contro di essa.
"Lui saprebbe farti questo? Saprebbe farti rabbrividire sfiorandoti appena?" Regina non rispose, perché non avrebbe risposto ad una simile domanda. Perché la risposta non voleva conoscerla neanche lei, perché, si sa, non va mai svegliato un sonnambulo, e perché era allo stesso tempo fin troppo ovvia, per lei e per Emma: no. Robin non ci sarebbe mai riuscito.
E non era colpa sua, non era colpa di nessuno, era semplicemente come le cose dovevano andare, semplicemente, come le cose erano.
Regina inspirò. Poi espirò.
Strinse appena la sua mano, facendole intendere di lasciarla andare. Non poteva più sopportare una tale vicinanza. Faceva troppo male.
Fece un passo avanti. I capelli le ricaddero su quel punto del collo che prese ancora bruciava, dove le labbra di Emma si erano posate, e chinò la testa con loro, quasi quel calore improvviso la ferisse, dopo il freddo che l'aveva ricoperta e circondata fino ad allora. Attendeva la sua prossima mossa con negata impazienza, sperava fosse lei, ancora una volta, ad attirarla, evitandole cosí di ammettere, a sé stessa prima di tutto, quanto bramasse quel contatto, e al tempo stesso la temeva. Temeva lei e le sue intenzioni, ancor di più perché sapeva che non avrebbe mai potuto farle del male.
Rialzò la testa. Restava pur sempre una regina, non poteva avere paura.
E 'Smettila', avrebbe dovuto dirle, ma inspiegabilmente non se ne sentí né capace né in diritto.
"Quello che voglio é la verità, Emma." si voltò e di nuovo le si avvicinò, come se le fosse impossibile non farlo.
"Voglio che tu mi dica cosa sta succedendo, voglio sapere cosa ti ha...cambiata cosí, improvvisamente. Voglio sapere perché sei venuta qui stasera."
Deglutí, prendendo coraggio. Poi sollevò lentamente la mano e la poggiò sulla sua guancia. E qualcosa di strano accadde negli occhi di Emma, non appena la toccò.
Parvero quasi cedere, scogliersi, liquefarsi in due laghi di speranza e conquistata fiducia.
Decise di approfittarne: forse era vicina a ciò che aveva cercato sin dall'inizio di quell'incontro. Forse, era vicina alla vittoria di quello scontro.
"Io voglio solo aiutarti, Emma... Rivoglio la Emma timida ed imbranata che aveva difficoltà anche solo a chiedermi di passare la serata a casa mia con Henry, rivoglio la Emma coraggiosa e premurosa che restava dietro la porta, nascosta, convinta che io non la sentissi, ad assicurarsi che non piangessi non appena lei fosse andata via, la Emma che é stata al mio fianco in questi ultimi mesi, anzi, in questi ultimi anni. "
Ma, evidentemente, quelle non erano le parole giuste. Emma poggiò la mano sulla sua, si, e appoggiò la guancia al suo palmo sorridendole come se tutto andasse bene, come se avesse trovato la salvezza in quel preciso istante, eppure ancora, con un nero vuoto negli occhi a dimostrare che non era cosí.
"Lei é ancora qui." disse semplicemente.
E Regina si sentí distrutta da una tale dimostrazione di debolezza, no, di dipendenza, da lei e dal suo volere, ma al tempo stesso seppe che l'unico modo che aveva per non sfruttarla a proprio vantaggio era rinunciarvi, deludere le speranze che Emma riponeva in lei.
"Lo so. Ma si nasconde. Perché?"
Emma sorrise ancora. Poi strinse la sua mano, abbassò le loro braccia e le tese tra di loro, riprendendo quel ballo interrotto, ma mai finito.
Con una rotazione, si riavvicinò a lei dal suo fianco destro, e con un movimento veloce quanto imprevedibile circondò la sua schiena con il braccio sinistro. Liberò subito dopo la mano che ancora stringeva quella di Regina, la portò invece su, al suo viso, ancora a fissare il punto dove si era trovata appena un momento prima, e sfiorò la sua guancia sinistra con dita delicate quanto un paio d'ali di farfalla.
E, senza accorgersi neanche del come, Regina si trovò avvolta in lei, circondata, rapita, profondamente ammaliata, a pochi, fatali centimetri dal suo volto.
In trappola.
Guardò i suoi occhi brillare come se riflettessero una meravigliosa alba, o l'alba di un qualcosa di meraviglioso, e al tempo stesso contenere il riflesso del lontano dolore di un abbandono; indugiare sulle sue labbra, solo per un istante, guardandola poi negli occhi quando le parlò.
"Perché lei non mi permetterebbe di fare questo."
E poi, tutto accadde. Tutto ciò che era stato rincorso per quella intera notte, forse per anni,  cadde, lasciandosi raggiungere, e finalmente accadde.
E fu delicatamente travolgente, teneramente appassionante, lentamente istantaneo al punto che Regina si perse nell'attesa di quel contatto che le veniva offerto ed al tempo stesso negato, mentre le labbra di Emma si avvicinavano alle sue come il sole al tramonto si avvicina al mare, inesorabilmente ma impercettibilmente.
E si perse, verde e nero d'ossidiana, nel bruno diaspro.
Si perse, l'anima di Emma, in un soffio d'amore tra oscurità e luce, che era insieme entrambe e nessuna delle due.
E quando, al culmine di quel tragitto di stelle convergenti, rilucenti di vita, paura e speranza, le loro labbra si sfiorarono, per poi, finalmente, toccarsi, entrambe furono certe, seppur disorientate e disperse in quella nuova immensità che ai loro corpi e alle loro menti si stava aprendo, che qualcosa di nuovo, unico e sincero stava per avvenire, forse stava già avvenendo.
E, per un attimo, parve loro che tutto sarebbe andato bene, che avrebbero potuto vivere in quella dimensione che stavano costruendo proprio in quello momento, nella loro unione, e che solo a loro apparteneva, trovandovi tutta la pace, la felicità e l'accettazione reciproca che avevano desiderato per tutta la vita. Tuttavia, durò un attimo.
L'attimo che serví alle labbra di Regina per imprimersi su quelle di Emma, l'attimo che serví alla mente di quest ultima per imprimere la magnifica sensazione che esse riuscirono a generare, nella sua memoria.
Poi, l'incantesimo si spezzò, nella dolorosa consapevolezza che avvolse Regina.
Ricorrendo a tutta la forza che era rimasta al suo cuore, ripetutamente tradito, si fece indietro con il capo.
"Emma..." sussurrò, come fosse una preghiera.
Ed Emma la colse, cercò di interpretarla e Regina non fu certa che fallí nel farlo, quando silenziosamente scivolò alle sue spalle, ponendo fine a quella struggente, ammaliante danza. O forse, dandole solo un nuovo ritmo, quando scostò nuovamente i suoi capelli, quei morbidi capelli, quasi accarezzandoli, dal suo collo, e perdendosi con lo sguardo tra le alture d'alabastro che erano le sue spalle scoperte, le valli delle sue clavicole, il suo collo.
Regina sentí le sue dita sfiorarla appena, senza dire niente, quasi stesse verificando la tangibilità del suo corpo e, insieme, di quel momento.
E quel tocco era tutto ed al tempo stesso era troppo poco, ne voleva ancora e sapeva di doverglielo impedire.
Quando poi sentí le sue labbra sostituire i suoi polpastrelli, sfiorandola, poi adorandola, venerandola, con intensità crescente, risalendo il suo collo e facendo di esso il centro di ogni sua  percezione sensoriale ed attività nervosa, non riuscí a reagire.
Si ritrovò immobile, senza fiato e senza volontà, come le era già successo, innumerevoli anni prima, ma in modo completamente diverso, non la paura a divorare le sue ossa, ma il piacere, no, l'estasi, a scuoterle in dolci vibrazioni che avrebbero potuto cullarla fino al sonno più profondo che avesse mai conosciuto, più forte di qualsiasi incantesimo avesse mai lanciato.
Ma fu proprio quel pensiero forse, a scuoterla da quello stato di trance. Perché in qualche modo, per quanto bellissimo e inebriante, Regina continuava a sentirlo falso e aveva una tremenda paura che lo fosse davvero.
"Emma." disse di nuovo, questa volta la voce più ferma:" Fermati."
E utilizzare il pugnale per darle quell'ordine non avrebbe avuto su di lei più effetto di quanto ne ebbe la sua sola voce.
Emma si fermò. All'istante.
E Regina capí che non era facendole tenere il pugnale, che Emma aveva riposto in lei tutto il suo potere e la sua fiducia, ma con il gesto stesso di darglielo.
Sentí l'indecisione e il dubbio nello sguardo ancora puntato sulla sua schiena. Senza vederlo, lo percepiva e basta. Come percepiva qualsiasi cosa che Emma provava, o quasi.
"Non lo vuoi?" chiese solo, e la sua voce parve improvvisamente cosi piccola e prossima a spezzarsi da stringere il cuore di Regina.
Ma si sforzò, si costrinse ad andare avanti.
"No." girò appena il volto:" non cosí".
Riuscí, da quella posizione, a vedere il suo sguardo quasi spegnersi, la luce nei suoi occhi estinguersi, tornando quella bambina perduta che era stata tanti anni prima.
Non la toccava più Emma, e quello faceva male, più male di qualsiasi ferita.
"Perché? Per Robin?"
Regina scosse la testa e girò il viso per non essere costretta a sostenere quello sguardo.
"Non voglio superare il nostro limite. Non ora, che questo potere oscura la tua vista ed i tuoi pensieri."
Emma parve quasi rilasciare un respiro trattenuto troppo a lungo, rilassandosi impercettibilmente e riportando, piano, la mano sulla sua spalla scoperta.
"Invece ora vedo molto più chiaramente..." sussurrò, riprendendo ad accarezzarla, leggermente, senza essere invasiva.
"...te l'ho detto, non ho più paura."
Regina deglutí.
"Invece dovresti."
"No, non dovrei. Non 'devo' fare più nulla ora, é questo il bello. Non capisci, Regina? Sono libera." si avvicinò appena al suo orecchio:
"Siamo libere."
Ma per quanto suadente ed ammaliante Emma potesse essere, Regina non aveva intenzione di cedere.
"Perché non vuoi essere salvata, Emma? Me lo hai chiesto tu..." chiese. La sua voce tremò appena e si odiò per questo: non doveva vederla debole, non doveva credere, capire, di aver vinto, anche se forse lo sapeva già.
Emma si prese un momento per pensare alla risposta, facendo scivolare la propria mano appena più in alto, alla base del suo collo.
"Te l'ho chiesto prima di capire che questa non é una maledizione. Io non voglio tornare ad avere paura, Regina."
Regina portò una mano sulla sua, per fermare i suoi movimenti prima che le facessero perdere del tutto la concentrazione.
"E ai tuoi genitori non pensi? Perché cosí d'improvviso? Perché ora?"
Emma respirava piano, regolarmente. Sentí quel fiato freddo sul dorso della mano, mentre ancora bloccava la sua sulla sua spalla.
Poi, quella mano strinse la sua, e prima che se ne potesse accorgere quelle labbra fredde sostituirono i suoi respiri sul suo dorso, poggiandovisi con dolcezza, con totale dedizione.
Quando si allontanarono, Emma rispose.
"Vuoi la verità? Sono stata io, a fermare quell'uomo. Sono stata io ad essere sul punto di ucciderlo. E sono stata io, a risparmiarlo, quando ho visto che, anche se non mi vedevi, mi osservavi.
Sono stata a guardarti mentre ballavi perché mi mancavi, e saperti con lui mi stava uccidendo. Non sono venuta a quel ballo perché non potevo sopportare di vederti tra le sue braccia senza strapparti da lui, forse senza strappare il suo cuore dal petto, o forse il tuo, legandomi a te per sempre, o il mio, mettendo fine ad ogni sofferenza."
"Emma..." Regina rimase senza parole. Perché forse aveva intuito che Emma non era felice, che cercava di più, e di certo sapeva che nessuno le era stato vicino più di lei, durante l'assenza di Robin, ma non avrebbe mai immaginato che il suo dolore si spingesse a tanto, che il suo am...affetto, fosse cosí profondo.
Emma lasciò andare la sua mano, adagiandola delicatamente lungo il suo fianco.
"Non é cambiato niente, in fondo. Magari sono un po' più potente, ma sono ancora io. Ho solo deciso di smettere di soffrire e di provare, invece, a prendere ciò che desidero."
Regina sentí un lampo di rabbia attraversarla, perché fu come se quella frase mettesse fin troppe responsabilità sulle sue spalle, e, con esse, fin troppe colpe.
"Quindi io sarei qualcosa che desideri e che credi di poter prendere?" le chiese, forse più duramente di quanto avrebbe voluto.
Emma rise, una risata retoricamente vuota e falsamente divertita, per poi parlare a bassa voce, improvvisamente seria. Mortalmente seria.
"C'é solo una cosa che desidero più di te, Regina. Ed é la tua felicità."
Regina non ebbe il coraggio di dire niente.
"Credevo che Robin non potesse renderti felice, credevo, anzi credo, non ti meriti, non dopo quello che ha fatto."
"Emma." sembrava riuscisse a pronunciare solo quel nome, quella notte. Eppure doveva riprenderla, perché sapevano entrambe che quello che avevano, ciò per cui soffrivano e quello che desideravano, non dipendeva minimamente da Robin.
"Lo so. Ha fatto la cosa giusta, ma a me non importa. A me importa di te. Dovevo provare. Dovevo provare anche solo per farti capire che se quello che vuoi non é quello che hai, se lo stai cercando altrove, in qualcun altro, con me hai la libertà di farlo. Lo so, sono presuntuosa, forse persino arrogante, ma ho semplicemente smesso di mentire a me stessa. Non voglio Killian, non l'ho mai voluto. Per lui non avrei mai fatto quello che ho fatto per te. Non voglio nessuno che non sia te."
E quelle parole stavano scavando solchi, no, interi fossati, nel cuore di Regina, incidendosi dolorosamente come lame, quando si accorgeva di aver sempre potuto avere ciò che aveva sempre desiderato ed al tempo stesso di non poterlo più avere, perché tutto era cambiato.
"Tuttavia, se mi sono sbagliata, se non é questo quello che vuoi, se sarà Robin la tua felicità, quando vi sarete stabilizzati...sarò pronta a farmi da parte. Devi solo dirmelo."
Ma Regina non disse niente, rimase in silenzio per più tempo di quando sarebbe stato necessario per elaborare una risposta, perché dentro sé sapeva bene qual era la risposta.
Emma non era presuntuosa, né arrogante.
Regina voleva Emma. L'aveva sempre voluta. Aveva scelto Robin perché era più semplice, perché stare con Emma significava troppo e perderla avrebbe significato l'insostenibile.
Ed erano cosí simili, loro due, che entrambe si erano barricate dietro un falso amore e oceani di bugie solo per tenersi al sicuro.
E adesso che finalmente avevano smesso, che la verità era alla luce, faceva paura. Ma, al tempo stesso, lasciava sulle labbra un sapore di libertà misto a felicità, lo stesso sapore che le labbra di Emma vi avevano lasciato, a cui non avrebbe mai voluto rinunciare.
Eppure...
Sentí la mano di Emma stringere debolmente la sua, non avendo risposta, per poi tornare sul suo vestito e sul suo fianco, sul suo ventre, avvolgendola dolcemente, cautamente, eppure senza lasciarle via di fuga, intuendo, nel suo silenzio, la sua risposta.
"Lo sai anche tu che se solo lo volessimo potremmo essere libere. Io, tu ed Henry, nessun altro. Se é quello che vuoi, troverò il modo per liberarmi dell'oscurità, ma in ogni caso, solo stando con te potrò farlo. Solo grazie a te. E lo farò, se mi prometterai che poi non mi lascerai andare, o anche solo che poi sarai felice. Scusami, scusami se ti rendo la mia unica cura. Non lo sto scegliendo. Potrebbe essere questa, la salvezza che ti ho chiesto, non ci hai mai pensato?" e sembrava un serpente Emma, la sua voce poco più che un sibilo, le sue braccia come spire, i suoi occhi ipnotizzanti, se solo Regina si fosse voltata a guardarli. La sua tentazione, facendole promesse di eternità e devozione.
"Non posso, Emma..."
E la sua presa su di lei si strinse, quasi non volesse lasciarla scappare, sebbene Regina non avrebbe mai voluto farlo. Mai sarebbe scappata da lei, neanche se avesse dovuto costarle la vita.
"Perché?" un sussurro, una supplica.
E poi lo disse. Finalmente, Regina udì le parole che aveva sognato nei suoi sonni più profondi ed inseguito nelle notti insonni, le uniche parole che avrebbero mai assunto davvero il significato che contenevano solo perché pronunciate dalle sue labbra.
"Io ti amo, Regina. Ti amo dal primo momento in cui ti ho vista."
Ed era bellissimo, era unico e spettacolare, e non c'era parte di Regina che non avrebbe voluto continuare a sentire quella dolce melodia scaturire dal suo cuore ogni giorno della sua vita.
Eppure c'era qualcosa di falso, quell'inevitabile retrogusto metallico che il sangue che l'oscurità le aveva fatto versare continuava ad avere, che continuava a richiamarla alla realtà ogni volta che stava per lasciarsi andare a lei.
Forse Emma la amava davvero. Sembrava quasi innegabile, in quel momento.
Forse davvero erano entrambe pronte ormai ad anteporre l'amore che provavano al dolore che avevano sofferto.
Ma Regina non poteva vivere di un forse, non più. Aveva troppo da perdere.
"E allora perché non me lo hai mai detto prima?" chiese.
Emma si immobilizzò per un momento, poi semplicemente sorrise.
"Non ero pronta. Come non eri pronta tu. Ma adesso é tutto diverso.
Tu mi ami, Regina?"
E Regina rimase senza parole davanti ad una domanda tanto audace eppure semplice, una domanda a cui voleva rispondere disperatamente, ma non sapeva come.
Lei amava Emma? Si. Certo che la amava. Forse non l'aveva amata da subito, ma da anni certamente si.
Ed era pronta, persino allora, ad ammetterlo, Regina?
Si
Espirò.
"Si..." sussurrò, talmente piano che parve un segreto, un segreto che Emma avrebbe trattenuto e custodito nel suo cuore fin quando avrebbe avuto vita.
Fu certa di sentire, con la schiena contro il suo petto, il suo cuore battere più forte, ma forse fu solo un'impressione.
Emma, comunque, non rispose subito. Troppo impegnato il suo cervello, a tenere a freno quel corpo e quelle labbra dall'esternare la sua immensa gioia. Continuò a tenerla stretta con il braccio destro, si avvicinò di più a lei.
"Allora dimostramelo." sussurrò, vicina al suo orecchio, cercando la sua mano con la propria e intrecciando le dita alle sue.
"Fai l'amore con me. Qui e adesso.
Se non vuoi, nessuno saprà mai cosa abbiamo fatto, cosa abbiamo condiviso.
Lo saprò solo io e per me sarà abbastanza.
Sii mia, solo per stanotte. E promettimi che sarai felice per sempre. "
E Regina fu quasi certa di sentire un accenno di pianto, nella voce spezzata. E fu cosí tentata di accettare, di dimenticarsi tutto il resto, di lasciarsi il passato e il male alle spalle per ricominciare con lei, che...
"Non immagini quanto lo vorrei, Emma..."
Esalò, mentre ogni parola stentava a lasciare la sua gola, troppo chiusa in una morsa di desiderio, piacere e profonda emozione, che non fece che stringersi ancora di più quando Emma, forse spronata dalle sue parole, poggiò nuovamente le labbra sulla sua spalla, baciandola con tale dolcezza e disperazione da far crollare le palpebre di Regina in un attimo in cui perse la forza. Di fermarla, contrastarla e contrastarsi.
Ma qualcosa dentro di lei sapeva che non era possibile, che ciò che sarebbe stato unico e  speciale, sarebbe risultato in quel momento solo un prolungato turbamento, un perpetuo senso di colpa.
"...ma non posso. Non possiamo." trovò il coraggio di dire.
Deglutí, riaprí persino gli occhi, nonostante Emma non accennasse a fermarsi, anzi, dopo aver lasciato la presa sulla sua mano, iniziasse a percorrere la pelle della sua spalla sinistra insinuando le punte delle dita di pochi millimetri sotto l'orlo del suo vestito.
"Ti prego..." Emma sussurrò, ancora quel tono, adorante, innamorato e disperato.
"Non posso fare niente se non me lo chiedi."
Era unica, Emma. Era meravigliosa, era la sua salvatrice e la sua salvezza, era tutto ciò che il suo cuore reclamava, e lo reclamava più di qualsiasi cosa avesse mai reclamato nella sua intera vita. Però...
Però se l'avesse accettata allora, cosí perse come erano in quel vortice di lussuria e dolore, di disperazione e mancata felicità, cosa sarebbe stato di loro, dopo? Da cosa sarebbe scaturito il loro rapporto?
Su cosa avrebbero basato la felicità della loro intera vita?
Regina non poteva permetterlo, perché forse Emma era lucida, nella sua oscurità, ma Regina lo era nella sua luce, e dalla sua luce sapeva di dover preservare anche quella di Emma, per quando lei vi sarebbe tornata del tutto.
Ora era Regina, la responsabile del loro futuro. E anche del loro presente.
" No, Emma. Non voglio. Sei sempre stata la mia purezza, non voglio che tu diventi il mio peccato."
Emma smise di toccarla del tutto  senza parole, in un silenzio sanguinante. Si allontanò da lei di un passo.
"É questa la tua decisione?"
Regina annuí e solo allora si voltò. E rivedere il suo volto, dopo tutto quello, sotterrò il suo cuore.
Perché lo sguardo negli occhi di Emma era ciò che di più triste e doloroso Regina riuscisse ad immaginare. E si era guardata allo specchio troppe volte, per porre un limite alla sua immaginazione.
Si aggiustò il vestito, sentí il bisogno di farlo.
Poi le prese le mani, in un gesto di coraggio.
"Prima ti salverò, Emma. Prima ti libererò di ciò che potrebbe corromperti e cambiarti per sempre. Poi, quando entrambe saremo di nuovo chi siamo davvero, tornerò da te. E, se allora mi vorrai ancora, mi avrai per sempre."
Una lacrima rigò il viso di Emma.
"Io ti vorrò sempre, Regina."
Regina abbozzò un sorriso e lasciando andare una delle sue mani poggiò la propria sulla sua guancia, asciugando quella lacrima solitaria.
"Anch'io. Ma non cosí. Ti prometto che ti libererò. Te lo prometto." la guardò poggiare il viso e la sua anima a quel tocco:" Mi credi? Ti fidi?"
Emma allora sorrise, debolmente. Prese quella mano sul suo volto e ne baciò il palmo.
"Ti credo. E mi fiderò sempre di te."
Poi, senza dire nient'altro, Emma scomparve in una nube di fumo nero.
E Regina rimase ferma, un palmo dolorante a sostenere il vuoto, la mente ed il cuore in corsa, ancora a cercare di realizzare quanto appena accaduto.
Poi, quando finalmente riuscì nuovamente a respirare, abbassò la mano, ma ancora rimase ferma lì, in quel punto che l'aveva vista rinascere e morire, e ancora, la vedeva sopravvivere.
E per un attimo le parve di aver perso tutto, ma poi realizzò di aver appena vinto tutto.
Perché ora aveva un motivo in più per cui lottare. Ora aveva un motivo in più per esistere.
Ora sapeva di non essere entrata in quella locanda, anni addietro, per un motivo. Per destino, fortuna, o forse, presentimento.
Ma su una cosa Emma aveva ragione: l'oscurità aveva liberato entrambe, anche se le rendeva ora prigioniere di quella struggente attesa.
L'oscurità era parte di quello che erano.
E seppe, Regina, che se anche non avrebbe liberato Emma dall'oscurità, dopo averci a lungo provato, non sarebbe importato, se avesse almeno saputo, avuto la certezza, di come tenerla a bada, equilibrata, in lei.
E forse quella certezza era lei stessa, ma aveva ancora bisogno di un po' di tempo per capirlo.
Eppure, quando le tenebre profonde la avvolsero quella notte, seppur sola e al freddo, Regina seppe di non essersi mai sentita più sicura di quel momento.
 
E dal giorno dopo Emma si concentrò nelle ricerche, convinta della sua missione, ma ancor di più, convinta di aver un motivo per andare avanti. Perché Regina era lí, sempre al suo fianco, in quell'abito rosso che mai abbandonò, a sostenerla quando gli altri si dimenticavano di lei, di cosa c'era oltre l'oscurità, a sorriderle quando arrivava a credere che anche lei si fosse dimenticata della sua promessa, a farla rimanere Emma,  nonostante tutto, come nessuno era in grado di fare.
Perché forse l'oscurità l'aveva illuminata, e la luce non l'avrebbe mai abbandonata, ma Regina, misto d'ombra e di luce, sarebbe stata l'unica e la sola che l'avrebbe mai amata e realmente capita.
L'unica, che Emma avrebbe mai amato, e per cui  avrebbe continuato a battersi e combattersi.
A qualunque costo.
   
 
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