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Autore: Kimando714    18/11/2020    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 61 - LOVE ILLUMINATION
 



La luce che entrava dalla finestra illuminava tutta la stanza, nonostante il debole sole che ormai accompagnava le poche giornate non grigie nella fine di novembre.
Pietro cercò di trovare una posizione più comoda con cui starsene sdraiato sul suo letto, già rifatto e ordinato poco dopo esseri svegliato. Era un comunissimo venerdì mattina – forse l’unico dettaglio a renderlo differente era il fatto che fosse il compleanno di Giulia-, l’unico giorno oltre al sabato e alla domenica che Pietro riusciva a sopportare. Era pur sempre un giorno senza lezioni da seguire, quindi senza sveglia alla mattina presto, senza la solita fretta di recarsi a Mestre e rimanere in aula per ore.
Tentò di concentrarsi meglio sul libro di programmazione, i lati delle pagine scribacchiati da qualche appunto a matita, rendendosi conto solo qualche attimo dopo di aver riletto già per la terza volta le stesse righe evidenziate in azzurro. Sospirò a fondo, vagamente irritato dalla sua completa mancanza di attenzione.
Forse non si era svegliato nel migliore dei modi, forse non aveva dormito sufficientemente la notte prima ed ora la stanchezza mentale gli stava porgendo il conto, o forse era l’incessante rumore di sottofondo proveniente dalla cucina che lo stava distraendo troppo. Rimase in ascolto, stavolta, senza cercare di evitare di ignorare lo sbattere delle credenze e il muovere di borse di plastica.
Aveva sentito scattare la porta d’ingresso circa una decina di minuti prima, dettaglio che non l’aveva lasciato sorpreso: si era svegliato due ore prima, alle otto, e quando si era avviato a fare colazione aveva scoperto subito l’assenza di Alessio. Era facile intuirlo, dato che ogni volta che usciva di casa tendeva a chiudere la porta della sua stanza. Ed ora che era tornato, evidentemente indaffarato, Pietro credeva di poter intuire cosa l’avesse spinto ad uscire alla mattina così presto.
“Certo che potrebbe mettere via la spesa in maniera più soave”.
Poteva aggiungere anche quella alla sua lista mentale di differenze che aveva notato tra lui ed Alessio nelle più piccole faccende casalinghe: il casino che non riusciva a non fare nel compiere qualsiasi azione in giro per la casa.
 
La differenza tra me e te
Non l’ho capita fino in fondo veramente bene
Me e te

Uno dei due sa farsi male, l’altro meno
Però me e te
E’ quasi una negazione
 
Pietro sbuffò, chiudendo di colpo il libro, ed appoggiandolo sul comodino, accanto agli occhiali da lettura. Non era possibile continuare così, con quel baccano.
Si alzò svogliatamente dal letto, fermandosi per qualche secondo a sedersi sul bordo del materasso. Non fece nulla per trattenere il sorriso che gli stava nascendo sulle labbra: in fondo, tutto quel casino che stava facendo Alessio era il segnale inequivocabile della sua presenza. Lo faceva sentire meno solo. Sapere di avere la sua presenza a pochi metri lo faceva sentire meno in ansia – gli faceva dimenticare le giornate infinite all’università, lo studio che non sempre risultava così facile, la lontananza da casa.
Lo faceva sentire bene, nonostante tutto.
Si mise in piedi dopo qualche secondo, aprendo la porta tenuta socchiusa della sua stanza, e percorrendo i pochi metri di corridoio che lo separavano dalla soglia della piccola cucina dell’appartamento. Erano già visibili le borse di plastica del supermercato colme, ancora da svuotare.
Le circumnavigò per poter dare un’occhiata all’interno della stanza: si ritrovò quasi a svenire di fronte al disordine che regnava sovrano in quel momento – forse non si sarebbe mai del tutto abituato a quel lato di Alessio, così estremamente agli antipodi rispetto al suo senso di ordine.
Prima ancora che potesse dire nulla, o commentare il pandemonio che gli si stava presentando davanti agli occhi, fu la voce di Alessio a interrompere il silenzio:
-Sei venuto a darmi una mano, per caso?-.
Pietro alzò gli occhi, cercandolo nella stanza: lo rintracciò in un angolo della cucina, davanti al frigo, intento a poggiare nelle varie sezioni tutte le cose che andavano lì. Già sapeva che, la prima volta che avrebbe aperto quel frigo dopo il passaggio di Alessio, si sarebbe ritrovato a voler urlare.
-Sei proprio sicuro che ti serva il mio aiuto?- gli chiese, già sentendosi in trappola, e lasciandosi sfuggire una nota di sarcasmo nella voce – Mi sembrava te la stessi cavando alla grande-.
Osservò l’altro rimettersi dritto in piedi, girarsi verso di lui con un sopracciglio alzato:
-In due si fa prima- gli fece notare, muovendo qualche passo verso il tavolo al centro della cucina – E poi io mi sono svegliato alle sette per andar a far la spesa. Potrebbe essere un modo per ringraziarmi-.
Pietro si lasciò sfuggire un sospiro rassegnato. In fin dei conti, anche se fosse tornato in camera, di sicuro non sarebbe riuscito a concludere nulla con lo studio: primo, perché Alessio avrebbe continuato a fare troppo rumore in sottofondo, e secondo perché ormai per quella mattina poteva già dire addio all’ultimo briciolo di concentrazione rimasta.
-Ci avrei scommesso- bofonchiò seccato Pietro, dichiarandosi sconfitto. Scavalcò le borse che aveva davanti a sé sotto il sorriso vittorioso di Alessio, piegatosi già a recuperare altre cose da una borsa che aveva posato vicino ad una gamba del tavolo. Pietro lo imitò qualche secondo dopo, aprendo meglio la prima borsa che gli capitò tra le mani.
Si era reso conto, da quando avevano iniziato a vivere lì, che fare e sistemare la spesa era una delle cose che meno sopportava. Era qualcosa così evidente che persino Alessio se ne era accorto, pur non cedendo nemmeno una volta a tutte le scuse che Pietro cercava di tirar fuori ogni volta che era il suo turno di farla  – qualcosa successo anche la settimana prima. Doveva riconoscere ad Alessio che, seppur creando ancor più disordine di quel che già si lasciava alle spalle, la sua devozione alla spesa settimanale era quasi commovente: di certo, a ruoli invertiti, lui non si sarebbe mai alzato alle sette della mattina solo per andare al negozio di alimentari più vicino.
Si rialzò con due pacchi di biscotti in mano, pronti per essere riposti in una delle credenze, quando osservò Alessio: era fermo davanti al piano della cucina, con sguardo pensieroso e una scatola di cereali in mano, quelli che solitamente usava Pietro per la colazione.
-C’è qualcosa che non va?- gli domandò Pietro, incuriosito e confuso. Aveva forse comprato una confezione già scaduta? O magari temeva di avergli preso i cereali sbagliati?
-No, niente- mormorò Alessio sommessamente, voltandosi verso di lui con la fronte corrugata, rigirandosi tra le mani la scatola – Dove vanno messi questi? Nell’ultima credenza o nella prima?-.
Pietro alzò il viso verso l’alto: se erano quelli i problemi della vita …
Alessio sbuffò indignato, quasi gli avesse letto il pensiero:
-Oh dai, serve ordine qui dentro-.
Per un lungo attimo Pietro lo guardò con occhi sgranati, stentando a credere che Alessio si fosse azzardato a parlare di ordine quando era la parola più distante da lui che potesse esistere.
-Disse quello che nella cui camera pare ci sia stata la battaglia di Waterloo-.
Dovette comunque trattenere una risata quando, non appena giratosi per riporre i pacchi di biscotti che ancora teneva in mano, udì Alessio fargli il verso con voce artificialmente infantile. Un normale scenario a cui si era ormai abituato, negli ultimi due mesi passati insieme in quella casa.
Doveva ammettere, però, che nonostante le loro profonde differenze -  e Pietro ne avrebbe potuto contare di nuove ogni giorno-, la loro convivenza stava procedendo sorprendentemente bene. Non poteva negare di aver avuto qualche dubbio all’inizio, come sarebbe accaduto in qualsiasi situazione così nuova e così impegnativa, perché le divergenze c’erano ed erano evidenti; ma in un modo o nell’altro, lui ed Alessio sembravano completarsi a vicenda, riuscendo a far vivere insieme i loro caratteri e le loro abitudini senza scontrarsi.
Era qualcosa che sperava potesse continuare a lungo, perché era un equilibrio che neanche nelle sue più rosee aspettative aveva creduto di poter raggiungere in così poco tempo.
-E comunque scommetto che in stanza non stavi facendo nulla di utile-.
Pietro sobbalzò appena quando le parole cariche di ironia di Alessio l’avevano portato di nuovo distante dal suo flusso di pensieri. Avevano continuato a mettere in ordine in silenzio, anche se non per molto.
-Magari mi stavo mettendo lo smalto alle unghie- lo rimbrottò Pietro, lanciandogli un sorriso di sfida esageratamente largo, mentre si apprestava a sistemare alcuni pacchi di pasta.
Lo sguardo di Alessio sembrò illuminarsi all’istante:
-Dovresti provare, magari ti dona sul serio- gli disse, con così tanto entusiasmo che Pietro capì che lo stava dicendo seriamente e non per prenderlo in giro.
Rise sommessamente, scuotendo il capo:
-Stavo studiando programmazione, scemo-.
Stavolta in risposta ricevette uno sguardo incredulo, così esagerato da risultare buffo. Non riuscì nemmeno a sentirsi offeso.
-Tu che studi?- ripeté Alessio, con stupore – Era davvero più probabile una sessione di manicure-.
Si era appoggiato contro il piano della cucina, le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta con la quale era uscito per far la spesa. Pietro si ritrovò indeciso sul fargli notare che ormai stava rimettendo a posto le cose solo lui, o se mandarlo a quel paese per avergli dato dello scansafatiche.
-Beh, almeno ci stavo provando, a studiare- borbottò guardandolo malamente, sistemando ancora altre cose che restavano sul fondo di una delle borse sulla soglia della cucina. Avevano quasi finito, stava notando, anche se ormai avrebbe potuto anche dire che aveva finito lui da solo.
-Ci provavi?- Alessio arcuò un sopracciglio con scetticismo – Ho capito, studieremo insieme nel pomeriggio-.
Era qualcosa che avevano iniziato a fare con naturalezza: era un lato positivo avere praticamente tutti gli stessi corsi e le stesse cose da studiare, perché in quel caso a Pietro bastava chiedergli chiarimenti che Alessio non gli negava mai. Era successo spesso di ripassare insieme, nel pomeriggio o alla sera, nel salotto dell’appartamento o in una delle loro stanze. Temeva che quella loro abitudine sarebbe andata a perdersi quando, prima o poi, avrebbero trovato qualche lavoretto per mettere da parte qualcosa, e che inevitabilmente avrebbe tolto loro diverso tempo libero e che magari li avrebbe portati ad essere a casa in orari completamente diversi.
-Non è che sia semplice concentrarsi quando qualcuno fa un casino assurdo per mettere via le cose della spesa- replicò Pietro, fermandosi e rimanendo a fissare il biondo con aria truce. Per tutta risposta, Alessio scoppiò a ridere.
-Allora vedi che hai fatto bene a venire qui a darmi una mano?- gli lanciò un sorriso serafico – Tanto non avresti concluso nulla lo stesso-.
Pietro scosse il capo, sbuffando appena, fingendosi offeso. Non voleva dargliela vinta, anche se probabilmente sarebbe finita davvero come stava dicendo Alessio.
Erano la loro quotidianità, quelle frecciatine lanciate senza alcuna cattiveria. Era una quotidianità che Pietro aveva inizialmente abbracciato con qualche esitazione, ma per cui ora anelava.
 
Me e te, è così chiaro
Sembra difficile.

La mia vita
Mi fa perdere il sonno, sempre

Mi fa capire che è evidente
La differenza tra me e te

Poi mi chiedi come sto
E il tuo sorriso spegne i tormenti e le domande
A stare bene, a stare male, a torturarmi, a chiedermi il perché*
 
*
 
Sbuffò sonoramente, ormai seccato. Pietro allungò il braccio verso il comodino, sbloccando il display del suo telefono per controllare l’ora: mancavano pochi minuti a mezzanotte. I suoi piano di andare a dormire presto per svegliarsi altrettanto presto la mattina dopo – e magari studiare qualcosa prima che giungesse l’ora di uscire per la festa di Giulia- sembravano star crollando pian piano.
Non aveva sonno, non poteva più smettere di far finta di nulla. Aveva perso il conto di quanto tempo avesse già passato rigirandosi nel letto, rotolandosi tra le coperte e senza mai riuscire a chiudere gli occhi e sentirsi scivolare nello stato inconscio della sonnolenza. Non si sentiva nemmeno particolarmente stanco, solo ormai piuttosto innervosito.
Si alzò di colpo, scostando malamente le coperte e sospirando di nuovo, passandosi una mano tra i capelli castani che finì per scompigliarglieli ancora di più di quel che già erano. Si avviò verso la porta della stanza, senza sapere però bene che fare; pensò che magari bere qualcosa di caldo gli avrebbe fatto bene, e decise di prendere la direzione della cucina. Aprì la porta con calcolata lentezza per non far eccessivo rumore, ritrovandosi nel corridoio buio; solo un fascio di luce ancora accesa proveniva da sotto la porta chiusa della stanza di Alessio. Pietro rimase accigliato: non si aspettava che anche lui fosse ancora sveglio. Si era ritirato nella sua stanza almeno un paio d’ore prima, dopo aver passato un po’ di tempo dopo cena con Pietro nel salotto dell’appartamento.
Lasciò perdere i suoi piani originali, almeno per il momento, avvicinandosi invece alla porta socchiusa della stanza di Alessio; ne sfiorò la maniglia con una mano, spingendola la porta per aprirla maggiormente. Lo fece lentamente, facendola cigolare, almeno per dare tempo ad Alessio, eventualmente, di urlargli dietro di non entrare. Non arrivò nessun urlo, però. La lampada poggiata sul comodino era l’unica ancora accesa, e non doveva essere stata dimenticata così solo per qualche colpo di sonnolenza improvviso: Alessio era davvero ancora sveglio, ancora ignaro della sua presenza. Se ne stava steso sul materasso, il cuscino dietro al collo e contro la testiera in modo da tenere la testa un po’ più sollevata. Con gli occhiali da vista davanti agli occhi e I pilastri della terra in mano, sembrava talmente immerso nella lettura da non avere nemmeno l’istinto di girarsi verso la porta. Fu solo quando Pietro la aprì completamente, producendo altri cigolii, che alzò finalmente gli occhi dalle pagine.
-Hai davvero un’aria da intellettuale, visto così- Pietro gli lanciò un’occhiata fintamente colpita, appoggiato con la schiena contro lo stipite della porta.
Alessio scosse il capo:
-Ho sempre un’aria da intellettuale- lo corresse, reggendo il gioco. Appoggiò sul ventre il tomo aperto, togliendosi gli occhiali per posarli sul comodino.
-Come no- Pietro rise sommessamente, prima di indicare il libro – Ti piace, almeno? Il libro, intendo-.
Alessio annuì ancora prima di rispondere a parole:
-Sì, è molto bello- gli rivolse un sorriso leggero, dall’aria un po’ assonnata – Dovrei farmi prestare più spesso libri da te-.
Pietro rise ancora, consapevole di essere un po’ arrossito in viso. Non ricordava quanti libri gli avesse già prestato dalla sua personale collezione – di certo di più di quelli che avrebbe prestato a chiunque altro-, ma era qualcosa che, seppur nella sua semplicità, gli faceva piacere. La scelta del libro da prestare ad Alessio era sempre qualcosa di ponderato, mai casuale. E non poteva negare di provare un sincero senso di soddisfazione quando, al  momento della restituzione o durante la lettura, trovava Alessio particolarmente preso dal libro in questione.
-Basta che poi me li restituisci- obbiettò, sperando che la luce accesa fosse troppo debole per lasciar rendere visibile il rossore delle sue gote.
Ci fu qualche secondo di silenzio che però non lo fece sentire a disagio. Capitava spesso, ormai, che tra loro ci fossero silenzi lunghi anche ore, ma Pietro aveva imparato che anche quello era una conseguenza naturale del vivere insieme: c’erano momenti in cui, semplicemente, non c’era nulla da dire, senza dover cercarvi per forza motivazioni dietro.
Fu sul punto di dire all’altro che sarebbe andato a bere qualcosa di caldo, quando Alessio lo precedette di qualche secondo:
-Come mai sei ancora sveglio?-.
Interruppe il contatto visivo per rimettere il segnalibro tra le pagine del volume, prima di posarlo sul comodino accanto agli occhiali. Anche se non poteva accorgersi dei suoi movimenti, Pietro alzò comunque le spalle:
-Non ho molto sonno- rispose semplicemente – E poi potrei fare la stessa domanda a te-.
-Io stavo leggendo. Ho una scusa- Alessio si stiracchiò pigramente – Mi sono prefissato di finire quel libro entro la fine del prossimo mese-.
Pietro alzò un sopracciglio, guardandolo con un ghigno stampato in viso:
-Sei lento a leggere-.
Alessio si morse il labbro inferiore:
-Lo so-.
Pietro fu di nuovo sul punto di dirgli che se ne sarebbe andato in cucina, ma si bloccò: anche se era solo una sensazione, nonostante la loro conversazione fosse apparentemente finita, gli sembrava che Alessio fosse ancora sul punto di parlare ancora. Rimase fermo dov’era, in attesa, con il sospetto di venire smentito quasi subito.
Quando passò quasi un minuto di silenzio, però, Alessio parlò davvero:
-Vuoi restare un po’ qui?-.
Prima ancora di pensare se gli convenisse accettare l’offerta, Pietro annuì. Avanzò di qualche passo, diretto al letto; aspettò che Alessio gli facesse spazio, prima di sedersi a sua volta di fianco a lui, la schiena quasi completamente dritta contro la testiera e le gambe piegate contro il petto. Alessio si allungò vero l’altro capo del materasso per afferrare una coperta rossa piegata che teneva lì per la notte, passandogliela subito dopo. Pietro si ritrovò a ringraziarlo mentalmente: al contrario di Alessio, che era ancora completamente vestito con una delle tute che usava in casa, lui aveva addosso solo una misera canotta e pantaloni del pigiama. Nulla di troppo caldo.
Stese la coperta sulle sue gambe e sul torso, nascondendosi sotto e percependo già la sensazione piacevole di calore. Per un attimo pensò che si sarebbe anche potuto addormentare lì, sotto la coperta rossa e con il profumo di Alessio a riempirgli le narici. Era un profumo che poteva avvertire in ogni angolo di quella stanza, quasi a rimarcare la presenza dell’altro ancor di più.
Non succedeva spesso, ma non era comunque la prima volta che prendeva posto su quel letto, nelle ore tarde della notte. Era un’abitudine di cui Pietro non ricordava bene la nascita: era probabilmente accaduto per caso, in una sera simile a quella. Forse anche in quella circostanza si era avvicinato alla camera di Alessio in un momento in cui non riusciva a prendere sonno.
-A che stai pensando?-.
Alessio parlò con voce bassa, quasi avesse temuto che Pietro si fosse davvero addormentato. Quando alzò lo sguardo, lo ritrovò a fissarlo, tremendamente più vicino ora che erano spalla contro spalla nello stesso letto.
-Alla festa di domani- Pietro sparò la prima cosa che gli era venuta in mente. Quasi si sorprese di aver detto qualcosa di vagamente sensato.
-Secondo te a Giulia piacerà il regalo?- chiese ad Alessio. Non gli era mai davvero sorta quella domanda prima di quel momento, ma l’insicurezza dell’ultimo momento cominciò a farsi sentire. Lui, Alessio, Caterina, Nicola e Filippo avevano cominciato a pensarci settimane prima per non arrivare impreparati, e sebbene Pietro si fosse convinto della scelta al momento di dover effettivamente comprare qualcosa, ora cominciava a pensare che forse, per un diciottesimo, il regalo scelto sarebbe risultato troppo poco.
-Penso di sì, a lei piacciono le cose un po’ particolari- gli rispose Alessio. Pietro rise appena, pensando che effettivamente, il regalo per Giulia – una candela profumata che all’interno della cera nascondeva una collana- sarebbe di sicuro potuto essere descritto come insolito. Un po’ come lo era lei.
-Ma in ogni caso non è il tipo di persona da giudicare troppo un regalo in sé- Alessio continuò, non riuscendo a sopprimere un sbadiglio che lo interruppe per alcuni secondi – Apprezzerà anche solo per il pensiero-.
-Beh, ma un regalo decente non fa mai male- replicò Pietro.
Alessio lo guardò di rimando con fare vagamente offeso:
-Il nostro regalo è decente-.
Scosse il capo sotto gli occhi divertiti di Pietro, abbandonandosi contro il cuscino che stava tenendo tra lui e la testiera. Tenne gli occhi chiusi per un momento così lungo che Pietro temette si stesse per addormentare sul serio. C’era una calma tale, in quella stanza, che sarebbe potuto succedere per davvero: il viso di Alessio, un po’ pallido e punteggiato da lentiggini a malapena visibili alla luce della lampada accesa, appariva rilassato come se fosse già nelle mani del sonno. Per un attimo Pietro provò la tentazione di andare a prendere una matita ed un foglio per cercare di ritrarlo, di fermare il tempo riportando su carta quel frammento.
Si dovette fermare, e ricredersi sul suo essersi addormentato, quando lo sentì mormorare ancora:
-In ogni caso, non mi preoccuperei del regalo per Giulia-.
Pietro lo guardò accigliato anche se, tenendo ancora gli occhi chiusi, Alessio non si sarebbe potuto accorgere della sua espressione confusa:
-Che intendi?-.
Alessio alzò le palpebre pian piano, passandosi una mano sul viso subito dopo. Sembrava pensieroso, osservò Pietro, come se stesse cercando il modo migliore per spiegarsi.
-Che secondo me domani sera avremo altro di cui preoccuparci- disse infine, ancora enigmatico. Pietro cercò di pensare a cosa potesse riferirsi: la festa di compleanno che Giulia aveva organizzato per l’indomani sera proprio lì a Venezia – quale modo migliore per avere una scusa perfetta per passare una notte con Filippo nell’appartamento suo e di Nicola?- non gli era mai sembrata possibile occasione di problemi. Sarebbero stati solamente loro sei, in una qualsiasi pizzeria, a festeggiare come avevano sempre fatto.
Prima che potesse ancora chiedere ulteriori spiegazioni, Alessio lo anticipò:
-Non hai notato che Caterina e Nicola sono strani?- gli chiese, muovendosi per poter voltarsi meglio verso di lui – Cioè, non strani presi singolarmente … Quando sono insieme-.
Pietro provò a pensarci, ma aveva visto talmente poco entrambi nelle ultime settimane che non seppe cosa dire.
-In realtà non li ho incrociati molte volte insieme negli ultimi due mesi- ammise, alzando le spalle.
-Appunto-.
Alessio fece schioccare le labbra, gli occhi socchiusi persi davanti a sé:
-Non lo so, mi sembrano così distanti tra loro- mormorò ancora, pensieroso. Pietro si fermò a riflettere ancora, prima di dire qualsiasi altra cosa: ricordava che alla sua festa di compleanno, Caterina gli era parsa vagamente nervosa, ma Nicola gli era sembrato sereno come sempre. Forse, pensandoci bene, era forse un po’ meno tranquillo del solito negli ultimi tempi, ma non c’era alcuna certezza che potesse essere dovuto a qualcosa legato a Caterina. E per quanto riguardava lei, valeva la stessa identica cosa.
-Non sono mai stati il tipo di coppia che sta sempre appiccicata, comunque- obbiettò a mezza voce, continuando a guardare Alessio con perplessità.
Lui gli restituì l’occhiata con un’espressione ancora poco convinta:
-No, ma mi sembrano diversi dal solito in ogni caso-.
Pietro si chiese cosa dovesse aver notato in particolare per arrivare a quella conclusione; di certo Alessio aveva avuto più occasioni di lui per poterne essere sicuro – ricordava che fosse uscito con entrambi decisamente più volte di lui, negli ultimi due mesi-, ma allo stesso tempo non riusciva a capire come potesse esserne così convinto.
Decise di lasciar perdere e non domandarglielo: forse, se si fosse ricordato di fare attenzione, domani sera avrebbe avuto l’occasione giusta per scoprirlo da sé. Fino a prova contraria, e a meno di qualche imprevisto, alla festa di Giulia non sarebbero mancati né Nicola né Caterina.
Rimasero in silenzio ancora per un po’, in quell’atmosfera di indecisa calma che Pietro si sentiva ancora addosso. Forse avrebbe fatto bene ad andarsene a dormire, la tisana calda che voleva bere ormai un lontano ricordo; eppure gli era difficile ora, dopo essere rimasto steso su quel letto e sotto la coperta di Alessio, prendere una decisione definitiva ed alzarsi per andarsene di lì. Era piacevole cullarsi nella sensazione del corpo di Alessio vicino al suo, una sensazione che gli ricordava fin troppo vividamente quella che aveva provato nelle giornate di vacanza a San Nicola.
Sospirò piano, tra sé e sé, la voglia di sbattere la testa contro il muro che tornava a farsi forte.
-Cazzo, che male-.
Udì Alessio brontolare, dopo essersi lasciato sfuggire un gemito di dolore. Pietro si girò a guardarlo nell’immediato, pronto a scoprire che gli fosse successo così all’improvviso: lo osservò mentre stava cercando di allungare un braccio verso la schiena, massaggiandosi la zona delle spalle e del collo.
-Che hai?- gli chiese allarmato.
-Il collo un po’ rigido- Alessio lo disse tenendo gli occhi chiusi, il viso contratto in una smorfia di dolore mentre continuava a massaggiare il retro del collo, su fino alla nuca e poi di nuovo verso il basso, lungo la linea della spalla sinistra – E anche le spalle-.
-Vuoi che provi a farti un massaggio?-.
Pietro disse quelle parole prima ancora di rendersene pienamente conto. Per un attimo fu quasi sul punto di ritrattare, ma Alessio si era già girato verso di lui, con uno sguardo indecifrabile.
-Non è che poi mi peggiora il dolore?- gli chiese, con una vena di sarcasmo ad addolcire il dubbio che Pietro poteva intuire nelle sue parole.
Pietro fu quasi tentato di dirgli di lasciar perdere, in quell’ultima scappatoia che gli si stava presentando davanti. Esitò, però, perché per quanto improvvisata fosse stata la sua proposta, se poteva fare qualcosa per alleviare almeno un po’ il dolore che doveva star provando Alessio, l’avrebbe fatto. Si sentì bruciare la pelle del viso, ma cercò di ignorare di nuovo il proprio rossore.
-Ma va- cercò di dire fingendo assoluta disinvoltura, forse arrivando persino ad esagerare – Fidati, ti migliorerò la serata-.
Alessio non ebbe da ridire, e Pietro si sentì ancor più in imbarazzo. Arrivato a quel punto, però, tanto vale provarci. Magari sarebbe davvero riuscito a rilassargli almeno un po’ i muscoli delle spalle e del collo.
-Stenditi- gli mormorò qualche secondo dopo. Alessio non se lo fece ripetere due volte, annuendo debolmente. Si alzò per poi allungarsi sul materasso, portandosi il cuscino che aveva tenuto dietro la testa ora sotto la pancia.
Pietro esitò ancora, chiedendosi come spostarsi. Per un attimo pensò che sarebbe stato più comodo per lui mettersi a cavalcioni, circondare la vita di Alessio con le gambe, ma scartò quell’idea nell’immediato. Si sentiva già a disagio così – ancor di più di quando si era ritrovato ad osservarlo mentre dormiva durante le mattinate pugliesi-, e non c’era alcun bisogno di rendere la cosa ancor più imbarazzante.
Si limitò a sedersi meglio, togliendosi la coperta di dosso per avere maggior spazio di manovra. Anche se era più difficile poter massaggiare qualcuno con i vestiti ancora addosso, non chiese ad Alessio di togliersi la felpa. Allungò le mani, arrivando a toccargli la spalla sinistra, iniziando a premere i polpastrelli, muovendoli lentamente sui muscoli.
-Ti fa male qui?- gli chiese, con voce inavvertitamente bassa.
-Sì, anche l’altra spalla- Alessio sembrava rilassato, anche se Pietro non poteva dirlo con sicurezza senza potergli osservare l’espressione. Gli occhi di Alessio difficilmente mentivano: poteva essere un buon bugiardo a parole, ma lo sguardo tradiva spesso quel che provava davvero.
Spostò una mano sull’altra spalla, saggiandone il muscolo: non gli risultava difficile credere che Alessio potesse lamentare dolore.
-In effetti sei rigidissimo- confermò, cercando di affondare meglio i polpastrelli nel muscolo irrigidito. Probabilmente sarebbe riuscito meglio nel suo intento facendolo spogliare, ma continuò imperterrito a non accennare neanche minimamente a quella opzione.
Continuò semplicemente a muovere le proprie mani, avvicinandosi sempre di più al collo, ascoltando il respiro lento di Alessio, steso sotto di sé.
Lo stava sovrastando, e si maledisse quando, per un secondo, immaginò sé stesso abbassarsi ancora di più, fino a far aderire completamente il suo corpo con la schiena di Alessio.
Allontanò quell’immagine con vigore, come se si fosse appena scottato la mano sul fuoco.
-Come va ora?- gli chiese, in un tentativo debole di rompere il silenzio che era calato, e che non stava facendo altro che facilitare certi pensieri – certe fantasie alle quali non poteva lasciarsi andare.
-Decisamente meglio- Alessio sospirò a fondo, e dalla prospettiva da cui poteva osservarlo, Pietro riuscì a notare il mezzo sorriso che gli stava nascendo sulle labbra.
Forse doveva semplicemente lasciarsi andare senza imbarazzo, come stava facendo Alessio: in fin dei conti non c’era nulla di strano in quella situazione. Erano solo un amico che stava cercando di dare una mano ad un altro amico.
Ma il silenzio era difficile da affrontare; era quasi insopportabile, con quello strato di nervosismo che, nonostante tutto, non riusciva a scrollarsi di dosso.
-Sarei il fidanzato ideale, visti i massaggi magnifici che faccio-.
Pietro si pentì di aver cercato per forza qualcosa da dire il secondo dopo essersi fatto sfuggire quelle parole. Le aveva dette in tono casuale, e nella sua mente quella frase non aveva assunto una piega così allusiva come invece gli sembrò non appena l’aveva pronunciata a voce alta.
Forse era solo una sua impressione, forse si stava facendo troppi problemi, ma avvertì Alessio irrigidirsi sotto le sue mani, un attimo dopo aver udito quelle parole.
Pietro ebbe solo voglia di andarsene il prima possibile.
-Ok, credo che così possa bastare- mormorò ancora, allontanandosi subito dopo.
Si mise a sedere un po’ più in là, sul bordo del materasso, le gambe già piegate fuori per essere pronte a toccare terra con i piedi.
“A che cazzo stavi pensando?” si chiese, irato con se stesso.
Si odiò profondamente per la sua capacità di rovinare ogni momento per non riuscire a pensare prima di aprire bocca o di agire.
Sperò solo che Alessio fosse troppo stanco per ricordarsi di quell’episodio il giorno seguente: non aveva la minima intenzione di ripetere l’esperienza dei suoi malumori dovuti a un possibile sentimento che andava oltre all’amicizia.
“E poi non è così”, pensò ancora Pietro. Non c’era altro da parte sua. Non ci doveva essere altro.
-Grazie- Alessio si era messo a sedere a sua volta nell’ultimo minuto. Pietro non ci aveva nemmeno fatto caso, troppo impegnato ad evitare persino di guardarlo.
Lo sentì muoversi ancora, mentre teneva lo sguardo altrove, verso la porta della stanza.
-Provo a dormire ora, o domani sembrerò più uno zombie che altro- sussurrò ancora Alessio, con voce indifferente. Non sembrava nervoso o in imbarazzo, ma c’era qualcos’altro, che Pietro non seppe identificare, che dava l’impressione non fosse nemmeno del tutto a suo agio. Non ci badò più di tanto, perché quella era l’occasione per andarsene senza destare troppi dubbi, e non aveva la minima intenzione di lasciarsela scappare:
-Meglio che vada anche io, o farò la stessa fine-.
Pietro esitò qualche secondo prima di decidersi a girarsi verso l’altro. Alessio lo stava già fissando, in silenzio, come se fosse in attesa di qualcosa.
-Buonanotte- si limitò a dire, prima di alzarsi.
Alessio annuì, prima di rispondere in un filo di voce:
-‘Notte-.
Pietro se ne uscì dalla stanza in pochi attimi, diretto alla sua. Era consapevole che avrebbe dormito male, quella notte, sempre se sarebbe riuscito mai a chiudere occhio.
 
*
 
Una folata di vento le colpì non appena misero piede fuori dal treno, scendendo al binario dove si era fermato poco prima. Giulia si mise meglio sulle spalle lo zaino che aveva portato – colmo con vestiti per cambiarsi, cose che le sarebbero potute servire per la giornata, e la borsa più piccola, che avrebbe usato alla sera-, bilanciandone meglio il peso. Davanti a lei Caterina avanzò a passi lenti, la fiumana di persone che si dirigevano verso lo spazio chiuso della stazione che non lasciava loro spazio di manovra per camminare più velocemente.
-Dove ci aspetta Filippo?- le chiese Caterina, girandosi verso di lei. Giulia riuscì a farsi spazio per poterla affiancare, senza costringerla a parlare voltandosi indietro per riuscire a farsi sentire.
-Appena fuori dalla stazione- le rispose, non riuscendo a nascondere il sorriso entusiasta che premeva per nascerle sulle labbra.
Nonostante il freddo di quel sabato pomeriggio e l’aria grigia del cielo, in un clima profondamente autunnale, Giulia si sentiva letteralmente elettrizzata
Venezia poteva forse apparire gelida e velata di una sottile foschia, che andava minare e a rendere meno visibile il suo fascino, ma non le importava, non fin quando aveva l’occasione di festeggiare il suo compleanno proprio lì. E di passare un’intera giornata con Filippo.
-Bene- mormorò ancora Caterina, lasciandosi andare ad un lungo sospiro – Speriamo non ci voglia troppo ad arrivare al loro appartamento. Non ho voglia di camminare-.
Giulia rimase in silenzio, chiedendosi se quella sua volontà di non nominare nemmeno Nicola fosse indice di qualcosa di più grave di una semplice svista nel parlare velocemente. Caterina non le aveva dato l’idea di non essere contenta di essere lì, nemmeno quando, almeno un mese prima, era spuntata fuori l’idea di festeggiare a Venezia il suo compleanno. L’aveva persino spalleggiata in quella sua decisione.
Ora che però stavano avanzando lungo il marciapiede del binario, sempre più vicine al punto dove avrebbero incontrato Filippo, capì che quel che Caterina si stava tenendo dentro era ben di più di quel che lasciava trasparire.
Si sentì affranta all’idea che, nonostante tutto il tempo passato, certe ferite continuassero a non rimarginarsi.
 
*
 
-Quindi oggi andate a Venezia?-.
Giovanni lo disse con voce vaga, come se stesse parlando del più e del meno. E forse l’intento era quello, ma Caterina avrebbe preferito di gran lunga non dover pensare troppo in anticipo a cosa l’aspettava quel giorno.
Il sabato era sempre la giornata più tranquilla al Virgilio, forse perché il riposo del weekend era ormai così vicino da essere palpabile. Mancavano solo pochi minuti prima che suonasse l’ultima campanella, ma per lei e Giovanni le ore di scuola erano già finite. L’unico motivo per cui si trovavano ancora lì, tra le mura della scuola, era per le ripetizioni d’inglese: un appuntamento che, in un modo o nell’altro, erano riusciti a rendere abbastanza regolare in quegli ultimi due mesi. Era una distrazione che Caterina trovava a tratti rilassante, perché le permetteva di mettere in pausa tutti i pensieri peggiori che potevano sorgerle per i motivi più disparati.
-Così pare- gli rispose, riponendo anche l’ultimo libro d’inglese nella tracolla, posata sopra il tavolo a cui si trovavano, in uno dei corridoi del pianterreno – Non che ne abbia molta voglia, ma è il compleanno di Giulia. Non voglio mancare-.
Non era del tutto vero che non ne avesse voglia, perché l’idea di festeggiare a Venezia le piaceva, e sapeva che Giulia ne era entusiasta oltre misura. Era la compagnia il problema, ma sapeva che non avrebbe avuto bisogno di specificarlo per far sì che Giovanni lo capisse.
Ne ebbe la sicurezza qualche secondo dopo, quando si girò verso di lei:
-Ci sarà anche Nicola?-.
Caterina annuì:
-Ovviamente. Staremo nell’appartamento suo e del ragazzo di Giulia stasera- raccontò, con voce atona – E anche prima della festa, presumo-.
Lei e Giulia avevano programmato tutto alla perfezione nei giorni precedenti: avevano minuziosamente controllato gli orari di partenza del treno che da Sesto Levante e Torre San Donato le avrebbe portate a Borgo Padano, dove poi avrebbero preso quello per la stazione di Santa Lucia a Venezia. Si erano lasciate un’ora prima, quando le lezioni della 5°A erano finite e con Giulia, che sarebbe dovuta andare subito a casa per guadagnare tempo, avevano di nuovo ripassato il loro piano e tutti i passaggi che comprendeva. Il problema era sempre e solo la fine: quando sarebbero arrivate, e quando avrebbero dovuto aspettare l’ora per andare in pizzeria nell’appartamento di Filippo e Nicola.
Caterina sapeva che non avrebbe potuto evitarlo, lo sapeva da tempo, ma non era comunque riuscita a trovare un solo lato positivo in quella situazione.
-Non ho voglia di vederlo-.
Ad osservarlo, Giovanni non pareva affatto stupito. Non era una sorpresa, d’altro canto: Caterina ricordava che, in quei due mesi di incontri, tra un esercizio d’inglese e l’altro, gli aveva parlato spesso di come le cose tra lei e Nicola stessero proseguendo – o di come non stessero proseguendo affatto.
Erano due settimane che lei e Nicola non si vedevano – era rimasto sempre a Venezia, come Caterina aveva ampiamente previsto. Ricordava ancora la sensazione di sollievo quando aveva saputo che non sarebbe tornato in quei weekend, e ricordava allo stesso modo il senso di soffocamento che aveva provato al pensiero che, inevitabilmente, avrebbe dovuto passare la nottata della festa di Giulia con lui sotto lo stesso tetto.
-Magari andrà meglio di quel che ti aspetti- Giovanni finì di sistemare le proprie cose nel suo zaino, prima di sedersi sopra al tavolo – Non credo che sia una cattiva persona. È che dovresti dirglielo che non ti sei sentita capita per quella storia-.
Quella storia.
Caterina quasi rise per quella definizione, anche se capiva come mai Giovanni vi si era riferito in quei termini. Non poteva sapere cosa fosse successo davvero, ed era stato sufficientemente garbato da non chiederglielo mai, né insistere ponendole altre domande inerenti.
Si era sempre solo limitato ad ascoltarla, a darle pareri senza cadere fuori dall’oggettivismo. In un modo o nell’altro Giovanni si era dimostrato un confidente di cui Caterina aveva sentito di aver bisogno, perché Giulia – così come Alessio- non avrebbe mai potuto lasciare del tutto da parte l’amicizia che la legava anche a Nicola. Non gliene poteva fare una colpa, ma era stato naturale per Caterina smettere di confidarsi con lei su quel lato della sua vita, lasciandole solo poche parole in pochi momenti, e probabilmente fin troppe domande.
-Magari capirebbe meglio anche lui come comportarsi- disse ancora Giovanni.
Caterina si ritrovò a sbuffare amaramente:
-Non capirebbe neanche se glielo spiegassi centro volte e in cento maniere diverse-.
Sospirò ancora, rendendosi conto che persino Giovanni sembrava troppo ottimista in quella situazione. Forse stava solo cercando di incoraggiarla, ma faticava a credere che potesse pensare davvero, dopo tutto quel che gli aveva detto, che le cose potessero sistemarsi così facilmente.
-Devo solo stringere i denti per oggi e domani mattina- mormorò ancora.
Era più semplice a dirsi che a farsi, perché era sicura che Nicola si sarebbe comportato come sempre, senza notare se qualcosa non andava – o almeno facendo finta di nulla, se mai fosse successo anche durante una delle volte precedenti in cui si erano rivisti.
Lasciò andare un sospiro lungo, cercando il cellulare nella tasca della giacca a vento per poter controllare l’ora; quando lo recuperò, e sbloccò lo schermo, si rese conto che mancavano solo un paio di minuti al suono della campanella. Lei e Giovanni sarebbero già potuti uscire, ma l’umidità e il freddo che si respirava fuori non erano certo fattori allettanti.
Ed oltre ai pochi minuti prima della campanella, mancavano solo un paio d’ore alla partenza da Torre San Donato con il treno. Un tempo troppo poco sufficiente per riuscire a tranquillizzarsi, o almeno per provarci.
-Se hai bisogno, se ti senti a disagio, puoi chiamarmi o scrivermi. Anche stasera-.
Caterina alzò di scatto gli occhi verso Giovanni, guardandolo stupita. Era lievemente arrossito, forse indicando quanto lui stesso considerasse quella proposta appena fatta una cosa detta istintivamente, senza averci pensato troppo a lungo.
-Non hai impegni?- gli chiese lei di rimando, rendendosi conto di essere sembrata troppo brusca. Apprezzava l’offerta di Giovanni, in realtà, era che, semplicemente, non voleva essere un peso.
Lui scrollò le spalle, ancora un po’ rosso in viso:
-Sì, dovrei uscire anche io, ma voglio darti una mano- replicò, gli occhi azzurri fattisi parecchio seri.
-Sicuro?- Caterina insistette ancora – Non voglio rovinarti la serata-.
A quelle parole, Giovanni rise sommessamente:
-Non mi rovineresti mai la serata-.
Caterina si ritrovò a sorridere esitante, con malinconia. Se gli avesse sentito pronunciare quelle parole mesi prima, quando ancora non avevano iniziato a parlare così spesso, probabilmente avrebbe avvertito un campanello d’allarme. Ma non era quello il caso, non più.
Le percepì solo come parole dolci, parole di qualcuno che, in fondo, ci teneva a lei.
-Davvero, se hai bisogno di qualcosa, tipo sfogarti o bisogno di consigli, basta che mi scrivi- aggiunse ancora Giovanni, velocemente – Non farti problemi.
Caterina gli sorrise più apertamente, stavolta.
-Lo terrò a mente, allora-.
 


-Che c’è?-.
Caterina guardò Nicola con fare interrogativo, il sopracciglio alzato come a dimostrazione della sua confusione. C’era incertezza nello sguardo di Nicola, ed era piuttosto evidente – un avvenimento che succedeva raramente.
-No, niente- mormorò lui, a bassa voce per non farsi sentire da Giulia e Filippo, rinchiusi nella stanza accanto di quest’ultimo – Mi stava venendo un dubbio-.
Stava occhieggiando al regalo di Giulia, notò Caterina senza troppa fatica. Lo stesso regalo che stavano cercando di incartare da almeno una decina di minuti, chiusi dentro alla stanza di Nicola per non farsi sorprendere da Giulia – distratta alla perfezione da Filippo. La carta regalo era vagamente spiegazzata, segno dei precedenti tentativi di incartare la candela che avrebbero dato a Giulia quella sera. Caterina se l’era fatta consegnare a casa dopo averla ordinata online un paio di settimane prima, in linea con i tempi; era riuscita a nasconderla a Giulia nello zaino che aveva portato con sé a Venezia, senza destare alcun sospetto.
-È un po’ tardi per farsi venire dubbi, non credi?- lo rimbrottò lei, piuttosto seccamente – Però dillo comunque-.
Sospirò a fondo, cercando di mantenere i nervi saldi. Quando un’ora prima lei, Giulia e Filippo erano arrivati all’appartamento le cose non erano cominciate troppo male. Essere in compagnia loro e non solo di Nicola, che li aveva attesi lì recuperando tempo per studiare, aveva reso le cose più sopportabili. Caterina aveva quasi pensato che, in fin dei conti, ed in minima parte, la presenza di Nicola le era persino mancata. Una mancanza che però stava venendo soffocata dall’astio che provava sempre verso di lui, e che stava cominciando ad acuirsi con il malumore che cominciava a provare in quel momento.
Nicola si morse il labbro inferiore, ancora esitante:
-Non è che magari è un po’ poco come regalo? Ovviamente c’è anche quello di Filippo, però … -.
Caterina dovette fare uno sforzo enorme per trattenersi e non imprecare.
-Però?- lo incalzò subito.
-Non lo so, forse avremmo potuto cercare qualcosa di più … Consistente- terminò lui, scuotendo il capo. Riprese a cercare di incartare la candela, con un po’ più di maestria di quella mostrata da Caterina nei tentativi precedenti. Forse all’incartamento avrebbero trovato una soluzione, pensò lei tra sé e sé, ma per la loro, di situazione, cominciava davvero a dubitarne.
-Non potevi dirlo prima?- Caterina sbottò dopo qualche secondo di silenzio, cercando di non alzare la voce per non farsi sentire dagli altri due – Ne abbiamo parlato per settimane, Nicola. Ti pare di venirtene fuori così il giorno stesso della festa?-.
Lo guardò malamente, con aria stanca e frustrata. Immaginava che prima o poi sarebbe scoppiata e avrebbe reso piuttosto evidente l’irritazione che si stava tenendo dentro da due mesi, ma stava avvenendo nel momento peggiore possibile, quando l’ultima cosa che voleva era rischiare di farsi sentire da qualcun altro oltre che Nicola.
Non riuscì però a non sbuffare, le mani sui fianchi e gli occhi che lo guardavano con durezza.
-Oh giusto, quasi scordavo che quando abbiamo raccolto le idee per il regalo tu a malapena hai detto due parole- sbottò con tono provocatorio – Probabilmente neanche ti ricordavi che dovevamo comprarlo-.
Si sentì ribollire al ricordo della chat di gruppo che lei stessa aveva creato per poter parlare di cosa regalare a Giulia, e di come, tra tutti i messaggi, quelli di Nicola fossero oltremodo rari. Forse non si ricordava nemmeno di essere stato inserito in quella chat, visto quanto poco ci era entrato.
Lui abbassò gli occhi per un attimo, e Caterina ebbe la vaga sensazione che, almeno per una volta, si sentisse colpevole.
-Avevo un parziale da preparare, ero incasinatisimo- biascicò dopo qualche secondo.
-Mi sembra tu lo stia spesso, ultimamente-.
“Userebbe la stessa scusa anche per giustificare come mi ha trattata allora?”.
Caterina lo guardò ancora con amaro sarcasmo:
-Quando ci siamo visti l’ultima volta prima di oggi? Non me lo ricordo neanche più-.
Lo ricordava, invece, ma lo ricordava solo per la sensazione di vuoto che aveva avuto per tutto il tempo. Per la rabbia che le era cresciuta nel rendersi conto, ancora una volta, che Nicola non sarebbe mai tornato a pensare al momento di due mesi prima in cui era cambiato tutto tra loro. Non lo avrebbe fatto per il semplice motivo che, per lui, non sembrava essere davvero cambiato qualcosa.
Lo ascoltò sospirare stancamente, mentre si passava le mani sul viso pallido.
-Il prossimo anno capirai come mai non riesco a star dietro a tutto come prima- mormorò, prima di tornare con lo sguardo alla carta regalo che doveva ancora usare per incartare la candela di Giulia.
Caterina capì subito che quella conversazione era finita. Era terminata semplicemente così, come se non ci fosse nient’altro da dire.
E forse era vero: forse erano arrivati al punto in cui non c’era più nulla da dirsi.
-Sicuro- borbottò sottovoce, nervosa.
 
*
 
-Vorrei fare un discorso-.
Pietro si era appena alzato in piedi, richiamando su di sé l’attenzione di tutti i presenti non solo del loro tavolo, ma anche di quelli vicini. Giulia trattenne a stento una risata, coprendosi la bocca con entrambe le mani: non si trovavano lì da tanto, e Pietro non aveva ancora toccato quasi del tutto alcool, ma nonostante la sobrietà appariva ben più fuori di testa del solito.
Il locale, una sorta di bar e pizzeria, non appariva come una sala particolarmente grande, ma a Giulia aveva dato l’impressione di un posto intimo e mite sin dal primo momento in cui ci aveva messo piede. I tavoli in legno e le pareti a muro davano fascino all’ambiente, sottolineato dalla luce soffusa dei lampadari agli angoli della sala. Era un luogo caldo che contrastava animatamente con il clima dell’esterno, con Venezia che appariva ancora più fredda che nel pomeriggio e con le calli velate malinconicamente di foschia, e le luci lontane di San Marco a rischiarare le acque della laguna.
Era un posto che le piaceva, nonostante tutto, ed era soddisfatta di aver seguito il consiglio di Filippo di dare lì la festa per il suo diciottesimo compleanno.
-Sei sicuro di non aver bevuto prima di venire qui? Sei messo peggio del solito- intervenne Filippo, seduto tra Giulia e Pietro, mentre si sforzava di convincere l’altro a rimettersi seduto, riuscendoci con qualche difficoltà, e lanciando all’amico un’occhiata scettica e per niente convinta dall’altra parte della tavolata.
-Non ha bevuto nulla, ha solo fumato parecchie sigarette durante la giornata- Alessio riuscì a malapena a trattenersi dal ridere, ricevendo già un’occhiata torva da Pietro – Anche se a questo punto comincio a pensare fossero canne, visti i risultati-.
Giulia scoppiò a ridere sonoramente, sentendo le lacrime farsi vicine dal rigarle le guance. Era contenta che almeno Pietro, Alessio e Filippo stessero rendendo l’atmosfera leggera, perché guardando all’altro lato del tavolo – dove Caterina era seduta tra Alessio e Nicola-, avrebbe potuto pensare tranquillamente che quella festa fosse un flop completo.
Giulia si fermò per qualche attimo a guardare Caterina, nera in viso e ben poco sorridente. Avrebbe voluto prenderla in disparte e chiederle cosa stesse succedendo, se l’umore sotto i piedi che sembrava avere fosse dovuto ancora una volta a Nicola. Si ripromise di farlo non appena possibile, magari in un momento della serata in cui si sarebbero potute allontanare per un po’ senza troppi problemi.
Sospirò a fondo, consapevole che doveva aspettarsi un risvolto del genere: per quanto avesse cercato di alleviare la tensione che era aleggiata per tutto il tempo passato nell’appartamento di Filippo e Nicola, era evidente che il suo intento fosse riuscito solo in parte. Quando erano arrivati le cose non le erano parse così drastiche, non quanto invece erano apparse al momento di uscire di casa per raggiungere con calma la pizzeria dove avevano prenotato per quella sera. Anche in quel momento, in mezzo all’ilarità del resto del gruppo, gli occhi di Caterina erano assenti, lontani da lì, e quelli di Nicola incerti come mai li aveva visti.
Era qualcosa che la feriva, non solo perché aveva sperato di passare il suo diciottesimo compleanno nella vivacità e la spensieratezza che ricercava da tempo, ma anche perché, vederli così – con quella freddezza che scorreva silenziosa quanto visibile tra loro due- era una morsa al cuore anche per lei.
-Siete degli ingrati- esclamò di nuovo Pietro, passando uno ad uno gli amici con lo stesso sguardo torvo rivolto poco prima ad Alessio – È un diciottesimo, qualcuno dovrà pur dire qualcosa in onore della festeggiata-.
Giulia cercò di distrarsi dai suoi pensieri voltandosi verso Pietro:
-Proprio perché sei tu dovrei preoccuparmi- replicò, alzando un sopracciglio – Chissà che diresti di me-.
-Come sei malfidente- bofonchiò lui di rimando, imbronciato e afferrando il suo bicchiere di birra per scolarsene circa la metà.
Giulia ringraziò il fatto che le loro pizze arrivarono meno di un minuto dopo, dando una scusa ottima a tutti per non fare altro oltre a mangiare.
Lanciò un’ultima occhiata nella direzione di Caterina, osservandola mentre cominciava a tagliare la propria pizza, parlando sottovoce con Alessio di qualcosa che Giulia non riuscì ad intuire. La cena era appena iniziata, e la serata non era neanche vicina alla sua fine: sperava che, in fondo, ci fosse ancora tempo per vedere la situazione risollevarsi almeno di un po’.
 
*
 
Caterina si ritrasse ancora un po’, rendendosi conto solo troppo tardi che ormai, a separarla da Alessio sulla panca dove erano seduti, mancavano solo pochi centimetri. Uno spazio che non le sarebbe bastato per allontanarsi ulteriormente da Nicola.
Cercò di concentrarsi sulle ultime fette di pizza che aveva sul suo piatto, ormai tiepide. Le sembrava di essere un pesce fuor d’acqua, seduta a quel tavolo: era calato un po’ di silenzio tra di loro, impegnati tutti a cenare e quindi meno attenti al chiacchierare. Persino Giulia non stava dicendo nulla, e per quanto Caterina potesse provare a intavolare una conversazione con lei, erano troppo distanti; dubitava sarebbe riuscita ad udirla bene, con la musica in sottofondo accesa nel locale che a Caterina cominciava a dare fastidio, e che le sembrava troppo alta.
Sfiorò l’idea di rivolgersi invece ad Alessio, di fianco a lei e allo stesso modo degli altri intento a finire la sua pizza margherita, ma si bloccò nel momento stesso in cui la presenza di Nicola, dall’altro lato, si fece di nuovo pesantemente presente.
Forse non si era accorto del tutto del suo tentativo di frapporre tra loro un po’ di lontananza – e se sì, forse doveva essere quello il motivo di quel suo nuovo approccio-, e forse non si era nemmeno posto il dubbio che non fosse in vena di avere a che fare con lui. Caterina si ritrovò raggelata sul posto quando avvertì una sua mano su una gamba, vicino al ginocchio; era un gesto che tra loro era quasi banale, più che semplice, ma poteva essere considerato tale solo fino a due mesi prima, non certo in una giornata nella quale si era ritrovata ad un passo dall’urlargli addosso.
“Se è il suo metodo per farsi perdonare, sta sbagliando tutto”.
-Tutto bene?-.
Caterina si girò appena verso Nicola, guardandolo in silenzio per diversi secondi, non potendo fare a meno di pensare all’ironia di quella situazione e di quella domanda che proprio lui le aveva appena posto.
-Alla grande- disse con esagerato e finto entusiasmo – La pizza è buona, il posto è carino. Non potrebbe andare meglio-.
Calcò particolarmente sulle ultime parole, non nascondendo il sarcasmo di cui erano intrise. Nicola sembrò percepirlo almeno in parte: voltandosi appena verso di lui, lo vide mantenere un’espressione piuttosto confusa. Non tolse però la mano che ancora aveva posata sul suo ginocchio.
-Sicura?- le chiese invece, sottovoce – Ti vedo un po’ nervosa-.
Caterina si trattenne a stento dallo sbuffare:
-Chissà perché- sbottò ancora, mettendosi a tagliare brutalmente gli ultimi spicchi di pizza che le rimanevano – Magari se pensassi un po’ di più a come ti comporti certe volte capiresti come mai sono nervosa-.
Ora cominciava ad intuire che il gesto di Nicola era una sorta di scusa silenziosa: doveva aver intuito di più di quel che lasciava trasparire, ma ciò non significava che potesse essere anche solo vagamente sufficiente a calmarla.
Sospirò ancora, tenendo lo sguardo rivolto sul suo piatto:
-Comunque non ho voglia di parlarne qui-.
L’unica risposta che ricevette fu un sussurrato “Va bene”, ed una carezza leggera che non fece altro che renderla ancora più inquieta.
 


-Mi avete proprio viziata, eh?-.
Giulia rise allegramente, mentre continuava ad osservare i suoi regali appena scartati – la candela contenente la collana, e un anello accompagnato da un bouquet di fiori da parte di Filippo- e posati sul tavolo, ora libero dai piatti vuoti delle pizze. Caterina la osservò: sembrava davvero contenta delle cose che aveva ricevuto, a dispetto dei dubbi che aveva insinuato Nicola. Almeno lei sembrava passarsela bene, in quella serata, il sorriso sempre presente sulle sue labbra.
“Almeno una tra noi due è felice”.
-Solo perché è il diciottesimo- replicò Pietro, con un ghigno malizioso stampato in viso – Non farti troppe aspettative per il prossimo compleanno. Probabilmente non avremo un soldo bucato per comprarti cose-.
Caterina sorrise appena, senza sentirsi davvero divertita. Udì gli altri ridere, ma l’unico pensiero fisso nella sua mente era tirare fuori il proprio cellulare dalla tasca dei jeans e scrivere a Giovanni. Era consapevole che probabilmente era fuori con la sua compagnia, e che senz’altro lo avrebbe distratto per chiedergli il favore di cui aveva bisogno, ma le sue parole continuavano a ronzarle in mente – “Se hai bisogno di qualcosa, basta che mi scrivi”- riuscendo a farla sentire meno in colpa.
Aveva bisogno di parlare con qualcuno, e aveva bisogno d’aria. E aveva anche il disperato bisogno di frapporre tra lei e Nicola metri su metri di distanza, allontanarsi da lui almeno per un po’ di tempo.
Lo scambio di parole di prima non era servito a molto, e non era certo stato utile per indurlo a non avvicinarsi di nuovo. Caterina si era ritrovata più volte con un suo braccio a circondarle le spalle, più di un bacio sulla guancia, ed anche se aveva ormai la certezza che quelli fossero semplici gesti d’affetto per cercare di calmare il nervosismo mostrato prima, non avevano fatto altro che acuirlo.
Erano gesti che avrebbe dovuto farli prima, molto prima, e che invece erano in ritardo di almeno due mesi.
Caterina tirò fuori il cellulare in un momento di distrazione generale – Giulia aveva appena fermato un cameriere per chiedergli se potesse portare il dolce che aveva ordinato per festeggiare-, andando subito alla schermata per scrivere un messaggio.
Controllò velocemente Nicola, che in quel momento aveva lo sguardo altrove, prima di cercare la chat che aveva con Giovanni, e iniziare a digitare velocemente un nuovo messaggio.
«Lo so che sarai fuori con i tuoi amici, ma sei ancora disponibile per quella promessa?».
Non era nemmeno sicura che sarebbe riuscito a leggerlo e a risponderle in fretta. Si ripromise, con quel dubbio a tartassarle la mente, che si sarebbe comunque alzata per far finta di dover andare in bagno entro poco. Cominciava ad essere davvero al limite.
Il display del suo telefono, però, si illuminò per un nuovo messaggio in arrivo un minuto più tardi.
«Lo sono sempre», lesse velocemente «Che succede?».
Caterina si morse il labbro inferiore, colta improvvisamente dal dubbio. Se la sarebbe potuta cavare da sola – poteva sempre davvero andarsene in bagno per conto suo e restarsene lì, spiegando poi l’averci impiegato tempo a causa della fila-, ma la verità era che, oltre a prendersi dei minuti da sola, aveva l’urgente bisogno di parlare con qualcuno. E nessuno a quel tavolo sarebbe stato in grado di offrirle, seppur non per colpe loro, ciò che stava cercando.
«Ho bisogno di parlare con qualcuno» digitò, prima di spiegare a grandi linee la situazione. Era stata meno attenta, in quel momento, ma quando rialzò gli occhi dopo aver inviato il messaggio non le sembrò di vedere nessuno degli altri guardarla con sospetto.
La risposta di Giovanni arrivò anche stavolta celermente:
«Se vuoi posso chiamarti. Avresti una buona scusa per allontanarti dal tavolo».
Caterina tirò un sospiro di sollievo tra sé e sé.
«Ti devo un favore».
Lasciò il telefono bloccato sul tavolo, dal lato di Alessio. Il dolce non era ancora stato portato al tavolo, e per un attimo quasi si sentì in colpa nell’allontanarsi proprio in quel momento. Quando però si accorse della telefonata in entrata, con il nome di Giovanni visibile sullo schermo del cellulare, non ebbe alcun ripensamento.
Si voltò verso Alessio all’istante dopo aver afferrato il telefono e la giacca a vento, trovandolo già, inaspettatamente, girato verso di lei con uno sguardo che Caterina percepì come vagamente confuso.
-Scusa- gli disse con voce incerta, chiedendosi se potesse aver letto il nome del mittente – Mi fai passare? Devo rispondere alla chiamata-.
-Devi proprio uscire?- le chiese di rimando lui.
Caterina lo guardò con un po’ di ostilità:
-Non sentirei niente restando qua dentro- replicò, bruscamente – Ora mi fai passare?-.
Alessio sospirò , prima di decidersi di alzarsi. Caterina lo sentì vagamente imprecare, mentre camminava lontana dal tavolo, dopo un botto che non aveva idea a cosa potesse essere dovuto. Non si voltò a guardare, proseguendo verso la porta d’ingresso della pizzeria. Fece appena in tempo a mettersi la giacca addosso, prima di spingere la porta e premere sul pulsante per accettare la chiamata.
-Pronto?-.
La boccata d’aria fredda che prese non appena uscita fu la più liberatoria di sempre.


 
La prima cosa che pensò, oltre ad una serie di imprecazioni che trattenne a denti stretti, fu l’orrenda sensazione di bagnato che si stava sentendo addosso.
Alessio portò una mano alla schiena: i polpastrelli arrivarono subito alla zona dove era stato colpito dal vassoio – e da quello che c’era sopra il vassoio. Ritrasse la mano, osservando la crema con cui si era sporcato la punta delle dita, rendendosi conto con orrore che sulla sua schiena e sui suoi jeans – e chissà in quali altri posti- doveva esserci spiaccicato il dolce che Giulia aveva appena ordinato.
Sentì di nuovo l’impulso di imprecare, ma anche stavolta riuscì a fermarsi in tempo, al contrario del momento stesso dello scontro.
La cameriera a cui aveva tagliato la strada nell’alzarsi per far passare Caterina, e che evidentemente l’aveva visto troppo tardi sulla sua traiettoria per poterlo evitare, se ne stava china a raccogliere ciò che restava del dolce. Il vassoio era caduto a terra con un tonfo sonoro, impossibile da non udire; Alessio si rese conto con imbarazzo che c’erano ancora alcuni clienti che li stavano fissando, come se non avessero mai visto accadere un incidente simile in una pizzeria.
-Sembra che il tuo dolce non arriverà mai più- commentò Pietro a mezza voce rivolto a Giulia, la fronte corrugata e le sopracciglia alzate. Alessio si voltò verso di lei subito dopo: per sua fortuna Giulia non sembrava tanto sconvolta per la fine che aveva fatto la sua torta, almeno in apparenza. Stava comunque guardando la scena che le si presentava davanti con fare corrucciato.
-Scusate per l’incidente- la cameriera si rialzò dopo qualche secondo, tenendo tra le mani il vassoio e i resti della torta, sparsi per tutta la superficie oltre che sui suoi vestiti e quelli di Alessio – Volete comunque ordinare altro?-.
C’era una cadenza insolita nel suo modo di parlare, e ad occhio Alessio giudicò che potesse essere un accento britannico o americano.
-In realtà credo sia stata più colpa mia. Mi dispiace- replicò subito, con sguardo di scuse, prima di rivolgersi a Giulia – Se vuoi ordinare altro fai pure, questo te lo pago io-.
-Sicuro?- gli chiese lei di rimando, con fare esitante.
Alessio annuì:
-Certo. È il tuo compleanno, e ti ho distrutto la torta- disse, cercando di sorriderle per rassicurarla – Non farti problemi-.
Giulia annuì, ricambiando il sorriso. La cameriera si fece avanti, le guance così arrossate che a momenti sembravano essere dello stesso colore rosso dei capelli.
-Vi mando subito un collega- disse, cercando a sua volta di rivolgere loro un sorriso cordiale – Scusate ancora per l’incidente-.
Alessio la guardò brevemente andarsene, dopo aver ricevuto l’ok da Giulia. Si sentì in colpa nei suoi confronti, e vagamente innervosito verso Caterina: sarebbe stato curioso sapere perché avesse avuto così tanta fretta, e chi diavolo la stava chiamando proprio durante la festa. Aveva dato un’occhiata, senza volerlo sul serio, al nome del mittente, ma al nome Giovanni non aveva saputo ricollegare nessuna faccia conosciuta.
Si scrollò quei pensieri di dosso, consapevole che, in ogni caso, dubitava avrebbe mai trovato una risposta alle sue domande. E comunque, ora come ora, doveva fare qualcosa di più urgente.
-Vado in bagno a cercare di darmi una ripulita- annunciò con voce piuttosto tirata.
-Ti serve una mano?- gli chiese prontamente Nicola, che sembrava sul punto di alzarsi in piedi e seguirlo. Alessio scosse il capo subito:
-No, dovrei riuscire a cavarmela-.
I suoi amici non sembravano particolarmente convinti, ma nessuno alzò obiezioni.
-Se cambi idea e ti serve una mano, basta che torni qui a prelevarci- Filippo cercò di buttarla sul ridere, ma Alessio riuscì solo a ricambiare con un mezzo sorriso piuttosto finto.
Si allontanò velocemente, sentendosi addosso gli occhi di metà pizzeria – compresi quelli dei suoi amici- seguirlo mentre si avviava verso il bagno, i suoi vestiti visibilmente sporchi e che, a quanto pareva, erano un’attrazione per le chiacchiere di tutti.
Aprì la porta del bagno per richiuderla dietro di sé con un senso di sollievo che, per qualche secondo, riuscì persino a soffocare il nervosismo che si sentiva addosso. Era da solo, lì, senza bisogno di dover camminare sotto gli occhi di mezzo locale.
Si guardò intorno, rendendosi conto che lo spazio occupato dalla toilette era ristretto al minimo: c’era giusto lo spazio di un lavandino doppio e di uno specchio nella zona dell’antibagno, e due porte che davano ciascuna su un bagno – probabilmente uno per gli uomini e uno per le donne-, entrambi vuoti in quel momento. Ci si sarebbe potuti rimanere in massimo quattro persone lì dentro, ma in cinque si sarebbe già rischiato di soffocare.
Si avvicinò allo specchio un secondo dopo, cercando di capire l’entità del danno lasciato dalla torta di Giulia spiaccicata su di lui. Si esaminò i jeans, che erano la parte meno macchiata dei suoi indumenti, e quelli che probabilmente si sarebbero ripuliti più facilmente. Discorso diverso valeva per il maglione: girandosi di spalle per specchiarsi meglio, contorcendo il collo per studiare come si era ridotto, Alessio si rese conto che forse qualcuno in aiuto gli avrebbe fatto comodo. C’era parecchia crema pasticcera attaccata al tessuto, e gli sarebbero servite buone doti da contorsionista per riuscire a darsi una ripulita abbastanza decente. Sospirò a fondo, maledicendosi per non aver controllato che nessuno stesse camminando vicino al loro tavolo prima di alzarsi.
Afferrò un paio di salviette posate accanto al dispenser del sapone, inumidendole con un filo d’acqua dal rubinetto, prima di iniziare la sua opera di ripulitura; iniziò a strofinarle sui jeans, con vigore, sentendosi un po’ meno innervosito nel notare che, nonostante tutto, le macchie stavano venendo via abbastanza velocemente.
Non si fermò nemmeno quando avvertì la porta che dava sul resto della pizzeria aprirsi di scatto. Decise solo di alzare gli occhi un attimo, convinto che fosse un qualsiasi altro cliente che dovesse usare il bagno; rimase per un attimo sorpreso nel ritrovare, dopo nemmeno cinque minuti dall’ultima volta che l’aveva vista, la stessa cameriera con cui aveva combinato quel disastro.
Abbassò gli occhi subito, un po’ per l’imbarazzo derivato dalla sensazione di essere stato riconosciuto subito, un po’ per darle un po’ di privacy per quanto era possibile in quel posto così stretto.
Lei sembrò non darsi a male della sua presenza: pur non guardandola, Alessio la avvertì avvicinarsi all’altro lavandino, molto probabilmente per darsi una ripulita a sua volta.
Rimasero in imbarazzato silenzio, Alessio ormai quasi del tutto libero da macchie almeno sui jeans. Non poteva dire che fosse stato un lavoro perfetto, il suo, non con gli strumenti che aveva a disposizione, ma poteva definirsi sufficientemente soddisfatto.
Si avvicinò di nuovo al lavandino più vicino, conscio che era giunto il momento di provare a darsi una sistemata al maglione. Il pensiero di farlo in presenza di qualcuno quasi lo frenò, ma il successivo pensiero che, con tutta probabilità, non avrebbe mai più rivisto quella cameriera in vita sua, lo spinse a non darci troppa importanza. Visto l’accento straniero che lei non era riuscita a nascondere prima, era piuttosto sicuro che fosse altrettanto di passaggio in Italia, magari una studentessa in Erasmus. Era un’ipotesi del tutto probabile: osservandola velocemente, e solo perché allo specchio dove era di fronte era visibile anche la figura di lei, ponderò che dovesse essere sua coetanea o con al massimo un paio d’anni in più. Era comunque abbastanza giovane per essere un’universitaria, ed ora che poteva vederla alla luce giallognola dell’antibagno, notò lineamenti del viso che gli fecero supporre che potesse essere effettivamente di origini britanniche o americane.
Scostò di nuovo velocemente lo sguardo quando la scorse iniziare a passarsi una salvietta umida sulla maglietta, ricordandosi che anche lui avrebbe dovuto imitarla quanto prima. Afferrò a sua volta altre salviette, ripetendo gli stessi passaggi di prima; si girò di schiena, cercando di girare il collo il più possibile verso lo specchio per capire dove andare con la mano e con le salviette. Era una posizione scomodissima, che gli fece partire una fitta di dolore al collo e alle spalle, irrigidite esattamente come la sera prima.
Fece un primo tentativo, ma per poco non si mise a sbuffare seccato: il maglione era sporco in un punto quasi impossibile per lui da raggiungere decentemente, almeno senza slogarsi una spalla. Si pentì amaramente di non aver accettato l’offerta di aiuto di Nicola.
-Ti serve una mano?-.
Alessio quasi sussultò a quell’interruzione inaspettata del silenzio. Per un attimo quasi credette di esserselo sognato, ma voltandosi appena, verso la ragazza, si accorse che lei lo stava già fissando, gli occhi verdi su di lui. Aveva parlato di nuovo con il suo italiano influenzato dalla sua lingua madre, ma in maniera piuttosto intendibile, tipico di una persona che aveva studiato approfonditamente la lingua e che la stava mettendo in pratica ogni giorno.
Sembrava già aver finito con la sua maglietta, ora umida e vagamente trasparente vicino alla scollatura, dettaglio che spinse Alessio di nuovo a guardare altrove per non farla sentire a disagio. Era probabilmente sul punto di andarsene, ma doveva essersi fermata perché doveva averle fatto pena con i suoi movimenti impacciati.
-Forse dovrei … - borbottò imbarazzato, arrossendo per non saper bene cosa dire. Non aveva ancora accettato l’offerta, ma prima che potesse aggiungere altro lei si era avvicinata.
-Wait- sussurrò, quasi fra sé e sé, con lo stesso sguardo gentile con cui gli si era rivolta poco prima. Alessio non oppose resistenza quando la avvertì girarlo di schiena verso di lei, e nemmeno quando gli prese dalla mano le salviette inumidite. Si sentì ancor più in imbarazzo nell’avvertire le mani della cameriera – una totale sconosciuta- sulla schiena per tenergli fermo il maglione e facilitare lo strofinamento.
Per un attimo gli tornò in mente la sensazione delle mani di Pietro della sera prima. Erano mani completamente differenti a quelle che lo stavano toccando ora: mani grandi, meno delicate, che gli avevano fatto avvertire ogni secondo del loro tocco.
Cercò di scrollarsi di dosso quel ricordo, senza però riuscire ad abbandonare del tutto la sensazione di vago disagio che c’era stata alla fine, quando anche quegli attimi di tranquillità erano arrivati alla fine. Paradossalmente si sentiva meno in soggezione in quel momento, in quel bagno a farsi ripulire il maglione sporco di crema da una cameriera di cui non sapeva assolutamente nulla, che non la sera prima, quando si era ritrovato ad abbassare le proprie difese.
Passarono pochi minuti di totale silenzio, prima che la ragazza si fermasse, lasciandosi andare ad un’esclamazione contenta.
Alessio voltò un po’ il collo indietro, ritrovandola stavolta sorridente, la frangia di capelli rossi che le stava finendo disordinatamente davanti agli occhi.
-Già meglio- gli disse, incespicando un po’ sulla seconda parola.
-Grazie- borbottò Alessio, osservandosi dallo specchio: in effetti il maglione era decisamente più presentabile ora. Non perfetto, perché lo sarebbe stato solo con un passaggio in lavatrice, ma comunque in forma migliore di prima.
Cercò di ignorare la sensazione fastidiosa di bagnato che gli premeva sulla schiena nella zona strofinata, senza saper bene che dire all’altra. Ora che l’aveva anche aiutato, dopo che era stato lui a combinare quel casino, il silenzio si stava facendo più fastidioso.
Prima che potesse venirgli in mente qualcosa, però, la porta d’uscita di aprì di scatto, venendo socchiusa.
-Alice, sei qui?- venne dall’esterno una voce femminile.
La cameriera lì con lui si avvicinò subito:
-Sì, arrivo subito- rispose a quella che, immaginò Alessio, doveva essere una sua collega che la stava cercando. Senza voltarsi verso di lui un’ultima volta, la osservò aprire la porta sufficientemente per poter uscire.
-Mi stavo pulendo … - la udì parlare, prima di non riuscire più a distinguere il resto della frase, persa nel rimbombo della musica del locale.
Sospirò, finalmente di nuovo da solo. Era ora di uscire da lì anche per lui – e forse anche di far notare a Caterina, se mai fosse rientrata nel frattempo, che avrebbe fatto bene ad avere meno fretta nel muoversi in una pizzeria piena di gente e piena di camerieri che si spostavano con vassoi pieni.


 
Rabbrividì un po’ nell’uscire all’aperto, nella serata fredda di Venezia. Pietro si strinse nelle spalle, cercando rifugio nel calore che il cappotto pesante poteva dargli, anche se non certo paragonabile al tepore in cui era rimasto fino a poco prima, quando era ancora all’interno della pizzeria.
Cercò nelle tasche del cappotto il pacchetto di sigarette già iniziato, trovandolo in pochi secondi: lo aprì per sfilarne una, e incastrarla tra le labbra. Prese anche l’accendino, facendo scattare la fiamma e avvicinandola all’estremità della sigaretta, inspirando subito per non lasciarla spegnersi.
Tirò una boccata subito dopo, pensando tra sé e sé che avrebbe dovuto muoversi a fumare: faceva seriamente troppo freddo per restare lì più di cinque minuti.
Si chiese come dovessero star proseguendo le cose al tavolo, se Giulia magari aveva superato lo shock della sua torta andata in poltiglia, o se Alessio era riuscito effettivamente a cavarsela in bagno da solo. Ripercorse nella sua mente la scena di poco prima: dalla sua visuale aveva visto come al rallentatore Alessio alzarsi, Caterina sfilare per uscirsene fuori, e di nuovo Alessio venire centrato in pieno dalla cameriera che stava portando il dolce di Giulia al loro tavolo. Sarebbe potuta passare per una scena comica, se non fosse stato per tutte le conseguenze che si era trascinata con sé.
Ora che gli era tornata in mente, si girò intorno per individuare Caterina. Non poteva essere troppo distante, anche se non era esattamente di fronte all’entrata della pizzeria.
Gli ci vollero pochi secondi per rintracciarla: se ne era andata sotto al lampione non troppo distante da dove lui stesso si trovava – non abbastanza per non udire quel che stava dicendo-, il telefono pigiato contro l’orecchio, ed un mezzo sorriso stampato in viso. Un’espressione decisamente diversa da quella che aveva mantenuto per gran parte della cena.
Pietro strinse la sigaretta tra le dita, portandola di nuovo alle labbra, osservando l’altra da distante. Sembrava troppo presa dalla telefonata per notare la sua presenza.
Come si era ripromesso la sera precedente, aveva cercato di notare le stranezze tra lei e Nicola che Alessio stesso aveva indicato – una buona distrazione, sufficiente almeno per non cadere nel disagio che altri ricordi della sera precedente potevano causargli. Si era ritrovato ad ammettere che, almeno in parte, potesse avere ragione: Caterina gli era sembrata a disagio la maggior parte del tempo, come se avesse tentato di rifuggire qualsiasi contatto con Nicola. Non aveva idea cosa stesse succedendo, ma sapeva solo che, effettivamente, qualcosa sotto poteva esserci.
Rimase ad osservarla senza troppo impegno, mentre continuava a fumare. Caterina ora gli dava le spalle, dopo aver percorso qualche passo nella sua direzione, ancora senza accorgersi che anche lui era lì.
-Quindi siete al Babylon?-.
Pietro aveva cercato fino a quel momento di non origliare, ma gli fu difficile non farlo nel sentirla parlare del Babylon. Era rimasto convinto fino a quel momento che potesse star parlando con qualche famigliare, ma quella certezza cominciò ad incrinarsi esattamente in quel momento.
-Certo che lo conosco, ci vado spesso- continuò ancora Caterina, in risposta a qualcosa che Pietro non poteva udire. Ora non poteva nemmeno vederla in faccia, ma dal tono tranquillo della sua voce poteva capire che si sentisse a suo agio, come se fosse contenta di parlare con la persona all’altro capo della linea, chiunque fosse.
Caterina rimase in silenzio per almeno un minuto, prima di tornare a parlare:
-Siamo in una pizzeria- disse, aggiungendo qualcosa sottovoce che Pietro non udì, prima di tornare a parlare con voce un po’ più forte – Non è male … È il resto che non va-.
“Come volevasi dimostrare”.
Quella conferma lo rese ancor più inquieto. Doveva essere qualcosa di ben più grave di quel che aveva ipotizzato, forse anche di quel che aveva sospettato Alessio.
Si chiese con ancor maggior curiosità chi potesse essere la persona con cui Caterina si stava confidando: era di certo qualcuno di cui doveva fidarsi perché, da quel che lasciava intuire quella conversazione, doveva aver parlato con quella persona di cose di cui, invece, aveva lasciato all’oscuro il resto del gruppo.
Non passò molto altro tempo prima che Caterina parlasse di nuovo, con voce carica di gratitudine:
-Grazie, Giovanni. Davvero, non so che altro dire-.
Pietro si ritrovò immobilizzato, gli occhi sgranati e il dubbio di aver capito male.
Era piuttosto probabile, però, che avesse ascoltato bene, e l’unica persona a cui poteva associare quel nome era la persona che meno si sarebbe aspettato tra tutte.
“Possibile che sia davvero lui?”.


 
Si strofinò le mani ancora un po’ umide sui jeans, lasciandosi alle spalle la toilette della pizzeria. Giulia l’aveva trovata claustrofobica esattamente come le aveva detto Alessio qualche minuto prima, incrociato quando lui era tornato dal bagno e lei invece aveva approfittato dell’attesa dei dolci appena ordinati per andarci a sua volta.
Percorse con calma il corto corridoio che l’avrebbe portata di nuovo nella sala dove c’erano tutti i tavoli, sentendosi già le orecchie riempite dalla musica lasciata a volume un po’ troppo alto. Quando si ritrovò a girare l’angolo, quasi sobbalzò quando si sentì afferrare da una mano sulla spalla; riprese a respirare regolarmente solo quando, girandosi, riconobbe il viso di Pietro. Doveva essere appena rientrato dalla sua pausa sigaretta, diretto anche lui al loro tavolo.
-Oh, finalmente- lo accolse Giulia – Finito di fumare?-.
-Sì, anche se un po’ me ne sono pentito- disse, guadagnandosi un’occhiata confusa da parte di lei – Fuori si gela-.
Giulia annuì. Era fine novembre, ed era pure sera: era perfettamente normale che facesse molto freddo, per quanto potesse risultare fastidioso per i più freddolosi.
-Caterina è ancora fuori?- gli chiese poi. Non era ancora rientrata quando lei se ne era andata verso il bagno, ma poteva benissimo aver preceduto sia lei che Pietro in quel lasso di minuti di loro assenza.
Al sentir pronunciare il suo nome, però, Pietro sembrò assumere un’aria più guardinga. Giulia si chiese se fosse solo una sua impressione, o qualcosa che effettivamente c’era.
-Sì, e a proposito di lei, svelami un segreto-.
Giulia, che aveva percorso con lui ancora qualche passo, si fermò di riflesso. Lo guardò di nuovo disorientata, con la netta sensazione di non potersi aspettare nulla di positivo.
-Da quando è così amica del suo spasimante?-.
 L’allegria che Pietro aveva mostrato per tutta la cena, se possibile anche aumentata dalla birra bevuta, sembrava ora solo un lontano ricordo, a favore invece di un’espressione più seria e dubbiosa.
Era lo stesso dubbio che Giulia sentì serpeggiare dentro di lei, la sensazione negativa che ora stava cominciando ad assumere contorni meno sfocati.
-Chi intendi?- gli chiese, anche se aveva già un’idea più che certa della persona a cui si stava riferendo Pietro.
Lui la guardò in silenzio per qualche secondo, prima di rispondere:
-Stava parlando con un certo Giovanni al telefono- iniziò a dire, un sopracciglio alzato e le braccia incrociate contro il petto – E se la memoria non mi inganna, non è il nome del tizio che le andava dietro a scuola e che si è attirato l’odio del buon Tessera?-.
Giulia sentì un velo di sudore coprirle la fronte:
-Era lui al telefono?-.
Non poteva dirsi stupita, non del tutto. Lo era perché, fino a quel giorno, non aveva mai nemmeno preso in considerazione che Caterina e Giovanni potessero parlare tra loro fuori dalla scuola, ma non poteva considerarsi sorpresa che, dopo quei due mesi passati insieme per quelle dannate ripetizioni d’inglese, sembravano aver legato più di quanto si sarebbe mai aspettata.
Una punta di fastidio emerse nel rendersi conto che Caterina non le aveva mai detto molto di Giovanni, non negli ultimi tempi. Era come se avesse preferito tenere per sé cose che ora, per Giulia, stavano assumendo contorni ben diversi da quelli che si era immaginata tra sé e sé.
-L’ha chiamato per nome, quindi direi di sì- confermò Pietro, annuendo – Mi sono perso qualcosa?-.
Giulia lo guardò a lungo, senza sapere bene cosa dire.
“Mi sa che un po’ tutti ci siamo persi qualcosa”.
 -No, niente di importante-.
Pietro la guardò poco convinto per qualche secondo, prima di annuire di nuovo e ricominciare a camminare verso il tavolo. Giulia lo seguì poco dopo, sommersa in pensieri a cui non sapeva dare ordine.
Caterina non era ancora tornata quando lei e Pietro si rimisero seduti, ma passarono pochi attimi prima del suo arrivo. Sembrava più rilassata rispetto a prima, notò Giulia: meno tesa sia nei movimenti, sia nell’espressione del viso, quasi fosse riuscita a trovare un modo per calmarsi. Un effetto che non avrebbe mai creduto possibile potesse scaturire da una chiamata con Giovanni.
Caterina si rimise di nuovo a sedere tra Nicola e Alessio, voltandosi verso di lei con sguardo interrogativo, forse sentendosi troppo osservata.
-Tutto bene?- le chiese subito Giulia, cercando di apparire calma e non come se sapesse perfettamente ciò che stava nascondendo – Sei stata fuori un po’ di tempo-.
Caterina annuì, sorridendole appena:
-Oh sì, tutto bene- rispose, prima di guardarsi intorno – Avete già mangiato il dolce?-.
Prima che Giulia potesse risponderle, Alessio le si rivolse con uno sguardo vagamente torvo:
-A dire la verità è successo un piccolo imprevisto. Che hai in parte causato pure tu-.
Caterina lo guardò confusa, la fronte aggrottata:
-Che è successo?-.
Giulia ascoltò solo distrattamente il racconto degli altri a Caterina dell’incidente che aveva causato la dipartita della torta che avrebbero dovuto mangiare come chiusura della cena. Continuava ad osservarla, a chiedersi cosa le stesse succedendo, e come mai avesse evidentemente deciso di tenersi così tante cose per sé. Si chiese ancora fino a che punto fossero legati lei e Giovanni, quanto si fosse invece confidata con lui.
Caterina si voltò di nuovo verso di lei, con sguardo disorientato di fronte al silenzio di Giulia; per un attimo sembrò quasi che nel suo sguardo ci fosse un lampo di timore, quasi temesse di essersi fatta scoprire, qualunque cosa stesse facendo con Giovanni.
Erano domande, quelle di Giulia, a cui avrebbe cercato di dare risposte. Ancora, però, non sapeva come.
 

 

 
* il copyright della canzone (Tiziano Ferro - "La differenza tra me e te") appartiene escluivamente all'artista e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Ci è voluto più tempo del solito, ma ne è risultato un capitolo di ben 20 pagine! Come già accennato, gli eventi di questo capitolo prendono luogo due mesi dopo il 60, e come iniziare se non dando un insight della convivenza ormai rodata di Pietro ed Alessio? Secondo voi se la stanno cavando bene, tra spese e frecciatine? In quel di Venezia gli argomenti di discussione per loro due sembrano non mancare: tra una lettura che si protrae e i dubbi amletici sul regalo di compleanno per Giulia (e chi non li ha quando si fanno i regali?), si soffermano anche loro sulla situazione di tensione e mistero che aleggia attorno a Caterina e Nicola che, a quanto pare, non è passata inosservata agli occhi di molti. Non mancaca nemmeno il riemergere di certi pensieri e certi timori ... Sarà stata solo un'impressione di Pietro il disagio di Alessio alla fine? O ci saranno diversi cambiamenti nel futuro prossimo anche per loro?
Il giorno dopo si apre invece con l'arrivo a Venezia di Caterina e Giulia, nonchè con un flashback riguardante Caterina stessa e Giovanni. A quanto pare tra i due l'amicizia si è fatta ancor più stretta, ed anche le confidenze sul discorso Nicola non mancano. Completamente diverso è, invece, il rapporto che lei ha in questo periodo con Nicola. Se con Giovanni, infatti, riesce a ritagliarsi un po' di tranquillità, il clima tra i due fidanzati continua ad essere uno ricco di tensione e ostilità, tanto che il malcontento viene trascinato persino alla festa: sebbene qualche tentativo di approccio da parte di Nicola, Caterina sembra solo rifiutarlo e volersi allontanare da lui. Trovando, di nuovo, conforto in Giovanni. 
È una serata segnata dalla cattiva sorte, come quella toccata alla povera torta di Giulia 🎂 (Giulia, non piangere sul latt... ehm, torta versata!), e ad Alessio, alle prese con gli effetti collaterali dello scontro e la misteriosa cameriera, che si dimostra molto disponibile e gentile nel rimediare in qualche modo a quanto accaduto. 

Nel frattempo i sospetti per la situazione di Caterina e Nicola sembrano diffondersi velocemente: i dubbi di Pietro, nati da una conversazione che non voleva ascoltare, sembrano essere confermati da una Giulia molto vaga, che lascia il moro un po' perplesso. La verità è che anche la nostra festeggiata, un po' come tutti, ha ben poche certezze, ma sempre più domande. Riuscirà a trovare qualche risposta nel prossimo capitolo? Cosa succederà ai nostri protagonisti?

A mercoledì 2 dicembre con un nuovo capitolo!







 
   
 
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