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Autore: A_Typing_Heart    21/11/2020    0 recensioni
«Sto cercando un libro sui vampiri... qualcosa che parli di loro, della loro psicologia... qualcosa che non sia solo letteratura.» disse con una certa delusione interiore: nella sua testa suonava molto meno ridicolo. «Esiste qualcosa del genere?»
«Ovviamente esiste.» rispose lui, con uno sguardo che sembrava brillare di eccitazione. «Posso chiederti come mai ti interessa un argomento così singolare o è una domanda troppo intima per il primo incontro?»
«Mi interessano perché non ne so niente e ne devo prendere uno.»
Qualsiasi altra persona a quella frase avrebbe riso o l'avrebbe preso per matto, ma non quell'uomo, che sorrise se possibile ancora di più.
«Stai cercando quell'assassino, il Vampiro di West End.»
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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Crowley si rese conto di cosa significasse davvero essere impegnati quando aprì la sua piccola agendina per appuntarsi di chiamare un certo avvocato e si accorse di avere tali e tanti impegni per i successivi tre giorni da non riuscire a infilare il nome e il numero di telefono neanche di traverso sul bordo.

Ho bisogno di un’agenda più grande…

Anche se era stato dispensato dai turni di notte gli sembrava di non aver mai lavorato tanto da quando era passato alla omicidi: andava fino a Coniston e tornava, tornava sui luoghi nel West End e a Satbury, sentiva testimoni e sospettati, batteva rapporti – persino a casa dal suo computer ormai considerato in pensione – e rimbalzava da un laboratorio di balistica o di scienza forense all’ufficio del coroner come una palla impazzita.

Avrebbe voluto avere più tempo per dedicarsi al Vampiro, ma questi sembrava aver preso un periodo di ferie e non fece più parlare di sé per settimane.

Si sedette alla scrivania per piazzare un post-it aggiuntivo nella sua agenda e guardò con una certa insistenza la pila di incartamenti sul Vampiro. Non che sentisse la mancanza di bambini orrendamente uccisi, ma bramava nuove prove, nuove piste; non poteva assolutamente permettere che il più feroce serial killer degli ultimi vent’anni si dileguasse per sempre senza pagare le sue colpe e che diventasse un fantasma buono per libri e serie tv come successe per Jack lo Squartatore.

Non sarebbe giusto. Lui deve pagare, George e gli altri devono avere giustizia, come i bambini, le loro famiglie, e anche Ferid che è rimasto coinvolto in questo casino come tutti… specie se dovessimo scoprire che Robert Warren è davvero l’origine di tutto questo. Si sentirebbe così tanto colpevole che non so dire se ne uscirebbe.

«Detective O’Brian Eusford, ha un minuto?»

Crowley alzò gli occhi con una certa perplessità sul ragazzo arrivato da qualche giorno in trasferimento dal dipartimento frodi informatiche: era un genietto dell’informatica e pertanto arruolato precocemente con i suoi ventidue anni, privo del benché minimo senso pratico nell’investigazione sul campo e l’aria di uno studente appena trasferito in una scuola nuova; l’aspetto giovane, i mossi capelli castani corredati da occhi nocciola dall’aria oltremodo ingenua non aiutavano a farlo prendere sul serio in quell’ambiente.

Oh… Rogue, vero? O è Teller? No, Teller è quello con le lentiggini… almeno credo…

«Basta solo Eusford.» gli disse evitando il nome per timore di sbagliarlo. «Spero sia importante, sono sull’orlo di una crisi di nervi.»

Accennò alle pagine piene zeppe di scritte che riportavano i suoi impegni, lavorativi e non, sintetizzati nel minimo delle parole e simboli che fosse possibile usare senza sfociare nel massonico.

«Mi dispiace, signore, ma il sergente mi ha riferito di essere stato assegnato con lei al caso di Lamberjack Avenue. Sa, il caso di omicidio.»

«Ragazzo, questa è la squadra omicidi, qui tutti i casi sono di omicidio…»

«Ah, mi scusi… intendevo il caso di questa mattina. Un uomo ucciso nella sua camera da letto in Lamberjack Avenue, a seguito di un’aggressione, sembra. Ha telefonato la figlia al numero di emergenza.»

«Fantastico.» borbottò lui, e si alzò infilandosi cintura con fondina e giacca. «Il primo cadavere della tua vita, ragazzo?»

«Eh? A-ah… sì, io…»

«Vademecum della squadra omicidi per principianti assoluti: se sei in dubbio su cos’è non toccarlo, non fare promesse a nessuno, non respirare col naso e non guardare più di quanto sia strettamente necessario. C’è il coroner per fare l’autopsia, la scientifica per i rilevamenti e i detective per parlare con i sospettati.»

«Quindi… io… che cosa devo fare?»

«Solo quello che io ti dico di fare, vale a dire quello che ritengo tu possa fare per non intralciare le indagini.» sentenziò Crowley. «Perdonami la schiettezza, ma voi delle frodi informatiche su una scena del delitto siete utili come la forchetta nel latte. Detto ciò, ti posso anticipare che io avrei circa la stessa utilità alle vostre scrivanie, purtroppo Dio ha voluto che tu finissi sotto la ruota anziché io.»

Il giovane poliziotto borbottò una risposta indistinta e non disse molto altro lungo la strada verso la vicina Lamberjack Avenue; anzi, man mano che si avvicinavano era sempre più teso nel suo modo di stringere le labbra e quando scese dall’auto davanti alla casa delimitata dai nastri gialli era bianco come un cencio.

La casa era una bella villetta, simile alle molte altre allineate in Lamberjack Avenue: vicinissima alla zona universitaria del West End, era una strada relativamente tranquilla con piccole villette colorate, ben tenute, con piccoli giardini frontali e una fila di cassette rosse delle lettere a distanze regolari come i lampioni.

Il tipico quartiere dei sogni… la casa che tutti sognano di comprare per far giocare i figli in un posto sicuro.

Crowley passò sotto il nastro senza degnare di uno sguardo né di commenti i curiosi e i giornalisti.

«Ehi, Bert.» fece, non appena riconobbe l’agente di pattuglia. «Aggiornami.»

«Il tuo caso, Crowley?»

«Al momento ogni caso è di tutti, è come essere finiti in una comunità hippie al nostro dipartimento… ma senza passarsi l’erba seduti intorno al fuoco. Dimmi tutto.»

«La chiamata è arrivata stamattina presto, la figlia della vittima ha chiamato il 911 gridando che era successo qualcosa al padre e che c’era sangue dappertutto. Io e il mio collega siamo arrivati in meno di tre minuti. La figlia era dai vicini, terrorizzata. La casa era vuota, fatta eccezione per il padre… Alex Harrison, nella camera da letto padronale.»

«Portamici.»

«Sì. Di qua.»

Passarono accanto a un salottino dove Crowley posò gli occhi su una coppia di ragazze in lacrime, una donna che sedeva rigidamente e un uomo dall’aria arrabbiata che camminava su e giù per la stanza. Il suo settimo senso da irlandese pizzicò appena ma non disse nulla e seguì l’agente su per le scale.

«Il ragazzo è dei nuovi?» fece Bert, accennando all’agente in prestito. «Ha la faccia di uno che non sa che cosa sta per vedere.»

«Sì, è in prestito dalle frodi informatiche… ragazzo, com’è ti chiami? Sei Rogue o Teller?»

«R-Rogue, detective Eusford… Teller viene dall’unità casi irrisolti.»

«Sì, è decisamente nuova leva, se ti chiama ancora per cognome.»

Raggiunsero il piano di sopra e la camera sulla sinistra era quella d’interesse; visto il via vai di fotografi e la valigetta della scientifica appoggiata fuori dalla porta. Crowley entrò senza esitare e scandagliò la scena secondo il suo personale metodo, che seguiva i punti focali in una successione sempre identica per evitare di tralasciarne.

La vittima era sdraiata nel letto, sotto la coperta, come se fosse stata colta nel sonno. Il sangue era ovunque, proprio come aveva detto la figlia al telefono con l’operatore, con schizzi fino al soffitto. Camminò per avvicinarsi al corpo evitando di calpestare le macchie sul pavimento e infilò i guanti che gli porse l’agente della scientifica.

«Bel lavoretto davvero. Ci vorrà un po’ per raccogliere tutto, da dove vuoi che inizi?»

«Abbiamo l’arma del delitto?»

«Non era in questa stanza.»

«Cominciamo secondo standard, allora.»

L’agente annuì e si chinò a frugare tra le varie boccette e confezioni sterili della sua valigetta, mentre Crowley si chinò sul corpo. La testa dell’uomo era l’equivalente di un pomodoro maturo caduto da una finestra al terzo piano; non era un bello spettacolo e per questo non si sorprese di sentire Rogue trattenere un conato di vomito.

«Rogue, se devi vomitare fallo fuori dalla scena, o dovrai raccogliere il tuo vomito nel caso che si sia sovrapposto a una prova.»

«C-chiedo scusa, signore…»

Crowley ignorò il ragazzo e osservò i traumi facciali, gli schizzi sulla parete e la camera tutt’intorno. Restò in silenzio per qualche minuto, poi andò nel bagno della camera padronale. La toeletta era ingombra dei prodotti femminili usati dalla moglie: svariati barattoli e boccette, deodoranti, saponi, perle e sali da bagno. Prese in mano la bottiglia decorata che somigliava a un diamante con un fiocco nero vicino al tappo.

Moonlie Black… è il profumo di cui parlava due giorni fa Ferid. Cos’aveva detto? Che aveva regalato questo a Krul tempo fa… ma la versione Scarlet… aveva detto Scarlet? Mi pare di sì.

Posò il flacone dopo averlo avvicinato al naso e aprì lo sportello. La panoramica non mutò molto se non per l’aver trovato il lato oscuro della bellezza femminile nella forma di prodotti per la depilazione, per pedicure e antirughe. Lo spazio riservato al marito defunto lo trovò in un cassetto, con un pettine e una forbice per la rigogliosa barba, una sobria spazzola e un tagliaunghie.

«Mhh…»

Quando tornò nella camera notò solo marginalmente che Rogue l’osservava con attenzione e fu su di lui che puntò. Si dovette chinare per annusarlo vicino al collo e Rogue si irrigidì immediatamente.

«C-che sta facendo?!»

Non viene da lui questo profumo… da dove viene?

Ignorando il disappunto del ragazzo e le sue domande iniziò ad aggirarsi per la stanza annusando con l’insistenza di un cane da fiuto, alla ricerca della fonte di quel profumo. Era più forte man mano che si avvicinava al letto, ma non veniva dal corpo della vittima.

«La vittima era un uomo di natura, eh?»

«Cosa?» domandò distrattamente il detective, ancora tutto preso ad annusare le tende del letto.

«Ha un sacco di libri sulle trappole da caccia, sui posti dove andare a pesca, e anche uno sulla sopravvivenza nei boschi… non verrebbe da pensare che sia il tipo di uomo che vive in una casa così borghese e ordinata… ma certo con quella barba era più convincente con la tuta da cacciatore che in giacca e cravatta.»

«Non è quel tipo di uomo… eh…?»

Rogue smise di controllare i cassetti della libreria e si voltò a guardarlo con l’accortezza di non far scorrere lo sguardo sul corpo.

«Ho detto qualcosa che non dovevo?»

«Che lavoro faceva la vittima?»

«A quanto ho capito, il manutentore.» rispose l’agente di pattuglia, appena fuori dalla porta. «Aveva un diploma in elettrotecnica, fa le manutenzioni a domicilio per conto di una serie di negozi e anche privatamente… automobili, elettrodomestici, macchine da giardino e agricole. Ce l’ha detto la moglie.»

«Un lavoro manuale… una vita all’aperto, quindi…»

«Sembra fosse quella che voleva… ma che cosa sta cercando, signore? Me lo vuole dire? Forse se mi istruisse potrei diventare meno inutile…»

«Sto cercando qualcosa che non c’è, almeno, non in questa stanza… com’è fatta casa tua, Rogue? Hai una camera padronale?»

«No, no, figurarsi! Sto in un appartamento con mia sorella, per ora, dividiamo le spese… perché me lo chiede?»

«Anche io sto in appartamento, ma… se avessi una camera padronale con un bagno solo per te e tua moglie non terresti lì tutti i tuoi effetti personali?»

«Suppongo di sì… sì, direi di sì. Nessuno tranne mia moglie li vedrebbe e non dovrei preoccuparmi di cosa potrebbero vedere o toccare degli ospiti.»

«Quindi secondo te perché si sente il profumo di un’acqua di colonia da uomo ma Harrison non ne ha nella toeletta del bagno privato?»

«Acqua di colonia…?»

«Ci sono parecchie cose che non mi tornano. Il mio settimo senso ronza un sacco.» disse Crowley, e indicò gli schizzi sul soffitto. «Dì un po’, Rogue... la vittima è sdraiata nel letto come se lo avessero aggredito nel sonno, ma se fosse così non dovrebbero essere diversi, quegli schizzi?»

«Diversi in che modo?»

«Se usi un corpo contundente per colpire qualcosa che gocciola, o che sanguina, quello si sporca. Se lo sollevi per colpire ancora…» iniziò, e mimò il gesto di sollevare qualcosa sopra la testa. «Il liquido gocciola mentre carichi un altro colpo. Schizzi in una traiettoria corrispondente alla direzione in cui vibri i colpi, non trovi?»

«Beh… sì, direi di… oh!»

«Già. Per fare degli schizzi del genere sulla porta del bagno o l’assassino ha sferrato un colpo da un’angolazione assurdamente scomoda, oppure la vittima dava il viso o quantomeno le spalle alla porta del bagno. Non era sdraiato nel letto.»

«Ma perché allora prendersi la briga di metterlo nel letto e sotto la coperta?»

«Non sono ancora sicuro… Doc?»

Il coroner alzò gli occhi neri su di lui mentre voltava leggermente la testa della vittima. Come al solito Josiah Willis era un uomo di quante meno parole possibili.

«Vorrei sapere quanti colpi e la causa della morte. Qualcosa di sorprendente?»

«La morte è stata causata da un violento trauma cerebrale. Ferite da corpo contundente. Qualcosa di cilindrico, oserei direi, di piccolo diametro. Alla vista conto almeno cinque violenti colpi al volto e due alla nuca. La morte risale a presumibilmente a tre, cinque ore fa al massimo. Sarò più preciso dopo l’autopsia.»

«Mhh.»

Crowley si guardò intorno di nuovo alla ricerca di qualcosa che mancava, qualcosa che potesse essere stato usato come arma di fortuna, ma la sola mancanza che gli saltò all’occhio era la federa del cuscino sul letto.

Che strano… in una casa così curata da mano femminile manca una federa nel letto della camera padronale? L’ha portata via l’assassino, forse, ma per quale motivo? Per pulire l’arma? Per trasportarla? Perché non abbandonarla qui? Spostare il corpo… far sparire l’arma… un rapinatore non si comporta così. Avrebbe colpito il padrone di casa sveglio e sarebbe scappato, perché spostare il corpo? Eppure…

I suoi occhi blu si posarono sui vuoti sul comodino: tre punti netti in cui non c’erano schizzi, di forma pressoché rettangolare. Crowley rimuginò sui vuoti mentre si sfilava i guanti.

«Li ho notati anch’io.» fece il ragazzo avvicinandosi, taccuino in pugno. «Che cosa pensa li abbia lasciati?»

«Rogue, che cosa fai per prima cosa quando segui in camera da letto una donna?»

«I-in che senso?»

«In quel senso.» disse Crowley. «Ipotizziamo che tu sia appena sceso dall’auto, entri in casa con lei e andate dritti in camera da letto… qual è la prima cosa?»

«N-non so, uhm…»

«Svuoti le tasche sul primo ripiano che trovi. Non ti spogli lasciando il portafoglio, il cellulare, le chiavi e qualsiasi altra cosa in tasca… butti tutto sul comodino o sul tavolo e poi puoi spogliarti con comodo, no?»

«Beh, sì, ha ragione… quindi erano effetti del signor Harrison? Glieli hanno rubati?»

«No, non credo. Non credo che siamo di fronte a una rapina… vieni con me. Andiamo a parlare con la famiglia.»

«Ha finito con la scena?»

«Per ora sì. Ci sono delle incongruenze e voglio scoprire chi sta nascondendo qualcosa.» disse lui, e guardò l’agente di nome Bert. «Date un’occhiata in casa e qui nei dintorni. Voglio la federa di quel corredo di lenzuola, non importa dove sia, e voglio il portafoglio.»

«Il portafoglio della vittima, intendi?»

«È sporco di sangue. Se io fossi un rapinatore avrei preso il portafoglio, l’avrei svuotato appena arrivato in un posto più sicuro e poi l’avrei buttato tenendomi i soldi, sempre ammesso che ci fosse una somma tale da giustificare una rapina. Setacciate dappertutto, voglio quel portafoglio prima di sera.»

Non lo può aver tenuto. Non conciato in quel modo.

«Lo comunico a tutti!»

Rogue lo seguì al piano di sotto nel salottino, con l’aria ammirata tipica di ogni recluta che assiste al lavoro metodico di un investigatore navigato: ricordava di aver provato la stessa cosa nel vedere all’opera De Stasio. Nella stanza le due ragazze erano ancora scosse e si stringevano la mano, la moglie della vittima si copriva il viso e l’uomo sconosciuto si era finalmente seduto. C’erano delle tazze di caffè sul tavolino davanti a ognuno di loro.

«Sono il detective Crowley O’Brian Eusford della polizia di New Oakheart, squadra omicidi di Satbury.» si presentò, mostrando loro il distintivo sulla cintura. «Questo è il mio assistente, l’agente Rogue. Mi dispiace per la vostra perdita, ma vorrei farvi qualche domanda ora, prima che possiate dimenticare qualche dettaglio importante.»

«Detective, Sunday è sconvolta…»

«Me ne rendo conto, ma il tempismo è fondamentale… posso sapere innanzitutto… tu sei la figlia che ha telefonato al 911?»

La ragazza bionda, quella di nome Sunday, annuì.

«S-sì…»

«E tu sei sua sorella?»

Le due ragazze si guardarono con un certo imbarazzo; Sunday abbassò gli occhi e fu l’altra a fissare gli occhi castani fermamente in quelli dell'investigatore.

«Sono la sua fidanzata. Mi chiamo Terry Velasquez.»

Il suo sguardo era aggressivo, era come se lo stesse sfidando a disprezzare il loro rapporto o la loro tendenza, e Crowley capì che dovevano essere tristemente abituate a quel genere di trattamento. Lui, comunque, non aveva la minima obiezione da fare in merito; soprattutto perché la notizia era fondamentale per le indagini.

«Eri qui stanotte, Terry?»

«No, sono… sono arrivata stamattina. Dopo aver chiamato la polizia ha chiamato me dalla casa dei vicini e l’ho raggiunta… io sto al dormitorio dell’università nel West End, qui vicino.»

«Capisco…»

Spostò lo sguardo sulla vedova Harrison e lei, quando si vide osservata, emise uno strano singulto e si raddrizzò.

«S-sono la moglie… s-sono… Melissa Harrison.»

L’uomo arrabbiato avvertì il suo sguardo anche senza guardarlo e sospirò, alzando la testa.

«Io sono il fratello di Alex, Timothy. Era mio fratello maggiore. Appena Melissa mi ha chiamato mi sono precipitato qui.»

«Signora Harrison, lei dov’era?»

«C-come?»

«Suo marito è stato presumibilmente assassinato questa notte, nel suo letto… perché non era a casa? Dov’era lei?»

«E-ero fuori, io… detective, non si faccia delle strane idee, noi… abbiamo litigato ieri pomeriggio e ho deciso di passare la notte fuori…»

«Da un’amica? Un parente?»

«No, non sono andata da altri…»

«In albergo? In un bar? Dov’è stata?»

«Io… volevo prendere una stanza, ma mi sono accorta di non aver preso il documento nella fretta di uscire, e ho passato la notte in macchina…»

Passare una notte in macchina… perché non rientrare a prendere il documento per un minuto, o farsi ospitare da un conoscente? Passare una notte in auto da sola in un periodo come questo, con gang e serial killer in giro per la città… piuttosto strano. Non impossibile, ma anomalo.

«Bene… per favore, vorrei che raccontaste a me che cosa avete fatto dall’ultima volta che avete visto il signor Harrison fino a quando avete saputo dell’aggressione. Sunday, vorrei cominciare da te, visto che lo hai trovato.»

Sunday dovette ricevere l’incoraggiamento di Terry per iniziare e con titubanza riportò la sua storia, piuttosto innocente: lei si era messa a studiare la sera prima nella sua camera nella mansarda, con una playlist di classica nelle cuffie, e si era addormentata sui libri. Quando si era svegliata era scesa per prepararsi del caffè e fare una colazione molto mattiniera per rimettersi a studiare e recuperare lo studio perso, e dichiarò di aver sbirciato in camera perché aveva visto davanti a casa l’auto del padre, che a quanto ne sapeva aveva deciso di andare al capanno da pesca sul fiume Kalaaho, a un paio d’ore d’auto su per le montagne alle spalle di New Oakheart.

«Quindi… non doveva essere in casa?»

«Aveva detto che andava a pesca e che sarebbe stato via un paio di giorni… quando ho visto l’auto allora sono andata a vedere se dormiva, è per questo che io… oh, papà…

Non doveva essere in casa…

«Signora Harrison, suppongo che lei non lo sapesse, o non sarebbe rimasta a dormire in macchina.»

«N-no, infatti… deve aver deciso dopo che avevamo discusso, lui… andava a pescare spesso per calmarsi quando era arrabbiato per il lavoro o… discutevamo.»

Crowley rimuginò brevemente e fu allora che notò Timothy Harrison allineare con cura il tovagliolo, il cucchiaino e il piattino della tazza del caffè in modo preciso e simmetrico. Evitava di incrociare lo sguardo con chiunque, sembrava preso a raggiungere quella perfezione geometrica. In qualche modo gli ricordò Ferid quando giocherellava con l’orecchino.

«Detective, lei… pensa che il colpevole pensasse di trovare Sunday da sola in casa?» domandò Terry. «Poteva avere in mente di aggredire lei, oppure…?»

«In realtà, non penso che cercasse Sunday. No, le sue mire erano molto diverse, questo è chiaro…»

Diversi acuti suoni digitali interruppero le riflessioni di Crowley e riportarono i suoi occhi blu sul fratello della vittima, che prese un palmare dalla giacca.

«Perdonatemi, mi stanno chiedendo le conferme d’ordine dalla mia attività. Ci metto solo qualche minuto a rispondere.»

«Certo, lo faccia… posso abusare un po’ della vostra ospitalità e prendere un goccio di caffè anch’io? Stamattina non ho fatto in tempo a prenderne neanche un po' in centrale.»

«Oh… c-ci scusi, siamo state così maleducate…» esordì Sunday, agitata. «Glielo prendo subito…»

«Oh, faccio da solo, grazie. Posso usare quella tazza appesa lì?»

Crowley si alzò con ostentata rilassatezza e si versò del caffè nella tazza presa dal gancio. Si accorse che Rogue non perdeva una sua sola mossa e che stava annotando qualcosa sul taccuino; con alta probabilità le domande e le risposte. Crowley passò alle spalle di Timothy Harrison e si chinò su di lui.

«Oh, ha un programma apposta per l’inventario della sua attività? Lavora nel campo dell’informatica, per caso?»

«Ah… no, ho un negozio di prodotti di bellezza e igiene della persona.»

«Saponi, trucco, profumi… cose del genere?»

«Sì, esatto.»

Crowley sorrise e qualcosa nella sua espressione turbò vistosamente il signor Harrison, e non solo. Si raddrizzò e fece il giro del salotto andando a sedersi sulla poltrona.

«Bene, signori Harrison… la squadra omicidi è a corto di personale grazie al famoso Vampiro di West End, e mi scuserete volenti o nolenti se chiudo questo caso in fretta.»

«È quello che vogliamo, che questo pazzo sia preso subito!»

«Quand’è così non potrebbe risparmiare a tutti del lavoro inutile e costituirsi, signor Harrison?»

Una lunga pausa di silenzio attonito seguì questa sua affermazione, durante la quale Crowley prese un sorso di ottimo caffè, poi l’uomo esplose.

«Di che cosa diavolo sta parlando?!»

«Sa di che cosa sto parlando. Non ci sarà bisogno di disturbare i ragazzi della scientifica se confessa subito che lei ha ucciso suo fratello.»

«Non ho fatto niente del genere!»

«Detective O’Brian, lo zio non farebbe mai qualcosa di così orrendo! Deve essere stato uno… psicopatico, un pazzo!»

«Oh, certo, è stata un’aggressione violentissima… che voleva proprio sembrare qualcosa di folle. Di esagerato. Ma non è stato niente del genere.»

«Ma come?!»

Crowley sospirò. Non capitava spesso di riuscire a ricostruire un omicidio del genere in pochi minuti, ma tuttavia la messinscena era stata costruita così male che era facile trovarvi le incongruenze.

«Supponiamo sia stato un pazzo, o un rapinatore per davvero. Un individuo che è entrato nella stanza e ha usato un’arma non definita per colpire a morte un uomo nel suo letto… come spiegate i due colpi sulla nuca e i successivi sulla faccia? Se una persona viene colpita nel sonno due volte alla nuca con quella violenza di certo non riuscirebbe a voltarsi, ne resterebbe tramortita se non uccisa subito. Inoltre, ammettendo che sia riuscito a farlo, avrebbe almeno scostato la coperta e una volta ricevuti i colpi fatali sul volto sarebbe rimasto scomposto, così come la coperta sarebbe stata tutt’altro che ben rimboccata.»

«E una coperta rimboccata come implicherebbe me in questa storia?!»

«Perché significa che il corpo è stato spostato… è stato messo nel letto, sotto la coperta, e colpito ancora per darci a bere che sia stato attaccato nel sonno. Gli schizzi di sangue però dicono che almeno un colpo è stato vibrato alla vittima davanti alla porta del bagno, e chi mai scapperebbe in bagno se si trovasse uno sconosciuto in casa di notte? E quale criminale si nasconderebbe in un bagno per aspettare il primo che apre la porta e farlo fuori? No, quello che è successo è molto più classico, da vecchio film.»

«Non ho alcuna intenzione di stare qui a sentire la sua parodia di lezione di criminologia! Chiamo immediatamente il mio avvocato!»

«Lo faccia, ma forse se mi ascolta fino alla fine si accorgerà che è meglio un patteggiamento. Perché le prove non mi mancano.»

Rogue, esattamente come tutti gli altri presenti, lo guardò basito, ma anche ammirato. Nonostante la sua minaccia Harrison non prese il telefono.

«Non chiama, signor Harrison? Perché? Ha paura di farmi vedere che il suo cellulare ha la forma del vuoto che abbiamo rilevato sul comodino, esattamente come il suo palmare? Due rettangoli perfetti in cui nessuno schizzo di sangue è arrivato implica due oggetti rettangolari lì appoggiati che si sono macchiati. Due rettangoli perfettamente paralleli… la simmetria è il suo pallino, dopotutto… come il tovagliolo e il cucchiaino.»

«Signore, ma se il palmare e il cellulare erano davvero sul comodino, allora…»

«Allora quest’uomo era qui, o almeno c’erano i suoi effetti, mentre suo fratello veniva ucciso da un mitomane

Il silenzio costernato delle due ragazze, la rabbia soffocata a malapena dell’uomo e l’aria pallida della moglie accolsero le sue sottili deduzioni.

«Ma il movente… dobbiamo indagare sul loro rapporto, o…»

«Il movente è la sua storia con la moglie di suo fratello.»

Fu felice della reazione di Melissa Harrison, che emise una sorta di singhiozzo e si coprì il viso. L’uomo era ancora pieno di furore, ma anche di stupore.

«Come lo sa, signore?»

«Profumo.» rispose Crowley, e sollevò un dito. «Primo: nella stanza aleggiava il residuo di un’acqua di colonia da uomo, e il defunto Alex Harrison era un uomo piuttosto semplice. Un lavoro da manovale, hobby come caccia e pesca, nessuna particolare vanità nella sua toeletta… e nessun profumo da uomo. Se l’unica figlia di casa ha una fidanzata e non un fidanzato, chi altri può aver lasciato un profumo da uomo sulle lenzuola del letto della camera padronale, se non l’amante della moglie?»

«Ecco che cosa stava annusando prima!»

«Sì, seguivo quella scia di profumo… che lei ha addosso, signor Harrison, l’ho sentito quando mi sono chinato con la scusa di guardare il suo palmare. E secondo…» fece, alzando un altro dito. «Moonlie Black, il profumo che lei ha sulla sua toeletta, è un’edizione limitata ancora in prevendita, Melissa… è un regalo di suo cognato, ed è un regalo piuttosto singolare da fare a una donna sposata… sposata con un altro, s’intende.»

«Questo potrebbe, e ripeto potrebbe, dimostrare che ho una storia con Melissa, ma non che ho ucciso mio fratello!»

«Perché si ostina tanto? I ragazzi della scientifica troveranno il suo DNA nel letto e nel bagno della camera padronale, quindi risparmi un po’ di soldi ai contribuenti. Troveranno anche il sangue sul cellulare e sul palmare, per quanto possa credere di averlo pulito.»

«Zio!» sbottò all’improvviso Sunday. «Zio, sei stato tu?!»

«È stato lui… perché se non è stato lui a colpirlo per primo, è stata la sua amante. Tuo padre è tornato senza avvertire dal capanno da pesca e li ha trovati. È andato verso il bagno a prendere uno dei due… magari proprio la moglie che era lì dentro, in uno scatto d’ira potrebbe aver cercato di colpirla, o di tornare in camera e aggredire il fratello e lei…»

«La smetta!»

«Lei gli ha spaccato la testa con il portasciugamano, quello che manca vicino alla vasca da bagno.» concluse Crowley. «Perché quello manca. Dov’è finito? Avete provato a pulirlo con la federa del cuscino ma era rimasto irrimediabilmente ammaccato da quei colpi? Allora, Melissa, è stata lei?»

«La smetta, ho detto!» gridò l’uomo. «Sono stato io, Melissa non ha fatto nulla!»

«Tim!»

«Zio!» strillò Sunday, inorridita. «Tu! Perché?!»

«Perché era un violento con tua madre!» gridò l’uomo ancora più forte di lei. «L’aveva resa una schiava che doveva solo pulire e cucinare, trattandola in modo inqualificabile!»

Timothy Harrison sospirò e intrecciò le dita così forte da sbiancarsi le nocche.

«Sì, l’ho ucciso. L’ho ucciso perché trovandoci insieme era impazzito. Mi ha insultato quando mi ha trovato nel bagno, ed è uscito urlando che ci avrebbe ammazzati… quando ha preso Melissa per i capelli ho preso quel portasciugamani, che si era smontato da un paio di giorni, e…»

Alzò i pugni chiusi come se impugnasse un’ascia e lasciò a intendere che l’aveva abbattuto sulla testa del fratello iracondo. Crowley restò impassibile a guardarlo, toccandosi il petto senza accorgersene.

«L’ho colpito una volta e un’altra quando è caduto… tutto quello che è successo dopo… Melissa non sapeva. L’ho mandata via, le ho detto di prendere l’auto e andare, che ci avrei pensato io. Ho pensato di mascherarlo così, facendo credere che fosse stato attaccato nel letto, ma ero nel panico e non ho pensato di togliere i miei effetti dal comodino prima di colpirlo sul volto… sono… non sono un criminale. Non ho pianificato di fare questo, ne sono stato costretto.»

«Questo è qualcosa che dovrà stabilire un giudice e dovrà parlarne con un avvocato… che potrà chiamare non appena arriverà in centrale. Timothy Harrison, è in arresto per l’omicidio di suo fratello Alex Harrison. Melissa Harrison, è in arresto anche lei, per favoreggiamento… lei sapeva cos’era successo, ma non ha parlato.»

Rogue e Crowley ammanettarono i due amanti e complici sotto gli occhi disperati della ragazza bionda, tra le braccia della fidanzata dallo sguardo risoluto. L’investigatore irlandese le ricambiò lo sguardo.

«Prenditi cura di lei. Adesso ha bisogno di te.»

Terry annuì rigidamente e Crowley uscì, tastandosi la spalla vagamente dolorante. Il petto e il braccio iniziavano a dargli fastidio.

«Rogue… dì a Bert di portarli in centrale… mh…»

«Sì, vado subito… sta bene, signore?»

Crowley si passò la mano sul petto, in corrispondenza della sua cicatrice, con la sensazione di avere qualcosa bloccato in gola. Nonostante ciò annuì.

«Sto bene… sto bene.»

«Signore, in realtà non mi sembra…»

«Fai solo quello che ti dico di fare, ragazzo… portateli in centrale.»

Non appena l’agente uscì e prese a parlare con un altro poliziotto, presumibilmente proprio Bert, Crowley faticò a trattenere un gemito e si strinse la mano sul petto. Si appoggiò di peso allo stipite.

Fa male… fa così male… e faccio più fatica a respirare, e il braccio… sto per avere un infarto? Ma non scherziamo…

Chiuse gli occhi e tentò di calmarsi, di regolarizzare il respiro, ma il dolore non svaniva. Si tenne il braccio sinistro, che gli doleva quasi quanto il petto, e solo quando si sentì toccare la spalla con un gesto brusco aprì gli occhi. Josiah, il silenzioso, burbero coroner afroamericano lo stava fissando.

«Eusford, è il cuore?»

«Non ne sono sicuro, ma…»

Sapeva che era il suo cuore che iniziava a fare le bizze. Era un dolore che non aveva sperimentato prima di allora, perché i suoi due arresti cardiaci precedenti si erano verificati quando era incosciente, ma era certo che fosse il cuore: quel senso di pesantezza del petto, quel dolore al braccio erano sintomi chiari, solo non voleva ammetterlo. Non voleva pensare che fosse vero, che a lui toccasse la stessa sorte di suo padre con la malattia e il pensionamento anticipato, e ancora prima che a lui.

Non può succedere a me… non è giusto!

Purtroppo il ronzio incessante di questo orrendo pensiero non faceva che aumentare la sua difficoltà a respirare.

«Il Western General Hospital è poco lontano, ti porto io. Chiamerò il mio assistente, si occuperà di portare via il corpo da qui.»

«No, il caso ha la precedenza, portate via la vittima e…»

«Eusford. Harrison è già morto, tu non ancora.»

«Abbiamo… già abbastanza lavoro, non dobbiamo incasina–»

Non riuscì a finire la frase a causa di una dolorosa fitta e della sensazione che il suo cuore fosse appena diventato la palla di gomma antistress di qualcuno: era una sensazione orribile come poche altre. Tentò di voltare le spalle al medico legale e dirigersi verso la macchina – pur non avendo idea di come avrebbe potuto guidare – ma si trovò davanti il giovane Rogue.

«Sei… ancora qui?»

«Gli Harrison sono già in viaggio verso la centrale, non si preoccupi di questo.» fece lui con una traballante risolutezza. «Ora salga in macchina, deve andare in ospedale subito.»
Crowley guardò negli occhi il ragazzo, ma non riuscì a commentare con la nausea che si sentiva.

«Ho letto della sparatoria nel West End di quest’estate e so che è stato operato al cuore. Lei sta avendo un attacco di cuore, detective Eusford.»

«Pensavo venissi… dalle frodi informatiche… non dall’ufficio del coroner.»

Il solo parlare lo spremette come un’arancia: si sentiva esausto, quel suo grande corpo non gli era mai sembrato così difficile da spostare. Il ragazzo perse la sua compostezza.

«Quattro persone nella mia famiglia hanno avuto un infarto davanti a me e mia madre è una cardiopatica grave, so di che cosa parlo! Non faccia l’idiota e salga in macchina o userò la radio per chiamarle un’ambulanza!»

Willis, che assistette con aria grave all’intera scena, annuì.

«Sono anche io dello stesso parere, Eusford.»

L’orgoglio personale di Crowley O’Brian Eusford non era grande abbastanza da permettergli di morire stupidamente in servizio e si lasciò aiutare da Willis a salire in un’automobile che gli sembrava di aver parcheggiato molto più vicino al loro arrivo.

Aveva casi da risolvere, colleghi a cui dare la pace tramite giustizia, tante cose ancora non dette a molte persone importanti, e una di loro lo aspettava a casa. Chiudendo gli occhi per cercare di sopportare le ondate di nausea, le fitte al petto e il dolore fisso al braccio e al collo, si trovò a pregare di poterci ritornare.

 

 

Dopotutto, sarebbe stato meglio se mi avessero ricoverato…

Crowley, seduto al tavolo della cucina, non si sentiva tanto in colpa dalla volta in cui aveva accidentalmente lanciato la palla da rugby sul presepe alla San Cristoforo con l’effetto devastante di un meteorite, e il modo in cui Ferid lo stava fissando era tale e quale a quello della Reverenda Madre. L’irlandese preferì abbassare gli occhi sui fogli delle sue analisi passate e sulla cartella clinica che gli aveva appena mostrato.

«Sei veramente un idiota, Crowley!»

«Non c’è bisogno di insultare, non ho mica deciso io che volevo star male…»

«Certo che hai deciso tu! Con i tuoi trascorsi di quest’estate, con quello che i medici ti hanno detto, tu-»

«Sono sempre esagerati, lo sai!»

«Hai appena avuto un infarto e loro sono quelli esagerati?!»

«Non era un infarto, era un’angina pectoris dovuta allo stress!»

«Un’angina pectoris è l’anticamera dell’infarto, Crowley, non pensare di svicolare come se fossi un babbeo che si beve tutte le scemenze che gli racconti!»

«Ferid, non ti agitare tanto, sto bene, no? Se fosse stata una cosa grave mi avrebbero ricoverato! Non ti preoccupare, dai.»

Ferid si versò il tè con un gesto stizzito, ma non bevve.

«Non mi preoccupa l’angina, mi preoccupi tu. Sei stato operato al cuore, sei stato un mese in ospedale e da quando sei uscito non hai mai assunto i farmaci che ti hanno prescritto… e non contento, mangi come un ragazzino e bevi come un marinaio! Secondo te come poteva finire?»

Accusò il colpo e l’incassò senza fiatare, perché si rendeva conto che aveva ragione. Anche se era convinto di stare bene aveva preso decisamente sottogamba i suoi nuovi problemi e la loro scarsa sintonia con il suo abituale stile di vita.

«E tuo padre ha il diabete, come se non bastasse! Non lo sai che la genetica è importante per malattie del genere? Se tuo padre ha sviluppato un diabete così grave ci sono alte probabilità che succederà anche a te, soprattutto se continui a trascurare la tua salute come stai facendo… ma certo, non che sia un problema, no? Un infarto ti stroncherà molto prima che ti venga il diabete.»

«Ferid… tu non sei proprio la persona più adatta a criticarmi.»

«No, sei tu che dovresti chiudere il becco! Benché tu abbia sempre da ridire io sto benissimo, guarda le mie ultime analisi se non ci credi. Ma tu, tu sei veramente uno schifoso ipocrita; vieni a dirmi che non sono in grado di badare a me stesso e dici a tuo padre di riguardare la sua salute, ma con quale coraggio? Tu sei identico a tuo padre, non ti importa! Oh, non è niente, è solo un infarto, nulla di cui preoccuparsi, ho Dio che mi protegge! Fai veramente schifo, Crowley!»

«Ferid… non pensi di stare un po’ esagerando con gli insulti? Ora calmati, starò bene, anzi, sto già bene… starò a riposo a casa qualche giorno e poi sarò come nuovo, non ti angustiare… non è vero che sono come mio padre…»

Dapprima pensò che Ferid si stesse calmando, dato il suo improvviso silenzio, ma con sommo orrore si accorse che i suoi occhi erano diventati innegabilmente lucidi. Non lo guardò in volto e prese a tormentarsi l’orecchino.

«Stai cercando di ferirmi, Crowley?»

«Che… ferirti? Cosa ho detto di male?»

«Tu lo sai che io… perdo tutte le persone a cui tengo… stai cercando di farmene perdere un’altra a breve? È il tuo perverso modo di torturarmi?»

«Ferid… no, ma ti pare che io possa voler fare qualcosa del genere? Non voglio ferirti, non voglio che tu soffra e non voglio lasciarti solo, e ancora meno vorrei farlo in un modo così contorto!»

«Ma lo stai facendo… dici che vuoi aiutarmi, che vuoi starmi vicino, e nel frattempo… questo.» disse, accennando ai fogli della sua cartella clinica e ai fogli di dimissione. «Nel frattempo ti stai lasciando morire senza fare niente per provare a salvarti.»

«Non è così, solo io…»

«Non prendi le medicine, lavori tanto, e non controlli quello che mangi… nelle tue condizioni equivale a camminare su una trave malconcia in bilico sul vuoto, non lo capisci?»

«D’accordo, d’accordo, ma non metterti a piangere, per favore.» disse Crowley, notandolo asciugarsi l’occhio furtivamente con il polsino. «Ho capito, dai… ora calmati, va bene?»

«Non voglio passarci per la terza volta.» fece lui con la voce bassa. «Non voglio che per la terza volta una malattia mi porti via qualcuno di importante.»

La terza? Claude e… ah, Nicholas, quel suo amico di quando era bambino… ma ha ragione lui, stavolta. Sono stato per settimane a dirgli che doveva prendersi cura di sé e che doveva vivere per le persone che lo amano e io sono il primo a comportarmi da stupido egoista, e anche un egoista autodistruttivo. Che se ci penso su è un paradosso colossale.

«Va bene… prometto che mi impegnerò. Prenderò le medicine d’ora in poi, d'accordo? Lo prometto.»

«Non mi fido delle tue promesse.»

«Cosa? Finora le ho sempre mantenute!»

Ferid si alzò di scatto dal tavolo e Crowley non riuscì ad afferrare il suo braccio per trattenerlo, quindi si alzò anche lui. Non andò verso la camera come si aspettava e si diresse al tavolino del soggiorno; fece crollare una pila di libri che di recente aveva preso a leggere e studiare con una certa dedizione e con un tonfo sordo sbatté il tomo sul tavolo della cucina davanti a Crowley.

«Giuralo!»

«…Sulla Bibbia?»

«Tu sei cattolico, quindi non puoi mentire giurando sulla Bibbia! Se fai una promessa sulla Bibbia è come se la facessi davanti a Dio. Giuralo e ci crederò anch’io.»

«Ferid… siamo arrivati al punto che non ti fidi più di una promessa che ti faccio?»

«È solo colpa tua se ci siamo arrivati.» ribatté lui in tono gelido. «Fai la tua scelta, Crowley, o ne farò una io per entrambi.»

Quell’ultima frase colpì la sua immaginazione in modo sinistro e sentì un leggero brivido freddo scendergli lungo la schiena, come una goccia d’acqua gelata.

«In che senso, sceglierai per entrambi?»

«Lo scoprirai se ti rifiuti di giurare.»

Lo sguardo di Ferid non vacillò neanche per un attimo e per la prima volta che riuscisse a ricordare gli suscitò qualcosa che assomigliava molto alla paura. Tentò di immaginare a che cosa potesse riferirsi, ma la sua mente gli propose una serie di alternative tanto ampia e angosciante che preferì lasciarsi nell’ignoranza: a partire dall’idea di preparare lui i pasti di casa a quella che potesse decidere di andarsene o peggio ancora, Crowley si affrettò a chiudere quella sua pericolosa esplorazione mentale e mise la mano sulla Bibbia.

«D’accordo. Come vuoi tu, Ferid, hai vinto. Cosa vuoi che giuri?»

«Sai che cosa voglio che tu dica.»

Quanta forza… questo è un lato di te che non conoscevo ancora.

Crowley alzò l’altra mano, come aveva fatto ogni volta che era stato in tribunale per una testimonianza.

«Giuro su Dio che farò tutto quello che è in mio potere per restare vicino a te il più a lungo che sia possibile e nel migliore dei modi possibili.» disse Crowley. «Va bene così?»

Ferid non replicò ma sorrise e Crowley si illuse che avesse finito con lui: quell’attimo di distrazione gli fu fatale, anche se non in modo troppo tragico. Aveva appena preso la Bibbia per scoprire in quale punto Ferid avesse messo quel segnapagina colorato quando lui gli passò le braccia dietro il collo e gli si incollò alle labbra come aveva già fatto tempo prima durante la videochiamata con De Stasio.

Crowley fece appena mezzo passo all’indietro prima di trovarsi bloccato contro il frigorifero e tentò con davvero scarso impegno ad allontanarlo dopo averlo afferrato per i fianchi: al contrario della volta prima quel bacio era molto meno innocente.

Non è male affatto… niente affatto… ah, perché proprio adesso, Ferid, mancano ancora tre settimane a…

I suoi pensieri furono bruscamente interrotti da una fitta lancinante sul piede ma il bacio in cui era come intrappolato mascherò il suo lamento in modo piuttosto buffo. Non sapeva esattamente come si sentiva: uno strano miscuglio di frustrazione, esasperazione, appagamento e confusione.

Che diamine, spero non prenda l’abitudine di piantarmi i tacchi nel piede come fa quella matta del suo capo…

Quello si attestava al secondo posto della lista dei contro del rientro in possesso del guardaroba da parte di Ferid: i suoi tacchi affilati avrebbero dovuto essere venduti con una licenza speciale. Al primo posto, però, c’era il piccolo fastidio che quasi tutti quelli che possedeva erano tanto alti da consentirgli, con il suo metro e ottanta naturale, di superare persino la statura di Crowley.

Però gli fanno delle gambe belle lunghe…

Allungò la mano accarezzandogli la coscia ben stretta dentro i pantaloni attillati nel momento in cui sentì bussare alla porta, ma ignorò quel richiamo all’ordine come se provenisse da un’altra galassia e lo strinse con forza a sé; anche quando Ferid interruppe quel lunghissimo bacio non allentò la presa e gli diede un leggero morso sul collo.

«No, basta così, Crowley~»

«Ma come, basta? No…»

«Non è un buon momento per rompere la tua astinenza, hai o non hai una settimana di riposo assoluto?»

«Ma non faccio nessuna fatica… lascia perdere la porta, stai qui.»

«Sono Mikaela e Yuu, ti eri dimenticato che li avevi invitati a cena oggi?»

Crowley ricordò solo in quel momento di quella cena e desiderò anche di non averne mai accennato, ma comunque aveva davanti ancora tre settimane di astinenza – anche se ormai pareva evidente che l’accezione monacale era decaduta da un certo tempo – e quella promessa non se la poteva rimangiare in nessun modo. Un po’ per frustrazione e un po’ per gioco morse l’orecchino di Ferid.

«Su, mangerai qualcosa di buono e ti sentirai subi- Crowley~» fece lui divertito quando si accorse di cosa stava facendo. «Non fare il bambinone, da bravo, lasciami~»

Crowley non mollò la presa, ma fu inutile perché Ferid si tolse l’orecchino con un semplice gesto e scivolò via dalle sue braccia lasciandolo lì in piedi, appoggiato contro il frigorifero, con l’espressione delusa e un orecchino rosso tra i denti. Ferid scoppiò in una gran risata nel guardarlo mentre andava ad aprire la porta.

«Oh Crowley, sembri un grosso cane deluso per la pallina forata~»

«Lo sembro perché lo sono.» bofonchiò lui.

Ferid rise di nuovo mentre Mikaela e Yuu entravano in casa con una perplessità evidente sul volto. Crowley si decise a togliersi l’orecchino dalla bocca appena in tempo per evitare che lo vedessero in quell’assurda condizione.

«Che è successo di così divertente? Ditelo anche a noi!» fece Yuu, che andò a posare sul fornello una pentola.

«Oh, nulla, nulla~ oh, Crowley, che bravo, hai trovato il mio orecchino~ incredibile, lo stavo cercando da ore~»

«Ce l’aveva la tua gatta.» rispose Crowley, dopo averla addocchiata a fissarlo malignamente da sopra una sedia.

«Ma non mi dire! Che monellaccia sta diventando, davvero terribile… me lo rimetti tu?»

Ferid si avvicinò a lui con un gran sorriso e Mikaela, che ormai era abituato alla casa di Crowley quasi quanto alla sua, si mise a raccogliere da cassetti e credenze tutto quello che serviva per apparecchiare la tavola. Crowley rimise l’orecchino al lobo di Ferid, che poi gli lanciò un’occhiata intensa.

«Non dire ai ragazzi che cos’hai avuto oggi pomeriggio… digli solo che starai a riposo per un po’ perché ha fatto tanti turni ultimamente. Non roviniamo la serata con delle tensioni inutili, d’accordo?»

Crowley sorrise.

«Quanta premura per loro… ti sei affezionato?»

Ferid sorrise con un velo di malizia.

«Oh, sono ragazzi adorabili… ma la mia premura era per te. Mikaela ti farà a brandelli se scopre che non hai mai preso le medicine, e il caro Yuu non proverà nemmeno a salvarti dalla sua ira.»

Ferid si allontanò da lui e si affrettò a togliere i suoi referti medici dal tavolo, chiedendo amabilmente ai ragazzi che cosa avessero preparato per la cena. Crowley indugiò sul profilo di Mikaela mentre ripensava alle sue parole quella sera in cui gli aveva cucinato gli spaghetti, a quanto fosse sembrato emotivamente coinvolto per la prima volta…

Deglutì con l’ormai tristemente familiare sensazione di inghiottire lingottini d’oro. Se avesse saputo con quanta leggerezza aveva agito in quegli ultimi mesi neanche il patrocinio di Yuu avrebbe potuto salvarlo da una reazione che avrebbe fatto sbiadire persino la furia di Ferid.

Quell’ansia perdurò per tutta la serata come un piccolo acciacco che si faceva notare ogni volta che la discussione sembrava virare verso l’argomento salute e Crowley riuscì a tirare un vero sospiro di sollievo soltanto quando Mikaela uscì dal suo appartamento portandosi via i contenitori vuoti e augurandogli nuovamente la buonanotte.

Nonostante ciò non si sentiva del tutto tranquillo comunque, e quando uscì dal bagno e il suo sguardo si posò su Ferid che si era messo a leggere sdraiato sul letto capì che da dove venisse quell’inquietudine. Rimase fermo nel disimpegno per minuti interi a guardarlo voltare le pagine a velocità sbalorditiva, o piuttosto a indugiare sui suoi capelli sparpagliati sulla coperta, sulla sua gamba lasciata scoperta dalla vestaglia o sullo scintillio rosso al suo orecchio.

Sarà perché è off-limits, sarà perché ce l’ho sempre sotto gli occhi, sarà perché lo adoro, ma resistergli sta diventando difficile davvero… se si impegnasse a tentarmi mi farebbe crollare molto prima di tre settimane.

Ferid girò la testa e si accorse che era lì impalato a fissarlo, ma si limitò a sorridere senza fare domande. Vedendo che lui non parlava e non si muoveva allungò la mano e gli fece cenno di avvicinarsi; solo allora Crowley si sentì di nuovo un essere vivente deambulante ed entrò nella camera da letto.

«Qualcosa non va, Crowley? Ti senti bene?»

Certo, glielo potrei dire… ormai sa tutto, potrei semplicemente dirgli che è difficile aspettare. Potrei dirgli che non vedo l’ora che sia novembre e che appena potrò voglio fare l’amore con lui, non ho vergogna di dire certe cose… ma se mi dicesse che non vuole aspettare, io resisterei? E se dicesse che al contrario non vuole più, come la prenderei?

Quando si sdraiò sul letto Ferid si scostò un po’ verso la sua metà, ma riuscì a muoversi solo di pochi centimetri prima che tutto il peso di Crowley lo affondasse nel materasso impedendogli qualsiasi altra manovra di distanziamento. Crowley lo sentì ridacchiare con un vago nervosismo mentre gli annusava la pelle del collo.

Vorrei aver promesso un solo mese, lo vorrei tanto.

«Crowley, ma che stai facendo? Oggi sei veramente pimpante~ ah, non sarà mica finita la tua astinenza?»

«Magari lo fosse.»

«Mh, non ancora? E posso chiederti quando finirà?»

«Mancano ancora tre settimane.»

«Tre? Oh, Crowley caro, finirai per scoppiare come un pop corn~»

Probabilmente.

La mano di Ferid gli accarezzò i capelli e Crowley si chiese se potesse azzardare un bis del morso che gli aveva dato sul collo la volta scorsa, ma concluse che sarebbe stata più una tortura ulteriore che una soddisfazione.

«Di questo passo sarà meglio avvisare che quel giorno nessuno faccia qualcosa di vagamente provocante davanti a te~»

«Ne ho voglia, ma non tanto da avere la schiuma alla bocca.»

«Adesso no, ma tra venti giorni?»

Una prospettiva davvero deprimente.

«Posso resistere.»

«Sì, ma non resisteresti meglio concedendoti qualcosa? Potrei darti una piccola anteprima, non ci crederai, ma sono bravo in certe cosette~»

«Vorrei, ma non posso proprio… già l’astinenza monacale che ho promesso non è così monacale come speravo, ma almeno non cedere consapevolmente è meno peccaminoso.»

«Ah, il deliberato consenso

«Noto che le tue lezioni di catechismo danno frutti.»

«In un certo senso… nh, Crowley~ se non vuoi metterti in una brutta situazione con Dio fai il bravo, non ti strusciare e spostati, se ti si alza ti toccherà tenertelo~»

«Ah… scusa… lo faccio senza accorgermene.»

Valutò comunque che fosse meglio mantenere una distanza di sicurezza e si lasciò andare a un sospiro mentre puntellava sui gomiti per alzarsi: non si sentiva così frustrato da quando aveva passato due settimane con una ragazza che si tirava indietro sempre all’ultimo secondo, dopo averlo acceso a dovere.

Ferid ridacchiò.

«Sei ridotto già così male? Dopo tre settimane farai una strage e ti butterai sul primo essere palpitante che trovi~»

«Non esagerare, non sono una specie di lupo mannaro…»

«Vedrai se non ho ragione! Una qualsiasi orgia ti sembrerà un banchetto di Natale~»

«Ti possono raccontare un sacco di cose che ho fatto, ma chi ti dice di avermi conosciuto in un’orgia mente o… Ferid, che succede?»

«Il concerto!»

Scivolò via da sotto di lui, aiutato anche dalla vestaglia di seta, con la velocità e la sinuosità di un’anguilla e si allungò sul comodino a prendere il cellulare.

«Ferid, sono offeso. Ti sto sopra a parlare delle mie esperienze sessuali e tu pensi a un concerto.»

Ferid non gli badò affatto, preso com’era a digitare sullo schermo, e strisciò un po’ più avanti per prendere gli occhiali da lettura e infilarseli. Il disappunto di Crowley si affievolì quando guardò quel volto con gli occhiali che gli davano un’aria insospettabilmente tenera e si dissipò del tutto quando si accorse che a pochi centimetri dalla sua faccia la vestaglia segnava in modo tremendamente sensuale la curva della sua natica.

«O la tua è una tattica? Perché se lo è, è bassa, è meschina e… funziona

Crowley strisciò la guancia contro quella curva perdendosi in una progettazione molto impura immaginando da dove avrebbe potuto iniziare quando fosse stato il momento e se lo godette in modo particolare, perché da come Ferid aveva parlato prima sembrava intenzionato a prendere parte attivamente alla festa post-fioretto. Almeno finché non parlò.

«Crowley, smettila di sbavare, ho capito cosa mi dava quella sensazione!»

«Ero io?»

«Ma tu pensi sempre e solo a scopare?! Il concerto, Crowley, il concerto di quella boy band!»

«…No, non ho capito.»

«Non ci arrivi? Una lunga pausa, e Samara non è riuscito a ucciderla… il Vampiro andrà al concerto a prendere la sua prossima vittima! Capito? È tale e quale a un banchetto per un affamato, ci saranno centinaia di ragazzini, e i genitori li lasceranno andare anche da soli, lo faranno a Northbury dove il Vampiro non si è mai spinto e penseranno che sono al sicuro dentro la Belfast Arena!»

Crowley rifletté brevemente sulla questione, ma non riusciva a vederci un senso concreto.

«È riuscito a prendere Patricia davanti a un alimentari, vuoi farmi credere che non riesce a farlo di nuovo?»

«Ormai i suoi schemi sono andati, finché non sa dove sono non può sapere se ho alibi o no… non può più incolparmi, quindi tanto vale attaccare dove ci sono prede, no?»

«Non so… insomma, è possibile, ma… i serial killer sono abitudinari, e questo è un bel cambio.»

«Io lo farei. Io andrei in una zona dove nessuno si aspetta che io vada, mi mischierei alla gente nell’arena, sceglierei la mia vittima con calma osservandola, e poi andrei a chiederle se vuole seguirmi nel backstage a incontrare i ragazzi della band.» disse Ferid, e gli lanciò un’occhiata intensa. «Con il buio, tanta folla e tanto rumore potrei fare quello che voglio di quella ragazzina, una volta che l’ho attirata in un punto fuori mano per addormentarla e portarmela via.»

«Io… sì, capisco cosa vuoi dire, ma è… potrebbero esserci mille altri posti, perché sceglieresti questo?»

«Perché è il concerto della band più amata del decennio dai ragazzi, ed è l’unica tappa dello stato. Per quanta paura abbiano i genitori nessuno vorrà perderselo. Tantissimi avranno già comprato i biglietti mesi fa, e non rinunceranno… in mezzo a tanti ragazzini entusiasti è facile. È come scendere in picchiata su una tartaruga.»

«Sì, ma… anche se io ti credo, che cosa posso fare? Nessuno annullerà un concerto da milioni di dollari perché un libraio dice che sarà il banchetto del Vamprio di West End… a Northbury, per giunta.»

Il modo in cui lo guardò riuscì a farlo sentire in colpa per come aveva parlato e cercò di aggiustare il tiro, allungando la mano per accarezzargli i capelli.

«D’accordo… d’accordo, lo dirò al capitano per prima cosa domani mattina… ma non ti arrabbiare se loro penseranno che la tua sensazione non è abbastanza per prendere un provvedimento del genere. Io ti credo… lo sai che ti credo. Ma per bloccare un evento del genere come minimo servirebbero un paio di terroristi islamici e un appartamento pieno di fertilizzante e detonatori, capisci che voglio dire?»

«Perfettamente.» ribatté lui, e ripose il cellulare. «Beh, conosco abbastanza arabo da telefonare alla Belfast Arena il giorno del concerto e avvertirli che nel nome di Allah farò esplodere tutto quanto.»

«Ferid, stai scherzando?»

«Sì, non conosco l’arabo.» disse lui con una certa amarezza. «Non ancora, almeno… ma ho tempo fino al concerto.»

Ferid riprese il suo libro, si sistemò in una posizione seduta dignitosa e si rimise a leggere; o almeno a pretendere di fingere, dato che i suoi occhi celesti erano fissi nello stesso punto della pagina. Crowley non ritenne opportuno lanciarsi in una discussione sui rischi di finire nel mirino dell’antiterrorismo e si limitò a scendere dal letto per le consuete preghiere serali, che però non verterono tanto sui ringraziamenti per la sua vita salvata da un potenziale infarto quanto sulla speranza che il cielo l’aiutasse a farsi prendere sul serio con quelle azzardate congetture sulla prossima mossa del Vampiro.

 

 

   
 
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