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Autore: WingsOfButterfly    22/11/2020    1 recensioni
Un contesto inusuale, un cantiere archeologico, è teatro dell'incontro di due persone che apparentemente non hanno nulla in comune. Tina, una ragazza piena di vita e piena di paure. Giulia, una donna affermata, un avvocato pienamente consapevole di chi è e di cosa vuole dalla vita. Tanti amici e tanti nemici a fare da contorno e ad animare la vita delle due protagoniste.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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capitolo 17
CAPITOLO 17


Tina restò a cenare da Giulia, guardarono un film abbracciate sul divano, poi lei tornò nella casa che divideva con un altro studente e passò la notte a Siena, troppo stanca per guidare fino in Abbazia. Tuttavia, la mattina successiva arrivò come sempre in orario sul cantiere. Evitò abilmente l’interrogatorio di Alessandro, che le chiedeva dove avesse passato la notte, e si rimise a lavoro.
Quel giovedì pomeriggio, Tina stava lavorando in un angolo un po’ isolato della propria area, vicino ad uno sperone di roccia ai limiti del bosco circostante. Non la sorprese sentire un rumore proveniente dal folto degli alberi, giacché erano abituati a veder passare di lì animali selvatici di ogni genere, tuttavia, alzò comunque lo sguardo, per accertarsi che non fosse un cinghiale. In quel caso sarebbe stato decisamente più prudente allontanarsi. Quando alzò gli occhi si rese conto che non si trattava di nessun animale, era semplicemente Emanuele. La ragazza lo osservò addentrarsi tra i rami sporgenti, fino a sedere su un tronco ed accendersi una sigaretta.
Tina lasciò cadere la trowel accanto alle ginocchia e si alzò spazzolando i pantaloni per liberarli della terra. Camminò lentamente verso l’amico, non curandosi di far rumore. Quando gli fu praticamente alle spalle, infatti, Emanuele sentì i suoi passi scricchiolare su rami e foglie secche, tuttavia si limitò ad irrigidire leggermente la schiena senza voltarsi.
“Quando ho sentito dei rumori … ho creduto fosse un cinghiale … beh, non ci sono andata molto lontana” Tina tentò un approccio tranquillo e scherzoso, sebbene il sorriso sul suo viso fosse vacillante ed incerto.
Emanuele si voltò sbuffandole una nuvola di fumo in faccia e limitandosi ad osservarla.
Tina sospirò delusa, ma non si arrese, sedette accanto a lui, su uno strato di foglie secche, con le gambe incrociate.
“Hai una sigaretta?”
Il ragazzo la guardò, colpito dalla sua insistenza. Recuperò sigarette ed accendino dalla tasca della felpa e gliele porse.
“Grazie” Tina li prese e si concentrò per qualche minuto a fumare.
“Come va con Federica?” domandò dopo poco.
Emanuele si voltò verso di lei con un cipiglio scettico in volto.
“Sembra che andiate d’accordo. Lei è una brava ragazza” continuò ancora lei con tranquillità.
Lui restò in silenzio, finendo la sua sigaretta e spegnendola su una piccola pietra.
“Se avessi voluto fare un monologo, sarei andata davvero da un cinghiale” proruppe a quel punto la ragazza “Hai presente quando si dice: << agli animali manca solo la parola >>?! Ecco, in questo momento tu assomigli più ad un cinghiale che ad un essere umano!”
Ad Emanuele scappò un sorriso a stento trattenuto.
“Ho meno peli, però” replicò finalmente.
“E credo che saresti anche piuttosto indigesto, al contrario di lui” aggiunse Tina, gioendo solo intermante di essere riuscita a farlo parlare, e conservando all’esterno un’aria forzatamente seria, mentre continuava a fumare.
“Se vuoi, puoi darmi un morso e provare” la sfotté Emanuele, sventolandole un braccio davanti agli occhi.
A quel punto Tina non riuscì più a trattenersi e rise.
“Smettila, scemo!” lo ammonì, spingendogli via il braccio.
Le loro risate si spensero gradualmente. Emanuele ricominciò a guardare dritto davanti a sé. Tina si concentrò a spegnere la sigaretta su un sassolino, per poi giocare con alcuni rametti disegnando linee sul terreno.
“Ho esagerato, vero?” borbottò il ragazzo dopo un po’.
Tina prese un profondo respiro e alzò lo sguardo verso di lui.
“Credo che abbiamo esagerato entrambi” puntualizzò rammaricata.
Emanuele annuì, si fermò a riflettere per qualche istante ed intanto la sua espressione divenne cupa.
“Sì, però non ho capito la sparata di Giulia sinceramente. Dico io, che cavolo aveva da urlarmi contro in quel modo, manco fosse tua madre!” articolò infastidito.
Tina abbassò istantaneamente gli occhi, ritornando a giochicchiare nervosamente con i rametti.
“Ma … figurati, lo sai com’è fatta … è un avvocato, la difesa ce l’ha nel sangue” borbottò incerta.
“Sì, ma tu avresti pure potuto dirle qualcosa … magari di farsi gli affari suoi” incalzò lui imperterrito.
“Vuoi litigare di nuovo, Manu?”
“No”
“Ecco. Allora, scordiamoci quello che è successo e andiamo avanti” affermò Tina, stavolta con tono secco “E ora ritorno a lavoro, che devo finire quello strato prima di stasera” chiosò, facendo per alzarsi.
“A me non è passata, Tina” Emanuele la bloccò per un braccio costringendola a fermarsi in piedi accanto a lui, che si alzò a sua volta “Federica è solo una distrazione. Io voglio ancora te”
“Mi dispiace” Tina si limitò a scuotere la testa con rammarico “Mi dispiace, Manu” ripeté, liberandosi dalla sua presa e voltandogli le spalle per tornare a lavoro.
Venerdì mattina Tina ed Alessandro stavano come al solito percorrendo il sentiero che li avrebbe condotti al cantiere. La ragazza canticchiava a mezza voce camminando a passo spedito con entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni. Alessandro la affiancava senza sforzo, osservandola di sottecchi con aria curiosa.
“Sei contenta stamattina?”
“E’ venerdì, poi finalmente il fine settimana. L’ultimo!”
“Non ti ho mai vista così contenta per il fine settimana. Almeno non prima che cominciassi a trascorrerlo a Siena con chissà chi” la provocò Alessandro con un insinuante tono furbo.
“Ma che dici!” protestò lei, sperando di non arrossire “Con chi vuoi che stia. Passo un po’ di tempo con gli amici dell’università”
“Tina, a te non sono mai andati a genio i ragazzi del tuo corso” le fece notare Alessandro con un cipiglio scettico in volto.
Tina si morse nervosamente un labbro, mentre pensava a qualcosa da dire.
“Comunque … ieri sono finalmente riuscita a parlare con Emanuele, lo sai?”
Alessandro alzò gli occhi al cielo irritato, ma le lasciò passare quel cambio discorso.
“Bene. Cosa vi siete detti?” s’informò senza molta enfasi.
“Mah, niente di che in realtà, ma per come stavano andando le cose tra noi ultimamente, già il solo fatto che mi abbia rivolto la parola lo considero un miracolo”
“Non starai tirando troppo la corda?”
Tina si voltò di scatto verso l’amico e lo guardò completamente stupita.
“Non capisco, che vuoi dire?”
“Beh, tu e Manu vi conoscete da quasi quattro anni ormai” cominciò a spiegare Alessandro con tono vago “Possibile che tu davvero non provi niente per lui? A maggior ragione che sostieni di non avere alcuna tresca in città … cosa ti frena dal provare a stare con lui? Lo sai che stravede per te”
Tina corrugò la fronte e si fermò al centro del sentiero, osservando l’amico con un’espressione contrariata.
“Ale, ma come diavolo ragioni?! Provare a stare con lui?!” ripeté incredula “Io non provo a stare con le persone, se ci sto è perché sento qualcosa di più che semplice affetto. E no, per Emanuele non sento altro che quello, un sincero affetto! Possibile che sia così difficile da credere?!” sbottò esasperata.
Alessandro l’ascoltò in silenzio, allargando gli occhi, colpito dalla sua sicurezza, ad ogni parola che le sentiva pronunciare. Quando lei ebbe finito, lui alzò entrambe le mani in segno di difesa.
“Va bene, va bene. Ho capito” assicurò convinto “Possiamo continuare a camminare?” tentò poi di scherzare.
Tina prese un profondo respiro, infine, più calma, annuì.
Quel pomeriggio era piuttosto tranquilla. La discussione con Alessandro era rientrata e i due avevano collaborato e scherzato in complicità come al solito durante tutta la mattinata di lavoro. A pranzo, aveva chiesto ad Emanuele di passarle il pane e lui, non solo lo aveva fatto, ma aveva pure accennato un sorriso. Si riteneva assolutamente soddisfatta e in pace con sé stessa.
Una voce che la chiamava la distrasse dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo facendosi ombra con il palmo della mano, per riuscire ad intravedere contro luce uno dei ragazzi di area 3.
“Gianni, che c’è?” gli chiese, alzandosi ed avvicinandosi.
“Ehm … credo che dovresti venire a dare un’occhiata di là. Marco ha chiamato Alessandro e lui mi ha chiesto di chiamare anche te”
Il ragazzo si incamminò velocemente verso area 3 e Tina lo seguì interdetta.
Quando salì sul terrazzo naturale, che dava proprio su quell’area, realizzò con orrore perché Gianni fosse così reticente e raccontarle cosa stesse succedendo.
Esattamente al centro dell’area c’erano Alessandro e Marco, intenti a discutere, apparentemente in maniera molto animata, di lato alcuni ragazzi seduti su dei massi con gli sguardi bassi. Accanto ai due archeologi c’era ciò che restava del ceppo, ormai sradicato, che era rimasto legato al terreno solo da qualche esile radice. Tutte le altre erano completamente dissotterrate e schizzavano fuori dalla terra rendendola smossa e confusionaria.
Tina saltò all’interno dell’area, aveva un’espressione sconfitta e amara. Si avvicinò ai due per sentire cosa stessero dicendo.
“Sono le basi dell’archeologia, Marco. Si chiama ricerca stratigrafica per un motivo” stava sbraitando Alessandro “E cioè, perché si procede per strati, in maniera ordinata e coerente. Non si dissotterra più così a caso dall’ottocento, santo cielo!”
“Te l’avevo pure detto” intervenne Tina, attirando l’attenzione dei due ragazzi su di sé.
“Perché non ti fai gli affari tuoi?” le ringhiò contro Marco.
“Ti aveva detto di non toccare il ceppo?” domandò invece Alessandro.
Marco guardò il capocantiere, ostentando uno sguardo duro ed ermetico ma rimanendo zitto.
“Te l’avevo detto, imbecille! Guarda che casino hai combinato. Ad una settimana dalla fine della campagna per di più” lo attaccò Tina, evidentemente irritata.
“Calmati” le ordinò Alessandro, ponendole un braccio davanti al busto per impedirle di avvicinarsi ulteriormente a Marco, a cui poi si rivolse “Non capisco perché hai fatto di testa tua, quando un superiore ti aveva dato una precisa indicazione”
“Semplice” soffiò quello, velenoso “Perché non considero miss-so-tutto-io un mio superiore, tantomeno credo che sia questo genio dell’archeologia di cui tutti parlano”
“Ma brutto idiota che non sei altro!” strepitò Tina “Adesso miss-so-tutto-io ti fa vedere invece come è brava a prendere a calci in culo i figli di papà come te … eh, che ne dici?!” fece per avvicinarsi a lui minacciosamente, ma venne intercettata ancora una volta da Alessandro.
“Basta così, Tina” le intimò con voce profonda e autoritaria “Non tollero questo linguaggio sul cantiere” si voltò poi verso Marco “Così come non tollero degli errori tanto grossolani, per di più commessi per motivi tanto futili. Farò rapporto al Direttore Scientifico e chiederò che questi mesi di scavo non ti vengano riconosciuti come crediti di attività extra da sommare agli esami”
A quel punto, notando che Tina e Marco continuavano a guardarsi in cagnesco, Alessandro prese quasi di peso l’amica costringendola ad indietreggiare.
“Visto che manca una sola settimana di scavo, chiudiamo oggi area 3. Date una ripulita e fate le foto agli ultimi strati che avete messo in luce” disse rivolto ai ragazzi “E fate in modo di non incasinare ancora di più la terra sotto il ceppo”
“Se chiudi oggi, io che faccio settimana prossima?” protestò Marco.
“Te ne stai a casa a riflettere sul casino che hai combinato” lo freddò Alessandro “E cercherai di diventare un po’ più collaborativo nei mesi che verranno, quando dovremo occuparci tutti insieme della pubblicazione, della promozione e dell’archivio di questa campagna”
Detto questo, presa Tina sottobraccio, si allontanò.
“E’ deficiente! Quello lì è un deficiente, non c’è altro modo per definirlo” proruppe Tina, quando furono al sicuro all’interno della baracca.
“Siediti” le intimò Alessandro “E calmati”
“Ma mi spieghi che ce lo teniamo a fare ancora qui? Non si può sbatterlo fuori?”
“Sai meglio di me che non si può fare. Tocca sopportarlo ed essere diplomatici”
Tina si alzò di scatto, dalla sedia su cui Alessandro l’aveva spinta solo qualche istante prima e cominciò a girare nervosamente per la stanza.
“Mi fai girare la testa” si lamentò Alessandro.
“Avrei voglia di andare a dargli quattro sberle” bofonchiò Tina tra sé “Che figura ci facciamo con Carlo, quando lo verrà a sapere” distorse la bocca in una smorfia inorridita al solo pensiero.
“Ok, ora basta” Alessandro scattò in piedi e le tagliò la strada facendola sbattere con il naso sul proprio petto “Per oggi è inutile che resti qui, sei troppo agitata. Vattene a casa”
“Ma ho del lavoro da finire” obiettò Tina.
“Manca solo un’ora alla fine della giornata. Puoi recuperare lunedì. Vattene”
“Ok”
Tina non ebbe il coraggio di contraddire Alessandro, soprattutto perché sapeva che aveva ragione. Quando era così agitata riusciva a concludere ben poco, senza contare che avrebbe potuto commettere a sua volta qualche errore e, allora sì, che si sarebbe incazzata di brutto.
Tuttavia, l’Abbazia le sembrò troppo cupa e vuota quando ci arrivò. Senza il mormorio dei ragazzi, il ronzio delle docce o la musica dei computer le metteva tristezza. Decise allora che avrebbe fatto una doccia veloce e sarebbe andata da Giulia.
Quando arrivò da lei, non erano ancora le otto. Sperò di trovarla in casa.
Mentre si avvicinava al portone, ne vide uscire una signora grassoccia con due bassotti al guinzaglio. Le tenne gentilmente il portone aperto, dopo di ché vi si infilò a sua volta.
Arrivata davanti alla porta, bussò. Trascorse un minuto, ma non aprì nessuno. Bussò di nuovo, ma ancora nessuna risposta. Stava per girarsi ed andare via, quando sentì dall’interno un soffocato “Arrivo!”
Un minuto dopo la porta si aprì e comparve Giulia in accappatoio.
“Oh. Non ti aspettavo” commentò l’avvocato stringendosi la cinta attorno ai fianchi.
Tina la squadrò da capo a piedi, alcune gocce d’acqua cadevano ancora sul pavimento dalle sue gambe.
“Cavolo, devo proprio ricordarmi di chiamare prima di piombarti in casa!” rifletté leggermente imbarazzata.
Giulia le sorrise tranquilla.
“Non preoccuparti. Entra, dai” la prese per mano e la tirò all’interno, chiudendo la porta alle sue spalle.
La lasciò al centro della stanza, sapendo che ormai Tina poteva benissimo orientarsi da sola, mentre lei si avvicinava alle scale del soppalco.
“Non ti dispiace se vado a mettermi qualcosa addosso, vero? Intanto tu dimmi come mai sei venuta” le diceva nel frattempo.
“No, certo, vai pure” acconsentì Tina, seguendola con lo sguardo mentre saliva e spariva al piano superiore “Oggi ho avuto una fine di giornata davvero pessima”
“Che ti è successo?” chiese la voce di Giulia, rimbombando leggermente.
“Quel cretino di Marco” Tina si tolse la giacca e si lasciò cadere su una poltrona sprofondandoci con aria sfinita “Non solo ha combinato un casino sullo scavo, ma mi ha anche dato praticamente dell’incompetente”
“Davvero?” Giulia si affacciò dal soppalco, sporgendosi oltre la ringhiera con il busto, coperto solo dal reggiseno, per osservare Tina.
Quest’ultima alzò lo sguardo verso di lei, sgranò leggermente gli occhi e non disse nulla.
“Tina?” la richiamò l’avvocato.
“Eh … ah si, davvero”
“Che idiota” commentò semplicemente Giulia sparendo nuovamente alla vista.
“E pensare che gliel’avevo anche avvisato. Gliel’avevo detto di non toccare quel dannato ceppo, perché altrimenti avrebbe mandato all’aria la stratigrafia. Ma lui, niente!” Tina si fermò per riprende fiato e sbuffare stizzita “Sospetto che l’abbia fatto solo per il gusto di contraddirmi”
Intanto Giulia scendeva le scale, ormai vestita con un jeans nero ed un maglione verde bottiglia, e si avvicinava alla poltrona sulla quale sedeva Tina.
“Mi dispiace, tesoro” mormorò partecipe, mentre si appollaiava sul bracciolo e si abbassava per posarle un piccolo bacio tra i capelli “Non si può fare niente per recuperare la situazione?”
Tina le abbracciò i fianchi e le poggiò la testa sul petto accoccolandosi tra le sue braccia.
“Si può tentare, ma l’anno prossimo. Alessandro ha chiuso l’area e mandato Marco a casa a riflettere sul casino che ha combinato per tutta la settimana prossima”
“Senti” proruppe Giulia con tono più allegro “Che ne diresti se per stasera lasciassimo perdere il lavoro e ce ne andassimo a cena fuori, io e te?”
Tina alzò il viso verso di lei regalandole un sorriso luminoso, poi si sporse verso le sue labbra per rubarle un bacio veloce.
“Direi che è proprio quello che mi ci vuole” approvò entusiasta.
Mezz’ora più tardi erano sedute in un piccolo ristorante del centro, dall’atmosfera abbastanza intima. Dopo che ebbero ordinato, Giulia si concentrò sul viso di Tina con uno sguardo incuriosito.
“Che c’è?” chiese l’archeologa.
“Uhm … no, niente c’è una cosa che mi chiedo da un po’. Ma è una domanda stupida”
“Dimmi”
“Mi chiedevo, Tina è proprio il tuo nome oppure è un diminutivo?”
“Non è una domanda stupida” Tina le sorrise bonaria “Il mio nome intero è Martina, ma solo mio padre mi chiama così. Tutti gli altri, parenti ed amici, mi hanno sempre chiamata Tina. Sai, i diminutivi e i soprannomi sono quasi un must dalle mie parti” concluse ironica.
Giulia annuì soddisfatta.
“Però ancora non so nemmeno la tua data di nascita” obiettò un attimo dopo.
“A che ti serve la mia data di nascita?” scherzò Tina.
“Se un giorno volessi denunciarti per appropriazione indebita, mi servirebbero i tuoi dati” chiarì l’avvocato.
“Appropriazione indebita di cosa?” domandò Tina confusa.
“Del mio cuore”
A quel punto entrambe si guardarono un po’ indecise negli occhi, poi contemporaneamente scoppiarono a ridere.
“Ok, questa è stata decisamente pessima, vero?” commentò Giulia tra le risate.
“Un po’” ammise Tina, tentando di non rigirare il dito nella piaga.
“Lo so” sospirò l’altra malinconica “Dovrò aggiornare la mia lista di frasi da rimorchio”
Tina assottigliò lo sguardo.
“Non ti servono più frasi da rimorchio, adesso” puntualizzò cupa.
“Ah no?” Giulia la trapassò con un sorrisino provocante.
“Vorrei solo ricordati che sono una napoletana doc” replicò Tina, ostentando una certa tranquillità.
“E quindi?” incalzò l’avvocato, non capendo dove l’altra volesse arrivare.
“E quindi sono di natura passionale e possessiva”
“Credevo avessimo una relazione aperta”
“Non provocarmi, avvocato”
Giulia si sporse sul tavolo, avvicinando il viso a quello di Tina con un sorriso malizioso ad incurvarle le labbra.
“Il ghigno che ti si è dipinto sul volto sembra proprio un invito a farlo, invece” le sussurrò a pochi centimetri dalle labbra.
Tina non poté replicare, ma forse nemmeno ci sarebbe riuscita, anche se avesse voluto, perché arrivò il cameriere a portar loro le ordinazioni.
Quando lasciarono il ristorante, all’esterno si era alzato un vento forte e freddo. Furono costrette a camminare radenti ai muri, ma non rinunciarono ad una piccola passeggiata lungo le vie del centro popolate da giovani, che sfidavano a loro volta la temperatura rigida solo per godersi il venerdì sera. 
“Allora, alla fine ancora non mi hai detto quando sei nata” ricordò Giulia d’improvviso.
“Ah sì, giusto. Il sette maggio”
“Colore preferito?”
“Blu. Quando avevo undici anni sono caduta dalla bici e mi sono rotta il braccio sinistro, ho portato il gesso per un mese. Amo i cani ma odio i gatti. Sono allergica alle noci e ho avuto tutte le malattie esantematiche tranne la parotite. Soddisfatta?!” pronunciò Tina divertita tutto d’un fiato.
“Ehi, non prendermi in giro!” si lamentò Giulia imbronciandosi “Stiamo insieme, non è possibile che io sappia che preferiresti abbracciare un cactus piuttosto che sbagliare sul lavoro, ed ignori di te le cose più banali”
Tina rise, intenerita.
“Ok, hai ragione”
“Uhm … non so se voglio credere al tuo pentimento”
“Mentre tu mi psicanalizzi, sappi che io sto congelando” si lamentò l’archeologa rabbrividendo.
Giulia si fermò e si girò per guardarla. Il vento le scompigliava i capelli, aveva il naso e le guance leggermente arrossate e gli occhi socchiusi.
“Vieni qui, ti scaldo io” le cinse il viso con le mani e si stava avvicinando per baciarla, ma Tina la bloccò. Le strinse entrambi i polsi e ritrasse il viso, vagando con lo sguardo lungo la strada circostante, dove un ordinato via vai di persone la metteva distintamente a disagio.
“Non qui, Giulia. Per favore”
“Dove allora?”
“Potremmo andare da te”
Giulia la guardò negli occhi, non sapeva esattamente cosa cercare, riusciva solo a cogliere una certa inquietudine ed apprensione per la posizione in cui ancora si trovavano, per di più in un luogo pubblico. Sospirando, lasciò andare la presa sul suo viso, ma subito le agguantò una mano intrecciandola alla propria.
“Ok” disse semplicemente, cominciando a camminare verso casa.
Una volta arrivate nell’appartamento, entrambe sospirarono di sollievo nel percepire il tepore dell’ambiente.
Si liberarono velocemente dei cappotti, poi Tina rimase al centro della sala, accanto al divano, e Giulia andò in cucina a rovistare alla ricerca di chissà cosa.
“Vuoi qualcosa da bere?” domandò a Tina.
“No, grazie”
“Ok” Giulia tornò verso di lei a mani vuote “Vuoi mettere un po’ di musica?”
“Non è indispensabile”
“Vuoi guardare un film?”
“No, in realtà non mi va”
Giulia mise le mani in tasca e la guardò con espressione scettica e dubbiosa. Poi ritentò.
“Vuoi …”
“… fare l’amore!”
“Eh?!” Giulia sgranò gli occhi e fece qualche colpo di tosse perché le era andata della saliva storta.
“Credo di voler fare l’amore con te” ripeté Tina. Ingoiava a vuoto ripetutamente, tradendo un certo nervosismo.
“Credi?” domandò Giulia con circospezione.
Tina sciolse parte della tensione che le irrigidiva le spalle, solo per poterle abbassare sotto il peso dell’imbarazzo.
“Non so se ne sono capace” ammise con lo sguardo basso.
Giulia le si avvicinò piano, le accarezzò una guancia e fece in modo che alzasse il viso per poterla guardare. Le sorrise rassicurante.
“Ti sei mai data all’autoerotismo?” le chiese con tranquillità.
“Cosa?!” Tina allargò gli occhi con un certo disagio.
“Ammesso che sia solo l’aspetto tecnico a preoccuparti … beh, il mio corpo è uguale al tuo, se sei capace di soddisfare te, puoi soddisfare anche me” le spiegò Giulia con molta praticità “Quindi?” la incitò poi prendendole una mano per tranquillizzarla.
Tina arrossì e sfuggì al suo sguardo.
“Lo prendo come un sì” concluse l’avvocato “Allora ne sei capace, fidati”
A Tina scappò un piccolo sorriso.
“Ah, ti ho vista sai!” l’ammonì immediatamente Giulia con tono scherzoso. Le fece voltare il viso in modo da poterla guardare negli occhi.
Tina rimase ferma, ipnotizzata dal suo sguardo. Quando sentì le sue mani che la stringevano in vita, rabbrividì.
Giulia fece qualche passo all’indietro, fino a sedersi sul divano e tirò con sé anche lei. Fece in modo che sedesse a cavalcioni sul proprio bacino.
Tina la seguì docilmente e assecondò le sue mosse. Una volta seduta sopra di lei, si sistemò meglio per stare più comoda, poi si chinò avvicinandosi al suo viso e la baciò.
Giulia infilò le mani sotto la maglia, accarezzandole la schiena nuda, mentre Tina intrecciava le mani tra i suoi capelli e spostava la bocca sul suo collo riempiendolo di baci. L’avvocato ribaltò velocemente le posizioni, facendola finire con la schiena sul divano e sovrastandola dolcemente con il proprio corpo. Continuò a baciarla mentre cominciava a muoversi lentamente tra le sue gambe aperte. Tina fece scivolare le proprie mani fino al sedere di Giulia e la tirò ancora più vicina a sé.
“Andiamo di sopra?” mormorò l’avvocato, staccandosi per un attimo dalla bocca dell’altra.
Quest’ultima annuì semplicemente.
Giulia si alzò e le tese una mano. Intrecciò le loto dita e la condusse nella stanza da letto.



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Piccola  nota a margine. Sebbene sia passato tantissimo tempo da quando ho scritto questa storia, e sebbene io senta che questo modo di scrivere non mi appartenga più, mi sono resa conto che ci tengo molto a dare un finale alla storia tra Tina e Giulia. Per cui, aspetto i vostri commenti sui risvolti che prenderà la vita delle due protagoniste =)

  
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