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Autore: bimbarossa    22/11/2020    4 recensioni
Un test di gravidanza positivo e quattro possibili padri.
Tra sospetti, paure e timori di nuove responsabilità, chi di loro avrà la vita sconvolta?
Genere: Commedia, Fluff, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: inu taisho, Inuyasha, Jakotsu, Miroku, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sarebbe diventato padre.

Per un attimo InuYasha temette di trovarsi in una di quelle notti terribili, una di quelle notti senza luna quando i suoi poteri demoniaci se ne andavano, lasciandolo debole, perennemente sulle spine, privo di qualsiasi difesa. Poi guardò dalla finestra, era ancora il tramonto ma una falce di luna gibbosa brillava bianchissima tra i grattacieli della città, eppure il senso di disastro incombente persisteva.

Kagome lo osservava di sottecchi, quasi pronta a qualsiasi passo falso lui stesse per fare.

“I-io non so cosa dire.”

“Se non mi credi questa ne è la prova.” Dall'hakama rossa tirò fuori una busta piccola di un bianco opaco e consumato, come se qualcuno l'avesse maneggiata parecchio. “Sono le analisi di un laboratorio. Confermano tutto.”

Quando gliela porse InuYasha si accorse che le mani di Kagome tremavano, e anche se nel sedersi accanto a lui lo fece in maniera composta e quasi impersonale, il sospiro tremulo che le uscì non fu difficile notarlo.

“Come mai non strepiti, sbraiti, o urli? Devi essere più sconvolto di quello che potevo immaginare.”

Come dirle che si sentiva la bocca impastata e la lingua più secca che mai?

“Mi dispiace, Kagome, è tutta colpa mia. Il pre-preservativo si deve essere rotto...”

“Ancora con questa storia del tuo sangue demoniaco?! Se dici di nuovo che hai paura di farmi del male perché temi di perdere il controllo quando non è nei paraggi Tessaiga giuro che ti metto un rosario al collo che non si toglie e ti mando A cuccia! spietatamente.”

“N-non faresti mai una cosa simile.” Perché non riusciva a smettere di balbettare? “E comunque, dovremmo tornare al nostro problema.”

“Problema? È così che lo chiami?” Primo passo falso.

“Avanti, sai cosa volevo dire. Che cosa facciamo? T-tu lo v-vuoi?”

La tristezza nella voce di Kagome era quasi solida, pesante come pietra, no anzi, come una montagna di pietre. “Certo che si. E tu no?”

Cosa avrebbe dovuto rispondere senza ferirla a morte ma rimanendo sincero con sé stesso?

Certo che non lo aveva voluto, era troppo giovane ed aveva appena avviato la sua carriera lavorativa, Kagome stava per dare l'esame da infermiera, e poi la sua famiglia...dei, suo padre sarebbe stato delusissimo, e la madre di Kagome lo stesso, il nonno gli avrebbe lanciato un anatema e Sōta era molto probabile che lo avrebbe sfidato a duello come facevano i veri uomini.

Per settecento anni aveva vissuto una vita selvatica, in perenne contrasto con suo fratello e protetto -forse troppo- dal Generale, fino a Kagome.

Eppure...eppure, con arrendevole stordimento, si rese conto di quanto fosse cambiato con lei vicino. Era maturato più in quei mesi assieme che in tutta la sua vita precedente.

“Non credo che sia più una questione di volere.” Anche la sua mano tremava mentre afferrava quella di Kagome. Per un po' tremarono insieme, fino a che nel conforto uno dell'altra, smisero di farlo diventando un intreccio di dita fermo e saldo.

“Se tu sei con me, io dico che sono pronto a provarci.” Voleva mostrarsi più sicuro di quello che era, ma non era certo di esserci riuscito. “Non ti prometto che sarò il miglior padre del mondo, ma se ci stanchiamo possiamo sempre affidarlo, che ne so, ad Hachiemon.”

Secondo passo falso.

Il bambino non era ancora nato e lui faceva battute su come accollarlo all'amico procione di Miroku. Kagome avrebbe davvero dovuto mettergli un rosario sacro attorno al collo e sbatterlo a cuccia.

Inaspettatamente, invece, si mise a ridere, come non faceva da tempo, notò tristemente.

“Ne sei sicuro?”

“Si, certo. Vedrai che teppistello che tirerò su.”

Kagome si mise a ridere ancora più forte, e lo abbracciò tirandoli le orecchie. “Ma no. Intendevo, se sei proprio sicuro di volere un tanuki come padrino."

 

Non ci voleva molto a capire che Ayame parlasse di Izayoi.

Ci voleva invece molto di più, anche per uno come lui che queste trame le riusciva ad individuare abbastanza facilmente, a capire come il libro di un intellettuale di tre secoli prima che raccontava la storia del Grande Generale Cane e dell'umana sua moglie fosse entrato nelle mire di quella ragazzina.

“Spiegati meglio Ayame.” Questa volta si volse, voleva vederla bene in faccia durante la sua confessione.

“Non volevo fare niente di male, solo vedere come era fatta, dicevano tutti che fosse bellissima.” Lanciò un rapido sguardo di sottecchi al libro macchiato. “Così ho cercato l'unica fonte disponibile per...”

“Per?” Inu no Taishō le sentiva arrivare da lontano, le frasi pericolose.

“P-per prendere solo un piccolo spunto. Riguardo a questo vestito.” Si coprì la faccia con le mani facendo un suono a metà tra un gridolino di vergogna e uno sbuffo esasperato. “Volevo piacerti ma non so portare lo junihitoe così mi sono fatta fare un modello attillato che ti è piaciuto così tanto ma adesso non so se ti piace perché pensi a lei o se ti piaccio proprio io e poi mi è caduto l'inchiostro degli esercizi di scrittura sopra e...”

“Fermati, ti prego.” Di cosa allarmanti in quello sfogo ne stava già facendo una lista, e al contempo i tasselli del puzzle stavano andando tutti al posto giusto finalmente.

La stessa sfumatura di rosa. I piccoli e gentili crisantemi sulle scarpe dal tacco a spillo che tanto lo avevano fatto impazzire.

Avrebbe voluto strozzarla, quella ragazzina. Lei e la sua stramba idea di copiare Izayoi.

Chissà cosa avrebbe pensato, Ayame, se le avesse rivelato che tutte le volte che lo aveva indosso erano stati tra i pochi momenti, paradossalmente, in cui aveva pensato a lei e nessun'altra, neppure alla moglie che ancora amava.

Comunque la questione andava risolta, magari gestita con tutto il tatto di cui era a disposizione, e non doveva avercene molto, perché ci mise ore a convincerla che no, non credeva che fosse una ragazzina patetica, e no, non ce l'aveva con lei per il libro che aveva rovinato.

Certo, la cosa non gli aveva fatto piacere, e un pizzico di irritazione rimase a lungo se ci si soffermava, tuttavia era niente al confronto del sollievo provato sapendo che non ci fosse nessun bambino.

Molto più tardi, riflettendoci, doveva dar credito a Sesshōmaru. I sentimenti avevano avuto sempre la meglio su di lui.

“Ah, quindi provi dei sentimenti per me?”

Osservò languido i loro corpi nudi intrecciati. “Non saremmo qui se così non fosse.” Inclinò il mento per strofinarle la fronte con le labbra. Sapeva di buono. “Due cose ho da chiederti.”

Il fatto che Ayame non aspettasse nessun bambino al momento non rendeva necessario riferirle le parole di Bokusenō -un bambino concepito da due demoni di stirpe diversa porterebbe molto probabilmente alla morte della madre- ma altresì la curiosità ormai destata di sapere la sua opinione in merito doveva in qualche modo soddisfarla. Non le avrebbe mai detto i suoi sospetti ma non c'era niente di male a chiederle se l'idea l'avesse mai sfiorata.

“Dei bambini dici? Certo che ne voglio, sono la nipote del patriarca, ed è mio dovere continuare la mia linea di discendenza. Ma non ora, sono troppo giovane. Voglio girare il mondo, vedere posti nuovi, divertirmi con il mio affascinante sugar daddy e spendere tutti i suoi soldi.” Gli soffiò una risatina dentro l'orecchio per poi scoccargli un bacio divertita.

“Sugar daddy?” Con il minimo sforzò la fece rotolare sopra di sé. “Vuoi dire un ricco e maturo benefattore che si accompagna ad una giovane e bella ragazza facendole regali costosissimi in cambio della piacevole compagnia? È questo che sarei?”

“Più o meno.” Con lente moine e carezze gli fece capire chiaramente quello che era per lei. “E la numero due?”

“Perché hai incolpato proprio Kagome? Hai detto che con lei non me la sarei presa,” le chiese tra un bacio e l'altro.

Gli fece uno strano sorriso. “Vedrai. Lei e InuYasha stanno per farti molto felice.”

 

Rin era malata.

Più questa cosa veniva assimilata nel cervello – e in tutto il resto del corpo- più Sesshōmaru lo credeva assurdo.

Aveva preventivato che lei sarebbe morta molto prima di lui, ma se l'era sempre immaginata vecchia e rattrappita come una bambina, e lui al suo capezzale che le ricordava tutti gli anni che avevano passato insieme. Non questo risvolto insopportabile.

“Che tipo di malattia?” Il gelo nella sua voce adesso aveva tutto un altro tipo di causa, serviva a mantenerlo lucido, freddo, concreto in una realtà, la sua, che stava cadendo a pezzi.

Fece uno sbuffo Rin, come se stessero parlando di cose ordinarie e non del suo incubo peggiore.

“Non importa, se vuoi lasciarmi.”

“Che tipo di malattia?” ruggì. Non contro di lei ma contro il mondo.

“Una specie di anemia. Se non prendo i farmaci e non seguo le regole previste dalla terapia potrei stare molto male.” Sospirò sconsolata, prendendo dalla borsa una cartellina giallastra, minacciosa.

“Quali farmaci? Quali regole?”

Per quanto volesse non riusciva scongelare il blocco che aveva in gola, e si accorse persino lui che il suo tentativo di fare lo stoico della situazione lo stava rendendo esageratamente brutale.

Seduta sul letto, al buio, Rin pareva uno spettro bellissimo ed esausto.

“Devo prendere delle pillole e seguire una dieta particolare, mantenere un certo tipo di stile di vita e fare delle visite ogni tanto. Più altre cose che ti annoierebbero. Strano, pensavo che a questo punto della storia ti avrei visto quello sguardo in faccia.”

Quando lui alzò un sopracciglio per chiedere maggiori spiegazioni continuò: “Sai, quella smorfia che fai quando incontri qualcuno di debole. Tu odi la debolezza. Ecco perché non ti ho detto niente. Volevo stare con te il più possibile prima che venisse fuori la verità e tu mi vedessi per quella che sono, una misera umana dalla salute cagionevole e malandata.”

Sesshōmaru si sedette accanto a lei sul letto freddo.

“Si, è vero.” Doveva cedere, almeno un po'. “Odio la debolezza. Ma la debolezza di cui parlo io non è la tua debolezza. Io non le ho mai confuse, e neanche tu dovresti. E non sei patetica, né misera, perciò non dirlo più.”

Lo aveva fatto sembrare quasi un ordine brutale, tuttavia sotto sotto, molto sotto, la dolcezza di quel commento si notava benissimo, tanto che a Rin colò una grossa e lucida lacrima dritta sulla punta del naso.

“Non hai intenzione di lasciarmi quindi? Anche se sono triste ed acciaccata?”

“Non dire sciocchezze.”

Avevano la mani unite ora.

Questo era tutto? Non sarebbe sparita dalla sua vita, uccisa da una malattia letale più veloce dello scorrere del tempo?

“Rin, ascoltami bene. Devo sapere tutto, anche le altre cose che mi annoierebbero.” Gli orari della somministrazione delle pillole, i cibi che avrebbe dovuto mangiare e quelli che sarebbero spariti dalla loro cucina, voleva conoscere ogni cosa che l'avrebbe aiutata a stare il meglio possibile.

Aveva la netta sensazione di qualcuno che stia iniziando un lungo e difficile percorso, ma in fondo lui, nelle battaglie, dava sempre il meglio.

 

“Sai che sono dovuta uscire per riprendermi quando ho letto quel tuo schifoso biglietto?”

Sango era furiosa. Se avesse avuto un'arma, tipo uno di quei giganteschi boomerang fatti di ossa di demoni che si usavano per esempio nell'epoca Sengoku, probabilmente ora sarebbe in ospedale.

“Posso almeno spiegare?”

“Fallo pure, tanto le le cose non cambieranno.”

Miroku decise per il momento di sorvolare su quella frase minacciosa, l'importante adesso era che Sango comprendesse i motivi dietro al suo gesto.

“Senti, ammetto che non è una scusante, ma tu sai del mio passato, no? Mio padre è morto davanti ai miei occhi, dei, quell'immagine ancora mi perseguita.” Cercò di scacciare il ricordo di quel giorno terribile. “Il maestro Mushin ha fatto quello che poteva per me, insegnandomi tutto quello che sapeva, nel bene e nel male.”

Dalla faccia di Sango poteva quasi intuire che vedesse solo il secondo aspetto in lui.

“Non so come sia un padre vero. Come ci si debba sentire ad avere una tale figura. Di conseguenza non ero certo di saperlo fare io.”

“Ormai non ha più importanza.”

Era talmente sopraffatto da non accorgersi che la ragazza aveva preso delle borse, e ci stava mettendo delle cose dentro. Per la precisione ci stava mettendo i suoi indumenti.

“Voglio che tu te ne vada. Tra noi è tutto finito.”

“Non puoi dire sul serio. Se mi dai una seconda opportunità prometto che non ti deluderò più. Farò dei corsi, vedrai, uno di quelli per diventare il padre perfetto che cambia pannolini e si alza di notte quando il bambino ha fame. Te lo giuro.”

Sperava di cavarsela buttandola sul ridere, in passato aveva funzionato.

Ma non questa volta. Sango non rideva affatto. Un'ora dopo, con le valigie gonfie e mal chiuse usciva da quella casa.

Non ci sarebbe più tornato.






Vorrei ringrazire tutte le persone che hanno messo questa storia tra le recensite e le seguite, mentre un impeto d'adorazione è d'obbligo verso chi ha lasciato una recensione, siete stati gentilissimi e tanto dolci.
Voglio inoltre fare un breve disclaimer sulla malattia di Rin: io non sono un medico, e sono rimasta volutamente sul vago per evitare di incorrere in qualche inesattezza. Se così invece fosse stato, me ne scuso.
  
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