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Autore: Dama_del_Labirinto    23/11/2020    0 recensioni
Daniele scrive una lettera a Leo, il suo migliore amico, dopo che la loro gita nei boschi non è andata come aveva sperato. Una dichiarazione d'amore immersa nella tristezza e nella gelosia.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Nota dell’autrice: Generalmente non mi piace scrivere storie in prima persona, è il mio primo (e forse ultimo) tentativo. Spero che vi intrattenga!

Caro Leo,
Se solo avessi saputo prima a che cosa sarei andato incontro, avrei potuto impedirlo. Guarda cosa hai fatto, guarda l’umiliazione di chi sta con i pezzi del proprio cuore in mano.
Io sono innamorato di te.
Ti ho sempre amato da quando eravamo ragazzini e giocavamo a pallone nel cortile. Mi sono sempre sentito fortunato ad esserti amico, ti ho raccontato ogni mio segreto, nella convinzione che anche tu facessi lo stesso con me, ma sono stato uno sciocco.
Volevo festeggiare il tuo ventitreesimo compleanno nel migliore dei modi, per questo ti proposi l’idea di viaggiare in tenda fra i boschi di montagna per una settimana, tu ed io, fianco a fianco, come sempre. Tu hai accettato senza pensarci due volte e mi hai abbracciato. Come non potevi non dirmi di sì, in fondo? So bene che ami l’avventura, lo leggo ogni giorno nei tuoi occhi verdi, luminosi, curiosi come quelli di un bambino.
D’altro canto, io mi ripetevo che sarebbe stata la vacanza più bella della mia vita, senza nessuno tra noi. Avrei potuto mostrarti ciò che provo per te. Abbiamo parlato per giorni e giorni dei percorsi possibili, delle attrezzature, delle scarpe, tutto nei minimi dettagli, ed è così che, nel pieno di una nostra conversazione, Giorgio ci ha uditi.
Non sai con quanto fastidio pronuncio il suo nome. Si può odiare tanto il proprio cugino? Egli è stato sempre quello che avrei voluto essere e che non posso essere. È sempre stato un passo davanti a me, è nato prima e ha guadagnato in termini di bellezza ed esperienza. Non credo di conoscere nessuno che ne parlerebbe male, tu non lo faresti di certo. Infatti, ti sei messo subito a raccontargli vivacemente come avremmo passato la settimana e in un men che non si dica ci ha seguito. Gli è bastato semplicemente raccontare di quanto fosse esperto della zona e noi ci siamo cascati.
Ricordo ancora come ha aperto la portiera della sua auto per farti sedere davanti accanto a lui, dicendo che quasi gli dispiaceva separare i due “piccioncini” e relegandomi a stare insieme a tutte le nostre borse, come se fossi un peso anche io. Ricordo ancora i tuoi occhi che si posavano su di me con un’aria di scusa, ma è stato un attimo, perché già ridevi a una delle sue battute. Giorgio ti posò una mano sul braccio, poi avviò la macchina, sempre col sorriso di chi sa sempre quel che fa.
Grazie al cielo si era portato la sua tenda, mentre noi condividevamo la nostra. Dopo aver raccontato le sue solite storie sconce davanti al fuoco, se ne andò a dormire.
“Perché non sei più contento di stare qua? Mi sembravi così eccitato di partire,” mi hai domandato, dopo una lunga pausa imbarazzante.
Io ti dissi che non dovevi preoccuparti. In realtà, ero preoccupato, ma in quel momento il tuo viso vicino al mio mi incantava e mi faceva dimenticare ogni offesa. Ti dissi che era ora di sdraiarci, ci spogliammo in silenzio, poi ci sdraiammo l’uno accanto all’altro. Guardai il profilo del tuo naso e delle tue guance nel buio, ricordo che ci passai lentamente le dita e tu non dicesti niente, mi lasciasti fare, rilasciando un piccolo sospiro. Forse credevi che io non l’avessi sentito, invece non mi era sfuggito.
Avrei dovuto dirti subito la verità quella notte, ma non ne ebbi il coraggio. È giusto che ora io soffra così, me lo merito. Sono sempre stato alla ricerca delle occasioni migliori, ma resto l’unico che si trova con le mani vuote alla fine.
Il giorno seguente trascorse liscio come l’olio. Mi sembrava quasi stupido il fatto di essere stato di cattivo umore. Ci avventurammo nel folto del bosco e Giorgio si dimostrò un esperto come aveva detto di essere, pronto a dare una mano quando serviva. Cantavamo tutti e tre in libertà, certi di non poter essere ascoltati da nessuno.
Giunti in una bella radura arieggiata, mi proposi di riempire le nostre borracce alla fonte poco lontana dal punto in cui ci eravamo fermati, mentre voi avreste montato la tenda. Una volta finito, tornai indietro e sentii le vostre voci concitate. Stavate discutendo in un modo che mi sorprese e mi turbò allo stesso tempo. Non avevo mai sentito rivolgerti a Giorgio con un tono così aggressivo e confidenziale. Giorgio parlava dei tempi passati, di quanto fosse stato bello…bello cosa? Non capivo, non sapevo. Tu, d’altro canto, Leo, gli dicevi che non ne volevi sapere, che non era il momento di tirare fuori storie del genere. Proprio in quel momento mi avete visto e subito avete chiuso la bocca all’unisono. Mi è sembrato quasi di vedere un pallore sulle tue guance, mentre distoglievi bruscamente lo sguardo da me.
“Ciao Dani,” mi salutò mio cugino, invece. “Ho una gran sete, mi passi la mia borraccia?”
Io gliela diedi senza dire nulla. Il vostro silenzio mi spaventava. Dall’aria che tirava tra voi due, capii che era pericoloso fare domande. Pericoloso per me, per te, per tutti.
Poi ci fu quella volta in cui ti feristi il ginocchio. Eri scivolato mentre stavamo attraversando un ruscello, sbattendo contro una roccia aguzza. Il tuo grido di dolore fece volare via un grande stormo di uccelli e io corsi da te in un batter di ciglio. Giorgio non poté adattarsi al mio passo. Subito mi accucciai e ti presi tra le mie braccia, portandoti a riva, al sicuro. Dalla ferita sgorgava una grande quantità di sangue, così presi dal mio zaino un fazzoletto di stoffa e con quello la bendai in modo stretto. Tu mi ringraziasti debolmente, ma i tuoi occhi dicevano più di mille parole. Perché mi guardavi in quel modo così dolce, come se ci fossimo solo io e te? O era il mio amore ad accecarmi di modo da leggere significati inesistenti?
Non ebbi modo di rifletterci, perché Giorgio ebbe modo di rovinare tutto la sera stessa. Forse non te l’ha raccontato, dato che tu non eri presente, addormentato all’interno della nostra tenda. All’inizio parlammo del più e del meno, poi disse che non voleva che tu ti facessi male. Ti aveva indicato per sbaglio di andare in un punto pieno di alghe, facendoti scivolare, e questo dettaglio suscitò la mia irritazione.
“Pensi di essere l’unico che tenga a lui, ma non è così. C’è più di quanto immagini,” così ha commentato la mia reazione e mi ha sorriso, ma i suoi occhi erano distanti da me, come se stesse pensando intensamente a dei ricordi felici impenetrabili.
“Che cosa intendi?”
“Beh, i tuoi grandi amici non possono che essere miei grandi amici, non credi? Siamo cugini,” rispose in modo asciutto, poi si scolò metà di una bottiglia di birra in un paio di sorsi. “Prenderai freddo se resti seduto là senza il fuoco. Va’ a dormire anche tu,” furono le sue ultime parole, mentre si dirigeva alla sua tenda.
Io non riuscivo a staccarmi dalla pietra su cui ero seduto. Continuavo a pensare che cosa stesse accadendo dentro e fuori di me. E tu, sai com’è lui (oh, lo sai benissimo!), quanto può mostrarsi protettivo con la gente che ha intorno e fare lo stronzo subito dopo. Perché non gli importa, vuole solo farsi bello di fronte agli altri. Solo il desiderio di vedere come stavi mi ha fatto prendere il coraggio. Dentro la tenda eri beatamente addormentato. La ferita era superficiale e il giorno dopo si sarebbe cicatrizzata completamente. Stavi a pancia in su e i tuoi capelli giacevano arruffati sulla stuoia. Te li accarezzai dolcemente e mi lasciai cadere anche io, ma non riuscii a prendere sonno. Proprio allora le tue palpebre vibrarono e mi accorsi che stavi riprendendo conoscenza. Ti sei girato verso di me, con un sorriso a malapena percepibile nel buio. Mi stringesti la mano facendoti vicino.
“Come va il ginocchio? Se non puoi camminare, ti facciamo venire a prendere e portare in ospedale,” sussurrai io, ma tu hai riso. Mi rispondesti che era solo una sbucciatura, come quelle che ci facevamo da piccoli quando andavamo in bicicletta. Ti ricordavi ancora che alla festa del mio nono compleanno, ai giardinetti, avevamo provato ad andare insieme sulla tua bici, ruzzolando giù perché l’avevamo sbilanciata.
“Era presente anche Giorgio quel giorno,” notai.
“Sì, è stata la prima volta che l’ho visto.”
Io ti feci notare che non erano state tante le volte che eravamo stati in sua compagnia. Ricordo che si annoiava in mezzo ai bambini dato che si trovava in piena preadolescenza e trovava sempre delle scuse per uscire con i suoi amici.
“Non capisco perché abbia voluto immischiarsi ora tra noi.”
“È sempre stato popolare nel nostro quartiere,” o qualcosa del genere è uscito dalla tua bocca, poi sei stato in silenzio a lungo, finché non hai detto questa frase, impressa ancora nella mia memoria: “A quanto pare ottiene quello che vuole, ma ora comincio a pensare che avremmo dovuto essere noi due soli a fare questa vacanza.”
A quel punto non potei più trattenermi e ti chiesi di che cosa stavate parlando quel giorno in cui ero andato a prendere l’acqua per le borracce. Hai detto che non te lo ricordavi e, anche se io insistevo dicendo che stavate quasi litigando, tu hai insinuato che forse era stato un diverbio su come montare la tenda. Vorrei che tenessi bene a mente queste parole, perché le hai smentite proprio la notte seguente, quella fatidica notte in cui il mio cuore non ha retto e la verità è stata svelata. Non si può ingannare la realtà, i fatti emergono sempre. E a giudicare da quel poco che avete fatto per nasconderli, si capisce quanta poca considerazione avete per me.
Mi sono svegliato nel buio della tenda e tu non c’eri.
All’inizio non ero preoccupato, tutt’altro. Pensavo che fossi uscito a prendere una boccata d’aria e avevo voglia di raggiungerti: il sonno mi aveva abbandonato completamente. Non appena misi il piede fuori, mi capitò di sentire dei suoni sospetti proveniente dalla tenda di Giorgio e il sangue mi si gelò di colpo nelle vene.
Tu eri lì dentro con lui e ridevi. La lanterna accesa proiettava ai miei occhi le sagome scure dei vostri corpi abbracciati. Era uno spettacolo ipnotico e terrificante, non riuscivo a smettere di guardare voi due che vi strusciavate l’uno contro l’altro, di udire i vostri sospiri e il rumore dei vostri baci. Lo ammetto, io piansi, piansi a lungo nella mia tenda, incapace di spiegarmi le tue parole gentili, le tue bugie, la mia cecità e illusione, incapace di spiegarmi da dove nascesse una situazione simile.
Il resto lo conosciamo tutti molto bene. La mattina seguente eri di fianco a me, come se nulla fosse successo. Tu dicesti qualcosa, tipo “buongiorno”, ma io non ti risposi nemmeno. Ero scosso da fremiti come se avessi preso l’influenza.
Quando tutti e tre eravamo intorno al fuoco per fare colazione, dato che ero incapace di tenermi tutto dentro, esplosi. Sbattei con forza la borraccia per terra e l’acqua bagnò il terreno, il tappo si piegò tanto era stato forte il colpo. Tu eri pallido, spaventato dalla mia reazione e mi ha chiesto che cosa avessi, così dissi che non ci tenevo a fare da terzo incomodo, che mi avevate entrambi mentito, che sarebbe stato meglio se ve foste andati insieme nei boschi senza coinvolgermi, senza prendermi in giro, tutte cose che penso ancora adesso. Ricordo quanto avrei voluto dare un pugno sul bel viso di mio cugino, mentre rideva, per nulla turbato dalla mia reazione di rabbia, eppure aveva già intuito che provassi dei sentimenti per te, me l’ha detto successivamente in un messaggio. Questa è la persona che hai scelto al mio posto, ricorda bene, una persona crudele persino con i suoi familiari. Secondo il suo parere, però, voi non avevate fatto nulla di male. In fondo, io non ho mai detto in modo esplicito di avere un interesse verso di te.
Ormai smascherato, ti urlai in faccia che aspettavo da tempo di stare da solo con te per rivelarti che ti amavo e avrei accettato un no da parte tua, ma non quello che era successo, poiché era troppo da mandar giù. Volevo sapere tutta la verità e con voce spezzata, in lacrime, come lo ero io, mi hai rivelato che Giorgio era stata la tua prima volta a quindici anni e che avete condiviso il letto insieme spesso e volentieri anche dopo. Di questo voi due stavate discutendo nel momento in cui mi ero allontanato. Ciò che mi ferisce maggiormente è il fatto che me lo hai sempre tenuto nascosto, anche se eravamo migliori amici.
“Io e Giorgio abbiamo commesso un errore la scorsa notte,” hai ammesso, ma era troppo tardi.
“Se me ne vado e vi lascio soli, non lo sarà più. Addio,” dissi solo a te, perché mio cugino non lo meritava, e presi a correre con il mio zaino e il sacco a pelo giù per la collina.
Ti do ragione quando mi scrivi che mi sono comportato da sconsiderato e idiota. Non stavo pensando in quel momento. I sentimenti avevano preso il sopravvento sulla ragione e ho rischiato di morire. Avevo una mappa, ma sarebbe stato facilissimo perdermi, il cellulare aveva campo solo a tratti e non avevo molto cibo con me. Corsi per ore e ore, caddi franando e, quando finalmente trovai una strada trafficata, ero coperto di fango. Non so con quale coraggio una coppia di amici mi prese con sé quando gli feci autostop e mi accompagnarono alla stazione più vicina.
So di averti fatto tanto preoccupare. Mi hai scritto fiumi di parole via messaggio, hai provato a chiamarmi, mentre io ti assicurai solo che ero tornato a casa sano e salvo. Mi hai detto allora che tu e Giorgio stavate tornando indietro. Egli mi scrisse un messaggio, mi ha chiesto scusa, ma allo stesso tempo aggiunse odiosamente che si rendeva conto di avermi punzecchiato con gioia sapendo di essere in competizione con me. Non importa che abbia capito di essere andato troppo oltre, è giusto che impari all’età di ventisei anni che alle azioni seguono delle conseguenze.
Dammi tempo per guarire, non cercarmi. Ho nascosto per troppo tempo i miei sentimenti e ora mi sono implosi. Ho desiderato tanto che tu mi guardassi sempre con occhi pieni d’affetto come hai fatto qualche volta durante la nostra vacanza, ma è stata solo un’aspettativa mia. Sono tanto arrabbiato con te, mentre cerco di immaginare noi due, con i volti tanto vicini da fondere il nostro respiro, perché desideravo che stessimo insieme. Questa è la prova che in realtà sono solo arrabbiato con me stesso, con il me stesso che si rifugia nelle fantasie e vorrebbe solo avere più autostima.
Stammi bene,
Daniele
   
 
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