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Autore: asthma    28/11/2020    3 recensioni
La lavanda era una pianta riconosciuta per le sue proprietà rilassanti, come Joan avrebbe dovuto sapere leggendo i due manuali di botanica che Sherlock le aveva caldamente consigliato. Era un piccolo gesto, che fuori contesto non avrebbe significato nulla, ma che all'interno della loro intesa assumeva un significato stratosferico: un “ci tengo a te, voglio che tu dorma bene” detto non con le parole, ma attraverso un rametto verde e lilla.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joan Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Joan si girò nel letto, sovrapponendo la gamba al piumone azzurro che Sherlock aveva provveduto accuratamente a far arieggiare prima del suo ritorno. Tossì una volta, poi due, portandosi una mano al collo. Improvvisamente avvertì un rumore a malapena udibile, simile al fruscio di una scarpa sul pavimento.

«Non c'è bisogno che tu stia l'intera notte a sorvegliarmi, Sherlock». Joan si alzò leggermente, reggendosi sui gomiti «Sto bene. Vai a riposare».

Dalla poltrona posizionata all'angolo della stanza, Sherlock emise un sospiro. Accavallò le gambe facendo scroccare contemporaneamente le nocca delle mani. Un gesto che era solito ripetere più volte quando qualcosa non lo convinceva.

«Ti hanno dimessa dall'ospedale alle sei di questo pomeriggio. Da allora ho potuto notare come tu abbia tossito di media sei volte ogni dieci minuti. Sono consapevole del fatto che tossire sia un meccanismo di difesa del nostro organismo, come lo starnuto del resto, ma non posso nasconderti, Watson, che sono alquanto preoccupato per la tua salute dopo la quantità considerevole di tetraidruro di carbonio, comunemente noto come metano, che hai respirato in quel magazzino nel West Village».

«So che cos'è il tetraidruro di carbonio, Sherlock, è chimica di base. Vai a letto ora, te ne prego».

Sherlock si alzò, sistemandosi le fodere delle tasche ed accennando un mezzo sorriso, che Joan non fu in grado di cogliere.

«Dormi bene Watson, se dovessi avere bisogno di qualcosa...» lasciò la frase a metà, afferrando fermamente la maniglia della porta della camera. Si alzò due volte sulle punte, esitando sul da farsi, poi, con un gesto veloce ma delicato, estrasse una spiga di lavanda dal taccuino che teneva in mano e la poggiò sul comodino di Joan e uscì con un'unica falcata dalla stanza. Non c'era bisogno di spiegazioni. La lavanda era una pianta riconosciuta per le sue proprietà rilassanti, come Joan avrebbe dovuto sapere leggendo i due manuali di botanica che Sherlock le aveva caldamente consigliato. Era un piccolo gesto, che fuori contesto non avrebbe significato nulla, ma che all'interno della loro intesa assumeva un significato stratosferico: un “ci tengo a te, voglio che tu dorma bene” detto non con le parole, ma attraverso un rametto verde e lilla.

Scendendo le scale Sherlock non poté evitare di deglutire rumorosamente il groppo che tutta la tensione accumulata durante il giorno gli aveva formato in gola. Si strinse il collo della camicia e avrebbe dato una testata al muro, in quel momento stesso, se solo fosse stato sicuro che il rumore non avrebbe costretto Watson ad alzarsi dal letto. La verità è che si sentiva in colpa, miseramente in colpa. Aveva messo a repentaglio la vita della persona a cui più teneva al mondo. Suo fratello Mycroft, per quanto pigro e pallone gonfiato Sherlock potesse rinfacciargli di essere, aveva ragione: non c'era mai stato nessuno e mai ci sarebbe stato nessuno, nella sua vita, in grado di eguagliare tutto ciò che Joan aveva apportato alla sua vuota esistenza. E Joan non sarebbe stata distesa nel proprio letto, nella stanza al piano superiore, se la mattina precedente Gregson, Bell e una decina di agenti non avessero fatto irruzione in quel magazzino del West Village. Questa consapevolezza gli tolse il respiro e un brivido profondo gli percorse la schiena. Lasciò cadere il taccuino su cui aveva annotato con estrema meticolosità tutte le volte in cui Joan aveva tossito durante la notte e salì le scale velocemente, due gradini alla volta. Davanti alla porta si fermò. Il cuore gli batteva vigorosamente nel petto. Ero a tanto così dal perderla. Si ripeté aprendo la porta.

«Che ore sono Sherlock?». Joan si portò una mano sulla fronte. «È gia ora di andare?».

Sherlock alzò impercettibilmente le sopracciglia: «Non andremo da nessuna parte oggi, Watson». Si sfilò una scarpa e poi l'altra. «Sono le cinque e tredici minuti e per oggi il dipartimento della polizia di New York potrà lavorare senza i nostri preziosi servigi. Torneremo ad occuparci di spietati assassini e borseggiatori in erba da domani».

Joan lo guardò confusa sbottonarsi il gilet e adagiarlo sullo schienale della poltrona. Avrebbe voluto chiedergli quali fossero le sue intenzioni, ma Sherlock si era già infilato sotto le coperte accanto a lei.

«Sherlock. Cosa stai facendo?». Restò supina, voltando semplicemente la testa alla ricerca del suo sguardo. Sherlock appoggiò la fronte alla sua spalla. Mosse la testa più volte, lentamente, su e giù, giù e su, come a respirare il profumo della sua pelle: lavanda. Poi spostò un braccio e lo appoggiò delicatamente sullo stomaco di Joan, toccando con la mano la parte opposta del letto, ancora fredda, indice del fatto che Joan prediligesse la parte destra del materasso a una piazza e mezza.

«Ho rischiato davvero di perderti questa volta» la sua voce giunse come un sussurro. «Lasciami restare qui con te, voglio assicurarmi che tu stia bene».

Il cuore di Joan accelerò il battito e il rossore che aveva invaso le sue guance sarebbe stato chiaramente visibile se non fosse stato per il buio della stanza. Tuttavia, non disse una parola. Accarezzò la testa di Sherlock, ancora appoggiata alla sua spalla, e si addormentò, ringraziando il cielo per quel giorno in cui le loro strade si erano incrociate.

   
 
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