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Autore: rocchi68    29/11/2020    1 recensioni
Dawn era sempre stata una ragazza che, anche dinanzi alle difficoltà più disparate, affrontava il tutto con un sorriso e una dolcezza disarmante.
Una sera, però, si era ritrovata davanti a un’amara sorpresa.
Non aveva amiche, non aveva un posto in cui stare, era stata tradita dal proprio fidanzato nel momento di massimo splendore ed era frustrata da tutti quei fallimenti in rapida successione che potevano sancire la sua completa rovina.
Poteva spegnersi, cercare una scappatoia per la felicità oppure chiedere un ultimo disperato consiglio all’unica persona che mai l’aveva abbandonata.
Sempre che quest’ultimo fosse d’accordo…
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Duncan, Scott, Zoey | Coppie: Duncan/Gwen
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Chef non si aspettava di ritrovarselo davanti quel pomeriggio.
Era da parecchio che il vecchio Hatchet non conosceva una gioia, salvo poi ricadere nel medesimo dispiacere che aveva patito quando il suo piccolo DJ l’aveva affrontato a muso duro per chiedergli il motivo dell’assenza alla sua festa di compleanno, con conseguente divorzio dalla sua ex.
Era entrato, dopo una settimana di chiusura dettata dalle ferie, alle 15 in punto, aveva salutato Duncan, scambiando qualche battuta e poi si era avviato verso l’ufficio del suo capo impegnato come sempre a firmare, leggere e paragonare i documenti della sua scrivania.
“Mi spiace, signore.” Esordì, sedendosi proprio davanti a Chef e distogliendolo dalle sue scartoffie.
“Per cosa Scott?”
“Non volevo arrivare a tanto, ma purtroppo non mi resta altra scelta.”
“Eh?”
“Tempo fa le ho confidato un problema personale e ormai ho capito che sta prendendo il sopravento e  che devo allontanarmi per stare meglio.”
“Ed io che centro?” Chiese l’uomo.
“Non voglio girarci troppo a lungo, finirei con il farmi del male.”
“Che cosa vorresti da me?”
“Devo andarmene da questa città e per questo devo accettare la proposta dei McLean.”
“La mia risposta è no.” Replicò Chef, alzandosi in piedi e puntandogli contro la penna che stava usando per firmare i documenti.
“Mi spiace.”
“Con i mi spiace, non si migliora il mondo e non si correggono i propri sbagli.”
“Io…”
“Ne abbiamo passate di tutti i colori e ora tu vieni qui e mi tiri un pacco simile?”
“Mi…”
“Se ripeti mi spiace, ti pianto un proiettile in mezzo agli occhi.”
“Perché devo restare in questa città se non sono più felice?” Chiese, alzando lo sguardo sofferente e incrociando gli occhi del suo capo.
“Per me stai sbagliando.”
“Io…”
“Dormici su ancora un po’ e poi troveremo un accordo.” Soffiò Chef.
“Non credo cambierò idea.”
“Il destino opera in modo imperscrutabile ed è meglio garantirsi sempre una scappatoia.”
“Domani dovrei iniziare a lavorare per i McLean.”
“L’unica concessione che posso darti è che sarai libero da ogni vincolo del Pahkitew solo quando metterai piede nel locale dei McLean.” Brontolò il vecchio Chef.
“Se un giorno dovessi pentirmene, significa che la soluzione migliore era quella d’ascoltarla fin dal principio.”
“Davvero?”
“Dovevo provarci da subito, ma scappando ho solo rovinato tutto.”
“Verrai a farmi visita ogni tanto?” S’informò l’uomo, facendolo annuire impercettibilmente.
“Non glielo garantisco, ma posso provarci.”
“Anche se odio i McLean dal profondo del mio cuore, sono sicuro che riuscirai a farti valere con quel maledetto taccagno e presto, magari tra qualche mese, sarai la stella che migliorerà per sempre la qualità dei loro locali.”
“Tutto quel che so, che ho sperimentato, è solo merito dei suoi preziosi insegnamenti.” Soffiò il rosso, facendo sospirare Chef che si ritrovò ad asciugarsi gli occhi.
“Mi dev’essere entrata un po’ di polvere in questi stupidi occhi.” Ringhiò, passandosi freneticamente una mano e cercando di non mostrare la sua debolezza.
“Io…”
“Ricorda comunque, ragazzo, che la carriera di un barman non finisce mai e che hai sempre qualcosa da imparare.”
“Sarà fatto.”
“Lascia pure le chiavi sopra questa scrivania e saluta come si deve i tuoi vecchi colleghi.” Borbottò, pregandolo di non staccarsi completamente dalla loro città.
Così come gli era capitato prima di partire per la guerra, ignorando tutti i suoi vecchi amici e conoscenti, Chef Hatchet aveva imparato una lezione d’oro. Era partito con la prima camionetta di soldati, non aveva salutato nessuno e al suo ritorno, quasi una decina d’anni più tardi, nessuno gli aveva perdonato quella fuga improvvisa.
Era stato dimenticato e quando uno scheletro sbuca in un armadio, ecco che la sorpresa non è mai troppo piacevole.
Coperto da un’impermeabile marrone, con un sigaro tra le labbra e con la bandiera cucita sul suo zaino, era tornato, senza che quasi nessuno rimanesse colpito dalle sue conquiste o dalle umiliazioni patite. Quando aveva fatto visita agli anziani genitori, sentiva di meritarsi, non solo dai vicini, ma anche dagli ex compagni di liceo, tutto quell’astio.
Aveva raccolto tutto quell’odio, aveva sbattuto la porta in faccia a quelle persone così prive di ogni qualità e con immensa fatica aveva aperto il Pahkitew.
Per un po’ era stato felice, ma con il passare degli anni si era reso conto che una lettera o un semplice confronto sarebbe stato molto più apprezzato di un inutile e dannoso silenzio.
“Sai…te lo dico per esperienza personale.” Nicchiò, accendendosi un sigaro e risedendosi sulla sua poltroncina.
“D’accordo.”
“E cerca di non lasciare strascichi velenosi con questa tua scelta.”
“Hm?”
“Non si sa mai di quali persone si potrebbe aver bisogno l’indomani.” Spiegò distrattamente, riaprendo il portatile e concedendo al rosso un’ultima occhiata.
“Farò del mio meglio.”
 
Quando aveva preso la macchina e aveva acceso la radio, si era scontrato con la possibilità che Chef gli dichiarasse guerra. Già lo vedeva che devastava mezzo ufficio con la polizia che sopraggiungeva in pochi minuti per evitare un omicidio.
Non era mai stato un cattivo diavolo, ma talvolta si poteva dubitare sulla sua bontà infinita.
E Scott, non sapendo come aveva passato la notte, temeva che lui potesse trasformarsi nell’incarnazione del male.
Prima di tornare in sala, controllò l’orario che era affisso sulla porta dello spogliatoio e riempì una borsa con tutti i suoi effetti personali. Dal suo armadietto tolse un vecchio poster, alcune calamite e dei giornali che dimenticava sempre di buttare e che da quasi sei mesi erano in un angolo.
Con i manici della borsa in una mano e con la sua vecchia giacca nera nell’altra ritornò in sala, dove per uno strano scherzo del destino, trovò tutti i suoi amici.
Mal era appena arrivato e stava preparando alcuni drink elementari, Duncan aveva appena caricato la lavastoviglie e sbirciava verso Zoey, Gwen e Mike che stavano consumando uno spuntino.
Appoggiate le borse al suolo, giunse alla sua postazione e poggiò il suo mazzo di chiavi del magazzino e della saletta privata.
Tutti quei movimenti robotici e privi di ogni senso catturarono l’attenzione di Duncan che fu il primo ad avvicinarsi per capire che cosa stava accadendo.
“Pensavo fossi di riposo”
“È finita Duncan.” Sbuffò, abbassando la testa e sforzandosi di non cominciare a piangere.
“Cosa?”
“Mi dispiace, ma non ce la faccio più.” Brontolò, negando diverse volte con il capo, quasi cercasse la forza in qualche angolo sperduto di quella sala.
“Di che parli?” S’intromise Gwen.
“Sono stanco e ho bisogno di cambiare aria.”
“Se hai bisogno di riposo perché stai ancora qui?” Domandò Duncan, sperando di ottenere una qualche reazione dallo sguardo ferito dell’amico.
“Mi dispiace…dico sul serio.”
“La smetti con tutti questi misteri?” Replicò il punk, puntandogli contro un coltello e invitandolo a parlare prima di fare qualche sciocchezza.
“Avevo promesso che il Pahkitew sarebbe stato l’unico locale della mia vita, ma purtroppo non è destino.”
“Vuoi andartene?” Borbottò Mike che aveva intuito qualcosa.
“Ho accettato la proposta del signor McLean.” Soffiò con calma glaciale, sentendo poco dopo una serie di bicchieri raggiungere il pavimento.
“Tu…”
“Devo solo firmare il nuovo contratto, ma nel frattempo Chris ha preteso che informassi Chef della mia decisione.”
“Stai facendo una cazzata!” Sbraitò Duncan, rimproverandolo per quella scelta assurda.
“Sei tu a vederla così, Duncan.” Sussurrò placido.
“Tempo fa dicevi che mai ti saresti sognato di lavorare per uno che tratta i suoi dipendenti come delle nullità, anche a costo di rinunciare a tutto quel denaro.”
“Quei giorni non torneranno più.” Si rammaricò, inspirando profondamente.
“No!”
“Da oggi sarai tu, Duncan, il capo barman.”
“Non voglio.” Si ostinò il punk, allontanando quella responsabilità che non sentiva ancora in grado di sopportare.
“Era il tuo sogno.”
“Io non voglio diventare capo barman in questo modo!” Tuonò, facendo sussultare alcuni vecchietti che, con il timore di assistere a una rissa a pochi passi da loro, si ritrovarono a raccogliere le carte, a pagare il conto e a scappare in un altro locale.
“Non fare il bambino.” Replicò Scott, continuando a porgere la sua vecchia giacca, leggermente sgualcita sulla manica destra, al collega.
“Avevi promesso che non avresti mai accettato.”
“Ho mentito.”
“Perché l’hai fatto?” Richiese Duncan, facendolo sorridere amaramente.
“Tutti gli uomini mentono: la sola variabile è su che cosa.”
“Stai ricopiando la battuta di un film.” Gli fece notare Gwen con sguardo carico di rabbia.
“Questa semplicemente è la scelta migliore che potessi fare per il mio futuro.” Si confidò, sperando che gli altri lo lasciassero in pace.
“Cazzate!” Sbottò il punk, afferrandolo per la maglietta e fissandolo negli occhi.
“Lasciami Duncan.” Lo pregò, abbassando lo sguardo.
“Ti lascio andare solo se mi guardi negli occhi e mi spieghi il motivo.”
“Non capiresti.”
“Da quando mi reputi così stupido da non comprenderti?”
“Duncan…”
“Ho bisogno di sapere il motivo.” Gracchiò, mentre Mal cercava di convincere il collega di allentare la presa prima di essere costretto a chiamare rinforzi.
“Io…”
“Guardami negli occhi!” Ripeté, cercando di creare un contatto visivo con Scott.
“Sapevo l’avresti presa così male, ma non volevo andarmene con una semplice telefonata.”
“Cosa ti aspettavi? Che fossi pronto a stenderti il tappetto rosso e che fossi felice di prendermi carico delle tue responsabilità?”
“Mi spiace.” Mormorò, trovando il coraggio di fissarlo negli occhi.
“Credi che Duncan si accontenti di così poco?” Domandò Zoey, inserendosi e facendo annuire tutti i presenti.
“Non volevo ferirvi.”
“Eppure lo stai facendo.” Obiettò Gwen, notando come il fidanzato si stesse trattenendo per non riempire di pugni l’amico.
Duncan, se avesse avuto la certezza che McLean non avrebbe mai assunto un dipendente con occhi neri o fratture multiple, l’avrebbe spedito pure all’ospedale e l’avrebbe legato al letto per i successivi 4 mesi, pagando di tasca sua anche l’intero reparto di rianimazione e il primario che sarebbe stato costretto a visitarlo.
“Noi siamo amici e te ne vai così.” Continuò Mike, facendo socchiudere gli occhi al diretto interessato.
Ciò che aveva ascoltato fino a quel preciso momento era la pura e semplice verità. Mai si sarebbe sognato d’allontanarsi dal Pahkitew, specie se doveva piegarsi al denaro promesso da Chris, né avrebbe abbandonato i suoi pochi amici.
Quella era la sua città, la sua gioia, ma c’era un qualcosa che andava ben oltre a tutto questo. Se fosse rimasto, avrebbe continuato a soffrire. Accettate le loro parole, Scott dischiuse gli occhi e si ritrovò quasi accecato dalle luci che si ergevano sopra il banco di lavoro.
“Non ho bisogno di voi e dei vostri consigli.” Ribatté, gelando i suoi amici e facendo allentare la presa di Duncan. Nel vederlo intontito da quelle parole, ne approfittò per scostare la sua mano e per allontanarsi di qualche passo.
“Sei un ingrato!” Ribatté Mal, tornando al suo lavoro e ignorandolo.
“Vi giuro che è stato bello lavorare con voi, ma devo andare.”
“No!”
“Mi mancheranno le nostre chiacchierate e i nostri progetti, ma devo preparare le valigie.” Affermò il rosso, evitando la successiva mano che aveva tentato di acchiapparlo nuovamente.
“Io non mi bevo queste stronzate.” Sbuffò il punk, facendolo tentennare.
“Come faccio a spiegarmi?”
“Fino a poche settimane fa avresti riso in faccia a McLean e oggi ti svegli e decidi di partire senza dirci nulla.”
“In questi giorni ho avuto tempo di ascoltare il mio cuore e ho capito che questa città non ha più nulla da offrirmi.” Sospirò, girandosi verso i suoi amici.
“E non vuoi salutare Dawn?” Gli chiese Zoey.
“È stata lei a spronarmi e a consigliarmi di accettare la proposta del signor McLean.” Mentì, inginocchiandosi per aiutare Mal a raccogliere i cocci di vetro.
Il gemello di Mike, anche da quella posizione, gli avrebbe rifilato volentieri un pugno sul muso, ma nel notare il suo impegno e le sue lacrime, si accontentò di riservargli un’occhiata infastidita.
“Ne era consapevole?”
“Non l’ha detto chiaramente, ma si è fatta capire a meraviglia.” Sbuffò, gettando i fondi dei bicchieri nel cestino e sfiorandosi l’occhio destro.
“Lei non ci ha detto nulla.”
“L’ho pregata di non farlo, Zoey.” Ribatté Scott, rimettendosi in posizione eretta e vedendola stringersi al braccio di Mike.
Nel notare quel movimento così semplice, ma allo stesso modo automatico, il rosso si era reso conto di una cosa. Quando si riceveva una brutta notizia e si temeva di non riuscire ad affrontarla con le proprie sole forze, le persone cercavano consolazione e appoggio verso coloro per cui provavano maggior affetto.
Se Duncan non fosse stato dall’altra parte del bancone, probabilmente Gwen gli avrebbe stretto la mano per fargli forza.
Così come una cameriera, assente in quel preciso momento, avrebbe tentato di tenere calmo Mal, portandolo magari nel retro per una sigaretta da consumare in santa pace.
Quella mossa aveva reso evidente quale fosse stata la scelta che Mike aveva maturato in quelle poche settimane. Quest’ultimo era rimasto sicuramente sorpreso dall’improvvisa e immotivata vicinanza di Dawn, specie se poteva far ingelosire Zoey per poi punzecchiarla e farla sorridere.
In tutto questo non aveva mai considerato Dawn come la donna della sua vita e i suoi abbracci sarebbero state le uniche gioie che lei avrebbe ricevuto nei suoi tentativi di esaltarsi agli occhi degli altri. Quando si attaccava al suo braccio o tentava un approccio ben più serio di una carezza sulla guancia o di un bacio d’affetto nella medesima zona, era stato evidente quanto Mike fosse imbarazzato e di quanto sperasse che lei non andasse oltre.
Nel sostituire Dawn con Zoey era evidente tutto il contrario. Con la prima era teso e preoccupato come una corda di violino, mentre con la seconda si sentiva libero di sorridere e di comportarsi come se niente fosse. Era da mesi che era lampante l’interesse reciproco tra Mike e Zoey ed era lecito aspettarsi che lui non mandasse tutto in malora.
Loro erano due facce della stessa moneta. Erano due pezzi che combaciavano alla perfezione e che, con il loro amore puro e cristallino, non si sarebbero mai più divisi. Se l’avevano notato perfino gli sfigati dei camerieri, allora era una cosa talmente lampante da sembrare una verità assoluta.
Di conseguenza a questa scelta, che Scott aveva accolto con un mesto sorriso di circostanza, era più che evidente che Dawn avesse perso, nonostante l’impegno e la buona volontà, la sua ennesima battaglia con i mulini a vento.
“Sicuro di quel che fai?”
“Non posso più rimanere Mike, mi capisci?” Borbottò risoluto.
“No.”
“Credevo che almeno tu dicessi che questa era la strada migliore.”
“Ognuno di noi sbaglia e poi si corregge.”
“Non tornerò più sui miei passi.” Replicò il rosso con un pizzico di fastidio, apprestandosi a risalire quella che, metaforicamente parlando, era la sua nuova vita.
In quei lunghi anni di servizio presso il Pahkitew di Chef Hatchet credeva d’aver tagliato il traguardo e che nulla potesse intralciare ciò che aveva realizzato con tanta fatica. Era giunto al suo premio, prima che il destino si accorgesse che era stato tutto troppo facile e che, quindi, avesse bisogno di una bella penalità per ricominciare a sputare sangue.
“Vorrà dire che ti auguro buona fortuna.” Ribatté, allungando la mano e aspettando pazientemente che lui appoggiasse la borsa per stritolargliela.
“È già qualcosa.”
“Anche se non lo approvo.” Continuò con sguardo di sfida.
“Qualcuno accetterà mai la mia scelta?” Domandò spazientito e alzando gli occhi verso il soffitto rinfrescato di recente.
“Ti sembrano domande da fare?” Replicò Gwen, mentre Mal le porgeva il cocktail alla menta peperita che aveva ordinato da 10 minuti circa.
“Ogni tanto verrò a vedere come state.”
“Come se fosse sufficiente.” Mugugnò Duncan, leggendo le ordinazioni quasi illeggibili del tavolo numero 7 e che pretendevano 3 limoni bis e un Margarita.
“E vedete di tenere alto il nome del Pahkitew.”
“Non siamo dei pivelli come te.” Lo sfidò Mal.
“Se mai aveste bisogno di me, Chef avrà il mio nuovo numero.”
“Misterioso fino alla fine eh?” Bofonchiò Mike, assaggiando alcuni stuzzichini salati che erano in bella vista davanti a lui.
“Vi auguro che siate felici e che i vostri sogni si realizzino.” Soffiò il rosso, abbracciando anche le ragazze.
Accucciatosi di nuovo, raccolse le borse cariche dei suoi effetti personali e si avviò verso l’uscita.
Prima, però, di riuscirci la voce di Duncan riempì quella stanza.
“Se esci da quella porta, non tornare più!” Sbraitò il punk, liberatosi dalle ordinazioni rimaste in sospeso e minacciando l’ex collega.
“Duncan...”
“Non ti permetto di lasciarci così!” Esclamò nuovamente.
“Un giorno capirai e mi ringrazierai.” Soffiò deluso, ignorando le sue minacce e uscendo per sempre dal Pahkitew.
 


Angolo autore:

Ryuk: Buonasera a tutti.

Finalmente ci ricordiamo che oggi è domenica.

Ryuk: A che punto stiamo?

Mancano una decina di capitoli alla conclusione, se non sbaglio.
Ovviamente vi ringrazio per le visite e per le recensioni e spero che questo ciclo finale possa piacervi.
A presto!
 
   
 
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