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Autore: DhakiraHijikatasouji    30/11/2020    0 recensioni
Siamo in tempo di guerra, anno 1916. Nessuno però sa che sotto un bunker una donna sta partorendo e un bambino alla luce sta dando. Questo cucciolo però non sa che dovrà crescere affrontando un’orribile infanzia da orfano dove scoprirà la sua vera natura che in tutto il racconto non riuscirà a negare a sé stesso. Soprattutto quando incontrerà l’aspirante artista Bill Kaulitz. E lì riuscirà a capire tutti i ritratti del mondo…del loro mondo.
INCEST NOT RELATED
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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Kapitel 8

Il raggio di sole entrò nitidamente in quella gelida soffitta e illuminò i due ragazzi abbracciati su quel lenzuolo logoro di pittura e sesso. Lo avevano fatto e rifatto fino a che avevano respiro ed energie, poi erano crollati. Era incredibile che gli fosse presa in quella maniera, sembrava non avessero mai abbastanza l’uno dell’altro. Si erano toccati tutte le volte come fosse la prima, con tutto il rispetto e l’amore del mondo. Non erano intenzionati a fare nulla di sporco, scabroso o blasfemo - come l’avrebbero definito tutti - ma a onorarsi come una coppia normale...come una coppia di sposi. Tom aprì gli occhi con quel pensiero in mente. Stava facendo un bellissimo sogno, un po’ bizzarro...ma bello. Aveva sognato di sposare Bill in mezzo alle campagne. Egli aveva i capelli lunghi ed era vestito da sposa. Sembrava una donna, ma a Tom non importava. Ah, e avevano due figli, una femmina e un maschio, lei la maggiore. E al loro matrimonio c’erano davvero pochi invitati, che sembravano essere loro amici stretti. Tom aveva provato tante volte nostalgia di un sogno, come quando si svegliava dopo aver visto Oskar nella sua mente, ma non aveva mai e poi mai provato la nostalgia di qualcosa che non era mai avvenuto o che non avrebbe ottenuto mai. Sarebbe rimasto tutto onirico per sempre, lo sapeva. Tom si sollevò leggermente e vide Bill che dormiva placidamente. Era disteso di profilo. Un braccio lo teneva piegato vicino al viso e l’altro allungato a suo favore, appoggiato sul suo fianco, come a volerlo abbracciare inconsciamente. Il viso era tranquillo e terribilmente perfetto. Tom invece era sicuro di avere gli occhi arrossati e qualche segno del lenzuolo spiegazzato in faccia. Era uno straccio tutte le volte che si destava. Però non ci pensò e sorrise. Era davvero felice. Si chinò piano e gli baciò una guancia, e poi le labbra. A quel contatto percepì un mugugno da parte di Bill, che si era scostato e girato dall’altra parte. Di mattina doveva essere davvero romantico.

- Non lo fare più- Aveva detto trascinato. Tom ridacchiò.

- Cosa?-

- Non baciarmi...di prima mattina-

- E come mai?- Chiese avvicinandosi e sporgendosi per vedergli il viso corrucciato, nonostante tenesse ancora gli occhi chiusi.

- Sai, non è che ho un campo di fiori in bocca e non mi piace- Per un attimo Tom aveva pensato che si stesse lamentando di lui, invece parlava di sé stesso.

- A me non importa. Per me è lo stesso. E poi...sei incantevole quando dormi- Il moro si voltò lasciando trasparire un calmo sorriso.

- E ora che mi hai svegliato?-

- Ora sei irresistibile- Bill rise prendendogli il viso tra le mani e lasciandogli un lungo bacio a stampo sulle labbra. - Se inizi a fare così, dovremmo ricominciare da capo-

- Non sai quanto mi piacerebbe ma...sono davvero impegnato oggi. Il primo compito della giornata è inventare una scusa da propinare alla servitù. Sai, non è usuale che il padrone di casa dorma in soffitta dove non c’è un letto...ma c’è un uomo- Il sorriso di Tom si spense tutto insieme improvvisamente. Sembrava avesse pensato una cosa orribile. - Tom, tutto a posto?-

- Devo scappare!- Si alzò e prese i propri vestiti cominciando a metterseli in fretta e furia.

- Posso farti riaccompagnare, non è necessario che tu faccia così…-

- No, te ne sono grato, ma devo assolutamente correre!- Si infilò le scarpe e ringraziò di avere i capelli perennemente in ordine perché non voleva più saperne. Si avvicinò un’ultima volta a Bill per lasciargli un bacio sulla fronte. - Anche io devo inventare una scusa. Non prendere male questa mia fuga…-

- No, lo capisco. Sei abituato a scappare, ormai- Rispose con ironia. - Ci rivedremo-

- Sicuro- Lo baciò velocemente e se ne scappò via. Bill rimase quindi solo in quella stanza gelida a riflettere. Non erano liberi, ma neanche l’essere etero avrebbe garantito loro la libertà, era quella la cosa brutta. Se Bill fosse stato davvero una donna, come nel sogno di Tom, sarebbero solo sembrati delle persone che avevano ceduto al piacere della carne ancora prima di unirsi in matrimonio, due lussuriosi. Ma dato che erano uomini entrambi, c’era anche la blasfemia di mezzo. Il loro rapporto poteva essere considerato una malattia mentale? Erano loro ad essere sbagliati e da aggiustare? Sospirò alzandosi dal lenzuolo e abbracciandosi da solo, siccome era nudo e faceva davvero molto freddo. Si avvicinò alla finestra e riuscì a scorgere Tom che correva in strada. Sorrise teneramente. Aveva certi modi da adolescente che facevano ben vedere la sua età di diciassette anni, ma stava affrontando una questione che neanche un adulto avrebbe saputo sopportare. Quella non era una semplice marachella, e ringraziando che ancora nessuno aveva scoperto niente! Tornò serio e pensò che fosse meglio vestirsi e scendere per la colazione. Se qualcuno gli avesse fatto domande, avrebbe detto che Tom e lui si erano addormentati durante una conversazione che stavano avendo sui suoi dipinti, in quanto alla mostra avevano bevuto un po’ troppo. Sperava gli avrebbero creduto, sennò sarebbe stato un grosso problema.

 

***

 

Tom rincasò dopo qualche minuto nel quale si era fermato in cortile a riprendere fiato. Non poteva farsi vedere paonazzo e con il fiatone, sennò gli avrebbero chiesto un motivo plausibile. Era davvero brutto che non potesse tenersi delle cose per sé e che fosse quasi costretto a spifferare i fatti suoi o a trovare scuse. Non era normale una vita del genere, non era giusta, ma una vita ingiusta gli era toccata da quando aveva schiuso gli occhi al mondo, ormai avrebbe dovuto averci già fatto la corazza. Prese un enorme respiro ed entrò in casa. Sulle prime un silenzio tombale lo accolse, sembrava deserta, ma poi una voce…

- Tom- Sobbalzò quasi dallo spavento e si voltò in direzione delle scale. C’era il signor Winkler con un sigaro in bocca che lo fissava dall’alto della sua posizione. Sembrava volesse ridurlo esattamente come quel sigaro. - E’ strano vederti di buon mattino. Mi farebbe piacere sapere dove hai passato la notte, e soprattutto il motivo per il quale sei così mattiniero...o dovrei dire di fretta?- Il ragazzo pensò innanzitutto a mettersi composto, ma non pronunciò parola. - Ti ho visto mentre fiatavi ansimante nel cortile. Ora spiegami-

- Saphira non le ha detto niente?-

- Certo, ma sono curioso di sapere la tua versione dei fatti- Ecco, adesso era nello schifo più totale. Se la sorella aveva raccontato una storia differente, Tom sarebbe risultato molto sospetto e lo avrebbero punito in qualche modo.

- Io sono...sono andato a dormire da un collega...di lavoro. Avevamo delle faccende da sbrigare...e alla fine lui mi ha offerto di rimanere ed io...non ho potuto rifiutare- Il signor Winkler sembrò ponderare la sua risposta e intanto l’ansia stava crescendo nel cuore di Tom. Camminava avanti e indietro lentamente, continuando a consumare quel povero sigaro. In che razza di bocca si trovava, pensò Tom.

- Sì...più o meno. Saphira ha detto che ti trovavi dal signor Bücher, che è il tuo datore di lavoro- 

- Lo so, ma io e il signor Bücher ci consideriamo colleghi, ormai. E’ stato lui a dirmelo- Rispose prontamente il ragazzo.

- Capisco. Resta comunque il fatto che hai lasciato Saphira da sola, in una maniera a dir poco maleducata e villana!- Il tono dell’uomo era nuovamente tornato duro e minaccioso.

- Mi sono scusato con lei, le ho detto che mi dispiaceva, ma che non riuscivo a dire di no…-

- Sì, delle tue patetiche scuse lo ha detto anche lei- Ora era sprezzante. Eccolo, eccolo l’odio che Tom aveva sempre percepito. Stava nuovamente tornando alla luce e questa volta non sapeva che cosa gli avrebbe riservato. - Sai una cosa, Tom? Il tuo comportamento non mi piace affatto, e non piace neanche a mia moglie, ed io come marito voglio che lei sia felice, lo capisci, vero?- Tom annuì. - E’ normale desiderare la felicità delle persone che si ama, come è normale rispettarsi in una coppia...non ho forse ragione?- Annuì ancora. - Bene. Tu questo non hai saputo farlo. Saphira non l’ha detto, ma era visibilmente turbata dall’atteggiamento che hai avuto ed io non voglio più che una cosa come questa si ripeta, va bene!?- 

- Sì...signore-

- Lo hai detto anche l’altra volta. Devi capire veramente a che gioco stai giocando, perché sembra che non lo sappia nemmeno tu-

- Io…-

- Invece io il mio lo so bene- Lo interruppe. - E siccome tu hai fatto il tuo tiro, adesso è il mio turno, sta a me giocare- Il respiro di Tom prese a tremare. Era terribilmente stufo di quella vita. Si sentiva uno schiavo, e ora stava per arrivare l’ennesima pena. - Che ne dici di questo fine settimana?- Tom assunse un’espressione confusa.

- Che cosa intende?- Invece il signor Winkler sembrava improvvisamente contento.

- Ma è chiaro, mi sto riferendo alle nozze con mia figlia- Il ragazzo sbiancò in un istante. - Cosa c’è? Te ne eri dimenticato per caso?- Doveva aspettarselo, l’ennesimo tiro mancino. Non se ne era dimenticato, ovviamente. A volte non dormiva bene per colpa di questo destino...ma non credeva che fosse così imminente. Pensava di avere ancora tempo. 

- E’ una punizione?- Chiese coraggiosamente, cercando di non far tremare la voce. 

- Prendila come credi. Il tuo comportamento non sta piacendo a nessuno in questa casa, fattene una ragione- Si avvicinò puntando gli occhi nei suoi. - O ti metti in riga da solo oppure lo facciamo noi- Poi si allontanò, silenzioso come la morte. Tom prese a respirare in maniera convulsiva e le mani gli si strinsero in due pugni. Andò al muro e cominciò ad urlare picchiando la parete. Lacrime amare cominciarono a scendere dai suoi occhi e il sangue dalle sue mani. Sarja sentì tutto quel baccano e, spaventata, accorse immediatamente. Non appena entrò, si posò le mani sul cuore. Tom era sulle ginocchia a piangere con le mani tutte piene di ferite. Sembrava un bambino che si era appena sbucciato il ginocchio, ma Sarja sapeva che non poteva trattarlo come tale. Si chinò alla sua altezza.

- Che cosa è successo?- Cercò di asciugargli le lacrime, ma Tom gli allontanò le mani per puro orgoglio. Era un uomo, e gli uomini non dovevano farsi vedere piangere, non dovevano farsi consolare.

- Nulla. Vammi a prendere del disinfettante e delle bende- Quel tono così...autoritario...non apparteneva per niente a Tom. Sarja sulle prime rimase sconcertata, seppur era abituata a sentire ordini a destra e a manca. Gli occhi dorati del ragazzo si puntarono su di lei, seri come mai prima. - Sei sorda per caso? Muoviti!- Sarja annuì e si alzò per andare a prendere quanto necessario per curarlo. Nel tragitto trovò il signor Winkler e fu un attimo, ma ebbe modo di rivolgergli uno sguardo pieno di astio. Era sicuramente colpa sua per il cambiamento repentino di Tom, e lei non voleva che il signorino rinunciasse alla sua gentilezza per un mondo che non gli avrebbe regalato altro che un immenso dolore. Quando trovò il disinfettante e le garze, tornò indietro. 

- Mi dia la mano, per favore- Tom gliela porse e Sarja cominciò con il disinfettante, che bruciava, ma era sopportabile. - Non avrebbe dovuto farsi così male...lo sa, vero?- Lo sentì grugnire. - Io ho capito che tra lei e Saphira non potrà mai esserci un amore, ma...lei non è il primo, e di certo non sarà l’ultimo...mi capisce?-

- E questo cosa vuol dire? Se una cosa capita frequentemente, non significa che sia necessariamente quella giusta-

- E le do immensamente ragione, ma che cosa può farci, alla fine?- Sarja non voleva andargli contro. Soffriva a vederlo così, esattamente come fosse stato un figlio.

- Niente…- Aveva degli occhi così spenti che faceva quasi paura. Quello non sembrava Tom. Quella gente gli stava togliendo la poca felicità che gli restava, la poca libertà che non aveva mai avuto veramente. Ma Sarja era solo una domestica e, per quanto volesse bene a Tom, non poteva fare nient’altro che esserci e aiutarlo laddove era possibile. Una volta che ebbe terminato di curargli le mani, lasciò che il ragazzo se ne andasse in silenzio nella sua stanza dove logicamente si chiuse per tutto il giorno. Quando Saphira rincasò, chiese a Sarja il motivo dell’assenza di Tom. La donna le raccontò quanto successo e la ragazza, anche lei all’oscuro di tutto, non poté fare altro che assumere lo stesso atteggiamento: estraniarsi da quel mondo che non faceva altro che prenderla a calci.

 

***

 

Qualche giorno dopo…

Tom aveva cercato di evitare Bill per tutto quel tempo. Non aveva risposto alle sue chiamate o alle sue lettere. Perfino una volta egli era venuto per visitarlo e lui non aveva avuto il coraggio di scendere e di chiarire. Il moro quindi si era fatto l’idea di aver commesso un errore che Tom non volesse perdonargli. Eppure l’ultima volta si erano lasciati per bene, con il desiderio di vedersi ancora. Come poteva essere? Bill non riusciva a concentrarsi totalmente sulle carte e sugli incassi ricevuti dalla mostra. Era perennemente in un’altra dimensione a ricordare la notte più bella della sua vita con la paura che non si sarebbe più ripetuta. Erano forse venuti a conoscenza di tutto e lo avevano segregato in casa come terapia purificatrice? Ormai stava arrivando anche alle supposizioni più assurde. Non riusciva proprio a spiegarsi questo isolamento forzato. Sarebbe potuto andare alla biblioteca, ma se c’era anche il proprietario con altra gente estranea, non avrebbero potuto intrattenere una conversazione su certi temi. Per quella volta il tempo non gli era stato d’aiuto, e la giornata sembrava a posto, con qualche nuvola qui e là. Tuttavia decise di uscire ugualmente. Una passeggiata non gli avrebbe fatto di certo male. Erano giorni che stava seduto ad una scrivania, doveva liberare la mente e rilassarsi un attimo, così si vestì meglio per uscire. Una volta in paese, la gente lo fissava in maniera strana, come fosse una creatura mistica, e spettegolava penosamente di nascosto. L’evento della mostra aveva fatto scalpore, come la sua presenza tra i compaesani in quel momento. Bill non usciva mai di casa e veniva raccontato che avesse la pelle bianca come il latte perché non prendeva mai il sole. Qualche persona si fermò anche a congratularsi oppure anche solo a rivolgergli un saluto. Alcuni gli chiesero persino delle notizie su suo padre. Sarebbe tornato a breve, lo sapeva, ma non gli mancava per niente. Ovviamente finse. Un falso sorriso e delle false parole erano necessarie nella sua società. Poi d’un tratto scorse una persona, che gli parve familiare, allontanarsi in mezzo alla folla.

- Scusi un attimo- Prese a correre allontanandosi dalla donna con la quale stava parlando. Inseguì quella figura con le treccine fino ad un piccolo vicolo, per poi afferrarla per il braccio. - Tom!- Aveva il fiatone per la corsa. - Ehi...finalmente. Hai idea di quanto ho patito perché non ti facevi sentire?- Il ragazzo si voltò lentamente e Bill corrugò la fronte leggermente senza capire bene cosa c’era che mancava. Quello non sembrava essere il Tom che aveva conosciuto: aveva uno sguardo gelido, morto, terribilmente spento. - Si può sapere che ti succede?- Chiese con evidente preoccupazione.

- Ho cercato di evitarti apposta- Confessò con un tono tranquillo, tentando di non risultare scortese.

- Perché? E’ accaduto qualcosa dall’ultima notte che…?-

- Sono accadute tante cose tutte insieme ed io mi sto rendendo sempre più conto che non sono in grado di reggerle- In quel momento a Bill salì come un nodo alla gola, perché intravide tutta la debolezza che si stava celando nell’animo di Tom. - Mi dispiace di essere scappato veramente, di non essere tornato...ma tutte le volte che l’ho fatto, non ho mai scoperto niente di buono- Ricordò Oskar in quell’istante, quando aveva promesso che avrebbe fatto ritorno e lo aveva trovato senza vita. - Tu non te lo meriti...e neanche io-

- Tom, ma che cosa stai dicendo? Ti vuoi spiegare meglio? Che cosa è accaduto con i Winkler?- Bill stava cominciando a temere il peggio. I discorsi di Tom sembravano non avere alcun filo logico, parevano parole buttate a caso per costruire delle frasi intricate e senza senso.

- Devo sposare Saphira questo fine settimana- Il moro in un primo momento rimase immobile, poi assunse un’espressione confusa.

- Non sono sicuro di aver capito…-

- Hai capito benissimo, Bill. Io, Tom Winkler, sposerò Saphira...mia sorella- Bill abbassò lo sguardo incredulo cominciando a boccheggiare, come se volesse dire qualcosa, ma la voce non volesse venir fuori. 

- E...come mai io non ne sapevo niente?- Chiese finalmente con quel fil di voce che riuscì a far uscire.

- Non lo so. Tuo padre magari ne era a conoscenza, ma…- Fu un attimo. Un dolore prese forma sulla sua guancia facendola lentamente arrossare. Quello schiaffo diede il potere a Tom di vedere una buona volta. Lo risvegliò da quella specie di incantesimo mentale in cui era caduto. Bill aveva gli occhi rossi dalle lacrime che stava cercando di trattenere, fremeva dalla rabbia e gli aveva appena elargito un ceffone.

- Io volevo saperlo da te! Come mai non me l’hai detto!? Quella notte io...dio!- Cercò di calmarsi, sennò avrebbe dato un pessimo spettacolo per strada. Erano nascosti in quel vicolo, ma chiunque avrebbe potuto vederli se Bill avesse cominciato a dare di matto. - Abbiamo passato una notte stupenda insieme...ed io per un attimo ho pensato che tu potessi…- Si girò dall’altra parte non riuscendo a trattenersi, e due lacrime abbandonarono i suoi occhi. Tom in quel momento non sapeva che cosa fare. Era diviso tra il suo cuore e i suoi doveri. Voleva Bill più di qualsiasi altra cosa, ma tutti in quel posto volevano vedere lui e Saphira sposati, uniti in matrimonio, e chissà che cosa avrebbero chiesto in seguito. Allungò una mano per toccarlo, ma Bill si scansò bruscamente. - Lascia perdere, è stato bello finché è durato- Si asciugò le lacrime così da risultare un po’ più presentabile. - Vi auguro tanta felicità- E così dicendo, se ne andò senza voltarsi indietro. Era furioso anche con Saphira, perché pure lei aveva mantenuto il silenzio tutte le volte. La città di Berlino sapeva e lui come uno sciocco aveva preferito non sentire nulla perché gli interessava solo stare chiuso in quella soffitta a dipingere. Ora che quella soffitta l’aveva condivisa e non l’aveva utilizzata solo per esprimere la propria arte...si sentiva come se fosse stato tradito. Aveva regalato il suo mondo ad una persona, e questa gli comunicava, quasi con superficialità, che stava per sposare la sua migliore amica, che ugualmente non gli aveva accennato niente. Era un colmo per Bill. Ci era rimasto davvero molto male. Infatti, dopo quell’incontro, si era rinchiuso in casa e nessuno aveva più sentito parlare di Bill Kaulitz nei giorni che vennero successivamente

 

***

 

Tom non aveva mai sentito parlare di matrimoni felici. Nessuno gli aveva mai detto di essersi sposato con una donna fantastica o con un uomo meraviglioso. Nessuno che si vantava della propria vita familiare. Nella sua vita aveva conosciuto solo tristezza e morte, e tutte le volte che aveva provato la felicità più immensa, gli era sempre stata portata via in qualche modo. Anche il tempo sembrava esprimere i suoi sentimenti: c’erano delle nuvole nere. Preannunciavano pioggia, ma i signori Winkler avevano insistito per festeggiare le nozze in cortile. E lui si guardava allo specchio ed era...morto, esattamente come tutto il resto. Il suo cuore batteva così piano che non sapeva se era ancora vivo o se stava fingendo. Non aveva ansia, paura...era solo resa.

- Questo smoking le sta veramente bene- Sarja era molto gentile con lui, ma non riusciva più a esserle grata, questo perché lei continuava a spingerlo dove non voleva andare. Desiderava fargli vedere il lato positivo dove non ce ne era. - Tom, so che non sei felice-

- Sarja, io non la amo...io...credo di amare un’altra persona- La donna si bloccò mentre gli stava abbottonando la giacca e alzò lo sguardo incontrando il suo.

- Tom…-

- Sì. Sono innamorato...di qualcuno che non potrò mai avere. Ma tanto non è una novità in questa società, no?- A Sarja fece nuovamente tenerezza. Sentire Tom che parlava di amore era adorabile, ma allo stesso tempo disastroso. Saphira, la sua piccola, meritava tutta la felicità del mondo, ed era orribile che si dovesse sposare con qualcuno che non provava nulla di più che un’amicizia o un amore fraterno per lei. 

- Mi dispiace. Io voglio che tu e Saphira siate felici...e vi vedo in gabbia e vorrei fare qualcosa ma…-

- Ti ringrazio, Sarja, ma non c’è nulla che tu possa fare. Dobbiamo tutti accettare quello che succederà oggi- La donna non sapeva più che aggiungere. Si sentiva male a vedere Tom così, e sapeva che Saphira non stava certamente meglio. La luminosità della giovinezza nei loro occhi si era affievolita come una candela spenta dal vento gelido. 

- Vado a vedere se Saphira ha bisogno di una mano- Uscì dalla stanza. Tom rimase a guardarsi allo specchio tutto il tempo. Aveva una terribile voglia di buttarsi dalla finestra e morire. Ogni tanto si ritrovava a guardarla immaginando sé stesso cadere nel vuoto. La morte era l’unica liberazione che la sua anima poteva avere. Se Bill non poteva essere la sua libertà, l’avrebbe ottenuta nel riposo eterno. Si avvicinò alla finestra e guardò giù. Erano cinque metri di salto, sufficiente a spaccargli qualche osso se fosse caduto correttamente, a spezzargli il collo se fosse andato di testa. Erano orribili i pensieri che stava facendo, ma lui non ce la faceva più a vivere, voleva che tutto questo dolore avesse una fine. Era così occupato a meditare il proprio suicidio che non si accorse della porta che si aprì alle sue spalle. Aprì quindi le grosse vetrate e salì sul davanzale. Improvvisamente si sentì afferrato da dietro e buttato per terra, e quando aprì gli occhi si ritrovò la cosa più bella che potesse mai esserci al mondo.

- Sei diventato matto!? Tom!- Bill era lì, con i capelli scompigliati e il respiro affannoso, che lo guardava impaurito e tremante. - Che cosa volevi fare?- Tom poggiò una mano sulla sua guancia cominciando ad accarezzarla, in un gesto di rassicurazione che non sapeva se toccava a lui farlo. I suoi occhi erano indefiniti ma stava pian piano tornando alla realtà. 

- Sei davvero tu? Perché sei qui?- Chiese con voce indebolita.

- Sono qui perché stamane mi sono svegliato con un brutto presentimento, vengo e scopro che hai avuto l'intenzione di ammazzarti! Ma che cosa ti dice la testa!?- Stava piangendo perché si era seriamente spaventato. Se fosse arrivato qualche secondo dopo, per Tom sarebbe finita per sempre.

- Mi dice che se io non posso avere te...non ha più senso rimanere- 

- Tom, mi dispiace per come ho reagito, io...non dovevo andarmene così. Io voglio rimanere al tuo fianco, qualsiasi cosa accada- Erano quelle le promesse di matrimonio che lui voleva sentire. Non sperava le dicesse piangendo, ma bastava che le pronunciasse la sua voce e per Tom quello era il vero paradiso.

- Anche a me dispiace per non avertelo detto, e mi dispiace anche per adesso...non sapevo quello che facevo- Bill lo tirò a sé in un abbraccio disperato. Era così sollevato di essere accorso in tempo. Sapeva che quella situazione era difficile, ma sulle prime era stato egoista, aveva pensato solo ai propri sentimenti, escludendo quelli di Tom. Poi aveva riflettuto e aveva capito che l’unica cosa importante era che loro continuassero a rimanere uniti nonostante questo. Improvvisamente sentirono bussare alla porta e si dovettero alzare. Andarono ad aprire ed era Sarja.

- Ah, buongiorno, signorino Bill. Non sapevo che era arrivato. Come sta?-

- Bene, grazie, Sarja- Rispose con un lieve sorriso, tutto ciò che poteva mostrare. La donna tornò subito seria.

- La signorina Saphira è pronta. Sarebbe necessario che il signorino Tom scenda…- Non concluse la frase, perché sapeva che ogni parola era come una coltellata al petto per il ragazzo, il quale sospirò e annuì.

- Ci può dare un momento?- Si intromise Bill, e, senza aspettare la risposta della domestica, chiuse la porta. Una volta assicuratosi che ella si fosse allontanata prese Tom e gli diede un lungo bacio appassionato. Era la disperazione più pura a muoverli, la voglia di consolarsi, di darsi sostegno. - Io sono sempre con te, va bene?- Gli chiese guardandolo in quegli occhi nuovamente tornati spenti. Sembrava stesse parlando ad una persona che era sotto incantesimo. - Anche se sui documenti sarà scritto che sei sposato con Saphira, a me non importa. Mi vedrai sempre, continueremo a stare insieme, perché è quello che vogliamo...non è così?- Tom annuì, e già questo scaturì un sorriso speranzoso sul volto di Bill. - Bene. Ora ti prego, attraversa quella porta e sposa Saphira. Non sorridere se non vuoi sorridere, ma cerca di non cedere...perché è quando cedi che a loro gliel’avrai data vinta, d’accordo?-

- Tu non soffrirai?- Tom non era capace di pensare solamente a sé stesso. Il suo dolore era anche il dolore di Bill.

- A vederti sposare un’altra? Sì...ma anche io vedrò di resistere. Il passo enorme lo stai facendo tu, ed io ho il dovere di supportarti- Quelle erano le parole che facevano apparire Bill e Tom come una coppia sposata. Non si erano nemmeno detti “ti amo”, che già usavano parole come “supporto”, e non era quello di un amico, era quello di una persona che ci tiene a te più di qualsiasi altra cosa al mondo. Tom lo aveva percepito, e fu quello a fargli aprire la porta e scendere le scale. Bill gli era dietro, era con lui. Lo avrebbe accompagnato sempre, anche se non poteva tenergli la mano. Parlarono con Frau Winkler, che ovviamente non si risparmiò una frecciatina - "siete veramente una bella coppia" - e con altre persone invitate che Tom non sapeva neanche chi fossero. Quando tutti ebbero preso posto e Tom si fu messo all’altare, Bill era nell’ultima fila, isolato da tutti, che però guardava, fermo e immobile, come se stesse cercando di non esplodere in un pianto disperato. Era una visione orribile per Tom, ma venne interrotta dal corteo nuziale, nel momento che Saphira fece la sua entrata. Tom corrugò la fronte. Anche lei era strana, e non poco. Non la vedeva da giorni, ma il grigio dei suoi occhi si era scurito, ed era dimagrita esageratamente. Il viso incavato e i capelli secchi, crespi...eppure era sempre bellissima e a modo suo incantevole nell'abito bianco semplice che indossava. Sembrava una sposa cadavere. Tom in quell’istante capì che Saphira era una pedina esattamente quanto lui, che non aveva alimentato per niente questa cosa, e che stava soffrendo in maniera indicibile. Appena arrivò al suo fianco, Tom le prese la mano, che era delicata e fredda.

- Saphira...tutto bene?- Le sussurrò molto preoccupato. La ragazza annuì guardando un punto fisso davanti a sé. D’accordo, era stata una domanda inopportuna, ma Tom voleva bene a Saphira, e provava un certo timore a vederla così. Il prete aveva cominciato a dire la cerimonia, i signori Winkler li fissavano in prima fila, orgogliosi di esserci riusciti. E sorrisero ancora più compiaciuti quando sentirono i deboli “sì, lo voglio” di entrambi. Ormai la cosa era fatta, ma in quel momento qualcosa si spezzò. Saphira non si stava sentendo tanto bene, era impallidita tutta insieme. - Saphira...- E tutto ad un tratto ribaltò gli occhi all'indietro avendo uno svenimento. Tom, che era tutto il tempo che non smetteva di avere ansia per lei, agì subito e la prese al volo. Tutti gli invitati cominciarono ad allarmarsi, a cercare un dottore, ma Bill fu il primo ad accorrere e a suggerire la cosa più giusta.

- Il matrimonio è finito, andate a casa- Disse a tutti. I Winkler ovviamente lo guardarono subito male per aver dato un ordine ai loro invitati.

- Come ti perme…!?- Ma anche lo sguardo gelido di Bill non fu da meno.

- Ho detto che il matrimonio è finito- Scandì meglio le parole con il suo tono autoritario, facendo ben intendere che non si sarebbe per niente scusato. - Tom, portiamo Saphira in un luogo più appartato per riprendersi- Tom la prese in braccio e si accorse che pesava davvero pochissimo, come se avesse preso una bambina di dieci anni. Era orribile ciò che si stava facendo, o forse era più orribile ciò che loro stavano facendo ad entrambi. Portarono Saphira in una stanza e Bill provvide, con l’aiuto di Sarja, a toglierle l’abito. Tom sistemò il letto con dei cuscini più morbidi e accese il fuoco. Ci teneva che la sorella fosse più a suo agio possibile. Quando Sarja se ne andò sospirando sconsolata, Bill e Tom rimasero tutto il tempo in silenzio. Non avevano nulla da dirsi. Ogni tanto il moro si alzava dalla sedia e lo abbracciava da dietro, gli baciava la nuca per calmarlo, gli accarezzava la schiena. Sapeva che l’immagine che Saphira aveva dato di sé aveva turbato non poco Tom. 

- Credi che si riprenderà?-

- E’ solo svenuta. E’ necessario che al suo risveglio Sarja gli prepari qualcosa. Non mangia niente da giorni- Bill si avvicinò al letto e accarezzò i capelli della ragazza, anche lui molto dispiaciuto per ciò che stava accadendo alle persone che amava di più. - Temo proprio che devo andare. Oggi torna mio padre ed è necessario che io sia presente a casa- Si voltò e avvolse Tom in un abbraccio. - Ci rivedremo presto. Ti prego, tu non mollare. Saphira ha bisogno che tu sia forte...e anche io- Era una promessa che gli stava facendo, e non era facile da mantenere, ma se resistere avrebbe portato a qualcosa di buono, forse ne sarebbe valsa la pena.

- Te lo prometto- Bill gli lasciò un bacio a fior di labbra e poi uno sulla fronte. Si accostò alla porta e l'aprì per andarsene - E grazie...per avermi salvato la vita- Bill sorrise ma non rispose. Non era necessario che lo ringraziasse, ma lo aveva apprezzato ugualmente. Doveva essere grato lui a Tom per averglielo permesso e per avergli dato ascolto. Sperava solo che la situazione non peggiorasse ulteriormente, ma anche in quel caso Bill sarebbe rimasto al fianco di Tom. Era la promessa di un matrimonio che non sarebbe mai avvenuto.

   
 
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