Toronto, lunedì 27 aprile 2026
Erano passate solo un paio di settimane dal
litigio che
aveva avuto con i suoi migliori amici, quando aveva iniziato a stare
male:
aveva la febbre, mal di gola.
Sapeva che cosa poteva significare, ma non voleva
ammettere
a sé stesso che Gio e gli altri avevano ragione, e soprattutto non
voleva
ammettere di essere stato tanto stupido da non usare il profilattico.
Insomma, con Nico avevano iniziato a non usarlo
solo dopo
anni di relazione (e convivenza), e andavano a fare i test
periodicamente.
Dopo la scomparsa di Nico, aveva smesso di fare i
controlli,
ma l’ultima volta era negativo.
Era certo di averlo sempre usato con i vari
partner che
aveva avuto dopo; quindi, si era detto, non poteva essere sieropositivo.
Per i primi giorni aveva archiviato le sue
preoccupazioni
sotto la voce “è solo una leggera influenza, passerà”.
Ma poi gli era spuntato uno strano sfogo.
Qualche giorno dopo la comparsa del rush,
constatato che non
stava affatto guarendo, aveva inghiottito ciò che rimaneva della sua
dignità e
si era presentato a casa di Elia e Filo (col quale non aveva ancora
fatto
pace).
Il suo piano consisteva nello spiegare la
situazione
all’amico ed implorarne il perdono e l’aiuto con un minimo di decoro;
ma appena
seduto sul divano era scoppiato in lacrime.
Per la prima volta in quasi tre anni si era
sfogato e aveva
buttato fuori tutta l’amarezza che si era tenuto dentro.
Tra le braccia di Filippo aveva confessato tra i
singhiozzi
come avesse cercato di dimenticare Niccolò facendo sesso con degli
sconosciuti
e bevendo; come la cosa gli fosse effettivamente sfuggita di mano, e
infine del
suo sospetto.
Una volta sentita la possibile diagnosi di Marti,
Filippo
aveva spedito Elia in farmacia a comprare un test rapido per le
malattie
veneree.
Mezz’ora dopo Marti stava aspettando il risultato
del test
accoccolato tra Filippo ed Elia; con gli occhi gonfi, la gola e la
testa che
pulsavano.
Quando Filo aveva letto il risultato del test gli
occhi gli
si erano riempiti di lacrime.
<< Oh, Rose… >> aveva mormorato, e
Martino aveva
capito.
Era positivo.
Non aveva pianto solo perché non aveva più lacrime
da
versare.
Filippo aveva insistito che rimasse a dormire da
loro, il
giorno seguente sarebbero andati in ospedale per fare il test vero e
proprio.
Aveva passato la notte in mezzo a Filippo ed Elia.
Non avevano parlato molto, lo avevano solo
abbracciato.
L'aveva fatto rilassare, calmare.
E per la prima volta da anni aveva dormito veramente bene; neanche il fatto di essersi svegliato completamente spalmato sul petto di Filippo e con l’erezione di Elia contro una coscia mentre gli leccava un orecchio ancora praticamente addormentato gli aveva rovinato la sensazione di aver fatto una delle migliori dormite della sua vita.
La scenetta che ne era seguita, quando Elia si era reso conto che quello che tentava di sedurre non era il suo ragazzo fu, anzi, un momento quasi spensierato.
Elia era balzato a sedere sul letto, rosso come un peperone, mentre balbettava frasi sconnesse tentando di scusarsi mentre era chiaro volesse poter scomparire.
Martino era scoppiato a ridere ripensando a tutte quelle volte che l'amico lo aveva preso in giro per quanto lui e Nico fossero appiccicosi.
Filippo, che si era svegliato di colpo per via del trambusto aveva faticato a capire la situazione, ancora mezzo assonnato. Una volta ricostruito il tutto, fece una fintissima scenata di gelosia il cui solo scopo era quello di far ridere Martino.
<< Elì, come puoi farmi questo? E con il mio baby gay! Lo sai che per me Marti è come un fratellino! E al nostro bambino non ci pensi? >>
<< Per l'ultima volta Filì, smettila di chiamare quella polpetta informe del gatto "il nostro bambino" mi' nonna l'ultima volta credeva avessimo veramente adottato un bambino senza dirle niente! Non mi ha parlato per una settimana! >>
Il finto battibecco gli aveva fatto dimenticare per un momento i suoi problemi.
Recarsi in ospedale glieli fece ricordare tutti.
Era stata la mattinata più imbarazzante e
spaventosa della
sua vita.
Filippo lo aveva accompagnato in ospedale, ma
aveva dovuto aspettarlo
fuori mentre faceva il colloquio e il prelievo, perché non lo aveva
potuto
accompagnare nello studio del medico.
Dover dire ad un dottore che poteva aver contratto
l’HIV,
che aveva fatto un test rapido ed era risultato positivo era stata una
delle esperienze più umilianti della sua vita.
La dottoressa era stata molto professionale, gli
aveva fatto
un sacco di domande sui suoi partner (a cui aveva dovuto rispondere
che, sinceramente, non aveva idea di chi ne di quanti fossero,
umiliandosi ulteriormente), e sui suoi
sintomi e alla fine lo aveva mandato a fare il prelievo.
<< Ci vorrà qualche giorno per il risultato.
>>
gli aveva detto l’infermiera: << Nel frattempo sarebbe più sicuro
se lei
non avesse rapporti; specie se non protetti. >>
Non c’era neanche bisogno di dirlo. Non avrebbe
più fatto
sesso, protetto o no!
Sentiva di meritarselo. Come aveva potuto essere
così
stupido?
Una parte di lui, quella razionale da medico,
sapeva che non
era una condanna a morte: non più almeno. Con i farmaci moderni i
trattamenti
in via di sviluppo un sieropositivo aveva una speranza di vita molto
buona; se
adeguatamente controllata, con quella malattia ci si poteva convivere,
ma… un’altra
parte di lui, più prepotente rispetto alla parte razionale, gli
ricordava che essere
sieropositivi era considerato da molti un marchio d’infamia, qualcosa
di cui ci
si doveva vergognare. Lui non si era ancora abituato alle occhiatacce
giudicanti
quando la gente capiva che era gay. Figurarsi ora, che era gay e
sieropositivo!
Cosa avrebbe detto sua madre? E soprattutto come
l’avrebbe
presa sapendo che se l’era preso facendo sesso, evidentemente non
protetto, con
perfetti sconosciuti?
E suo padre? A malapena aveva accettato il fatto
che suo
figlio fosse gay… beh, non è che lo avesse proprio accettato, più che
altro
ignorava totalmente la sua vita sentimentale e il fatto che vivesse con
il suo
ragazzo. Come avrebbe reagito?
E i suoi amici? Sapeva che nessuno di loro lo
avrebbe
ostracizzato per una cosa simile, ma era consapevole che le cose non
sarebbero
più state le stesse. Niente più frappè alla fragola condivisi con Eva
dalla stessa
cannuccia, per esempio. Sarebbe stato strano?
Poteva ancora fare il medico?
Tornato a casa, Luai lo stava aspettando con una
mega coppa
di gelato e le repliche di Modern Family.
Evidentemente Filo gli aveva raccontato tutto.
Aspettare per i risultati fu snervante.
Da un lato, Marti sapeva che non potevano che
essere
positivi, ma c’era una minuscola parte di lui che sperava ancora che il
test
rapido si fosse sbagliato.
Quasi una settimana dopo la dottoressa lo contattò
per
dargli appuntamento per comunicargli i risultati.
Per fortuna quella volta gli fu permesso di
portarsi Filippo
nell’ambulatorio.
<< Signor Rametta, il suo test è risultato
negativo.
>> gli disse il medico:
<< Il suo test rapido risulta essere un
falso
positivo. Lei non ha contratto l’HIV. È stato davvero fortunato: di
solito
questi test hanno un margine di errore molto basso, e se lo fanno è
perché vengono
fatti troppo presto; in quei casi, comunque, risulta essere un falso
negativo.
Ma a volte sbagliano anche loro. Per sicurezza, comunque, ripeteremo
l’esame tra
una settimana. Poi ancora tra sei mesi, come da procedura standard.
>>
Per un momento Martino pensò di esserselo
immaginato.
Poi vide l’espressione sollevata sul volto di
Filo, e capì
che no, non lo aveva immaginato.
Riuscì a mantenere un’espressione calma davanti
alla
dottoressa, ma una volta arrivato in macchina tutta la tensione che si
era
tenuto dentro esplose. Scoppiò a piangere e a ridere insieme.
Gli sembrò di tornare a respirare, come se avesse
trattenuto
il fiato dal momento in cui aveva fatto il test rapido.
Abbracciò Filippo incurante della leva del cambio,
che gli
si conficcò nello stomaco.
Si sentiva come se improvvisamente la Terra fosse
tornata a
girare dopo un anno e mezzo di stallo.
Mentre Filo lo riportava a casa fu colto da
un’illuminazione:
aveva una seconda possibilità.
Non doveva sprecarla.
Basta uscite notturne per fare sesso con
sconosciuti. Basta
alcol.
Da quel momento in avanti avrebbe lavorato sodo
per
recuperare il tempo che aveva perso.
E per farlo, doveva buttarsi Nico alle spalle.
Definitivamente.
Basta pensare “se lui fosse qui ora… perché mi
avrà
lasciato?... cos’ha questo tipo/tipa più di me”.
Basta.
Niccolò Fares faceva definitivamente parte del suo
passato.
Con fatica aveva recuperato i mesi perduti
all’università ed
era arrivato alla laurea.
Dopo la tesi aveva iniziato a cercare un ospedale
dove fare
l’apprendistato, mentre aiutava Sana a preparare il suo esame e a
badare ai
bambini.
Fu proprio una sua professoressa, dopo la
discussione della
tesi di Sana, a illuminargli la via.
<< Un mio collega che lavora al Toronto
Western
Hospital mi ha detto che cercano giovani laureati per l’apprendistato.
Ho
pensato a lei, Rametta, se è d’accordo invio la candidatura. >>
Non aveva mai pensato di lasciare Roma.
Lì aveva tutta la sua vita: i suoi genitori, Marco
ed Anna,
che erano diventati i suoi secondi genitori e spesso erano a cena da
sua madre,
i suoi amici, ora c’erano anche i piccoli Saleem e Maryam, ai quali si
era
affezionato moltissimo; come poteva lasciare tutto?
D’altro canto, un’offerta del genere non capitava
certo
tutti i giorni; e poi… forse gli avrebbe fatto bene andarsene dalla
città in
cui aveva vissuto con il ragazzo che gli aveva spezzato il cuore.
La prospettiva di non avere più un semi attacco di
panico
ogni volta che passava in un posto in cui era stato con Nico lo
allettava.
Voleva ricominciare?
Buttarsi alle spalle tutta la merda degli ultimi
due anni e
mezzo?
Forse cambiare città non era una prospettiva tanto
brutta.
Aveva detto alla professoressa di inviare la
candidatura, senza
sperci troppo, comunque, perché, si diceva, quante possibilità c’erano
che
scegliessero proprio lui, tra un sacco di altri candidati, magari
canadesi?
Ed invece lo avevano preso.
Dirlo a sua madre, a Marco ed Anna e ai suoi amici
fu
strano, ma anche eccitante.
Sua madre ed Anna erano fiere di lui, ma al
contempo si
preoccuparono alla prospettiva di saperlo letteralmente dall’altra
parte del
mondo.
Marco fu più felice per lui del suo vero padre, il
quale si
limitò a chiedergli se avesse bisogno di soldi per l’alloggio a Toronto.
I suoi amici furono molto felici per lui, anche se
dispiaciuti nel vederlo partire.
<< Oh, no! E adesso come faccio senza il mio
tato
ed esperto cambiatore di pannolini sporchi? >> aveva
esclamato
Sana, agitandogli contro il pugnetto di Maryam.
Non si era commosso, no no.
Né quella sera, né la sera della sua festa di
addio a
sorpresa, nè in aeroporto, quando si presentarono tutti con un’enorme
striscione stile ultrà.
Si era commosso quella mattina, il suo primo
giorno di
lavoro, quando Sana gli aveva mandato una foto dei gemelli, vestiti da
quadrifoglio e coccinella con la scritta “Buona Fortuna zio Marti!”.
Non aveva potuto fare a meno di fermarsi in una
stamperia a
farsela stampare per appenderla nell’armadietto.
Si guardò allo specchio: niente nervosismo
inutile, si
disse.
Poteva farcela, era uno dei due studenti migliori
del suo
anno; la teoria la sapeva. La pratica doveva farla ora, nessuno si
aspettava
che lui fosse già il nuovo Dr.House, non sarebbe stato solo, un medico
esperto
lo avrebbe affiancato e gli avrebbe impedito di fare cazzate.
Stava per iniziare un nuovo capitolo della sua
vita.
Magari oltre al lavoro avrebbe trovato anche
qualcuno con
cui avere una storia… non era la sua priorità, ma non voleva neanche
escludere
la possibilità.
Prima di partire Filippo gli aveva fatto una testa
così sui
quartieri gay di Toronto, che, a quanto pareva, era la città più
gay-friendly
del Canada, nonché la terza comunità gay più importante del Nord
America.
L’amico gli aveva anche mandato le posizioni dei
quartieri
gay principali, aggiungendo:
<< Così almeno potrai usare la tua frase di
abbordaggio nei quartieri giusti… >>
<< Che frase da abbordaggio, scusa? >>
<< “Non sapevo fosse la gay street!” >>
Era a Toronto da una settimana, aveva passato il
suo tempo a
sistemare le sue cose nel bilocale che aveva affittato nei pressi
dell’ospedale, a esplorare il vicinato per vedere dove poteva trovare
un
supermercato, una palestra e altri negozi utili; nonché a sistemare le
ultime
documentazioni per l’apprendistato, che gli avevano dato quando era
andato a
fare il giro di presentazione in ospedale con gli altri giovani
dottori; non
gli era neanche passato per la testa di fare un giro per il quartieri
gay: la
sera era così esausto che andava a letto dopo aver finito di cenare.
Magari nel pomeriggio, per festeggiare la sua
prima mezza
giornata di lavoro, poteva fare un salto a vedere com’era questa
declamata zona
gay.
Filo gli aveva anche mandato una lista di bar e
ristoranti
famosi. Sapeva che l’amico aveva omesso discoteche e night per non
incentivarlo
a ricadere nel meccanismo autodistruttivo da quale era uscito appena in
tempo.
In ogni caso Martino non era affatto intenzionato ad andarci: aveva
chiuso con
quella vita. Non beveva niente di alcolico da mesi e mesi, e non aveva
intenzione di ricominciare. E il prossimo uomo con cui sarebbe andato a
letto
sarebbe stato il suo prossimo ragazzo.
Aveva iniziato un nuovo capitolo della sua vita, e
né lo
spettro di Niccolò né tantomeno il suo pessimo carattere glielo
avrebbero
rovinato.
Angolo autrice (per una volta puntuale):
Marti per fortuna non ha l'HIV!
So che potrebbe sembrare un po' un modo per mettere angst senza reali conseguenze; ma al Martino della mia storia serviva una spinta nella giusta direzione.
Come dice Giovanni alla fine del capitolo precedente, a volte bisogna toccare il fondo per capire che si stanno facendo delle enormi cazzate; e Marti lo tocca così.
Per fortuna il nostro Bambi ha degli amici che gli vogliono bene sempre e comunque.
A tal proposito, la scena in cui Marti dorme tra Filippo ed Elia è ispirata alla scena della prima stagione in cui le ragazze dormono tutte a casa di Eva dopo che Silvia si presenta ubriaca alla festa e diece loro di essere incinta di Edoardo.
Per il resto, penso che ormai abbiate capito cosa succederà tra pochi capitoli...
Nel prossimo torneremo da Niccolò e Romeo, e vedremo cosa accadrà!
Piccola nota seria: l'HIV è una cosa seria, qui è un'espediente narrativo e tutto si è risolto per il meglio, ma questa è una storia, nella realtà le cose non sempre vanno per il verso giusto. Quindi, state attenti, usate la testa, informatevi.
Ciò detto, vi auguro un felice inizio di dicembre, e vi aspetto al prossimo capitolo!