Fanfic su artisti musicali > Greta Van Fleet
Segui la storia  |       
Autore: _Lisbeth_    02/12/2020    2 recensioni
Dal prologo:
"- E anche questa giornata di lavoro è giunta al termine. - la frase della dottoressa Warren fece annuire la giovane tirocinante, che raccolse tutte le sue cose dal divanetto e le sistemò nella borsa.
- A che ora dovrei venire, domani?
- Domani... - Danielle Warren si alzò dalla propria sedia e diede uno sguardo al calendario appeso alla parete, mettendosi in punta di piedi per poter vedere meglio. – Domani non abbiamo pazienti. Però ho una buona notizia da darti: da venerdì potrai tenere tu stessa le sedute."
"Jake prese un sorso dal bicchiere. – Perché sono qui?
- Perché sono il tuo numero di emergenza e ieri sera eri praticamente in coma etilico."
"- Jake. – la ragazza puntò gli occhi in quelli del fratello. – Ti rendi conto che è qualcosa che potrebbe aiutarti?
- No! – si alzò dalla panchina su cui era seduto e sbarrò gli occhi. – Come dovrebbe farmi stare meglio parlare con una persona che non ho mai visto dei cazzi miei? E’ come prostituire i propri neuroni."
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jacob Kiszka, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Le lacrime di Jake bagnavano le guance della giovane psicologa mentre le labbra dei due ragazzi si sfioravano con dolcezza, delicate e gentili. In quel bacio non c’era nulla di aggressivo o di frettoloso. Era un bacio che univa la generosità di Tracy e la tristezza di Jake, la voglia di curare qualcuno di una e il bisogno di affetto e comprensione dell’altro. Il bacio più tenero che Tracy avesse mai dato.
Le labbra di Jake non erano morbide, erano ruvide e fredde come i suoi sguardi, ma a Tracy quegli sguardi non avevano mai dato fastidio e non le avevano impedito di avvicinarsi piano al ragazzo, non le avevano mai impedito di prendersi cura di lui. Come una bambina che, con tutta la delicatezza del mondo, si avvicina ad un uccellino ferito per portarlo nella sua casa, al caldo e lontano dai mali del mondo.
Ma.
Nonostante si sentisse così bene, era sempre ostacolata da un pensiero, quello che avrebbe compromesso sia il suo lavoro che la guarigione di Jake.
Tracy si allontanò dalle sue labbra, lo guardò negli occhi ancora lucidi. – Scusami.
Jake la guardò a sua volta, sfiorandosi con la punta delle dita il labbro inferiore e Tracy ebbe paura, per un attimo, che potesse nuovamente crollare davanti ai suoi occhi. Invece il ragazzo trasse un respiro profondo e lo buttò fuori lentamente. – Scusami tu, ho cominciato io.
-  Ma io non avrei dovuto continuare.
La ragazza vide le spalle di Jake piegarsi, come se il peso dell’ombrello fosse diventato d’un tratto insostenibile. Sospirò sfiorandogli le dita. – Non voglio che… Non voglio che tu fraintenda, Jake.
- Per favore, non… - il ragazzo si schiarì la voce. – Non dirmi nulla. E’ stata una brutta giornata.
Tracy, anche se non ne capì il perché, sentì un nodo attorcigliarsi attorno alla gola. O forse lo sapeva, ma semplicemente non aveva il coraggio di ammetterlo. – Non possiamo. Non è questo che dovrebbe succedere tra un paziente e…
- Ma è successo, Tracy.
L’aveva chiamata per nome. Non era più “la dottoressa Ziegler” e non era assolutamente una buona cosa.
- E’ successo e non possiamo far finta di niente. La vita non è un manuale.
- Jake, non posso essere la tua terapista se… Se è appena successo questo. Ti farebbe solo male.
- Ma perché? Perché non…
- Perché questo non sarebbe dovuto succedere.
- E io adesso cosa dovrei fare? Dovrei dire a mia sorella che non potrò più fare la terapia perché ho baciato la terapista? Oh, e tra l’altro lei c’è anche stata. Ma fa passare questa cosa come se dipendesse solo da me.
- Conosco tanti terapisti che…
- Hai idea di quanto mi ci sia voluto per aprirmi? – Jake tirò su col naso. – Sono venuto da te, sono riuscito a raccontarti solo una piccola parte di me e della mia vita, perché mi fido. Ricominciare da capo sarebbe come prendermi a pugni da solo.
- Lo faccio per te, Jake. Questo rapporto comprometterebbe la tua guarigione.
- Parli come un cazzo di robot. Sei un essere umano. Hai dei sentimenti, provi delle cose, quanto ti costa ammetterlo? – il ragazzo respirò dal naso, Tracy si vide passare l’ombrello che manteneva con un braccio e lo guardò posarsi il cappuccio della giacca verde ed enorme sulla testa.
Non seppe come descrivere l’ultimo sguardo che Jake le lanciò. Notò solo quegli occhi grandi diventare di nuovo lucidi, la fronte corrucciarsi e le labbra arricciarsi, prima di vedere il musicista voltarsi, allontanarsi senza dire nulla.
E gli occhi di Tracy si riempirono di lacrime, le dita si strinsero spasmodicamente attorno al manico dell’ombrello che Jake le aveva dato.
Per l’ennesima volta nella sua vita, si era innamorata della persona sbagliata.
 
 
Tracy tornò a casa singhiozzando come al solito da una settimana a quella parte. Si era presa una bella sbandata per un ragazzo che le era sembrato perfetto in tutto e per tutto, e nonostante i suoi sentimenti fossero ricambiati, lui le aveva confessato di non riuscire a stare bene in una relazione, di avere bisogno di tempo per se stesso. E Tracy, ovviamente, non lo biasimava e non lo odiava. Ma si era illusa di qualcosa che era subito vaporizzato, sparito, perché per lei quel ragazzo era diventato importante da subito e non la considerava più neanche di un minimo dopo la rottura, nonostante le avesse detto tutt’altro in precedenza.
E la sua prima relazione non era stata granché allo stesso modo. Per un anno aveva vissuto con il peso della distanza sulle spalle, a soli quindici anni, quando sei troppo piccola per capire troppe cose. Ma lei era stata innamorata per la prima volta, e i suoi sentimenti erano stati talmente forti che anche a distanza di chilometri e chilometri era riuscita a non mollare, fino a quando non ce l’aveva fatta più.
E traendo le sue conclusioni, quelle sue due prime esperienze non erano state proprio idilliache. Vedeva i suoi amici passare intere giornate con i propri ragazzi o le proprie ragazze ed era felice per loro, ma si chiedeva, nonostante avesse solo diciassette anni, per quale motivo non potesse stare realmente bene con qualcuno a sua volta, senza che si presentassero problemi di ogni tipo.
Ma quel giorno era particolarmente triste ed esserlo la faceva anche arrabbiare.
“Non puoi ridurti così per un ragazzo. Tanto, ci saresti stata male ugualmente anche se non ti avesse lasciata.”
Doveva andare avanti per la sua strada, superare quello scoglio che, dal nulla, senza che lei lo volesse, le si era presentato davanti.
“Ci riuscirai. Riuscirai a stare bene, troverai qualcuno che ti amerà come tu lo amerai. Succede a tutti, perché non dovrebbe accadere a te?” questo si disse, guardando la sua immagine riflessa nello specchio.
Trasse un respiro profondo e rizzò le spalle. Lei era Tracy Ziegler. In soli diciassette anni aveva dovuto affrontare prove e problemi ben peggiori e sarebbe riuscita a superare anche quello.
“Starò bene”.
E ci credeva sul serio. Solo che, non appena staccò lo sguardo dallo specchio, ricominciò a singhiozzare.
 
 
Quando Maggie aprì la porta, si trovò davanti la sua coinquilina evidentemente a pezzi. Tracy era bagnata dalla testa ai piedi e piangeva come una bambina. La ragazza strabuzzò gli occhi, tirandola dentro l’appartamento, non curandosi del pavimento che rischiava di bagnarsi.
- Tracy, Gesù, che succede? – le domandò accarezzandole una spalla. Notò la coinquilina appoggiare un ombrello che non aveva mai visto in vita sua sull’uscio. Guardandola meglio, capì subito tutto quanto. Non era troppo raro vedere Tracy piangere, ma nemmeno così frequente. L’ultima volta in cui era successo stavano guardando insieme un cartone animato, anche se in quel momento non riusciva nemmeno a ricordare bene quale.
“Il castello errante di Howl”, forse, ma non ne era sicura. Solo che in quel momento non stavano guardando nessun film dello studio Ghibli e lei non aveva ottenuto alcun aumento o riduzione della paga (altri motivi per cui l’aveva vista piangere).
Quindi, da ciò che capiva, doveva essere quel tipo di problema a cui spesso non c’è rimedio oltre all’accettazione.
E quel problema era l’amore.
Tirò la sua coinquilina e migliore amica in un abbraccio, accarezzandole le spalle per darle un minimo di conforto.
- Dai, andiamo in camera. Ho comprato delle ciambelle.
 
Maggie sospirò, appoggiando le mani sulle ginocchia incrociate. Non sapeva seriamente cosa dire, questa volta. Aveva sempre cercato di aiutar Tracy come poteva, ma questa non era una situazione come tutte le altre. Era più grande sia di lei, che di Tracy, che di Jake. E anche se lei non conosceva il ragazzo in questione, poteva immaginare come si stesse sentendo: non aveva idea di quale genere di dolore lo turbasse, ma quando lo aveva visto per la prima volta aveva dedotto che ci fosse qualcosa che lo turbava per davvero, perché quell’espressione e quel viso non erano tipici di un ragazzo di ventiquattro anni in salute.
E sicuramente non era facile nemmeno per Tracy, che in un modo o nell’altro avrebbe dovuto abbandonare qualcosa a cui teneva.
Ma Maggie, per quanto romantica potesse essere, era anche abbastanza analitica. – Davvero, mi trovo davanti a una cosa di cui non so cosa pensare. Da una parte so che tieni a Jake, questo credo lo abbia riconosciuto anche tu, adesso.
Tracy tirò su col naso.
- Però… - la coinquilina prese le mani della giovane psicologa, guardandosi le caviglie. – Non puoi rischiare di perdere il tuo lavoro per questa cosa. Non sai nemmeno come potrebbe finire. So quello che provi per Jake e lo capisco, ma… Non sempre l’amore ti porta alla felicità. Per essere felice hai anche bisogno di stabilità, di una sicurezza. E l’amore, soprattutto per un ragazzo che non è evidentemente nelle condizioni di amare davvero, per quanto possa far star bene, è un rischio. – asciugò le lacrime sulle guance di Tracy e le sorrise. – Tu sei una psicologa fenomenale e io ne sono sicura. Sei riuscita a ottenere un posto di lavoro immediatamente in un ambito in cui non tutti riescono. E ovviamente non posso decidere cosa sia meglio per te, ma sei sicura che valga la pena rischiare per qualcosa di incredibilmente incerto?
- Io credo di essermi innamorata, Maggie.
- Ascolta. – sospirò la ragazza. – Non lo metto in dubbio, solo… Sei sicura che sia amore? E che non sia semplicemente istinto di protezione verso il tuo paziente?
- Sono già stata innamorata, riconosco ciò che provo.
- Resta il fatto che questa situazione è incerta, Tracy. E soprattutto, meriti qualcuno che ti ami come lo ami tu. E non sai cosa ci sia nella testa di Jake, perché come tu potresti vederlo come qualcuno da proteggere, lui potrebbe vedere te come qualcuno disposto a proteggerlo.
 

 
 
Jake, davanti alla camera di suo fratello, ci aveva trovato solo Joy. Joy, accartocciata sulla porta e con le braccia a circondare le gambe esili. E aveva temuto il peggio quando l’aveva vista piangere.
- Ha avuto un’altra crisi. Forte, molto più delle altre. Ha iniziato a sbattere la testa sulle pareti fino a sanguinare. – la voce di Joy era spezzata e tremante, i suoi occhi erano terrorizzati. Jake si era dovuto abbassare per ascoltarla, perché senza avvicinarsi non avrebbe sentito assolutamente nulla.
- Mi dispiace, Jake, è colpa mia.
- No, Joy, no. Non pensarci nemmeno. – cercò di tranquillizzarla come poteva, nonostante avesse così tanta paura da sentirla scalpitare nello stomaco, facendogli venire da vomitare. La guardò avvicinandosi ancora, sentendo la testa girare. Stava succedendo tutto insieme: prima sua madre, poi Tracy, e ora Sam. Gli veniva da piangere, ma non riusciva a tirare fuori le lacrime.
- No, io… Lui ha iniziato ad agitarsi e io ho cercato di fermarlo, ho cercato di calmarlo ma non ci sono riuscita.
Non aveva idea di cosa dirle. Non riusciva più a capire nessuno. - Ma non è stata colpa tua. Non… Non c’è modo di…
- Puoi abbracciarmi, Jake?
Il fiato gli si bloccò nel petto. Non aveva mai abbracciato Joy e non sapeva come fare, non aveva idea di come un abbraccio potesse tirarla su. Deglutì, scrollando le spalle. – Sì.
Non ebbe il tempo di chinarsi che si vide avvolgere due braccia quasi sconosciute al collo e per un attimo non seppe come reagire. Avvolse semplicemente le braccia attorno alla figura sottile di Joy, sentendola singhiozzare sulla sua spalla.
- Non voglio perdere Sam.
Non lo avrebbe voluto nessuno, Jake per primo. Sam era luce, con la sua allegria avrebbe potuto illuminare una stanza, forse anche darle fuoco. Era testardo, sfrontato e a volte anche arrogante, ma i suoi sorrisi erano sempre i più luminosi.
Peccato che, da più di un anno, i sorrisi non c’erano più. Era apatia totale.
E ancora una volta, Jake si ritrovò a non sapere come rispondere. Si limitò ad accarezzare la spalla di Joy, mentre si sentiva stringere più forte.
 
 
Il sonno del povero Danny fu disturbato dal campanello, che trillò per diverse volte facendolo mugolare.  Si chiese chi diavolo stesse suonando così insistentemente a quell’ora, ringraziando di vivere da solo: se ci fosse stato qualcun altro, in quella casa, avrebbe sentito le sue imprecazioni e se ne sarebbe probabilmente spaventato. Sentì per l’ennesima volta il suono del campanello e sbuffò. – Sto arrivando, Gesù!
Strofinò il dorso della mano sul naso, sbattendo le palpebre un paio di volte per snebbiare la vista. Quando aprì la porta, aggrottò la fronte. Quella visita proprio non se l’aspettava.
- Jake?
Il ragazzo aveva una sigaretta tra le labbra, stava cercando di accenderla senza riuscirci. – Cristo!
- Jake, che cazzo gridi? Saranno le quattro del mattino! – sussurrò il più piccolo, afferrando il ragazzo per un braccio e tirandolo dentro casa. – Che ci fai qui?
- Amico mio. – rise Jake, con la voce impastata e la sigaretta che gli pendeva ancora dalle labbra. – Be’, come va?
Danny lo guardò, incredibilmente serio, con le braccia incrociate davanti al petto. – Sei ubriaco. Di nuovo.
- Mi sono solo divertito un pochino. Sai, quando tutto fa schifo… - il maggiore si portò una mano alle labbra, spalancando gli occhi, facendoli strabuzzare anche a Danny.
- No, Jake, ti prego, vai in ba… - Non riuscì a finire la frase che lo vide chinarsi facendo cadere a terra la sigaretta e vedendosi sporcare il pavimento di vomito. Sospirò, strofinandosi gli occhi stanchi con le dita. – Oh signore.
- S-scusa.
- Non è la prima volta che te lo dico. Non è a me che devi chiedere scusa.
Jake puntò lo sguardo sul pavimento, indicandolo. – Devo chiederlo a lui?
Danny afferrò il mento di Jake e gli tirò su la testa, sferrandogli uno schiaffo che risuonò nel silenzio della casa. Il ragazzo davanti a lui rimase a bocca aperta, portandosi una mano sulla guancia colpita che si era tinta di rosso. – Merda, Danny, non ti facevo violento!
Il minore gli tenne stretta la mandibola, guardandolo negli occhi con un’austerità che nemmeno gli apparteneva. Nel loro gruppo lui era sempre stato quello più silenzioso, il più dolce e il più timido di tutti. Educato, equilibrato e mite. Ma anche se quel gesto non gli apparteneva, non se ne pentì minimamente. – Sei una testa di cazzo. Quando la smetterai di fare male a te stesso?
- Ora sei tu a farmi male. Lasciami o mi verrà un livido.
Il batterista lasciò la presa, non smettendo di guardarlo. – Scusami. Ma devi capire che sono arrabbiato. Lo sono perché stai continuando a non fare assolutamente niente per stare meglio.
- Oh, invece sì. Però mi sono innamorato della mia psicologa.
- E pensi che ubriacarti possa migliorare le cose?
- Almeno provo qualcosa.
Danny sentì la sua pazienza vacillare. – Ma ti senti quando parli? Non sei in un film per adolescenti, Jake. Questa è la tua vita e tu la stai buttando all’aria. Una volta suonavi ed eri il più bravo chitarrista che conoscessi. Avrei dato tutto per essere come te, un giorno. E adesso? Vuoi sviluppare una dipendenza a ventiquattro anni?
- Non me ne importa più nulla, Danny. – l’espressione di Jake si fece seria, gli occhi puntati sul pavimento. – Non mi interessa. Non ho più niente, ho perso mio fratello, sto per perderne un altro e ho rovinato l’unica cosa che mi faceva stare bene. Che senso ha continuare?
- Io sono gay, Jake. Sono innamorato di Sam.
Vide il ragazzo fermarsi, fissarlo. E non seppe perché cazzo glielo avesse detto. Quelle parole erano uscite di getto dalle sue labbra quasi senza che lui le potesse controllare. Senza motivo, senza contesto. Erano solo… scappate.
Guardò Jake negli occhi, cercando di capirlo. Il chitarrista aveva lo sguardo corrucciato. Non sembrava arrabbiato, o stranito. Perplesso, quello sì.
- Ti prego, Jake, dimmi qualcosa.
Il ragazzo alzò gli occhi su di lui. – Non… Non me ne ero mai reso conto. Credevo ti piacesse Mackenzie.
- No, non mi è mai piaciuta. E’ una brava ragazza, le voglio bene. Ma non è che un’amica.
Jake tossicchiò.
- Sei arrabbiato con me?
Il maggiore lo guardò come se fosse pazzo. – Sei scemo? No. Non lo ero nemmeno quando mi hai picchiato.
- Non ti ho picchiato.
- Vabbè, quando mi hai tirato una sberla.
Danny sospirò di sollievo, tuttavia ancora in ansia.
- Io sono solo… Deluso. Ma non per il fatto che ti piacciano i ragazzi, non potrei mai. Solo, ci conosciamo da quando io avevo otto anni e tu ne avevi sei. Non capisco perché tu non me lo abbia mai detto.
Il batterista chiuse gli occhi, respirando profondamente. – Io e te adesso ci facciamo una chiacchierata. E tu berrai un litro d’acqua.
 
 
Se c’era una cosa che Danny amava fare e che non lo avrebbe mai stancato, era suonare con i fratelli Kiszka nel loro garage. Certo, ogni volta c’era un bel casino. I gemelli si erano picchiati più di un paio di volte, il tutto mentre Sam li riprendeva con il suo cellulare. E lui stava lì, dietro la sua batteria, vicino al bassista a ridere a crepapelle, con la voglia irrefrenabile di prendere il suo migliore amico per mano e di baciarlo.
Quando guardava Sam si sentiva un coglione. Sentiva l’intestino attorcigliarsi ancora di più su se stesso e il cuore battergli fortissimo. Ciò che amava più del ragazzo era la sua risata. Avrebbe potuto ascoltarla per tutta la vita, spesso si immaginava sdraiato con lui sull’erba, con le dita tra i suoi capelli mentre lo sentiva ridere. E quando incontrava il suo sguardo sentiva un vuoto nello stomaco che non aveva mai provato con nessun altro.
Ma, a parte quello, ciò che più gli piaceva era suonare con i suoi migliori amici. Gli metteva una carica incredibile, la sentiva nel petto e nelle ossa. E a Frankenmuth quei ragazzi erano gli unici ad avere gusti musicali simili ai suoi.
Danny fungeva un po’ da mediatore, era il più pacato e, anche se vedere i tre fratelli litigare lo faceva piegare in due dalle risate, cercava sempre di mantenere un clima pacifico nella stanza. Voleva bene a tutti e tre e anche a Ronnie, che ogni tanto, insieme a sua sorella Josie, restava a guardarli provare mangiando delle patatine o dei biscotti. Per non parlare di Karen e Kelly, che erano sempre pronti a trattarlo come un figlio. Erano una famiglia, tutti insieme, senza distinzioni, e Danny con loro si era sempre sentito a casa.
Tuttavia, pur essendo consapevole della sua sessualità, non ne aveva mai parlato con nessuno di loro. Prima di tutto perché Sam era uno dei Kiszka, e quindi la cosa avrebbe potuto rovinare gli equilibri e i rapporti meravigliosi che si erano creati, e in secondo luogo perché aveva paura della reazione che avrebbero potuto avere tutti. Non perché fossero omofobi o stronzate simili, anzi, la famiglia Kiszka aveva sempre diffuso un ideale di uguaglianza e di pace, ma non aveva idea di come avrebbero potuto prenderla. Forse sarebbe stato difficile mantenere un segreto così grande, o sarebbe stato imbarazzante. E, anche se ancora non lo sapeva, tenersi tutto dentro non lo avrebbe portato da nessuna parte.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Greta Van Fleet / Vai alla pagina dell'autore: _Lisbeth_