All'interno della matrice del cyberspazio come lui
aveva scelto di visualizzarla tutto sembrava un
ricamo digitale su un tessuto di un nero assoluto,
un acquerello di colori fluorescenti sbavati e linee
inseguite da fantasmi di se stesse, ectoplasmi
digitali sfuocati e in eterna dissolvenza. Su questo
sfondo si muovevano figure tridimensionali che lui
stesso non sempre riconosceva: rappresentazioni di
entità informatiche, presenze disincarnate, installazioni
ostili. Una folla di vettori premuti dentro la sua
interfaccia ottica che, se non avesse avuto la possibilità
di utilizzare dei filtri, sarebbe stata perennemente
satura e inutilizzabile.
Si accinse ad avvicinarsi alla sua preda
designata. Non era più certo che fosse ignara
della sua presenza, poiché i due tentativi
precedenti di sniffare i suoi pacchetti di dati
erano stati interrotti in modo troppo originale
per essere casuale. Dapprima uno stupido spider
aveva cercato di indicizzarlo come se lui fosse
stato una semplice pagina statica, poi aveva subito
un vero e proprio attacco preliminare, una scansione
delle porte della sua connessione.
Con una strisciante paura, sottile e indefinita,
che gli serpeggiava dentro si preparò a creare un
fantasma di se stesso da usare come falso bersaglio. La
prudenza non era mai troppa. Ma qualcosa ancora
andò storto durante il fork e improvvisamente l'intera
zona fu accecata da un bagliore spaventoso, come se
qualcuno avesse usato una password. Ma la luce accecante
non si dissolse immediatamente: la matrice rimase
abbagliata a lungo, quasi cancellata da tutta quella
energia improvvisa. Lui lanciò immediatamente dei nuovi
filtri, ma si rese ben presto conto che era successo
qualcosa di drastico. I suoi strumenti indicarono che
il livello energetico di quella porzione di cyberspazio
si era improvvisamente elevato e proprio mentre cercava
di ottenere maggiori informazioni, essi si
ammutolirono. Chiunque potesse fare una cosa del
genere cavalcava da parecchio ed evidentemente ci
sapeva fare. Non solo: doveva avere una interfaccia
da professionista, come la sua.
Prima che il nuovo livello energetico della
matrice lo buttasse fuori disconnettendolo
dolorosamente, adeguò la sua interfaccia e tutto
ritornò nella normalità. Si accorse con rabbia che
aveva perso tempo prezioso: il suo bersaglio non
c'era più. Era stato allontanato, schermato o,
ipotesi peggiore tra tutte, era stato raggiunto e
accecato dalla fazione avversaria. Fino a un minuto
prima era certo di averli eliminati tutti. Invece
doveva essercene ancora uno, abbastanza bravo da
combinargli quello scherzetto. Dette una fuggevole
occhiata ai suoi termometri di sistema: il suo
deck si stava scaldando.
Sguinzagliò un paio di spider scaricati illegalmente
dal server di un'agenzia di sicurezza: era roba
tosta, avrebbero trovato qualunque cosa in pochi
istanti. Li guardò partire: il primo, grosso,
rumoroso e pericoloso, aveva il compito di attirare
l'attenzione su di sé. Era corazzato fino
all'inverosimile, non temeva per lui. Ma nella sua
scia nuotava il secondo spider: leggero ma
cattivissimo, difficile da scoprire e quindi duro
da uccidere. In lui riponeva tutte le sue
speranze.
Il primo infatti tornò con le zampe stracariche di
false tracce, indirizzi sbagliati e in un caso
addirittura un puntamento a una pagina statica colma
di virus, una trappola tesa pronta a scattare in modo
micidiale. Il secondo restituì un solo indirizzo, la
traccia che stava cercando. Di nuovo, colmo d'ansia,
iniziò a creare un fantasma di se stesso. Aveva perso
tanto di quel tempo che ormai non aveva più importanza
quanto ci impiegava. Ma non accadde nulla. Usò il
fantasma per cercare di comunicare con i due sopravvissuti
della sua squadra, ma nessuno rispose. Eppure i protocolli
concordati non erano stati violati: se ne sarebbe
accorto.
Riprovò. Nulla: era isolato. Solo. Dei suoi compagni
nemmeno tracce labili. Forse si erano disconnessi, certi
della vittoria. O forse erano stati eliminati? Un sottile
guizzo argenteo lo colse alla sprovvista, proveniente dalle
sue spalle. Un lunghissimo filo infinito, brillante di luce
ghiacciata, frattale. Riconobbe immediatamente la minaccia e
seppe che fine avevano fatto gli ultimi due della sua
squadra. Disconnessi a viva forza: probabilmente stavano
già impasticcandosi per vincere la micidiale emicrania.
La sua interfaccia, piena di plug-in realizzati da lui stesso
e ispirati a codice militare e governativo, ovviamente rubato,
gli permise di sventare la minaccia immediata: il filo argenteo,
sottile e sinuoso si ridusse a una lunghissima fila di pixel
tremolanti e scomparve. Ma solo allora capì la gravità
dell'attacco: era finito esattamente dove il suo abile
avversario lo voleva. Ai margini della matrice, resi
frastagliati dal recentissimo innalzamento del livello
energetico. Il suo fantasma si dissolse in un battito di
ciglia e un istante dopo, con uno schiocco il tessuto
della matrice intorno a lui si fratturò a opera di un
semplice, banale attacco flood. La sua interfaccia inondata
di pacchetti di dati senza senso cercò di difendersi
droppandoli tutti ma in meno di un secondo dovette
arrendersi: non era stata programmata per difendersi
efficacemente nella instabile terra di nessuno della
matrice fratturata. Era disconnesso.
Aveva perso.
Uscì dalla ROM del suo deck stanco e abbattuto, con il
cervello che gli sembrava pulsare con dolore dentro le
pareti della scatola cranica. Sentiva che avrebbe
dovuto essere furioso per la sconfitta, ma riusciva
solo a pensare che aveva perso. Non capitava da molto.
Si sfilò gli aghi dalla testa da solo, anche se le
mani gli tremavano. Era sudato, provato, la vista
gli si era indebolita al punto che ai margini del
suo campo visivo gli pareva di vedere ancora brandelli
di matrice alterata. Fece fatica a mettere a fuoco il
tipo che gli puntava contro la telecamera amatoriale,
i visi ansiosi dei suoi quattro compagni di
squadra. Non c'erano monitor di osservazione per loro né
arbitri quindi non potevano sapere com'era finito
l'ultimo duello.
- Allora? - si decise a dire uno di loro. Lui
stava stropicciandosi gli occhi per cancellare
i frammenti di matrice dalle retine e per
prendere tempo. Dalla voce doveva essere Drew.
- Allora niente - rispose lui, mesto - mi ha fraggato.
- Cazzo! Tremila che sfumano così... - Drew
aveva fatto conto d'avere già i soldi del
premio in tasca. Se lo conosceva, li aveva
anche già sperperati.
- Rassegnati, se li ciucciano loro i
tremila – guardò sconsolato l'ago che
tradiva il tremore della sua mano.
I suoi compagni di squadra si lasciarono
andare a qualche secondo di commenti pesanti,
poi si aprì la porta della stanzetta. Lui alzò
malvolentieri gli occhi dagli aghi sporchi del
suo deck. Era la tipa del locale, quella che
aveva organizzato il match. La maglietta tagliata
per mostrare l'ombelico, i pantaloncini corti sostenuti
da bretelle rosse, lo sguardo a metà fra l'annoiato
e lo strafottente affogato in mezzo a trucco scuro,
livido.
- Di là hanno quasi finito. Sarebbe carino
che voi andaste a stringere qualche mano, almeno
per le telecamere.
I suoi, colmi di rancore per la sconfitta, si
opposero con veemenza. Ma lui, stando aggrappato
al tavolo per sicurezza, si alzò in piedi.
- Ci vado io - disse accorgendosi con spavento
che gli tremavano le ginocchia.
- Bella lì - le disse la ragazza masticando a
bocca aperta - dài, muoviti.
Si mise in tasca il suo deck caldo, girò
intorno al tavolo e seguì le deliziose natiche
ondeggianti della organizzatrice fino alla stanza
adiacente. Così vicino, così lontano, pensò lui
entrando tallonato dalla telecamera.
Due: erano solo in due. Il primo che notò fu
lui. Capelli bianchi e pelle grigia, una volpe
della Rete. Non c'era dubbio: c'erano voluti
quattro dei suoi per tirare giù quel tipo. Questo
nel mondo digitale del cyberspazio non sarebbe
stato certo fonte di disonore. Intravide la
possibilità di uscire a testa alta da quella
faccenda in cui s'era ficcato semplicemente per
dimostrare la sua mascolinità di cavaliere
della Rete. Fu proprio il suo orgoglio a subire
un duro colpo un istante dopo. Una massa di
lunghi dread tinti di viola ondeggiava sopra
il tavolo; dai polsi sbottonati e logori di
una casacca militare spuntavano due braccia
troppo sottili, la pelle liscia e dolcemente
olivastra; le mani, appena visibili dietro la
nuca, trafficavano con dei fazzoletti di
cellulosa sintetica; l'odore nell'aria era
quello pungente e asettico del gel superconduttore. Un
rapido sguardo al tavolo e le piccole piastre a
contatto apparvero evidenti, collegate a un
modulo di interfaccia Bolonov. Un equipaggiamento
da professionisti, esattamente come aveva
immaginato. Finalmente quel viso che era abbassato
verso il ripiano del tavolo si sollevò e
il sipario della pettinatura rasta si fece
da parte.
Fu tentato di fare un passo indietro. Era
giovane, carina. Aveva lontani antenati
orientali a giudicare dal colore della pelle
e dalla forma degli occhi, deliziosamente
obliqui. Le iridi chiare e gelide circondavano pupille
del tutto normali e non dilatate come ci si
sarebbe aspettato dopo una cavalcata del
genere nel cyberspazio. L'espressione di
quel viso dal mento appuntito era
indecifrabile: il nasino con la punta
all'insù; una borchia ossea a forma di
cono sovrastava il sopracciglio sinistro
e sporgeva lucida e orgogliosa in avanti,
una cicatrice tonda perfettamente simmetrica
a destra rivelava dove probabilmente
c'era stata una borchia analoga; le
sopracciglia stesse, lunghe, strette e
inclinate. Era un viso aggressivo e
femminile, determinato e dolce
contemporaneamente. Una ragazzina
impertinente, una randagia scappata
di casa, una ribelle per natura.
- Credevo fosse vietato usare spider
altrui - gli puntò contro un dito dall'unghia
nera, opaca e affusolata in modo
inquietante. Ci fece caso: tutte le unghie
di lei erano nere, opache e avevano la stessa
forma della punta di un coltello. E quanto
erano affilate le sue parole! L'accusa fatta
con tono secco e deciso, uscita da quelle
labbra sottili e rosee, formulata da quella
voce piacevole anche se un po' nasale lo
colsero quasi alla sprovvista. Forse avrebbe
fatto bene a spararsi subito qualcosa per il
mal di testa; forse aveva ancora un po' di
gialla in circolo e in un modo o nell'altro
riuscì a reagire.
- Credevo che fosse proibito pompare tutta
quell'energia nel cyberspazio - ribatté con
mezzo secondo di esitazione. Esitazione che
poteva costargli cara: quella che aveva davanti,
ancora seduta al tavolo e che continuava ad
appallottolare fazzoletti di cellulosa umidi
di gel superconduttore sembrava una gracile
ragazzina e invece era una belva sanguinaria
e pericolosa. Lui il suo deck lo teneva
in tasca, batterie cariche e aghi sterili,
sempre pronto all'uso. Lei se l'era fatto
cablare dentro il cranio. Contento di
averla zittita, spostò il suo peso su
una gamba nel tentativo di non dare a
vedere che le ginocchia gli tremavano
ancora.
La ragazza si alzò decisa dalla sedia e
con un gesto della mano che sapeva di
studiato afferrò i dread viola e li gettò
dietro la schiena. Le perline che le
ornavano i capelli scrosciarono tra di
loro brevemente.
- Se becco ancora una volta te e i tuoi
spider di merda non te la caverai così
bene. Questo era un gioco, la prossima
volta faccio sul serio.
Non aspettò la sua risposta. Fece il
giro del tavolo camminando decisa, alta
e snella. Puntò dritta verso l'uscita
ignorando tutti i presenti, anche la
tipa che aveva organizzato la
partita. Ebbe la tentazione di afferrarle
un braccio mentre gli passava vicino,
ma il suo istinto gli disse di non
provarci nemmeno.
- Sai dove trovarmi - le disse in tono
di sfida. Ma lei non si voltò.