Anime & Manga > Owari no Seraph
Segui la storia  |       
Autore: A_Typing_Heart    05/12/2020    0 recensioni
«Sto cercando un libro sui vampiri... qualcosa che parli di loro, della loro psicologia... qualcosa che non sia solo letteratura.» disse con una certa delusione interiore: nella sua testa suonava molto meno ridicolo. «Esiste qualcosa del genere?»
«Ovviamente esiste.» rispose lui, con uno sguardo che sembrava brillare di eccitazione. «Posso chiederti come mai ti interessa un argomento così singolare o è una domanda troppo intima per il primo incontro?»
«Mi interessano perché non ne so niente e ne devo prendere uno.»
Qualsiasi altra persona a quella frase avrebbe riso o l'avrebbe preso per matto, ma non quell'uomo, che sorrise se possibile ancora di più.
«Stai cercando quell'assassino, il Vampiro di West End.»
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La vibrazione del cellulare era un rumore di poco conto, ma Crowley spalancò gli occhi come se avesse sentito una sirena. Come se il suo settimo senso irlandese vibrasse quanto lo smartphone seppe che erano in arrivo cattive notizie ancora prima di leggere il nome di De Stasio sul display.

«Dimmi…»

«Dormivi ancora?» domandò lui, cogliendo il sonno residuo nella sua voce bassa.

«Sì, ma non c’è problema… siamo stati svegli un po’, stanotte… cos’è successo?»

Ferid, che dormiva sulla sua spalla anziché sul guanciale, emise un sospiro e sollevò un paio di occhi celesti molto assonnati su di lui. Crowley gli accarezzò i capelli scarmigliati.

«Dormi ancora un po’. Non ti preoccupare.»

Ferid non rispose e lo lasciò scivolare fuori dal letto per poi allungarsi e appropriarsi del suo cuscino come se bramasse il suo odore o il suo calore residuo quanto l’ossigeno. Il suo respiro tornò profondo e regolare dopo pochi secondi e Crowley non riuscì a non sorridere a quella vista.

«Anche Ferid dormiva ancora?»

Crowley aspettò di chiudere la porta della camera e di arrivare in cucina prima di rispondergli.

«Dorme ancora… altro che vampiro, quello si addormenta alle dieci di sera e si sveglia col primo raggio di sole della giornata come un’allodolina.»

«A parte oggi.»

«Sì, a parte oggi. Ora che non esco più a bere il venerdì sera lo passiamo insieme a giocare a uno strano tipo di poker, il poker indiano, lo chiama lui. Una volta ti spiego meglio.» fece Crowley. «Allora, cos’è successo?»

«Volevo dirti che, come immaginavamo, gli organizzatori del concerto e il manager dei Double Tune non vogliono sospendere o cancellare la data per il semplice sospetto che il Vampiro possa andarci.»

«Era prevedibile.»

Crowley lanciò uno sguardo al calendario, dove la data del ventisei ottobre era cerchiata in rosso proprio per via del concerto.

«Come vi muoverete, allora?»

«La Skuld ha supportato la teoria di Ferid, quindi McCray e il capitano Alford sono d’accordo nel sorvegliare la zona. Abbiamo chiesto supporto al dipartimento di Northbury, ma hanno parecchio lavoro in ballo e siamo onesti: pensano che stiamo pescando a caso. Non credo ci daranno più di due o quattro agenti di pattuglia.»

«Sono troppo pochi.»

«Lo so, ma il capitano vuole schierare gli uomini all’Arena prima del concerto per controllare la struttura e poi sorvegliare gli ingressi… se gli impediamo di entrare durante il caos del concerto non dovrebbe essere in grado di fare troppi danni.» ponderò De Stasio. «Chiederò io stesso ai Double Tune di chiedere ai loro fan di prestare attenzione e di non dare retta a chi possa proporgli di entrare nel backstage o di incontrarli di persona. Per non creare troppo panico la metteremo come fossero precauzioni antirapina.»

«È una buona idea, tutto sommato…»

«Ci uniremo anche alle guardie di sicurezza dell’Arena per controllare la folla durante l’evento.»

«Siete pochi per riuscire a fare un lavoro del genere…»

«Purtroppo sì, ma non per questo lasceremo campo libero, ti pare?»

Crowley esitò un momento, giusto il tempo di sedere sul divano e lasciar uscire un sospiro.

«Verrò anch’io.»

«No, Crowley.»

«Sono a riposo assoluto da dieci giorni, posso fare un turno di lavoro oggi. C’è bisogno di tutti gli occhi e le orecchie possibili.»

«Crowley, non hai ancora finito il periodo di malattia.»

«Se è quello il problema non timbrerò il cartellino e verrò all’Arena come privato cittadino, ma verrò comunque.»

«Tu e Ferid dovete mettervi in testa che dovete restare in casa e lasciare che noi facciamo il nostro lavoro. Voi due fate il vostro: prendetevi cura di voi stessi

Sapeva che De Stasio non avrebbe acconsentito tanto facilmente, ma poteva ancora giocarsi la sua migliore carta: la totale sincerità. Allungò il collo per assicurarsi che la porta della camera da letto fosse ancora chiusa e abbassò leggermente la voce.

«De Stasio… se davvero il Vampiro di West End sarà lì stasera, potrebbe essere la mia ultima possibilità di vederlo prima che venga arrestato.»

«E quindi, che cosa vuoi fare? Ucciderlo prima che lo prendiamo? Prenderlo a pugni, che cosa?»

«Io non uccido se non sono costretto dalle circostanze. Prenderlo a pugni può essere, se soltanto mi darà un minimo incoraggiamento a farlo… ma quello che voglio fare è guardarlo in faccia mentre gli chiedo il motivo per cui ha mutilato dei bambini e condannato a morte dei poliziotti… perché odia Ferid in questo modo viscerale.»

Le sue confidenze vennero accolte inizialmente da un ticchettio regolare. De Stasio stava giocherellando con una penna.

«Crowley, difficilmente si farà prendere senza combattere, se davvero sarà lì. Non devi venire, è troppo rischioso per te.»

«Lo sai che non mi puoi convincere, quindi se vuoi preservare la mia salute accetta e non trascinarmi in inutili discussioni.»

«No, ascoltami bene.» fece De Stasio in tono autoritario. «Entro qualche ora saprò esattamente quanti uomini Alford troverà per l’operazione. Se saranno meno di venti ti chiamerò e verrai anche tu ad aiutare.»

Crowley smise di riordinare distrattamente le carte da poker che avevano lasciato in disordine sul tavolino e si sforzò di raffreddare i suoi pensieri. Trovò che il suo collega avesse ragione a reputarlo un rischio, e non avendo ancora fatto una visita di controllo non era certo di essere del tutto al sicuro in un’operazione così stressante, anche se l’assassino non si fosse palesato affatto.

Quasi senza rendersene conto si passò la mano sulla cicatrice.

Non posso prendere questa decisione da solo.

«D’accordo.» disse alla fine al collega, che attendeva la sua risposta in silenzio. «Aspetto notizie dalla squadra, ma se ci fosse bisogno non esitate a chiedermelo.»

«Immagino come ti senti… quindi no, non esiterò a dirtelo se avremo bisogno di uomini.»

«Grazie, De Stasio. Lo considero un favore da amico.»

Lo sentì sospirare profondamente, come ogni volta che aveva dubbi.

«Se fossi stato un buon amico non avrei nemmeno chiamato per dirtelo prima di domani.»

Con suo stupore De Stasio riagganciò subito dopo questa constatazione e Crowley seppe che lo stava mettendo in una brutta posizione, chiedendogli di scegliere tra quello che avrebbe fatto un poliziotto e quello che avrebbe fatto un amico disinteressato.

Abbandonò il telefono ormai muto e anche le carte da gioco sul tavolino, perdendosi in pensieri burrascosi che andavano dalle fantasie su un ipotetico incontro con il Vampiro a quello che sarebbe successo se avesse avuto un nuovo attacco di angina durante il concerto: questa possibilità fece dibattere la coscienza di Crowley come un pesce rimasto a secco sulla battigia.

De Stasio si sentirebbe in colpa per avermi coinvolto conoscendo le mie condizioni… e Ferid… già… Ferid.

Lentamente si alzò dal divano e raggiunse la camera da letto. Sorrise spontaneamente guardando il suo coinquilino abbracciato al suo cuscino e la sua chioma argentata che scendeva in ciocche disordinate sulla sua schiena nuda. I suoi occhi indugiarono colpevolmente sulla curva dove i capelli non arrivavano e che la coperta lasciava esposta.

Stupendo… e tentatore.

Prese il lenzuolo con due dita e coprì Ferid fino alle spalle prima di recuperare gli abiti del giorno precedente, ma un feroce tintinnio della fibbia della cintura svegliò l’affascinante tentazione che aveva appena cercato di ignorare.

«Dove vai?» fu la prima cosa, biascicata, pronunciata da Ferid dopo aver sbadigliato.

«Da nessuna parte… mi sto solo vestendo.» rispose lui, chiudendosi pantaloni e cintura. «Resta a letto ancora un po’. Preparo io la colazione.»

Si allungò per prendere la maglia ma si sentì trattenere per la cintura.

«Se hai freddo non vestirti e mettiti qui vicino a me un altro po’…»

«Guarda che è tardi, Ferid…»

Pur con l’aria ancora insonnolita Ferid sembrava essere già a regime, almeno inconsciamente, e sollevò abbastanza coperta da fargli vedere quanto bastava per accendergli il desiderio… ma fortunatamente per la sua anima immortale, non sufficiente a fargli infrangere il suo voto solenne.

«Ma c’è un posticino caldo proprio qui, Crowley…»

Non che non l’avesse capito, ma Crowley ebbe l’ennesima conferma che Ferid non si stava mettendo a dormire senza vestiti per seguire qualche strano ciclo lunare, e di riflesso scosse la testa con un sorriso esasperato e divertito insieme.

«Se sei così vispo puoi anche alzarti e preparare tu il porridge mentre io faccio il resto.»

Ferid rispose con uno strano mugolio e gli lanciò uno sguardo contrariato tale e quale a quello di un bambino col broncio. Crowley smise di pensare alla colazione e dopo qualche attimo di riflessione lasciò la maglia e si infilò nel letto.

«Anzi, in realtà è una buona idea.» disse, quando notò l’aria sorpresa di Ferid. «Devo parlarti di una cosa.»

«Ah, sì?» fece lui, appoggiando la testa sul suo petto. «Ha a che fare con quella telefonata?»

«Ah, te n’eri accorto… beh, sì. Era De Stasio.»

«E?»

«Oggi è il giorno del concerto… te lo ricordi, vero?»

«Sì, certo.»

Non lo vedeva in volto, ma dal suo tono gli apparve nitidamente il suo viso più pallido e meno disteso; la sua espressione di quando tentava di celare la sua preoccupazione. Gli accarezzò i capelli.

«L’organizzazione dell’evento e la band hanno deciso di non sospenderlo. L’unità cercherà di presenziare al concerto per garantire la sicurezza dei ragazzi.»

«Capisco.»

L’ha presa meglio di quanto pensassi… evidentemente l’ultima volta che ne abbiamo parlato sono riuscito a fargli capire che cosa avrebbero pensato gli altri ed era preparato all’eventualità.

«Ferid, voglio che tu sappia che nessuno nella squadra, e io ancora meno, ti farà la minima colpa se dovesse succedere qualcosa di brutto questa sera.»

«C’è sempre la possibilità che mi stia sbagliando.» disse lui, ma d’istinto strinse la mano sul robusto braccio che lo teneva delicatamente stretto. «Anche se sono certo di no.»

«Io mi fido delle tue sensazioni… per questo vorrei unirmi al resto della squadra per questa operazione.»

Ferid alzò gli occhi su di lui, alla fine, e Crowley vide l’espressione tesa che stava immaginando.

«Crowley, no. Non stai ancora bene, potresti sentirti male mentre sei lì.»

«Lo so. È un rischio, ma io sono disposto a correrlo, perché sono certo che tu sei nel giusto e che il Vampiro ci sarà… rischierei senza esitazione la vita per salvare quella dei prossimi bambini… o la tua, se lui scoprisse che non ti ha ucciso potrebbe dimostrare la sua scarsissima capacità di autoconservazione e riprovarci.»

«Non lo fare, Crowley, ho una brutta sensazione riguardo questo concerto.»

Sapevo che l’avrebbe detto… sapevo che avrebbe avuto paura di perdermi e che avrebbe tirato fuori qualsiasi argomento convincente per persuadermi.

«Ascoltami, Ferid. Non voglio andare a prendermi la gloria, né voglio suicidarmi in modo creativo, okay? Solo… capiscimi… è il mio lavoro proteggere le persone, e vorrei cogliere questa occasione. Vorrei riuscire a liberarti da questo peso, in tempo per il tuo compleanno…»

Crowley sorrise e passò il pollice sul cristallo rosso dell’orecchino prima di passarlo fugacemente sul suo viso.

«Non ti piacerebbe se per Halloween potessimo uscire insieme e stare fuori tutta la notte a festeggiare, senza chiederti se lui ti sta osservando… se lui sa dove sei e che cosa stai facendo… se lui sa di te e me?»

Sapeva di aver fatto breccia, perché capiva che quell’isolamento in casa, seppure inframezzato dalle partite a scacchi nell’appartamento accanto, lo stava logorando e gradualmente lo portava a diventare sempre più paranoico. Dopo aver decretato che nessuno degli sconosciuti proposti da De Stasio poteva essere Robert Warren Ferid si era fatto nervoso, anziché rilassarsi all’idea che potessero essere arrivati alla fine della sanguinosa saga.

«Vorrei che mi dessi il tuo consenso ad andare.» insistette, guardandolo dritto negli occhi. «Proprio perché anche tu tieni tanto alla mia vita, vorrei che capissi le mie ragioni e non ti opponessi se decidessi di andare anch’io.»

«Io vorrei che tu non usassi questi trucchetti ignobili con me per strapparmi un consenso che non voglio darti.»

«Quali trucchetti?»

«Questi! Dirmi quanto conta la mia opinione per te, che fai tutto questo per me, quando lo fai solo per te!»

«Ma non è vero, sono sincero quando dico che voglio che tu sia d’accordo…»

«Perché devi essere tu a prenderlo? Perché tu e non qualsiasi altro poliziotto del paese? Perché stai ancora cercando di vendicare George e gli altri tuoi colleghi!»

«No… Ferid, ti sbagli… voglio vendicare i miei amici, dare giustizia ai bambini e anche a te, ma non devo essere io in persona a prenderlo… voglio solo poter dire, se questa sarà davvero la fine della caccia, che io c’ero e che non ho risparmiato niente per prendere quel farabutto. Voglio poter andare a Grace Garden da George e dirgli che labbiamo preso anziché che l’hanno preso… ti sembra così strano?»

«Quindi hai già deciso. Quello che dico io non conta, vuoi che ti dia il consenso solo per non sentirti in colpa.»

«Non è questo… dico sul serio, se ci pensi bene e mi dici che non vuoi che lo faccia, non lo farò. Ma voglio che tu ci pensi, che ti metti anche nei miei panni e non mi rispondi di no come un bambino testardo. Esigo che sia una risposta ponderata.»

«Non voglio litigare con te. Se vuoi andare allora vai.»

Ferid si liberò dalle sue braccia senza incrociare il suo sguardo. Crowley, sbalordito dal repentino cambio di umore, si raddrizzò sul letto e l’afferrò dal polso.

«Ferid… non ti ho appena detto di pensarci? Non litigheremo, parliamone…»

«Sono arrabbiato, Crowley, non voglio parlare adesso. Se stasera succede qualcosa… non voglio ricordare che l’ultima cosa che abbiamo fatto insieme è stata litigare.»

Non oppose resistenza quando Ferid tirò il braccio per liberarsi dalla presa e lo guardò sgusciare fuori dal letto, infilarsi la vestaglia e sparire nella stanza da bagno. Dibattendosi in una sgradevole fanghiglia di senso di colpa e turbamento rimase lì, seduto sul letto, a rimuginare sui suoi motivi e sulle sue priorità.

 

 

«Non avrei mai pensato di… aspetta.»

Ferid attese in silenzio mentre la voce di Krul si allontanava dal telefono e si rivolgeva a un cliente che le chiedeva di mettergli in preordine una pubblicazione intitolata Dio come acqua; ciò lo fece pensare a quanti titoli si stesse perdendo in quel periodo di ferie forzate.

Fu abbastanza sorpreso quando la porta che dava sulla scala antincendio si aprì e ne uscì Crowley, guardandolo con la stessa apprensione di chi guarda il figlioletto con la febbre alta. Non parlò, ma accennò a una tazza termica e a una felpa che teneva in mano. Ferid lo guardò per qualche attimo, poi annuì, e prese la tazza calda mentre lui gli metteva la felpa sulle spalle.

«Sicuro di non voler tornare dentro?»

«Dopo.»

Era ovvio che una risposta o più d’una fioccassero nella testa rossa di quell’irlandese, ma non parlò e si limitò a tornare dentro dopo avergli sfiorato la mano infreddolita.

Krul non era ancora ritornata e Ferid ne approfittò per infilarsi la felpa, che era calda: dato che non aveva ancora acceso i sifoni nell’appartamento immaginò che gliel’avesse riscaldata con il ferro da stiro prima di portargliela. Chiuse gli occhi e tirò su l’orlo fino al naso dalla punta fredda.

Perché dev’essere così difficile? Sappiamo cosa proviamo… quindi perché è ancora così difficile? Perché sembra impossibile per me riuscire ad avere una relazione felice?

Sospirò abbattuto proprio nel momento in cui un rumore indistinto preannunciò il ritorno di Krul, che riprese esattamente da dove si era fermata.

«Non avrei mai pensato di farti da confidente e stare qua a sentirti lamentare della tua nuova storia d’amore.»

«Non so a chi raccontarlo.» commentò Ferid, con un tono lamentoso. «Io non ho amici.»

«Non ti veniva in mente proprio niente di più carino da dire?»

«Che cosa volevi sentirti dire? Che tu mi capisci come nessun altro? Che sei la migliore amica che ho mai avuto? Non è un grande riconoscimento essendo anche l’unica a sapere qualcosa di me.»

Krul emise un brontolio indistinto che si fuse con il rumore del bollitore del retrobottega.

«È doloroso, Principessa.»

«Cosa? L’amore?»

«Non capire che cosa c’è che ti blocca. Non capire la ragione che ti impedisce di stare bene con la persona che vuoi vicino.» disse Ferid, e portò le ginocchia vicine al petto per scaldarsi. «Ti è mai successo?»

Tintinnio di cucchiaino: stava girando lo zucchero nella tazza del tè o del caffè istantaneo.

«Sì, certo. Mi è successo.»

«Quante volte?»

«Almeno una. Ti basti sapere questo.»

«Vorrei farti una domanda, Principessa.» esordì lui, dopo un certo silenzio. «Perché non riesci mai a essere sincera?»

Un forte tintinnio di ceramica sottolineò il suo disappunto.

«Ma questo non è vero!»

«Non vuoi far sapere a nessuno cosa pensi e cosa cerchi, per quale motivo?»

«Perché non serve che tu o qualcun altro lo sappiate. So gestire da sola i miei problemi e anche i miei desideri.»

«Ma parlare con gli altri è così liberatorio, Krul… è proprio bello quando ti fidi di qualcuno così tanto da mettere le tue debolezze nelle sue mani. È un sollievo… sei più leggero. I tuoi pensieri sono più leggeri.»

«Pensavo fosse disgustoso sentirti parlare normalmente, ma non è nulla in confronto al sentirti parlare quando sei innamorato.»

«Strano, perché tutte le persone innamorate che sento sono soavi quando parlano di chi amano. Persino tu.»

«Quando mai sono stata innamorata, io?»

«Quando parlavi in modo soave.»

«Di chi? Di te? Tu sei ubriaco.»

«Io non ho detto niente del genere, Principessa. Ho solo detto che ti ho sentita parlare in toni soavi.» precisò lui, ma sorrideva divertito. «Di chi… chi lo sa? Ti conosco da sette lunghi anni, potrebbe essere stato qualsiasi giorno di questi sette anni…»

«O uno dello scorso luglio quando palesemente eri troppo ubriaco per capire che cosa stavo dicendo?»

«O uno dello scorso luglio, può darsi. Mi stai dando indizi per arrivarci da solo? Continuiamo, mi diverte giocare al detective!»

«Ti diverte giocare col detective, piuttosto.»

«È proprio quello il problema, non vuole giocare… ah, come sono triste… consolami, Principessa.»

«Ma che cosa me ne frega! Se proprio vuoi saperlo il tuo problema è la noia, se potessi lavorare non staresti così tanto a pensare alle tue seghe da sfigato!»

Ferid gettò un’occhiata sull’orizzonte, nella direzione del West End.

«Mi sa che hai ragione… vorrei poter lavorare.»

«Vorrei anche io che tu lavorassi, non riesco a fare tutto da sola. Intanto che finisco di spolverare sono arrivate le novità, devo allestire la vetrina e sistemare sugli scaffali, e intanto che lo faccio è già ora di ricominciare a pulire.» sbottò lei, irritata. «Più tutte le scartoffie amministrative che faccio tra un cliente e l’altro, e devo stare sveglia la notte per i manufatti che mi commissionano. È un inferno.»

Aveva sempre chiamato manufatti le sue stregonerie, fossero bracciali con incanti personalizzati, bambole di guarigione, amuleti per l’amore e la fortuna o addirittura le sue divinazioni. Riflettendoci, Ferid non era sicuro che lei sapesse che il suo impiegato era a conoscenza della sua secondaria attività di veggente.

«Krul.» disse all’improvviso. «Krul, faresti una cosa per me?»

«Che cosa vuoi?»

Il tono che aveva usato, più incuriosito che irritato, disse tutto quello che le parole non osavano: gli mancava la sua presenza, dopo anni passati insieme quasi ogni giorno, ed era molto più incline ad acconsentire per continuare quella telefonata il più a lungo possibile.

«Questa sera succederà qualcosa… probabilmente. Leggeresti le tue conchiglie per me?»

Il rumore che seguì lo conosceva. Krul aveva l’abitudine di infilare la pesante spillatrice nel portapenne e bastava un nonnulla per farlo rovesciare: cosa che era appena successa.

«Come lo sai?»

«Come pensi che lo sappia?» domandò lui di rimando, in tono leggero. «Naturalmente una tua cliente di quel servizio è venuta in negozio a cercarti. All’inizio non ho capito che cercava te, ma poi… beh, ho unito qualche puntino, per così dire. Allora, quant’è la tua tariffa? Segnala sul mio conto.»

Krul esitò dall’altra parte del filo, ma poi sentì un rumore regolare che riconobbe come quello della serranda del negozio.

«Krul, stai chiudendo?»

«Non posso fare una divinazione se vengo interrotta.»

«Oh, così facile? Niente insulti o i soliti inviti ad attaccarmi al–»

«Sta’ zitto, deficiente, prima di farmi cambiare idea.»

Ferid approfittò dei minuti in cui Krul scese nel suo antro ricavato nel seminterrato del negozio per riscaldarsi con la bevanda calda che Crowley gli aveva portato, un infuso di ciliegia e cannella. Ascoltò in silenzio il rumore di oggetti spostati, fruscii, un curioso acciottolio e l’inconfondibile scatto di un accendino tipo zippo.

Chissà se ce l’ha ancora…

«Senti, Principessa…»

«Sì.»

«Uh?»

«Sì, è il tuo accendino. Quello zippo con il teschio e le rose rosse.»

«Oh, l’hai conservato~ che sentimentale~»

«Mi piaceva il disegno.» ribatté lei. «Era un peccato buttarlo via solo perché hai smesso di fumare.»

Potrebbe anche essere vero… ma quando Krul si giustifica con così tanta calma è perché ci tiene a darti a bere qualcosa…

Ferid sorrise, nonostante sul momento sentisse la voglia di una sigaretta per rivivere certi ricordi nostalgicamente legati al fumo e a quell’accendino. Si accontentò di un sorso di infuso.

Un certo rumore tintinnante gli suggerì che avesse iniziato la sua divinazione: era il delicato acciottolio di conchiglie che si muovevano nello stesso sacchetto, che si toccavano e strisciavano tra loro. Ferid aspettò in silenzio più di tre minuti prima che lei parlasse.

«Questa notte il tuo detective incontrerà il suo nemico.»

Il brivido che gli risalì la schiena non aveva nulla a che fare con l’aria fredda e la gelida scala di metallo su cui era seduto.

«Cosa?»

«È lui l’uomo più importante per te, no? L’uomo più importante per te incontrerà il suo nemico più grande, stanotte… dopo questo, il tuo nemico toccherà te… ma c’è qualcuno a salvarti dal pericolo.»

«Il mio nemico… hai detto?»

Bobby? Il mio nemico è il Vampiro di West End, non c’è dubbio… ma è davvero Bobby? E poi, vuol dire che mi ha trovato anche qui? Come ha fatto, come…?

Ferid scosse la testa e sospirò; non aveva alcuna ragione di tormentarsi tanto, era soltanto la profezia di una ragazza perfettamente normale fatta buttando delle conchiglie su un drappo di velluto nero alla luce di qualche candela…

Già, ma io? Anche io ho fatto una profezia, quando ho visto in quel quadretto caduto il presagio di quello che sarebbe successo a Crowley… è la stessa cosa… oppure no?

«Ferid.» disse Krul con un tono forzatamente pacato. «Ferid, chi è la donna più importante per te?»

«Lo sai che sei tu, Principessa.»

«Non sto scherzando, idiota.»

«Mi hai forse sentito ridere?»

Krul proruppe in una strana, breve, gelida risata del tutto priva di allegria e densa invece di nervosismo e amarezza.

«Cazzo

Con in mente nitidi ricordi della sua sensazione netta che un pericolo mortale si addensasse su Crowley come la tempesta in quel giorno di luglio, Ferid capì che cosa Krul stava pensando e strinse il bicchiere termico tanto forte da sbiancarsi le nocche.

«Krul, che cos’hai visto?»

«Niente.»

«Non mentirmi! Che cos’hai visto?»

«Niente. Solo, pare che non lavorerai più per me… magari perché ti sposerai col tuo detective irlandese e sparirete tutti e due in un’altra città.»

«A parte che tutto ciò mi pare piuttosto impraticabile, lo so che stai mentendo! Dimmi che cos’hai visto davvero!»

«Felicitazioni, Ferid. Mi scuserai se non verrò alle nozze, ho qualche impegno, e anche adesso. Devo ancora finire di allestire la vetrina d’angolo.»

«Bugiarda!» esclamò lui, con crescente irritazione. «Krul, non riattaccare!»

«Mi dispiace tanto.»

«Non osare!»

Ma lei osò e gli riattaccò il telefono in faccia, lasciandolo indignato, furioso e preoccupato in egual misura. Richiamò immediatamente ma anche se se l’aspettava sentire la propria voce registrata della segreteria gli mandò il sangue alla testa. Ovviamente nemmeno richiamarla sul numero personale servì a nulla, perché la telefonata venne chiusa senza alcuna risposta.

«Piccola stronzetta arrogante!»

Ferid dominò l’insano impulso di lanciare il telefono giù dalla scala antincendio e lo ripose nella tasca della felpa; si alzò in piedi ma non si avvicinò alla porta, lasciata accostata con un pezzo di battiscopa di origine sconosciuta a impedirne la chiusura.

Qualsiasi cosa abbia visto l’ha spaventata. Mi ha chiesto se era la donna più importante per essere sicura che quello che vedeva riguardasse lei… ha visto un pericolo su di lei? Dev’essere così… è di nuovo lui, incontrerà Crowley questa sera al concerto, e poi… vedrà me… e dopo, Krul? Ma che cosa può volere da lei?

Ferid mosse passi lenti e aprì piano la porta, meditabondo. Non aveva fatto una domanda così intelligente: trattandosi di un uomo che aveva preso di mira bambini del tutto innocenti soltanto perché lui gli aveva rivolto la parola, che cosa mai poteva aspettarsi che pensasse di fare a una donna che era stata sua, anche se solo per un giorno?

Ferid spostò il pezzo di legno con il piede e chiuse la porta, ma non tornò immediatamente in casa: indugiò sul pianerottolo da dove si poteva sentire la musica che veniva dall’appartamento numero ventitré e le risate dei due ragazzi che l’abitavano, ma Ferid stava riascoltando nella mente un’altra voce. Tormentato dal dubbio si toccò l’orecchino rosso che un tempo non così lontano era appartenuto alla bassa, dispotica, arrogante, bellissima ragazza del Magick di Ashland Street.

Per che cosa ti dispiace, Krul? Non hai mai detto qualcosa del genere da quando ti conosco… perché dirlo ora, in questo modo, come fossero le parole di commiato?

Quando alla fine si decise a rientrare in casa lo stereo del numero ventitré aveva smesso di suonare, ma le risate dei due ragazzi e i loro toni scherzosi non avevano smesso di riecheggiare e tutto questo, pensò Ferid, rendeva l’angoscia dentro di lui ancora più nera.

 

 

La chiacchierata al telefono, come l’aveva definita Ferid, non gli aveva fatto molto bene e a Crowley sembrò ancora più pensieroso e preoccupato di quanto non lo fosse prima; in ogni caso dopo qualche minuto passato in piedi davanti alla porta d’ingresso si riebbe, notò che il padrone se lo stava osservando in silenzio e si affrettò a ricomporre un sorriso posticcio quanto un parrucchino malfatto.

«Grazie di avermi portato la felpa e qualcosa di caldo da bere, questo venticello gelido mi stava ibernando~»

«Non c’è bisogno, lo stavo facendo anche per me.»

Crowley sospirò posando sul tavolino un libriccino che stava leggendo nell’attesa – uno degli opuscoli che Gilbert aveva portato a Ferid per fargli approfondire la visione cattolica di molteplici aspetti della vita, nello specifico il matrimonio – e lo guardò, combattuto: non sapeva se parlargli apertamente o se aspettare di vedere se un germoglio di volontà in tal senso fosse sbocciato da lui.

Aveva avuto molto tempo, quando era stato in ospedale in seguito alla sparatoria, per pensare al rimpianto, al rimorso, al perdono e a simili argomenti che difficilmente non sfiorano la mente scossa di qualcuno che ha rischiato la morte. Sapeva che qualsiasi cosa avesse rimandato l’avrebbe fatto pentire, che gli sarebbe rimbombata nella testa nei suoi ultimi momenti.

Se la sensazione di Ferid è come quella di quest’estate questa volta potrei esserci vicino di nuovo. Non posso aspettare.

«Ferid… vorrei ti sedessi qui e parlassimo… di stamattina e di stasera.»

«Non c’è niente di cui parlare, Crowley. Ho un brutto presentimento e non voglio che tu vada nelle tue condizioni di salute, perché non ti voglio perdere.»

Non si aspettava una verità così diretta da lui, soprattutto alla prima risposta. Il suo cervello rimase un po’ in stand-by scartando gli scenari immaginati in cui doveva persuaderlo a parlare, con la stessa fretta di un adolescente disordinato che tenta un riordino dell’ultimo secondo prima che la madre entri per ispezionare la sua camera.

«Sì, ma… Ferid… capisci che io non lo faccio per capriccio, o…»

«Il mio invece è un capriccio.» l’interruppe lui. «Perché voglio stare con te ancora per tanto tempo. Voglio sentirti cantare nel coro, voglio andare all’Elysium a vedere un musical, voglio che mi insegni abbastanza rugby da divertirmi quanto te a guardare una partita, e voglio leggerti tutti i miei libri preferiti, e per questo servono un sacco di serate di lettura. Probabilmente anni di serate di lettura! Quindi no, Crowley, non voglio che tu vada questa sera.»

«Questo lo capisco, ma tu non tieni in considerazione le mie ragioni.»

«Certo che le tengo in considerazione, ma dal mio punto di vista non sono minimamente valide per ignorare le mie. Ora che tu sai le mie, fai la tua scelta, ma se decidi di andare sappi che non saremo mai d’accordo.»

Ferid ha una capacità spaventosa di angosciarmi quando devo scegliere. Mi sembra sempre che mi stia esaminando e che… sì, ho sempre paura che possa scomparire se sbaglio la risposta.

Crowley allungò la mano verso di lui senza parlare. Dopo un momento di esitazione gli venne stretta da dita ancora fredde e lui le strinse per riscaldarle.

«A questo punto sarà il caso a decidere… o piuttosto, Dio, se vogliamo metterla così.»

«Pari o dispari?»

«De Stasio ha detto che mi chiamerà per andare solo se gli uomini a disposizione saranno insufficienti. Se il capitano ritiene di aver avuto abbastanza rinforzi dalle pattuglie e dal distretto di Northbury, io resterò qui senza muovermi.»

«Davvero?»

«Sì.» rispose Crowley sorridendogli. «Mentre aspettiamo notizie ti va di leggere qualcosa insieme? Abbiamo finito l’altra sera Il mercante di stelle, che cosa c’è dopo nella lista?»

Ferid sorrise più convinto, ma negli occhi restava sempre la stessa densa ombra.

«Direi che il prossimo è sicuramente Una vecchia storia irlandese.»

«Ah, questo titolo mi piace! Che genere è?»

«Uhm, direi un mystery. È una sorta di giallo, un po’ più fumoso di un classico giallo.»

«Un giallo irlandese? È proprio il mio libro!»

«Se fossi protagonista di un libro, sarebbe un po’ diverso da un giallo, penso.»

«E come sarebbe?»

Ferid si decise a sedersi sul divano accanto a lui.

«Probabilmente un giallo mescolato con cose misteriose e miracoli divini, la componente spirituale non potrebbe mai mancare! E poi, sarebbe intriso di sentimento, racconterebbe almeno una delle tue storie d’amore e di passione.»

«Magari racconterebbe il caso del Vampiro di West End e la mia storia con te!»

«Sarebbe divertente, no? Chissà com’è il finale. A me piacciono i lieto fine.»

Crowley gli lanciò un’occhiata divertita, memore di quando gli raccontò quanto gli piacessero le storie romantiche con un finale felice.

«Dipende dal libro, ma in questo anch’io vorrei un lieto fine.»

«È un libro che leggerei proprio.» disse Ferid, con l’aria assorta. «Ma immagino che se qualcuno scrivesse un libro sul Vampiro sarebbe un qualche giornalista che pubblica le sue indagini e le sue interviste…»

«E se lo scrivessi tu?»

L’aveva buttata lì quasi senza pensarci, ma Ferid gli lanciò uno sguardo costernato fin troppo sentito per il commento che voleva essere.

«Io?»

«Beh… ho solo pensato… leggi libri da tutta la vita, e ne avrai letti migliaia… non hai mai provato a scriverne uno?»

«In realtà no. Non ci ho nemmeno mai pensato… in effetti, non è che io abbia molto da…»

«Adesso non attaccare con la scusa che non hai storie da raccontare! La tua storia sembra un romanzo, con la tua infanzia tormentata, quello che è successo con Bobby, tutto quello che ti è successo prima di arrivare al Magick, e tutto quello che c’è stato dopo che ci siamo conosciuti!»

«Mi confondi.» commentò Ferid. «Parti da poliziotti e navy seals e poi passi alle fantasie su librai, meccanici e scrittori…»

«Non sono fantasie, stavo solo pensando che… beh, perché non ci pensi su? Magari non arriverai neanche a finirlo, ma ti potrebbe tenere occupato in questo periodo… onestamente, non so quanto ti faccia bene leggere chili di questa strana roba.»

Lanciò uno sguardo al libriccino intitolato Il matrimonio in Cristo tale e quale l’avrebbe riservato a una zuppa di ceci, ma Ferid non se ne accorse: stava di nuovo giocando con l’orecchino con gli occhi celesti fissi senza concentrazione su Pandora che ronfava sul tappeto sotto il tavolino.

«Beh… un po’ di lavoro d’archivio non guasta nessuno, no? Che male può fare riordinare un po’ le idee e quello che è successo negli ultimi mesi?»

«Assolutamente nessuno.» concordò Crowley, ben felice di aver trovato qualcosa che potesse tenerlo lontano dalla noia e dalla conseguente sensazione di depressione. «Anzi, dovresti proprio farlo. È una versione avanzata del tuo diario, no? E scrivendo la storia di tuo pugno ti renderai conto di quante cose speciali sei riuscito a fare, ti farebbe proprio bene.»

Qualsiasi cosa Ferid stesse per rispondergli Crowley non la conobbe mai: vennero interrotti dallo squillo del suo cellulare che calamitò i loro sguardi e l’irlandese sentì un leggerissimo brivido quando vide lampeggiare il nome di Joey Alford sul display. In un’atmosfera improvvisamente di nuovo tesa rispose.

«Capitano.» disse, a mo’ di saluto.

«Allora, Crowley… come ti senti?»

«Mi sento bene.» rispose lui in tono cauto. «È una manovra gentile per arrivare a dirmi che avete bisogno di me?»

Il capitano non parlò per qualche secondo e Crowley mise la chiamata in vivavoce per essere certo che Ferid capisse ogni parola.

«A essere onesti ho grattato in posti dove avrei preferito non mettere le mani.» rispose Alford, con un tono stanco. «Ho chiamato agenti che sono in ferie, agenti che avevano preso permessi, chiedendo a tutti se volevano prendere parte all’operazione. Ho chiesto all’unità crimini maggiori, ho scomodato tutte le amicizie che ho che avessero un debito… e tutto quello che ho ottenuto sono quattro pattuglie di agenti e quattro detective, più il sergente McCray.»

«Un po’ pochini per la Belfast Arena che contiene quasi ventimila persone al suo massimo.»

«L’allarme non è stato considerato fondato, quindi non hanno voluto smuovere inutilmente squadre intere di polizia e forze speciali… l’Arena ha fatto la sua raddoppiando gli uomini della sicurezza, anche se solo per scaricare su di noi la responsabilità di qualsiasi cosa possa succedere.»

«Classica mossa da paraculi

«Linguaggio, ragazzo… anche se il nocciolo è quello.» fece lui, e non fu difficile immaginarlo a massaggiarsi le tempie o stringersi l’attaccatura del naso come spesso faceva. «Pensiamo di schierare le forze agli ingressi, controllare per bene chi entra e monitorare i parcheggi… con questi numeri non possiamo fare altro che affidarci alla sicurezza dell’Arena per controllare all’interno. Sono stati venduti diciottomila biglietti. Che tu venga o no non farà differenza sulla sicurezza interna, ma ogni paio di occhi allenati può servire a individuarlo se prova a entrare o si aggira nel parcheggio o dove fermano le navette.»

Crowley lanciò uno sguardo a Ferid, che lo ricambiò. Anche in silenzio si accorgeva di quante angosce si stessero addensando nel celeste dei suoi occhi.

«Sei disponibile, allora?»

«Sì.»

Ferid non replicò quell’affermazione e si mise a riordinare il caos che Crowley aveva fatto sul tavolino spostando i libri e sparpagliando tazza vuota, cucchiaino, vasetto del miele, telecomando e altri oggetti sul ripiano. Crowley non lo perse di vista un solo attimo mentre Alford gli dava direttive di aspettare una volante con McCray o De Stasio come accompagnatori nella speranza di confortarlo con la sicurezza che sentiva dentro se stesso.

Chiuse la chiamata poco dopo e dovette raggiungere Ferid al lavabo della cucina.

«Eravamo d’accordo che le circostanze avrebbero deciso.»

«Sembra che sia inevitabile… ma fai attenzione, Crowley. Ricorda che finora le mie sensazioni sono state giuste.»

«Ora sei spaventato perché ci sei molto vicino… non farò nulla di avventato. Probabilmente non farò altro che camminare su e giù da un ingresso all’altro o nel parcheggio. Anche se dovesse venire, potrei non incontrarlo nemmeno.»

Ferid si morse il labbro in evidente agitazione, e poi lo guardò risoluto.

«Lo vedrai. So che lo incontrerai. Per favore, sii certo anche tu che succederà e mantieni alta la guardia.»

«D’accordo… se ti farà stare tranquillo, prometto di restare all’erta tutto il tempo.»

Ferid annuì rigidamente e si mise a sistemare la cucina. Crowley andò in camera a cambiarsi velocemente e quando fu di ritorno era già comparso un messaggio sul suo telefono che lo informava che De Stasio era in arrivo davanti a casa per portarlo alla Belfast Arena.

«Ferid, De Stasio è venuto a prendermi con la volante… devo andare.»

«Buona fortuna.»

Quanto riesce a essere gelido quando si arrabbia… ma non riesco a fargli capire che non voglio ferirlo, che non lo sto facendo perché non m’importa che cosa pensi…

Rimase in piedi per un minuto buono accanto al tavolo della cucina, a guardare Ferid che si arrotolava le maniche e iniziava a lavare le stoviglie che avevano usato per il pranzo e per l’infuso, alla ricerca di parole abbastanza importanti ed espressive, sufficientemente potenti da arrivargli dritte al cuore.

Non posso farci niente… non conosco parole più forti dei fatti.

Con un nuovo slancio di decisione l’afferrò poco sopra al gomito con non più della forza necessaria a voltarlo, lo strinse a sé e lo baciò, cercando di mettervi tutta la delicatezza per fargli capire che non aveva smesso di voler essere il suo porto sicuro, e tutto l’impeto della passione che gli bruciava dentro e che non aveva ancora avuto occasione di mostrargli: tentò di riversare in un solo atto tutte le sfaccettature di un sentimento come non ne aveva ancora conosciuti, e forse non ne avrebbe conosciuti mai dopo allora.

In un primo momento, colto di sorpresa, Ferid tentò una debole manovra di ritirata prontamente stroncata da un braccio troppo forte da vincere, rimase immobile come se alla fuga fosse seguito il tentativo di fingersi morto come una preda; salvo poi venire inesorabilmente catturato da quell’assalto di desiderio che infiammava anche il suo e vi si abbandonò con sentimenti contrastanti di sollievo e tormento.

Quando Crowley allentò la presa sulla sua schiena e si separarono avevano entrambi il fiato corto, il viso pallido di natura di Ferid era arrossato in un’espressione che reputava a dire poco deliziosa. Era un termine insolito per lui, ma mentre lo guardava era quella la parola che gli veniva in mente.

Sentì la suoneria del telefono e seppe che De Stasio lo chiamava perché era arrivato e l’aspettava. Si sporse a dare a Ferid un altro bacio sulle labbra, molto più innocente di quello che l’aveva preceduto, e lo guardò intensamente senza dire una sola parola: temeva che scegliere quella sbagliata avrebbe sciupato tutta quella complicità e lasciò che fossero i loro occhi a farsi promesse e a salutarsi.

Quando scese i gradini della palazzina e salì in fretta sulla volante qualche strascico di quello che era appena accaduto doveva aleggiare ancora intorno a lui, perché De Stasio gli lanciò un’occhiata con un mezzo sorriso tipico delle sue stoccate, che non tardò ad affondare.

«Vi siete salutati per bene, Crowley?»

La domanda era così mirata che l’irlandese aggrottò le sopracciglia e si diede un’occhiata generale addosso chiedendosi da dove potesse averlo capito, ma non trovò risposta.

Certo Ferid non portava rossetto che potesse macchiarmi e non mi sono nemmeno spogliato, da dove gli è venuta quell’idea?

«Dalla tua faccia.» fece lui, come se gli avesse letto il pensiero. «Fin dall’inizio hai sempre avuto quella faccia quando hai avuto dei bei momenti con lui, o quando ne parlavi… fin dalla prima volta che è venuto alla centrale, per esempio.»

«Quale faccia?»

Nonostante il vivo terrore di scoprire di assumere una qualche stupida espressione stralunata la domanda emerse con un tono sufficientemente noncurante. Ne fu soddisfatto.

«Mh… è difficile da spiegare, non credo che la maggior parte della gente la noterebbe, ma… hai un’espressione serena e allegra in un modo tutto particolare. La mia mamma dice che le persone innamorate hanno una luce diversa, la chiama “la strana felicità”. Tu ce l’hai già da allora. È per questo motivo che ho sempre pensato che lui ti piacesse, fin dall’inizio.»

«De Stasio, lo sai che stai diventando un gran pettegolo?»

«Ah, tu dici?»

«Altroché. Pensa ai fatti tuoi, quello che facciamo io e Ferid in casa nostra non sono affari tuoi.»

«Oh, casa vostra, mh?»

Ma perché diavolo parlo?

«Beh, vive con me al momento. Sì, è casa nostra, per adesso.»

«Sì, ha perfettamente senso.» rispose De Stasio, gli occhi fissi sulla strada, con quel suo solito tono cauto che sentenziava più di qualsiasi asserzione. «Casa è il posto dove si trova il tuo spazzolino da denti, dopotutto.»

Crowley, suo malgrado, sentì affiorare una risata e non riuscì a trattenerla del tutto.

«Oh sì… assolutamente vero.»

 

Nel frattempo, dal luogo in cui si trovava anche il suo spazzolino da denti, Ferid tenne d’occhio la strada dalla finestra della cucina fino a che non vide la volante immettersi sulla carreggiata e puntare verso est in direzione del distretto di Northbury. Non appena fu scomparsa alla vista dietro altri palazzi di appartamenti chiuse bruscamente le tende e si affrettò ad andare nella camera da letto.

Qualsiasi cosa abbia spaventato Krul in quel modo l’ha vista nelle sue conchiglie… gli eventi che ha visto, se sono attendibili, si dipaneranno dopo quello che accadrà questa sera. Ma se stasera riuscissimo a trovare il Vampiro di West End, se lo prendessimo… tanti saluti ai suoi piani di attaccare me e poi lei. Non potrà più fare niente una volta arrestato.

Ferid spalancò l’armadio a muro così violentemente che Pandora schizzò a nascondersi sotto il letto, ma lui non le badò affatto e scorse i suoi vestiti, strizzati nel poco spazio che risultava nella metà che gli spettava, ragionando tanto febbrilmente da sentire quasi il rumore di rotelle che giravano scricchiolando.

Per quanto possa sembrare giovane non c’è modo che io possa passare per uno dei fan dei Double Tune, sono veramente una fascia troppo bassa di età… quindi…

Scelse i vestiti meno appariscenti che avesse e arraffò una maglietta viola che ficcò con poca grazia nella borsa che usava quando gli era necessario portarsi dietro libri e oggetti, insieme a qualche strumento che addocchiò nell’armadio e che ritenne utile, quale una torcia d’emergenza che Crowley teneva con altre simili utilità in una scatola di scarpe aperta.

La preparazione più lunga fu legarsi i capelli in quella che chiamava doppia treccia, una complicata acconciatura che però era anche il solo metodo che permettesse a una persona con una chioma tanto lunga di nasconderla sotto un berretto senza sembrare un alieno dal cranio ingigantito.

Grazie, Principessa, per avermi insegnato a fartela per i tuoi allenamenti in piscina. A volte la schiavitù si rivela un’esperienza formativa.

Pandora lo fissava a occhi spalancati e si rintanò sotto il letto quando lui le si avvicinò a lavoro terminato.

«Sei veramente una tonta, Dora. Dovresti avere altri metodi per riconoscermi, non solo vedere se ho i capelli lunghi.»

Non aveva altro tempo da perdere. Prese la borsa e se la buttò sulla spalla, afferrò le chiavi della macchina e spalancò la porta, ma poi si mise a riflettere. Rientrò lentamente e lasciò le chiavi dove le aveva prese.

Se vado con la sua macchina potrebbe notarla, se dovessi entrare proprio nella zona dove sta controllando… dovrò prendere il taxi fino là.

Non aveva mai contanti, quindi tornò nella camera e prese i soldi che Crowley teneva in fondo al cassetto del comodino, ficcandoli nella tasca esterna della borsa.

Perdonami, li riavrai tutti.

Come ultima cosa scrisse un biglietto nel caso che uno dei ragazzi Hyakuya si fosse avventurato alla porta numero ventiquattro per cercare un giocatore di scacchi – o qualsiasi altra cosa – e l’appiccicò sopra lo spioncino. Vi aveva scritto che lui e Crowley erano usciti per andare a vedere uno spettacolo insieme a dei suoi colleghi, sperando che questo particolare sistemasse eventuali dubbi se uno dei ragazzi avesse notato la macchina nel cortile.

Con suo enorme sollievo non incappò in incontri sfortunati: se avesse incrociato uno dei ragazzi mentre usciva dal palazzo da solo sarebbe stato arduo dare una spiegazione, ma per fortuna non accadde e quando si lasciò alle spalle la palazzina si sentì non così diverso da quando, bambino, sgattaiolava di nascosto fuori dalla villa.

Alzò il braccio per fermare un taxi sulla strada, ma il primo l’ignorò come gli accadeva ogni volta. Il secondo aveva già un passeggero a bordo e il terzo aveva l’insegna spenta. Iniziò a spazientirsi.

«In che lingua bisogna pregare per avere un taxi?» sbottò quando anche un quarto tirò dritto. «Non sto mica andando a divertirmi in discoteca, lo sai? Sto cercando di fare il mio dovere di spada, sii collaborativo, che cavolo!»

Sollevò di nuovo il braccio e questa volta non uno ma ben due taxi, che macinavano l’asfalto uno di seguito all’altro, accostarono: comprensibilmente i due autisti presero a urlarsi certe curiose gentilezze dal finestrino e Ferid ritenne opportuno attendere che decidessero da loro chi l’avrebbe spuntata.

«Non hai proprio le vie di mezzo, tu…»

Una chiamata improvvisa fatta al telefono dell’autista basso di pelle abbronzata interruppe la lite, perché con un’occhiataccia invelenita al display e poi al concorrente questi rimontò in auto e se ne andò; l’altro autista, che altri non era che una donna dai capelli corti e ben camuffata in panni maschili, sorrise trionfante e gli aprì la portiera.

«In carrozza, tesoro! Dove ti porto?»

«Alla Belfast Arena, Northbury.» disse lui, salendo senza esitazione. «Il più in fretta che sia possibile, grazie.»

«Alla Belfast Arena? È abbastanza lunga da qui.»

«Per questo vorrei che ci sbrigassimo, per cortesia.»

La donna chiuse lo sportello e gli lanciò un’occhiata penetrante.

«E i contanti ce li hai?»

Ferid, che non si abituava mai all’indole sospettosa della classe tassista di New Oakheart, sospirò e si sporse sui sedili anteriori allungandole un pezzo da cento.

«Ho un gemello di questo per te se mi ci porti in venti minuti. Che ne dici?»

La donna emise una risata sguaiata per l’eccitazione di quella banconota, e l’intascò allacciandosi la cintura.

«Per il suo gemello ti porto anche in Canada in venti minuti, tesoro! Allaccia la cintura, il Bonnie Express sta per partire!»

 

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Owari no Seraph / Vai alla pagina dell'autore: A_Typing_Heart