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Autore: roro    22/08/2009    6 recensioni
Non che fosse deluso. Non poteva essere deluso, era assurdo. Non gli interessava di essere ricambiato – senza una ragione logica storse il naso, dicendosi che no, ricambiato non era proprio la parola più adatta – o di piacergli. Se non fosse stato per colpa di Tsubasa della contabilità – e qui quasi gli scappò una risata –, probabilmente non avrebbe mai neppure fatto capire a L il perché di tanto morboso interesse.
[Una semplicissima AU con protagonisti L e Light. Spero sia di vostro gradimento.]
Genere: Generale, Commedia, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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quarantaquattro percento;

 

A Prì.
Solo ed unicamente a Prì.
Se ho scritto su questi due, è solo e unicamente per te. <3




“Ehm. L?”.

Non che gl’importasse. Affatto, non gli importava affatto. La sua non era curiosità morbosa, non poneva quel quesito per sete di conoscenza. Lo faceva per educazione, per semplice e banale educazione.

Del resto, se pure fosse stato vero – e non era detto che lo fosse, tutt’altro –, non sarebbero stati fatti suoi, ma solo di quello lì. Solo di quella specie di datore di lavoro che, cercando un part-time, si era ritrovato. Non suoi, solo di L. Solo di quello.

“Dimmi pure”, replicò l’altro, curvando leggermente la schiena e portandosi il pollice sul labbro inferiore, intento a sfregar via un rimasuglio dell’ultima zolletta di zucchero ingurgitata. Light pensò – e fu un pensiero piuttosto disgustoso, ad onor del vero – che L dovesse avere una qualche disfunzione, per riuscire ad ingurgitare in soli dieci minuti tutti quei dolciumi, ma s’impose di non esternare il suo reale disappunto.

In fin dei conti, non gli interessava.

Poteva avere qualsiasi problema e malattia, non erano fatti suoi. E non moriva dalla voglia di saperlo. Per nulla, non gli interessava per nulla, ecco.

“Niente. Quello”. E indicò uno dei dipendenti con scarso interesse. “Quello voleva sapere come vanno le cose con Misa”.

L inarcò appena un sopracciglio, e Light immaginò che stesse valutando la situazione. Forse, stava pensando quante probabilità ci fossero – il ventisei percento, si rispose d’impulso – che quella domanda provenisse davvero da Tsubasa della contabilità. Ma alla fine L sospirò: “Esattamente come dovrebbero andare, Light-kun”.

Perfetto. Proprio perfetto.

Light inscenò il migliore dei suoi sorrisi di circostanza, poi inclinò il capo di lato e sorrise a quello che continuava a spacciarsi per il direttore di una delle più grandi aziende del Giappone. “Oh”, riuscì solo a mormorare. Si guardò intorno per qualche istante, poi indietreggiò d’istinto. “Credo di dover andare”, commentò, improvvisamente apatico.

Però, dannazione, non poteva essere davvero apatico. E non poteva perché non gli interessava nulla della relazione tra la giovane idol Misa e il meno giovane ma più ricco L, no? Aveva chiesto come andava tra loro solo per poi riferirlo a Tsubasa della contabilità, no? Perché a Tsubasa interessava, no?

“Problemi all’università?”, chiese gioviale quello lì – lo stesso quello lì di cui non importava nulla a Light – scartando con ingordigia una caramella al latte. Light ebbe l’impulso di strappargliela di mano e gettarla sul pavimento, ma gli occhi di L, neri e luccicanti, lo stizzirono. Storse il naso, affondando d’impulso le dita all’interno delle tasche dei jeans. “Allora, Light? Problemi all’università?”.

“Dovrei avere problemi all’università, L?”, domandò sarcastico.

“Non mi risulta”.

“Neppure a me”, confermò allora Light, annuendo. I capelli castani gli scivolarono sul volto, e si ripromise di tagliarli un po’. Del resto, erano fastidiosi, e troppo lunghi, e non gli piacevano. Non davano l’idea di una persona poi troppo intelligente, ma solo di uno che cerca nell’aspetto esteriore una conferma alla propria intelligenza. Insomma, preservarli in tutta la loro snervante lunghezza sarebbe stato inutile. “Vado”.

“Il fatto che Misa sia impegnata ti dà tanti problemi, Light-kun?”.

“No”.

“Ah”, ribatté L. Poi si leccò le labbra, lasciando cadere l’ennesima carta al suolo – tanto l’avrebbe raccolta uno degli inservienti, erano pagati per questo. “Bene”, mugolò quindi soddisfatto, cercando qualcosa all’interno della tasca.

Due secondi e una nuova caramella troneggiava tra le sue dita.

Una di quelle per bambini.

Light sbuffò. “Potresti anche smetterla di abbuffarti”, borbottò. “Fa male alla salute, fare indigestione”.

“Sul serio?”. Quello lì parve interessato, e si lasciò ricadere al suolo, incrociando poi le gambe in modo irripetibile.

Light roteò gli occhi. “Pratichi yoga?”, si sorprese a domandargli.

“No”.

“Ah”.

“Light Yagami, ti dà così fastidio ammettere di essere interessato a quella idol?”, domandò perplesso L. “Non ci vedo nulla di male. Misa è una bella ragazza e recita molto bene”.

“L”, esordì. La voce gli tremava di rabbia, e si costrinse a dargli le spalle – in caso contrario, non avrebbe probabilmente risposto delle sue azioni. “L, quante probabilità ci sono?”.

“In che senso?”.

“Sei certo che io sia”. Deglutì. “Tu credi che io sia innamorato di Misa. Quante probabilità ci sono che questa tua idea si riveli esatta?”. E gli strappò la caramella di mano, giocherellandoci poi con falsa noncuranza. “Allora?”.

Quello lì ci pensò su per circa tre secondi, poi sollevò gli occhi – e le occhiaie, Light ridacchiò nel notare le famigerate occhiaie del capo – e li puntò sulla caramella che l’altro ancora stringeva tra le dita. Sembrava deciso a non guardarlo in volto, e Light sbuffò, irato. “Il cinquantasei percento”, sentenziò deciso. Poi infilò nuovamente una mano in tasca, e ne trasse un ennesimo dolcetto. “Una cifra di tutto rispetto”, aggiunse.

“Non mi sembra una cifra poi molto alta”.

“Hai ragione”, fu costretto ad ammettere L, asserendo blandamente col capo. Diede un morso alla parte iniziale della caramella, assaporando il sapore aspro del limone. “Ma non riesco a vedere altre soluzioni”.

“Perché?”. Detto ciò, Light si lasciò scivolare sulla poltroncina più vicina – benedì l’arredatore di quel posto per aver pensato a mettere quanti più comfort possibili – e si portò una mano sul volto, massaggiandosi le tempie. “Non eri tu quello che sosteneva quanto sia sbagliato cedere alla prima ipotesi? Quanto sia sciocco smettere di cercare solo perché si ha un’idea di quel che può essere successo?”.

“Non siamo poliziotti”, lo contraddisse meccanicamente L, dando l’ennesimo morso. “E la vita non è un susseguirsi di ipotesi, Light-kun”.

“A tuo parere, se non è Misa la beneficiaria delle mie attenzioni, chi è?”.

“Mm?”. L sbatté incerto la palpebre. “Cosa intendi dire?”.

“Il sessantasei percento delle ipotesti ti spingeva a credere che la beneficiaria delle mia attenzioni fosse Misa”, rispose pacato Light. Gli strappò l’ennesima caramella dalle dita – sbuffando per quanto queste fossero appiccicaticce – e meccanicamente se la mise in bocca, masticandola: sua madre aveva proprio ragione, a ripetere quanto il limone potesse risultare buono. Per una qualche assurdo motivo, si sorprese a desiderare di averne ancora un po’. “Ma il restante quarantaquattro? Cosa ti suggeriva?”.

“Non può essere”, sospirò quello lì.

“Io dico di sì”.

L si portò un’altra caramella tra le labbra, corrucciato, mentre Light si alzava e gli dava nuovamente le spalle.

E ok. Erano ufficialmente fatti suoi – e altrettanto ufficialmente erano cose di suo interesse.

Agitò appena la mano a mo’ di saluto, poi spalancò la porta e s’infilò nell’ascensore, ritrovandosi ben presto in strada. Curioso, alzò gli occhi verso le enormi finestre, e vide L osservarlo, un dito sulle labbra e gli occhi spalancati. Ma fece finta di nulla, continuando a camminare.

“Light?”, si sentì chiamare.

Procedette imperterrito.

“Ehi? Light-kun?”.

Perseverò. Tuttavia, la sua bocca s’era piegata in un ghigno poco rassicurante, e i suoi occhi lasciavano intendere che no, non avrebbe resistito poi molto.

“Light-kun?”.

“Cosa c’è?”, rantolò esasperato.

“Quello che hai detto è vero?”.

“Ovvio”.

L scartò un’altra caramella e se la mise in bocca, incapace di proferire parola. “C’era solo il quarantaquattro percento di possibilità”, mormorò, come se l’aver sbagliato potesse compromettere la sua intera carriera. Non gli era mai capitato di interpretare male una situazione, dopotutto. E forse, alla base del suo successo in ambito finanziario, c’era anche questa sua innegabile propensione per le percentuali.

“Vero”, confermò Light, stoico. Si era fermato – continuando a dargli le spalle –, ma sembrava ascoltarlo, una mano ancora nella tasca dei jeans e un’altra che tentava di darsi un contegno: la maglia si era sollevata, i capelli erano in disordine e l’aria era quella di uno squinternato. Certamente non poteva dirsi una persona seppur lontanamente normale.

Bah, tutta colpa di quello lì.

“Sei serio?”.

“Sì”.

“Ah”.

“Non te lo aspettavi”, costatò Light, inarcando un sopracciglio.

Non che fosse deluso. Non poteva essere deluso, era assurdo. Non gli interessava di essere ricambiato – senza una ragione logica storse il naso, dicendosi che no, ricambiato non era proprio la parola più adatta – o di piacergli. Se non fosse stato per colpa di Tsubasa della contabilità – e qui quasi gli scappò una risata –, probabilmente non avrebbe mai neppure fatto capire a L il perché di tanto morboso interesse.

Ma Tsubasa della contabilità aveva detto che gli sarebbe piaciuto sapere cosa c’era tra il capo e la piccola Misa, e lui si era sentito in dovere di chiedere. Tutto per Tsubasa della contabilità.

Solo per Tsubasa della contabilità.

Non interessava a lui, per nulla. Cioè, sì, gli interessava, ma non come credeva L. O forse sì?

Sbuffò. “Guarda che non c’è bisogno di fare quella faccia. Continua a mangiare caramelle e a farti venire il diabete, io me ne vado”.

“Oh”.

Oh cosa?”, sbottò Light nervoso, voltandosi – L lo fissava, gli occhietti neri sbarrati e le mani nelle tasche. Era ancor più curvo del normale, e succhiava avido la caramella, come se al mondo nulla fosse più desiderabile di quel piccolo ammasso di zuccheri. “Cosa c’è?”.

“Hai mai pensato che quel quarantaquattro percento potesse avere valore anche per me?”.

Light si passò una mano sul volto, poi si avvicinò alla sua macchina. “Seguimi”, mormorò semplicemente, attendendo che l’altro s’infilasse all’interno dell’autovettura.

Non che continuare quel discorso non gl’interessasse, sia chiaro. Ormai, erano fatti suoi – erano davvero fatti suoi.

Così curvò le labbra in una specie di sorriso ed infilò le chiavi nel cruscotto.

Dopotutto, i panni sporchi vanno lavati in privato.


















[Dunque. Salve, eh!
Non avevo mai scritto in questo fandom, e mai avevo pensato di prendere in analisi questa coppia. Beh, nella vita si fanno molte cose strane. L'idea è nata scrivendo, e neppure son certa di quanto ho scritto: ma a Prì piaceva, e mi ha dato la sua benedizione. Ciò significa che non potevo rifiutarmi. U_U
Spero vivamente non vi abbia disgustato e vi sia piaciuta almeno un po'. <3 Gradirei commenti, eh! XD
Baci. ^*^ Alla prossima, si spera!]
   
 
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