quarantaquattro
percento;
Solo ed unicamente a Prì.
Se ho scritto su questi due, è solo e unicamente per te. <3
“Ehm. L?”.
Non che gl’importasse.
Affatto, non gli importava
affatto. La sua non era curiosità morbosa, non poneva quel
quesito per sete di
conoscenza. Lo faceva per educazione, per semplice e
banale educazione.
Del resto, se pure fosse stato vero
– e non era
detto che lo fosse, tutt’altro –, non sarebbero
stati fatti suoi, ma solo di quello
lì. Solo di quella specie di
datore di lavoro che, cercando un part-time, si era ritrovato. Non suoi, solo di L. Solo di quello.
“Dimmi pure”,
replicò l’altro, curvando
leggermente la schiena e portandosi il pollice sul labbro inferiore,
intento a
sfregar via un rimasuglio dell’ultima zolletta di zucchero
ingurgitata. Light
pensò – e fu un pensiero piuttosto disgustoso, ad
onor del vero – che L dovesse
avere una qualche disfunzione, per riuscire ad ingurgitare in soli dieci minuti tutti quei dolciumi,
ma s’impose di non esternare il suo reale disappunto.
In fin dei conti, non
gli interessava.
Poteva avere qualsiasi problema e
malattia, non
erano fatti suoi. E non moriva dalla voglia di saperlo. Per nulla, non
gli
interessava per nulla, ecco.
“Niente.
Quello”. E indicò uno dei dipendenti
con scarso interesse. “Quello voleva sapere come vanno le
cose con Misa”.
L inarcò appena un
sopracciglio, e Light
immaginò che stesse valutando la situazione. Forse, stava
pensando quante
probabilità ci fossero – il
ventisei percento,
si rispose d’impulso – che quella domanda
provenisse davvero da Tsubasa della
contabilità. Ma alla fine L sospirò:
“Esattamente come dovrebbero andare,
Light-kun”.
Perfetto. Proprio perfetto.
Light inscenò il
migliore dei suoi sorrisi di
circostanza, poi inclinò il capo di lato e sorrise a quello
che continuava a
spacciarsi per il direttore di una delle più grandi aziende
del Giappone. “Oh”,
riuscì solo a mormorare. Si guardò intorno per
qualche istante, poi
indietreggiò d’istinto. “Credo di dover
andare”, commentò, improvvisamente
apatico.
Però, dannazione, non
poteva essere davvero apatico. E
non poteva perché non gli
interessava nulla della relazione tra la giovane idol Misa e il meno
giovane ma
più ricco L, no? Aveva
chiesto come
andava tra loro solo per poi riferirlo a Tsubasa della
contabilità, no?
Perché a Tsubasa interessava, no?
“Problemi
all’università?”, chiese gioviale quello lì – lo
stesso quello lì di cui
non importava nulla a
Light – scartando con ingordigia una caramella al latte.
Light ebbe l’impulso
di strappargliela di mano e gettarla sul pavimento, ma gli occhi di L,
neri e
luccicanti, lo stizzirono. Storse il naso, affondando
d’impulso le dita
all’interno delle tasche dei jeans. “Allora, Light?
Problemi all’università?”.
“Dovrei avere problemi
all’università, L?”,
domandò sarcastico.
“Non mi
risulta”.
“Neppure a me”,
confermò allora Light, annuendo.
I capelli castani gli scivolarono sul volto, e si ripromise di
tagliarli un
po’. Del resto, erano fastidiosi, e troppo lunghi, e non gli
piacevano. Non
davano l’idea di una persona poi troppo intelligente, ma solo
di uno che cerca
nell’aspetto esteriore una conferma alla propria
intelligenza. Insomma,
preservarli in tutta la loro snervante lunghezza sarebbe stato inutile.
“Vado”.
“Il fatto che Misa sia
impegnata ti dà tanti
problemi, Light-kun?”.
“No”.
“Ah”,
ribatté L. Poi si leccò le labbra, lasciando
cadere l’ennesima carta al suolo – tanto
l’avrebbe raccolta uno degli
inservienti, erano pagati per questo. “Bene”,
mugolò quindi soddisfatto,
cercando qualcosa all’interno della tasca.
Due secondi e una nuova caramella
troneggiava
tra le sue dita.
Una di quelle per
bambini.
Light sbuffò.
“Potresti anche smetterla di
abbuffarti”, borbottò. “Fa male alla
salute, fare indigestione”.
“Sul serio?”. Quello lì parve interessato, e
si lasciò ricadere al suolo,
incrociando poi le gambe in modo irripetibile.
Light roteò gli occhi.
“Pratichi yoga?”, si
sorprese a domandargli.
“No”.
“Ah”.
“Light Yagami, ti
dà così fastidio ammettere di
essere interessato a quella idol?”, domandò
perplesso L. “Non ci vedo nulla di
male. Misa è una bella ragazza e recita molto
bene”.
“L”,
esordì. La voce gli tremava di rabbia, e si
costrinse a dargli le spalle – in caso contrario, non avrebbe
probabilmente
risposto delle sue azioni. “L, quante probabilità
ci sono?”.
“In che senso?”.
“Sei certo che io
sia”. Deglutì. “Tu credi che
io sia innamorato di Misa. Quante probabilità ci sono che
questa tua idea si
riveli esatta?”. E gli strappò la caramella di
mano, giocherellandoci poi con
falsa noncuranza. “Allora?”.
Quello
lì
ci pensò su per circa
tre secondi, poi sollevò gli occhi – e le
occhiaie, Light ridacchiò nel notare
le famigerate occhiaie del capo – e li puntò sulla
caramella che l’altro ancora
stringeva tra le dita. Sembrava deciso a non guardarlo in volto, e
Light
sbuffò, irato. “Il cinquantasei
percento”, sentenziò deciso. Poi infilò
nuovamente una mano in tasca, e ne trasse un ennesimo dolcetto.
“Una cifra di
tutto rispetto”, aggiunse.
“Non mi sembra una cifra
poi molto alta”.
“Hai ragione”,
fu costretto ad ammettere L,
asserendo blandamente col capo. Diede un morso alla parte iniziale
della
caramella, assaporando il sapore aspro del limone. “Ma non
riesco a vedere
altre soluzioni”.
“Perché?”.
Detto ciò, Light si lasciò scivolare
sulla poltroncina più vicina – benedì
l’arredatore di quel posto per aver
pensato a mettere quanti più comfort possibili – e
si portò una mano sul volto,
massaggiandosi le tempie. “Non eri tu quello che sosteneva
quanto sia sbagliato
cedere alla prima ipotesi? Quanto sia sciocco smettere di cercare solo
perché
si ha un’idea di quel che può essere
successo?”.
“Non siamo
poliziotti”, lo contraddisse
meccanicamente L, dando l’ennesimo morso. “E la
vita non è un susseguirsi di
ipotesi, Light-kun”.
“A tuo parere, se non
è Misa la beneficiaria
delle mie attenzioni, chi è?”.
“Mm?”. L
sbatté incerto la palpebre. “Cosa
intendi dire?”.
“Il sessantasei percento
delle ipotesti ti
spingeva a credere che la beneficiaria delle mia attenzioni fosse
Misa”,
rispose pacato Light. Gli strappò l’ennesima
caramella dalle dita – sbuffando
per quanto queste fossero appiccicaticce – e meccanicamente
se la mise in
bocca, masticandola: sua madre aveva proprio ragione, a ripetere quanto
il
limone potesse risultare buono. Per una qualche assurdo motivo, si
sorprese a
desiderare di averne ancora un po’. “Ma il restante
quarantaquattro? Cosa ti
suggeriva?”.
“Non può
essere”, sospirò quello
lì.
“Io dico di
sì”.
L si portò
un’altra caramella tra le labbra,
corrucciato, mentre Light si alzava e gli dava nuovamente le spalle.
E ok. Erano ufficialmente fatti suoi – e altrettanto
ufficialmente erano cose di suo interesse.
Agitò appena la mano a
mo’ di saluto, poi
spalancò la porta e s’infilò
nell’ascensore, ritrovandosi ben presto in strada.
Curioso, alzò gli occhi verso le enormi finestre, e vide L
osservarlo, un dito
sulle labbra e gli occhi spalancati. Ma fece finta di nulla,
continuando a
camminare.
“Light?”, si
sentì chiamare.
Procedette imperterrito.
“Ehi?
Light-kun?”.
Perseverò. Tuttavia, la
sua bocca s’era piegata
in un ghigno poco rassicurante, e i suoi occhi lasciavano intendere che
no, non avrebbe resistito poi molto.
“Light-kun?”.
“Cosa
c’è?”, rantolò esasperato.
“Quello che hai detto
è vero?”.
“Ovvio”.
L scartò
un’altra caramella e se la mise in
bocca, incapace di proferire parola. “C’era solo il
quarantaquattro percento di
possibilità”, mormorò, come se
l’aver sbagliato potesse compromettere la sua
intera carriera. Non gli era mai capitato di interpretare male una
situazione,
dopotutto. E forse, alla base del suo successo in ambito finanziario,
c’era
anche questa sua innegabile propensione per le percentuali.
“Vero”,
confermò Light, stoico. Si era fermato –
continuando a dargli le spalle –, ma sembrava ascoltarlo, una
mano ancora nella
tasca dei jeans e un’altra che tentava di darsi un contegno:
la maglia si era
sollevata, i capelli erano in disordine e l’aria era quella
di uno
squinternato. Certamente non poteva dirsi una persona seppur
lontanamente normale.
Bah, tutta colpa di quello
lì.
“Sei serio?”.
“Sì”.
“Ah”.
“Non te lo
aspettavi”, costatò Light, inarcando
un sopracciglio.
Non che fosse deluso. Non poteva
essere deluso,
era assurdo. Non gli interessava di essere ricambiato – senza
una ragione
logica storse il naso, dicendosi che no,
ricambiato non era proprio la parola più adatta –
o di piacergli. Se non fosse stato
per colpa di Tsubasa della
contabilità – e qui quasi gli scappò
una risata –, probabilmente non avrebbe
mai neppure fatto capire a L il perché di tanto morboso interesse.
Ma Tsubasa della
contabilità aveva detto che gli
sarebbe piaciuto sapere cosa c’era tra il capo e la piccola
Misa, e lui si era
sentito in dovere di chiedere. Tutto per Tsubasa della
contabilità.
Solo
per
Tsubasa della contabilità.
Non interessava a lui, per nulla.
Cioè, sì, gli
interessava, ma non come credeva L. O forse sì?
Sbuffò.
“Guarda che non c’è bisogno di fare
quella faccia. Continua a mangiare caramelle e a farti venire il
diabete, io me
ne vado”.
“Oh”.
“Oh
cosa?”,
sbottò Light nervoso, voltandosi – L lo fissava,
gli occhietti neri sbarrati e
le mani nelle tasche. Era ancor più curvo del normale, e
succhiava avido la
caramella, come se al mondo nulla fosse più desiderabile di
quel piccolo
ammasso di zuccheri. “Cosa
c’è?”.
“Hai mai pensato che quel
quarantaquattro
percento potesse avere valore anche per me?”.
Light si passò una mano
sul volto, poi si
avvicinò alla sua macchina. “Seguimi”,
mormorò semplicemente, attendendo che
l’altro s’infilasse all’interno
dell’autovettura.
Non che continuare quel discorso
non
gl’interessasse, sia chiaro. Ormai, erano fatti suoi
– erano davvero fatti
suoi.
Così curvò le
labbra in una specie di sorriso ed
infilò le chiavi nel cruscotto.
Dopotutto, i panni sporchi vanno lavati in privato.
[Dunque. Salve, eh!
Non avevo mai scritto in questo fandom, e mai avevo pensato di prendere in analisi questa coppia. Beh, nella vita si fanno molte cose strane.
Spero vivamente non vi abbia disgustato e vi sia piaciuta almeno un po'. <3 Gradirei commenti, eh! XD
Baci. ^*^ Alla prossima, si spera!]