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Autore: RasteRXT    05/12/2020    1 recensioni
Breve Fanfiction ambientata un paio d'anni dopo la fine de "Le Sfide di Apollo", che chiude il cerchio della relazione tra Percy e Annabeth e li proietta verso un nuovo futuro come persone adulte.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Percy/Annabeth
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando Annabeth si svegliò, nella Cabina Sei regnava una pace assoluta.

Gli altri ragazzi dormivano ancora, una decina di Semidei tra i nove e i diciassette anni, riempiendo la stanza con un leggero ronzio e piccoli sbuffi occasionali.
Ogni tanto qualcuno si lasciava andare ad una russata un po’ più vivace, ma in confronto a quello che si diceva della Cabina Cinque, quella dedicata ad Ares, la loro era decisamente la più tranquilla del Campo.
Con l’unica eccezione della Casa di Ipnos, probabilmente.

Nella penombra, si alzò facendo meno rumore possibile: riuscì a lavarsi, vestirsi e guadagnare l’uscita senza svegliare nessuno, evitando di urtare contro gli infiniti tavolini, sedie e strumenti di misurazione che saturavano tutta la stanza.
 

Finalmente fuori, assaporò a pieni polmoni l’aria di una tiepida mattina di luglio.
Era da poco sorto il sole, che iniziava a scaldare e illuminare le ventidue Cabine disposte a Omega attorno al grande falò di Estia, la Dea della Casa.
I suoi capelli biondi luccicavano nella pallida luce, e i suoi occhi grigi come una tempesta si chiusero mentre lasciava che la leggera brezza la svegliasse del tutto.
Si stirò con vigore e si incamminò verso la Cabina 3, quella incrostata di conchiglie.
Prima di bussare, si guardò intorno con circospezione: nessuna Arpia della sicurezza in vista.
Come immaginava, non ottenne risposta: la cabina era vuota.

 Entrò, si guardò intorno e scosse la testa rassegnata.

Come al solito, Percy aveva dimostrato il suo pessimo rapporto con l’ordine: il letto era ancora sfatto, magliette, pantaloni e abiti vari erano sparsi per tutto il pavimento, sulle sedie, sui letti circostanti e persino sul lampadario, da cui pendeva una maglietta arancione del Campo. Evidentemente, terminato lo spazio a terra, aveva iniziato a invadere anche quello in aria.

Si sedette sul letto sospirando.
Senza rendersene conto, prese il cuscino di Percy e prima di rimetterlo a posto si ritrovò ad annusarlo.
Sapeva di sale, di mare…di lui!
Sapeva che non avrebbe dovuto trovarsi lì: entrare nelle Cabine di altri Semidei senza un valido motivo non era consentito, specie se vuote.

E, ancora di più, era tecnicamente vietato passarci la notte insieme.

Ma lei e Percy, pensò con una punta di imbarazzo, negli ultimi due anni avevano infranto quella regola un numero decisamente rimarchevole di volte.
Ormai i suoi fratelli di Atena non ci facevano più nemmeno caso: le prime volte, ogni volta che usciva e rientrava all’alba, la guardavano con aria a metà tra lo sbigottito (“L’irreprensibile Annabeth Chase che infrange una regola?! Il mondo è impazzito!”) e il preoccupato (“Le Arpie stasera mangeranno Semidio, a quanto pare!”) poi ci si erano abituati.

 Al diavolo! Pensò. Aveva vent’anni, poteva fare quello che voleva con il suo fidanzato!

E in ogni caso, dopo tutto quello che avevano passato negli ultimi otto anni, pensava che forse un minimo di intimità se la fossero anche meritata.
Se né Chirone né il Signor D avevano detto nulla in proposito (Impossibile non ne fossero ancora venuti a conoscenza) allora era tutto a posto!

Non era facile avere la stessa intimità anche a Nuova Roma, dove i dormitori erano separati tra maschi e femmine e l’unico modo per trovarsi un po’ da soli era comunque sgattaiolare sul tetto, dove il più delle volte si trovava già qualche altra coppietta.
Quella fortunella di Lavinia Asimov almeno poteva vedere la sua Driade nei boschi, dove di sicuro nessuno disturbava.

 Si riscosse da quei pensieri scuotendo la testa con un sorriso, rendendosi conto di essere leggermente arrossita.

 Si guardò intorno e trovò quello per cui era venuta: una pila di asciugamani pieganti ed evidentemente dimenticati su un tavolino.

Come al solito…

 Li prese, diede un’altra rapida occhiata alla cabina poi uscì chiudendosi la porta alle spalle.

 

 

 

***

 

 

Si incamminò con calma verso la spiaggia, mentre intorno a lei il Campo iniziava lentamente a svegliarsi e prendere vita, con i primi campeggiatori che iniziavano i lavori mattutini.

Due ragazzi di Hermes stavano andando verso le stalle dei Pegasi con dei secchi di acqua e pastone.
Julia Andrews, figlia di Ares, stava aprendo l’armeria, forse per una sessione di allenamento prima di colazione.
Da lontano distinse la sagoma di una ragazza, probabilmente Meg McCaffrey, dato che era seguita da un piccolo essere alato, il suo Karpos personale, salire la Collina Mezzosangue per portare del cibo a Peleo, il Drago che faceva la guardia al Vello d’Oro.

Giunta sulla costa, si rese conto di non essere sola: su un piccolo molo qualche decina di metri alla sua sinistra un nutrito capannello di ragazzine, tutte figlie di Afrodite, era in trepidante attesa di qualcosa.
Fissavano l’orizzonte eccitate, bisbigliando e ridacchiando.
Annabeth alzò gli occhi al cielo, rassegnata, poi si mise anche lei a fissare l’Oceano, seduta sulla sabbia ancora fresca.

 Dopo meno di cinque minuti, le ragazzine iniziarono a saltellare ed emettere gridolini eccitati: da lontano, qualcosa si stava avvicinando alla riva, lasciandosi dietro una leggera scia di schiuma.
Annabeth si alzò, mentre il suo volto si illuminava.

Quando fu finalmente in prossimità del fondale, Percy Jackson si sollevò in piedi, emergendo dall’acqua.
Le ragazze esplosero, nemmeno fossero delle groupie davanti ad una boy band.
La stessa Annabeth, nonostante ci fosse abituata, sentì mancarle il fiato per un secondo, mentre i suoi battiti acceleravano involontariamente.

Percy non era più il ragazzino mingherlino e terrorizzato che si era presentato sulla Collina otto anni prima, inseguito da un Minotauro e senza la più pallida idea di dove fosse: negli anni il figlio di Poseidone si era trasformato in un metro e ottantatré di puro Eroe greco, con il fisico scolpito da innumerevoli ore di addestramento e battaglie, e negli ultimi tempi anche dal nuoto.
Nonostante fosse in grado di restare per giorni immerso senza bagnarsi, Percy adorava la sensazione delle onde sul corpo, quindi quando uscì era bagnato come qualsiasi persona normale.
Rivoli d’acqua scivolavano dai capelli neri sui pettorali e su una serie di addominali da urlo.
Aveva indosso solo un costume, e la pelle abbronzata luccicava al il sole.

Quasi ogni mattina si alzava all’alba e nuotava anche trenta miglia lontano dalla costa, per poi tornare: essendo figlio del Dio del Mare, l’acqua gli donava costantemente forza ed energia. Annabeth era convinta che avrebbe potuto nuotare per giorni, prima di iniziare a sentire la stanchezza.

Si incontrarono a metà spiaggia.
Lui le sorrise, con quel dannato sorriso irriverente e scanzonato che non poteva fare a meno di amare.
Cervellona…
Testa d’alghe…
Poi, come previsto, nonostante fosse bagnato fradicio, la abbracciò stretta e la baciò con trasporto.

Le ragazze sul molo urlarono e applaudirono, ma in mezzo agli strilli le parve di sentire chiaramente dei versi di stizza.
Beccatevi questo, stronzette! pensò mentre assaporava le labbra del suo uomo, ancora salate per il bagno appena fatto.
Percy odorava di salsedine e di alghe, come un marinaio appena rientrato da un lungo viaggio.
Dei, quanto le piaceva.

Per quanto non avesse voluto lasciarlo, ad un certo punto si separarono.

Annabeth si diede un contegno: “Hai dimenticato questi. Di nuovo.” gli disse piantandogli in mano gli asciugamani.
Lui batté un paio di volte le palpebre, sorpreso, poi la ringraziò mentre iniziava a sfregarsi la testa.
Le sue ammiratrici, che non avevano smesso un secondo di fissarlo, continuavano a parlottare tra loro e a fare commenti sottovoce, di sicuro lodando il suo fino intelletto e la sua statura morale.
Ormai Percy le ignorava totalmente: dopo aver capito che Annabeth non era gelosa si era rilassato e aveva iniziato a farsele scivolare alle spalle, limitandosi a fare il suo allenamento in pace.

“Quanto ti sei allontanato oggi?” gli chiese lei puntando gli occhi sull’orizzonte lontano, oltre la sua spalla.
“Circa venticinque o trenta miglia, ho perso il conto quando ho incrociato un branco di delfini e ho iniziato a seguirli. Ho rischiato anche un frontale con una petroliera…”
Percy…
“Che c’è?! Non l’ho vista!”
“Come fai a non vedere una petroliera?!”
“Non lo so? La Foschia?”
La ragazza alzò (di nuovo) gli occhi al cielo, forse chiedendo un silenzioso aiuto a sua madre: ma perché proprio lui?
Lui si limitò a sorridere soddisfatto continuando ad asciugarsi, mentre il sole si faceva più caldo e più alto.

 “E’ meglio se ti vai a fare una doccia – gli disse – è quasi ora di colazione. Inoltre, ricordati che le Cacciatrici saranno qui a metà mattina. Dubito che Thalia e Reyna apprezzerebbero di vederti…così!” aggiunse ridacchiando.
Il ragazzo annuì: “No, decisamente no! È più probabile che mi ritrovi una freccia infilata…bhe hai capito!”
Si gettò l’asciugamano sulla spalla e mentre la oltrepassava si sporse per darle un bacio sulla guancia.

“Ci vediamo dopo ai tavoli, ok? Ti amo!”

E si incamminò solitario lungo la spiaggia, mentre il potente suono di un corno suonato in lontananza annunciava l’inizio di una nuova giornata al Campo Mezzosangue.

 

 

 

***

 

 

Poco meno di due ore dopo, Percy e Annabeth erano sulla cima della Collina.

Alla loro destra, il Pino di Thalia sovrastava la valle, con il Vello appeso ad uno dei rami più bassi e il Drago Peleo arrotolato attorno al tronco.
A sinistra, la statua colossale dell’Atena Parthenos luccicava al Sole, l’avorio e l’oro brillanti come se fossero appena stati posizionati.
Insieme, quei due artefatti proteggevano i confini, tenendo alla larga qualsiasi minaccia con la loro potentissima Aura magica.
Entrambi scrutavano oltre la collina, verso la strada e gli alberi, in attesa.

Finalmente, un rumore di molte persone in marcia ruppe il silenzio: quasi fossero spuntate dal nulla, almeno quaranta o cinquanta ragazze comparvero ai piedi della collina, iniziando a risalire il pendio.
Davanti a tutte, due figure guidavano il gruppo, e spiccavano in quanto erano le uniche a non indossare gli abiti argentati delle Cacciatrici di Artemide.

 La prima sembrava uscita da un concerto punk-rock: i capelli neri erano corti e sparati in tutte le direzioni, indossava un giubbotto di pelle nera e borchie sopra una maglia dei Ramones e svariati bracciali d’argento che le tintinnavano ai polsi.
Aveva la pelle chiara come porcellana, con le lentiggini, e due bellissimi occhi blu elettrico.
Sulla fronte, a fare uno stranissimo contrasto, portava una elegante tiara d’argento che la qualificava come Luogotenente di Artemide, ovvero il braccio destro della Dea stessa e formale condottiera delle Cacciatrici.

 La sua compagna era l’opposto in tutto: pelle ambrata, capelli scuri fatti in una morbida treccia e un’armatura da legionario romano, interamente d’oro.
Alle sue spalle venivano due splendidi esemplari di segugi da caccia, due cani meccanici con occhi di rubino, uno completamente d’oro e uno d’argento.

Thalia Grace, figlia di Zeus, fu la prima a raggiungerli, riservando a entrambi un sorriso di pura gioia.
Abbracciò per parecchi secondi Annabeth, con quel calore che solo la tua più cara amica sa darti, poi regalò a Percy la sua migliore stretta spezza ossa.
Nonostante ormai lui la superasse di parecchi centimetri e avesse almeno cinque anni in più (In realtà Thalia, anagraficamente, era almeno cinque anni più vecchia di lui, ma ne aveva passati alcuni sotto forma di albero invecchiando più lentamente, poi appena prima di compierne sedici si era unita alle Cacciatrici e di fatto aveva smesso di crescere, insomma, storia lunga) quell’abbraccio lo sentì tutto.

Reyna Avila Ramìrez-Arellano, figlia di Bellona ed ex Pretore di Nuova Roma, fu molto più posata, ma ugualmente calorosa nel rivederli.

Il resto delle Cacciatrici si tenne a debita distanza, guardando con sospetto Percy, che in quel momento aveva l’unica colpa di essere maschio, e probabilmente non comprendendo come le loro Luogotenenti potessero anche solo pensare di avvicinarsi a lui.

 “Ti trovo in forma, Testa d’Alghe!” rise Thalia tirandogli un affettuoso (e doloroso) pugno sul braccio.
“Ahi! Bhe, pure tu mi sembri stare bene!” concordò il ragazzo facendo un passo indietro con una smorfia e massaggiandosi.
“Da dove arrivate?” Domandò Annabeth trattenendo una risata.
“Maine! – Rispose Reyna, anche lei concentrata a non ridere davanti alla faccia di Percy – Abbiamo inseguito ed eliminato una mandria di cavalli carnivori, probabilmente scappati”
“Brutte bestie!” Concordò Percy ripensando alla sua ultima gita al Rach Tre G qualche anno prima, dove quei simpatici equini avrebbero voluto metterlo sul loro menù.

 “Ad ogni modo – si intromise Thalia – Chi c’è al campo in questi giorni? Lester? Meg? Piper? Leo? Nico?”
“Lest…Apollo – si corresse Annabeth, non riusciva proprio a chiamarlo con il suo nome da mortale – purtroppo se n’è andato già da qualche giorno. È stato qui tutto giugno, ma forse tornerà il mese prossimo. Will sente già la sua mancanza…”
“Ma Nico non ha problemi a riempire quel vuoto AHIA!” Questa volta il pugno glielo aveva tirato Annabeth stessa.

Perseus Jackson!

“Ok, ok scherzavo! – Si lamentò lui tornando a sfregarsi il braccio – Piper arriverà solo ad agosto, adesso è in vacanza con la sua fidanzata, Shel, mentre Leo quest’anno è con Calypso a Campo Giove. Meg invece è qui, voleva venire a salutarvi, ma credo sia impegnata nelle stalle con i Pegasi…”
“La andremo a cercare dopo – Annuì Reyna – Adesso se permettete vorremmo andare a sistemarci, dite a Chirone che lo incontreremo alla Casa Grande, e dopo pranzo…”
“…vi faremo a pezzi a Caccia alla Bandiera!” concluse Thalia con un ghigno.
“Senza offesa, Thalia – la interruppe Percy – ma io e Annabeth probabilmente non parteciperemo. Al momento siamo i due Semidei più grandi e più abili, non sarebbe corretto nei confronti dei nuovi arrivati…”
Il sorriso di Thalia si spense in smorfia di delusione: “Ma come?! E io che volevo mostrarvi l’ultimo regalo di Artemide!”
“Ovvero?” Annabeth alzò un sopracciglio, mentre Reyna nascondeva un sorriso furbo di chi la sa lunga.

Thalia li guardò, raggiante, poi, nell’arco di un battito di ciglia, cambiò.
Ovvero, era sempre Thalia, solo che adesso era…adulta!
Era Thalia Grace, ma ventenne!
Si era alzata di svariati centimetri, il suo corpo era ancora più robusto, giunonico!
Il suo fisico adesso era quello maturo di una donna, non più di una ragazzina di quindici anni.
Non era alta quanto Percy, ma la differenza si era ridotta in maniera radicale.
E soprattutto, il ragazzo non poté fare a meno di notarlo, era bella. Ma nel vero senso della parola.
“Allora, che ve ne pare?” la sua voce tradiva la soddisfazione per il raggiunto effetto sorpresa.
Annabeth, per una volta nella sua vita, quasi non aveva parole: “Per gli Dei, Thalia! È pazzesco, sei…bellissima!”
“Ma come hai…” Percy non sapeva cosa dire, aveva la mandibola per terra.
Reyna sorrideva compiaciuta.
“Un regalo della mia Signora!” disse la figlia di Zeus con orgoglio.

Poi si fece seria, era chiaro che ci teneva a quello che stava per dire: “Gli ultimi due anni sono stati…particolari per me. Vedete, praticamente tutte le Cacciatrici, quando fanno voto ad Artemide, non hanno più nulla da perdere: non hanno più una famiglia, degli amici, non vogliono più soffrire per colpa degli uomini.
Per me è stato…diverso. È stata una mia scelta, ma anche una necessità: non dovevo compiere sedici anni, o avrei portato a termine la Grande Profezia. Ma il punto è che non ero sola: avevo ancora voi, Nico, Leo, Piper. Avevo Jason…”
La sua voce tremò quando nominò il fratello, e per un’interminabile frazione di secondo un’ombra scese su tutta la valle.
“Vedervi crescere, diventare adulti, mentre io restavo sempre una ragazzina, mi faceva sentire a disagio.
Artemide lo ha capito, quindi ha deciso di onorare questi anni di fedele servizio facendomi questo dono!”
Il suo volto tornò a illuminarsi mentre si ergeva in tutta la sua nuova statura: “Posso decidere di cambiare la mia età a piacimento, crescere o tornare ragazzina!”
Annabeth le girò intorno osservandola con ammirazione: “Pazzesco! Qualsiasi età?”
“Sinceramente, non ne ho idea. Non ho mai provato ad andare oltre la mia età biologica, che, per inciso, non so più nemmeno io quanto sia, ma non penso di volere per ora andare oltre i venticinque anni!
Però è molto utile: quando c’è bisogno di mettere in riga le nuove arrivate, avere diciotto o diciannove anni ti rende di sicuro più autorevole!”

 Sorrise a Percy, che ancora cercava di recuperare la mandibola dal prato.
“Allora, cosa ne dici, Testa d’Alghe? Così ti sembra una sfida pari?”
Il ragazzo si riscosse, confuso, poi sorrise di rimando.
Dedicò a Thalia il suo sorriso più combattivo: “Ci sto! Annabeth, andiamo a cercare Chirone e avvisare il resto dei ragazzi: oggi saremo anche noi della partita!”

 

 

 

***

 

 

 

“Aaaah ma come abbiamo fatto a perdere?! Di nuovo?!

 Era sdraiato a pancia all’aria in mezzo al bosco, braccia e gambe spalancate.
Aveva bozzi dolorosi in vari punti del corpo, dove Thalia lo aveva colpito ripetutamente con l’asta della lancia.
Da lontano sentiva le proteste di alcuni figli di Ares: a quanto pare erano finiti in una buca e nessuno si era ancora preoccupato di tirarli fuori.
Da qualche parte lì vicino, Meg, con braccia e gambe incrociate e il broncio sul muso, dondolava lentamente in una fitta rete d’argento. Peaches, il suo Karpos, cercava inutilmente di rosicchiare le maglie.
Le risate di esultanza delle ragazze vincitrici riempivano l’aria, intervallate dal suono di energici batti cinque e pacche sulle spalle.

All’improvviso il volto sorridente di Annabeth fece capolino nel suo campo visivo: si era accovacciata vicino alla sua testa e lo sovrastava.
Aveva foglie e rametti tra i capelli ed era completamente sporca di terra, come se si fosse rotolata nel prato.

“Perché loro sono state più furbe e tu invece sei la solita Testa d’Alghe!” gli disse sorridendo.
“Avevano preparato in anticipo ogni strategia. Hanno messo in pratica la vecchia ma efficace tecnica del Divide et Impera: hanno separato i migliori di noi e ci hanno tenuti lontano dal grosso della battaglia, mentre le altre Cacciatrici si occupavano degli altri campeggiatori e della Bandiera.
I Cani di Reyna mi hanno fiutata nonostante fossi invisibile – Gli fece dondolare davanti agli occhi il suo berretto blu degli Yankees, un dono di Atena che poteva renderla invisibile – poi lei mi ha tenuta impegnata per tutto il tempo in duello.
Nico e Will hanno entrambi un grosso bernoccolo dietro la nuca, ma si riprenderanno, mentre Sherman è appeso per un piede dietro quella macchia di alberi.
Quanto a te…ti sei fatto trascinare lontano dal ruscello. Avevi avuto una buona idea a decidere di restare di pattuglia lì, ma come al solito hai voluto fare l’eroe solitario!”

Percy si lasciò andare ad un verso di frustrazione, battendo con rabbia i talloni per terra.
Thalia lo aveva provocato, attirandolo lontano dall’acqua, poi lo aveva sfidato a singolare tenzone.
Il risultato era che adesso il ragazzo si sentiva come se fosse passato sotto le ruote di un camion.

Annabeth continuò a sorridergli radiosa: attraverso le fronde sopra di lei il sole faceva brillare i suoi capelli, che si trasformavano in una corona luminosa che forse avrebbe reso geloso persino Apollo.
Ogni volta, Percy si stupiva di quanto fosse bella: gli bastava guardarla per sentirsi felice e in pace con il mondo.

 All’improvviso anche il volto di Reyna si aggiunse a quello di Annabeth.
“Allora, Jackson? Battiamo la fiacca?”
Percy mugugnò qualcosa, lei gli porse la mano e lo aiutò ad alzarsi. Si batté l’erba e la polvere dalla maglietta con una smorfia.
“Coraggio! – Reyna gli diede un’energica pacca sul braccio – Non è così che un ex Pretore accetta la sconfitta! Ciò non toglie che abbiamo vinto lo stesso!”
E scoppiò a ridere di gusto.

Era incredibile quanto fosse cambiata da quando aveva lasciato la Legione: Reyna negli ultimi due anni era decisamente più rilassata, più luminosa. Era felice.
Quando Percy l’aveva conosciuta, persino sorridere le riusciva difficile: adesso invece emanava autentica positività.
Essersi liberata del fardello del comando e del peso delle parole di Venere l’aveva trasformata in una persona nuova.

“Bel combattimento prima, Annabeth! – Disse poi rivolta alla ragazza – Era da parecchio che non mi impegnavo così!”
“Grazie, anche tu mi hai dato parecchio filo da torcere. Mi ha ricordato il nostro confronto a Charleston!”
“Ah! Bei tempi quelli. Quando ancora pensavamo che voi Graeci foste solo dei barbari incivili!"
“Qualcuno di noi lo è ancora…” Rispose Annabeth lanciando uno sguardo eloquente a Percy.
“Grazie tante! Disse quella con le foglie nei capelli!” la rimbeccò lui.
Lei si limitò a fargli una linguaccia, poi lo abbracciò e gli diede un bacio sulla guancia.

“Permaloso!”

 

 

 

***

 

 

Recuperati tutti i campeggiatori, incoscienti o intrappolati che fossero, arrivò finalmente l’ora della cena.

 Il banchetto riunì senza rancori vinti e vincitrici.
Il Tavolo di Artemide non poteva ospitare tutte le Cacciatrici, quindi alcune furono invitate al tavolo di Chirone e del Signor D.
L’atmosfera era rilassata e festosa, come sempre, e i ragazzi facevano il solito chiasso.

I figli di Hermes avevano costruito delle piccole catapulte con le forchette e stavano cercando di centrare i calici delle Cacciatrici con delle polpette al sugo.
Al quarto bicchiere rovesciato, una ragazza bionda si alzò di scatto.
Doveva essere figlia di qualche Divinità legata all’acqua, perché all’improvviso tutti i calici di Hermes esplosero come dei geyser, inzaccherando l’intera tavolata con un misto di succo, aranciata e Diet Coke, e lasciando una quindicina di Semidei tossenti e sbigottiti. 
Sorridendo soddisfatta, la ragazza tornò a sedersi, ricevendo parecchie pacche sulle spalle dalle sue sorelle.

 Quando Chirone si alzò, però, calò il silenzio.
Il Centauro si assicurò di avere l’attenzione di tutti, prima di prendere la parola.

“Bene. Innanzitutto, vorrei di nuovo ringraziare le Cacciatrici di Artemide per averci onorato della loro presenza quest’oggi, speriamo…”
“E PER AVERVI FATTI NERI!” Intervenne ad alta voce una ragazzona dal tavolo di Artemide, suscitando le risate di approvazione delle compagne e un coro di Booooo da parte di tutti gli altri.
Un altro paio di polpette presero il volo.

Chirone batté lo zoccolo sul pavimento di marmo per richiamare l’ordine.
Gli animi si quietarono, ma le catapulte rimasero puntate e cariche.

 “Dicevo…Speriamo di rivederle al più presto! E sì, speriamo nella rivincita! MA…!!!
Alzò la voce e fece un gesto con la mano, fermando sul nascere un’altra battaglia a base di palline di carne e fontane di Diet Coke
“…questa sera c’è un altro annuncio importante da fare!”

Fece correre gli occhi sulla folla, poi proseguì.

“Stasera salutiamo per l’ultima volta il nostro beneamato Signor D – lo indicò con un largo cenno del braccio – che da domani sarà di nuovo ammesso sull’Olimpo e lascerà la direzione del Campo dopo diversi decenni!”

 Percy fece cadere la forchetta per lo stupore, e non fu l’unico che rimase a bocca aperta.
Molti ragazzi iniziarono a commentare tra di loro, e alcuni, giustamente, iniziarono a fare dei conti con le dita.
Percy non poté dar loro torto: il Signor D, Dioniso, era stato condannato da Zeus a passare un intero secolo sulla Terra come Direttore del Campo Mezzosangue, un compito di cui non gli era mai importato, ma tutto questo era iniziato da appena poco prima che Percy arrivasse, e anche se dopo la guerra contro Crono gli erano stati scontati una cinquantina d’anni, gli restava comunque quasi metà della punizione da scontare!

Chirone cedette la parola proprio al Signor D, che fino a quel momento non era sembrato molto interessato al fatto che si parlasse di lui.

Indossava la solita camicia a macchie di leopardo, e i riccioli neri scintillavano alla luce delle torce.
Aveva la solita aria annoiata mentre controvoglia si alzava in piedi.

“Sì, sì… – disse velocemente come se quel discorso fosse una fastidiosa mansione da depennare dalla lista – a quanto pare il Divino Zeus ultimamente è di buon umore. Sarà che ha incontrato qualche Ninfa ben disposta, sarà che quei fastidiosi Imperatori sono stati tolti di mezzo, fatto sta che ha deciso di concedermi la grazia anticipata…”
Fece un gesto noncurante con la mano: “Lo so, lo so, adesso non piangete, so che vi mancherò, anche voi mancherete a me e blah blah blah…solite cose! Adesso tornate a mangiare!”
Si risedette come se nulla fosse e tornò a farsi i fatti suoi, tra lo sbigottimento generale.

Chirone, senza scomporsi, si limitò a concludere il suo discorso: “Ringraziamo il Signor D per le sue…calorose parole, siamo certi che non dimenticheremo tutto quello che ha fatto per noi in questi anni!”

Nulla, pensò Percy, ma preferì non esprimere questo pensiero ad alta voce. Passare il resto della vita trasformato in un delfino non era la sua aspirazione in quel momento.
In ogni caso, tutti i ragazzi presenti avevano avuto lo stesso pensiero.

A quel punto, però, si levò da più parti la domanda regina: “E adesso?
Iniziarono un po’ tutti a parlarsi sopra, chi dicendo la sua, chi facendo domande dirette.
“Sarà lei, Chirone, il nuovo Direttore?” “Chiameranno qualcun altro?” “Tornerà Tantalo?!”
Il Centauro alzò le braccia, cercando di placare i toni: “Calma, calma! Non so nemmeno io cosa succederà adesso. Domani mattina andrò sull’Olimpo a conferire con Zeus in persona e con gli Dei, e decideremo il da farsi. Per il momento, tutto andrà avanti come sempre!”

 

Terminata la cena e dopo le consuete cantate attorno al fuoco, Percy si ritrovò a camminare con Annabeth verso le cabine, mano nella mano.
“Cosa pensi che succederà adesso?” le chiese.
Lei si limitò a scuotere le spalle: “Non ne ho idea. Prima che arrivasse il Signor D faceva tutto Chirone, ma dubito che ne abbia più la voglia e la forza…”
Percy annuì: per quanto fosse ancora in forma, Chirone faticava a sopportare il peso del Campo. Non che non gli piacesse, ma faceva quel lavoro da più di tremila anni. Aveva visto infiniti Eroi crescere e morire, quasi tutti prematuramente. Era morto anche lui, ad un certo punto, e gli Dei lo avevano riportato indietro e reso immortale perché si occupasse ancora dei loro figli, perché addestrasse e guidasse i Semidei. Un dono certo gradito, ma con delle pesanti conseguenze.
Era improbabile che il Centauro riprendesse volontariamente tutte le sue mansioni e responsabilità.
“Allora chi pensi che arriverà al suo posto? Un Semidio più anziano?”
Annabeth si grattò il mento pensierosa: “Forse…oppure potrebbero scegliere qualcuno dall’Oltretomba, come hanno fatto con Tantalo!”
“Non me lo ricordare!” Percy fece una smorfia e represse un brivido al ricordo dello sgradevole personaggio che aveva sostituito Chirone per un’estate qualche anno prima: un essere meschino e incosciente che aveva messo più di una vita in pericolo per la sua ottusità, comprese le loro.

Arrivati alla cabina Sei, si concessero qualche secondo.
Rimasero a guardarsi negli occhi, tenendo le mani l’uno nell’altra.
“Non so cosa pensare, ma sono sicura che troveranno una soluzione. Quando venne scelto Tantalo, Chirone non aveva potere decisionale, ricordi? Sono sicura che stavolta saprà consigliare a Zeus il nome giusto”
Percy concordò, poi finalmente la baciò, augurandole la buonanotte.

Mentre la guardava entrare nella Cabina, prima di voltarsi a sua volta per raggiungere la sua, si ritrovò a chiedersi se il mattino dopo avrebbe trovato lo stesso Campo.

 

 

 

***

 

 

Come logico che fosse, il giorno dopo in realtà non era cambiato assolutamente nulla.

 L’unica differenza fu che dalla Casa Grande erano sparite una gran parte delle suppellettili, compresa la testa impagliata di Seymour il ghepardo.
Gli dispiacque parecchio per quell’oggetto: Seymour non era altro che un trofeo di caccia che Dioniso aveva salvato da un deposito messo all’asta e a cui aveva restituito la vita, ma era divertente dargli da mangiare durante le riunioni. Dove finisse il cibo, dato che non aveva un corpo, nessuno l’aveva ancora capito, e il mistero se ne era appena tornato con il suo proprietario sull’Olimpo.

La giornata proseguì come sempre, tra allenamenti di spada, pratica con le canoe e i pegasi e fallimentari sessioni di tiro con l’arco.

Fu nel tardo pomeriggio che avvenne la sorpresa.

 

Quando Percy rientrò nella Cabina Tre per cambiarsi, trovò una lettera ad attenderlo sul letto.
Strano – pensò – perché non inviare un Messaggio Iride?
La aprì, e rimase di stucco: la lettera era chiaramente di Dioniso. Perché? Perché oltre ad essere scritta con un elegante inchiostro violetto, esordiva con un chiaro:

 
Egregio Perry Johnson.

Siete appena stato convocato assieme alla Sign.na Annabeth Chase ad un Udienza presso la Sala degli Dei del Monte Olimpo, questa sera dopo il tramonto.

Siete pregati di non tardare o mi vedrò costretto a mutarvi entrambi in anguille.

Poco cordialmente,

Signor D

 

Non aveva fatto in tempo a finire, che la porta della Cabina si spalancò.
“Percy hai ricevuto anche tu…oh!”
Annabeth era entrata di corsa, trafelata, reggendo una lettera identica alla sua.
“Cosa può essere successo?” gli chiese. Era decisamente preoccupata: una convocazione da parte degli Dei così all’improvviso non era mai un buon segno.
Lui non poté fare altro che scuotere la testa: “Non ne ho idea, ma spero non sia nulla di grave. Non capisco perché ci abbiano mandato una lettera: non potevano inviare un messaggio, o mandare Hermes? Di solito è lui che si occupa di queste cose!”
La ragazza esaminò entrambe le lettere: erano identiche, cambiavano solo i nomi.
Si morse il labbro, poi annuì decisa: “C’è solo un modo per scoprirlo. Prepariamoci e andiamo all’Empire State Building! Meglio che facciamo in fretta, manca poco al tramonto!”
Percy annuì a sua volta: “Vai a farti una doccia, ci vediamo davanti alle stalle dei Pegasi tra venti minuti!”

 

 

 

***

 

 

Poco più di un’ora dopo, Blackjack, il Pegaso nero di Percy, li depositò entrambi davanti alle porte massicce dell’Empire State Building, nella tipica confusione di Manhattan.
Il sole iniziava a calare dietro i grattacieli, e una patina d’oro stava ricoprendo tutto il quartiere di Midtown.

Come al solito, la Foschia nascondeva agli occhi dei mortali tutto quello che avrebbero considerato assurdo, quindi un cavallo alato che atterrava in pieno centro con due ragazzi in groppa non attirò la minima attenzione dei passanti.
A ben pensarci, erano a New York: i pedoni non si sarebbero accorti nemmeno di un meteorite, probabilmente.

 Entrarono nel grande atrio di marmo, e si rivolsero al receptionist che leggeva annoiato davanti agli ascensori.
Non li guardò nemmeno: “Sì?”
Percy gli fece scorrere le due lettere: “Abbiamo un appuntamento al Seicentesimo!”
“Prego?”
Il ragazzo ricacciò in gola un insulto. Ogni volta la stessa storia.
“Ci aspettano al Seicentesimo Piano, abbiamo ricevuto un invito!”
L’uomo finalmente guardò i fogli, poi si limitò ad annuire e fare un cenno col capo agli ascensori, prima di tornare a leggere come se nulla fosse accaduto.
Mentre la cabina saliva velocemente ben oltre la normale altezza del grattacielo, e What’s Up delle 4 Non Blondes allietava, per così dire, il tutto, nessuno dei due parlò. Annabeth cercò la mano di Percy e la strinse forte, nervosa.

Finalmente, con un sonoro DING, le porte si aprirono.

Davanti a loro, illuminato dal sole al tramonto, l’Olimpo si rivelò in tutta la sua meraviglia.
Una vera e propria cittadina greca, costruita sulla cima mozzata di un monte che fluttuava centinaia di metri sopra il centro di Manhattan, invisibile ai mortali ma viva e presente.
Il centro di potere degli Dei, il cuore di tutta la Civiltà Occidentale, il simbolo stesso della loro grandezza.
Per le vie, decine e decine di Semidei, Divinità minori, ninfe e altre creature assortite correvano da ogni parte, indaffarate nelle ultime attività prima che calasse la notte.
Non ci si abituava mai a quella vista.

“Ce l’avete fatta!” Li accolse una voce famigliare.
Chirone li raggiunse al trotto, gli zoccoli che risuonavano ritmicamente sul sentiero.
Sembrava decisamente tranquillo, anzi, sorrideva compiaciuto.
“Che succede?” Domandò Percy guardandosi attorno. Era tutto calmo, una normale serata estiva in un luogo che tecnicamente non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi lì.
Chirone non perse quel sorriso enigmatico: “Seguitemi!”
Poi si voltò e li precedette verso la struttura principale.
I due ragazzi si guardarono interrogativi, senza sapersi dare una risposta, e non poterono fare altro che seguirlo.

 

La grande Sala degli Dei era come la ricordava.
Più grossa di molti hangar messi insieme, ospitava i dodici colossali troni dei dodici Dei maggiori.
Cinque per lato, più i due di Zeus ed Era in posizione d’onore in fondo alla sala.
In un angolo, un grosso acquario ospitava una strana creatura, per metà bovino e per metà pesce: l’Ofiotauro che Percy aveva salvato anni prima.
L’animale fece un paio di giravolte, evidentemente felice di vederlo.

Ma l’attenzione di Percy era ovviamente attirata dai dodici Dei, ciascuno alto più di tre metri, che li guardavano ognuno dal suo scranno personale.
Suo padre, Poseidone, sorrideva incoraggiante, ma Ares, fissandolo con un ghigno malevolo, scrocchiò minacciosamente le nocche. Il ragazzo deglutì visibilmente.
Apollo gli fece un cenno di saluto con la mano.
Atena, invece, era seria e imperscrutabile.
Annabeth si strinse un po’ di più a lui, senza lasciargli la mano, mentre lentamente si avvicinavano al Trono di Zeus.

 Il Padre degli Dei li aspettava, nel suo elegante completo gessato blu. La barba nera era curata e in ordine, e gli occhi grigi come le nuvole in tempesta.
Accanto a lui, Era vestiva di viola e blu, come se indossasse le piume di un pavone, ma la sua espressione era fredda.
Per quanto intimidito, davanti a lei Percy sostenne lo sguardo: non nutriva particolare amore per la Regina dell’Olimpo, e il sentimento era ricambiato.
Chirone si andò a posizionare accanto al trono.

Sia Percy che Annabeth si inchinarono rispettosamente, prima a Zeus poi ad Era.
Fecero anche un cenno ai rispettivi genitori.
Il Signore dei Fulmini finalmente si alzò.

“Perseus Jackson, figlio di Poseidone. E Annabeth Chase, figlia di Atena”
Li guardò per un paio di secondi, come se li stesse valutando.
“Come ben saprete, mio figlio Dioniso da oggi non è più il Direttore del vostro Campo Mezzosangue…”

Annuirono entrambi.

“In circostanze normali, l’onore e l’onere di questo compito ricadrebbero nuovamente sulle spalle del mio fratellastro Chirone, così come è stato per i millenni precedenti!”

 Gli ci volle un attimo per processare quel fratellastro, poi si ricordò che sia Chirone che Zeus erano entrambi figli di Crono. E dato che Crono era anche il padre di Poseidone ciò faceva di Chirone una sorta di suo zio alla lontana! Per l’ennesima volta si autoimpose di non pensare alle genealogie olimpiche, altrimenti il suo cervello sarebbe completamente collassato.

 “Tuttavia – Proseguì Zeus – Chirone ha espressamente chiesto di venire dispensato da questa responsabilità. Dopo tanti anni, vorrebbe rimanere solo come addestratore, e delegare tutte le faccende, diciamo, gestionali, ad un'altra figura che lo affianchi”

Il Centauro confermò in silenzio.

“Abbiamo discusso tutto il giorno, valutando possibili candidati. Alla fine, sembrava avessimo raggiunto un accordo, tuttavia è sorto un problema!”
Gli occhi del Dio fissarono Percy con una tale forza che sentì i peli delle braccia formicolare, come se una forte carica elettrostatica lo avesse appena attraversato.
Accanto a lui, Annabeth sussultò. Lui le strinse la mano per rassicurarla, ma aveva un groppo in gola.

Dove voleva arrivare?

Zeus camminò avanti a indietro davanti al Trono.

“È saltato fuori che questa persona, una volta, ha già avuto l’ardire di rifiutare un dono fatto da noi. Dagli Dei! Ha già rifiutato una nostra offerta in passato! Quindi ci siamo chiesti: sarà ancora così temerario, o così stolto, da rifiutare ancora un regalo che gli faremo?”

Finalmente, Percy trovò il coraggio di parlare. Fece un profondo respiro: “E quale dono avrebbe rifiutato, questa persona? E cosa ha a che fare con noi?”
Zeus si fermò.

 Lo guardò con lo stesso sguardo penetrante e carico di elettricità di prima: sembrava volesse guardare nella sua anima. Era duro come l’acciaio e incuteva un fortissimo timore, così come un predatore terrorizza una preda braccata.

 “Non hai forse tu rifiutato la nostra immortalità, una volta? Non hai forse preferito tu rimanere un semplice mortale, osando invece chiedere a noi di fare un patto con te?”

 Passarono alcuni secondi.

Il cervello di Percy ci mise un attimo a mettere insieme questa ultima frase con tutto quello che era stato detto prima.
Fu come un puzzle che si compone, e a mano a mano che i pezzi si incastrano la figura diventa sempre più chiara.
Quando finalmente capì tutto il senso del discorso, fu come se un fulmine lo avesse colpito in pieno.

Barcollò per un attimo, appoggiandosi ad Annabeth.
I suoi occhi spalancati indicavano che aveva raggiunto la sua stessa conclusione. Probabilmente anche prima di lui.

Balbettò un attimo, mentre cercava di riprendere il controllo.

“Divino Zeus, sta forse dicendo…sta forse dicendo che sta offrendo a me, questa carica?!”
Zeus lo guardò come se fosse davanti ad uno studente particolarmente ottuso.
Chirone si fece avanti, solenne, ma con un largo sorriso stampato in faccia: “Non a te soltanto. A entrambi!
Questa volta fu il turno di Annabeth di perdere l’equilibrio, le gambe le cedettero di colpo.

Percy la prese al volo, e per poco non lo trascinò giù con sé.
Non riusciva ad articolare una singola parola, Annabeth tremava tra le sue braccia, sotto shock.
Improvvisamente, Poseidone in persona si alzò.

 Fece un cenno a suo fratello, chiedendo in silenzio il permesso di parlare, che gli venne accordato.

Facevano uno strano contrasto: uno impeccabile, in completo gessato, l’altro con una camicia hawaiana decorata ad ananas, un cappello da pescatore pieno di ami e un paio di bermuda kaki.

Gli occhi acquamarina, come quelli di Percy, si distesero in un sorriso orgoglioso.

“Avete dimostrato – esordì – un grande valore in questi anni. Avete affrontato sfide e nemici che nessun altro Semidio avrebbe mai potuto sognare. Insieme, siete stati in grado di sopravvivere persino al Tartaro. Per quanto nessuno qui lo voglia ammettere apertamente, siete i migliori Semidei che si siano mai visti da molti secoli a questa parte. Siete i candidati ideali a cui affidare i nostri figli e la loro crescita.
Non potrebbero trovarsi in mani migliori”

Entrambi si rimisero in piedi, ancora troppo scossi per parlare, e cercarono di calmarsi.
Zeus riprese la parola: “Perseus Jackson e Annabeth Chase, accettate dunque? O ancora volta vi ostinerete a rifiutare?”

Si guardarono negli occhi, e non ebbero bisogno di parlare per capirsi.

Stava venendo offerta loro una responsabilità più grande di quanto potessero anche solo comprendere: prendere in mano il futuro degli altri Semidei, guidarli e addestrarli verso la gloria eterna. Ma anche verso il rischio di una morte prematura.
Erano davvero pronti ad assumersi questo compito?
Negli occhi di Annabeth, Percy lesse quella determinazione che conosceva così bene.
Quella testardaggine tipica dei figli di Atena, convinti di poter fare qualsiasi cosa.
Lei, nei suoi, vide la paura ma anche il coraggio del ragazzo che aveva affrontato Crono a viso aperto, che per lei era sceso fino nel profondo dell’abisso.
Insieme, avevano rovesciato Dei e mostri, Titani e Giganti: non c’era nulla che non avrebbero potuto fare, se fossero stati fianco a fianco.

 

Si scambiarono un cenno d’intesa, traendo forza l’uno dall’altra, poi Percy alzò gli occhi verso il Signore del Cielo.

“Accettiamo!”

Zeus allargò le braccia, e un rombo di tuono scosse l’Olimpo.
E sia! Perseus Jackson, figlio di Poseidone, e Annabeth Chase, figlia di Atena, da questo momento voi siete nominati ufficialmente i Direttori del Campo Mezzosangue!”
Chirone lo affiancò, ergendosi in tutta la sua statura: “Con la Benedizione degli Dei, da adesso siete responsabili della vita e dell’addestramento dei Semidei vostri fratelli, proteggerete la sacralità dei confini del Campo e difenderete tutto ciò che si trova al suo interno con il vostro sangue.
Possa il Fato esservi favorevole in questo compito!
Ora alzatevi!”

Un educato applauso, iniziato e trascinato soprattutto da Apollo, Chirone e Poseidone, riempì la sala.
I due semidei si guardarono intorno, ancora increduli per ciò che era appena successo.
Bessie l’Ofiotauro fece un paio di piroette nella sua vasca, agitando le pinne.

Zeus non applaudì, ma per una frazione di secondo, Percy giurò di avere visto l’ombra di un sorriso compiaciuto arricciargli di mezzo millimetro il labbro, poi tornò subito serio e imperscrutabile.

“Bene – Disse facendo un ampio gesto – Una simile ricorrenza merita perlomeno un banchetto celebrativo. Consideratelo di buon augurio!”

 

In pochi minuti, Percy si trovò trascinato nella folla.

Dal nulla erano comparse lunghe tavolate di cibo, nettare, ambrosia e vino.
La sala era gremita di Divinità minori e spiriti della natura, le Muse in persona suonavano accompagnate da satiri e driadi.
Perse di vista Annabeth, ma non ebbe tempo di preoccuparsene: molti Semidei e Dei minori vennero a congratularsi, nonostante lui non avesse la minima idea di chi fossero.
Si ripromise di fare un ripasso di qualche mito, una volta tornato al Campo.

All’improvviso quasi andò a sbattere contro Dioniso in persona.
“Attento, ragazzo!” lo rimbeccò il Dio.

Era a braccetto con una bellissima donna dai lunghi capelli neri e un elegante chitone di seta immacolato, sua moglie Arianna.
Le fece un cordiale cenno di saluto, a cui la donna rispose con un sorriso materno.
Solo in quel momento Percy si accorse che il Signor D aveva il naso rosso come un pomodoro, e si appoggiava alla moglie, piuttosto che accompagnarla: in mano reggeva un calice perennemente pieno, e non di Diet Coke!

Ovvio – si ritrovò a pensare – scontata la condanna, finito anche il periodo di astinenza forzata!

Il Dio lo guardò con aria di sufficienza: “Quindi, adesso sei tu il capo eh?”
Percy annuì, incerto su cosa dire.
“Bhe, stammi a sentire: secondo me ti sei fatto fregare alla grande! Tu e quella Annabelle…”

Annabeth…

“…sì, lei, vabbè! Vi renderete presto conto che fare i direttori non questo gran divertimento!”
Come se lei avesse fatto molto, in questi anni… ma preferì stare zitto.
“In ogni caso, dubito riuscirete a fare meglio di quanto abbia fatto io, ma forse entro qualche secolo potreste iniziare perlomeno ad avvicinarvi!”

Dubitava che sarebbe vissuto così tanto, ma di nuovo scelse di non contraddirlo.

Dioniso bevve un sorso di vino e tornò a guardarlo, agitando il calice: “Ti abbiamo dato una grossa responsabilità, Percy Jackson, e quando gli Dei fanno questo genere di dono è perché sanno che possono aspettarsi solo il meglio.
Vedi di non deluderci!”

E se ne andò senza aggiungere altro assieme alla moglie.
Percy si rese conto che non solo il Signor D gli aveva appena fatto un velato complimento, ma per la prima volta aveva pronunciato correttamente il suo nome.
Avrebbe voluto parlare con Chirone, ma il Centauro sembrava sparito.

 

Ad un certo punto, si ritrovò fuori dalla sala, su un terrazzo. Come per magia, la musica del banchetto si era ovattata appena oltrepassata la soglia.
Respirò finalmente un po’ di aria fresca e pace, facendo ordine nei suoi pensieri.

 Percy!

Si voltò e vide Annabeth uscire a sua volta e venirgli incontro.
“Ti cercavo, poi finalmente ti ho visto uscire. Tutto bene?”
Lui guardò lontano.
“Sì, in realtà sono uscito quasi per caso. Ma in effetti avevo bisogno di un po’ d’aria”
Vide una scala che dal terrazzo scendeva lungo il fianco della montagna: “Facciamo due passi?” le chiese porgendole la mano.

 La scala conduceva ad un secondo terrazzo, subito sotto il primo, che questa volta si sporgeva da una rupe direttamente sul vuoto.
Sotto di loro, Manhattan risplendeva di migliaia di luci, una lingua scintillante che si stendeva fino alla Upper Bay, separata dal resto del paese dai due serpenti neri dell’Hudson e dell’East River.
Sopra, un tappeto di stelle si rincorrevano nel cosmo.

Si appoggiarono al bordo del terrazzo, ammirando quel panorama senza pari.
Annabeth poggiò la testa sulla sua spalla.

“Ancora non ci credo…” sussurrò.
Percy sospirò, fissando l’orizzonte: “Già…sembra incredibile. Direttori del Campo Mezzosangue! È così strano sentirlo dire…”
Lei gli accarezzò con affetto il braccio: “Te la caverai benissimo. Ho piena fiducia in te…”
“In noi! – La corresse lui – Lo faremo insieme, anche perché penso che da solo sarei completamente perso…”
“Questo perché sei una irrecuperabile Testa d’Alghe!” rise Annabeth stringendolo un po’ di più.

Rimasero qualche secondo in silenzio, ammirando le luci che scorrevano incessanti sotto di loro.
Percy fece un profondo respiro.

“Ricordi la prima volta in cui mi dissi che in futuro saresti voluta diventare un architetto?”
Lei lo guardò interrogativa, ancora con la guancia appoggiata alla sua spalla: “Certo, perché?”
“Mi dicesti, che il tuo più grande sogno era, un giorno, di costruire un monumento che sarebbe durato per mille anni!”

Lei squittì eccitata e si alzò di colpo: “Certo che me lo ricordo! E adesso che sono Direttrice, ho già in mente un sacco di nuovi progetti per il Campo! Ristrutturare le Cabine, migliorare la Casa Grande! Purtroppo, il progetto di Jason sui templi non può essere attuato a Campo Mezzosangue, ma sto pensando a un’alternativa, a un grande tempio circolare che…”

Percy la lasciò continuare, sorridendo tra sé e sé. Quando Annabeth iniziava a parlare di architettura, nessuno era più in grado di fermarla.

Ad un certo punto, lei si rese conto di averlo interrotto.
“Ops, scusa…” Arrossì imbarazzata e gli diede il permesso di continuare.
Il ragazzo prese un altro respiro e proseguì.

 “Il tuo sogno è costruire un monumento eterno. Io non sono un architetto, studio biologia marina, ma per una volta, per questa volta, voglio provare io a proporti un progetto…”
Si voltò verso di lei e la fissò negli occhi, prendendo le sue mani nelle proprie.
Annabeth sentì il cuore balzarle in gola con così tanta forza che temette le fosse arrivato al cervello.
Per un attimo, le mancò il respiro.

“Annabeth, io ti amo. Ti amo sopra ogni altra cosa al mondo, e non voglio più separarmi da te per il resto della mia vita…
Voglio costruire anche io un monumento che duri mille e più anni, e voglio che noi, siamo quel monumento!”

Di colpo, il cuore di Annabeth iniziò a battere come non aveva mai fatto prima.
Fu come ricevere una scossa elettrica.
Un calore indicibile salì da tutto il corpo, mentre uno sciame di farfalle impazzite le invadeva lo stomaco.
Le si formò un groppo in gola e il suo cervello, per una volta, andò in blackout, incapace di processare quello che stava accadendo.
Perché non stava succedendo davvero. Non poteva essere vero.
Lui puntò i suoi meravigliosi occhi acquamarina in quelli grigi di lei, che si ritrovò pietrificata come davanti a Medusa.
Si accorse che stava per piangere.

“Annabeth Chase, vuoi costruire assieme a me qualcosa che duri per sempre? Vuoi aiutarmi a costruire quel monumento, insieme, anno dopo anno, per il resto della nostra vita?”

Annabeth abbassò lo sguardo, le girava la testa per l’emozione.
Non ci credeva.
Le aveva appena chiesto davvero…?
Cercò di razionalizzare quel momento, ma le gambe tremavano come fossero di gelatina.
Sentì due lacrime scorrere lungo entrambe le guance.

Otto anni.
Aveva conosciuto quel ragazzo per otto, meravigliosi, anni.
Da tre, erano impegnati nella relazione più bella e sincera della loro vita.
Lo amava, lo amava più di sé stessa, avrebbe dato la sua vita e si sarebbe buttata nel Caos primordiale, per lui.
E adesso, come un fulmine a ciel sereno, lui le stava chiedendo di rendere tutto definitivo. Eterno.
Strinse i denti, scossa dai singhiozzi, temendo che da un momento all’altro qualcuno la svegliasse nella sua Cabina, ma non avvenne.
Mosse appena appena le labbra.
“Sì…”
Non si rese nemmeno conto di avere sussurrato la risposta in maniera quasi impercettibile.
Se ne accorse solo quando lui si abbassò verso di lei con aria interrogativa: “Come, scusa?”
Ricacciò indietro le lacrime, strinse i denti ancora più forte. 

“Sì!”

Alzò finalmente lo sguardo, era raggiante! Gli occhi erano lucidi di lacrime di gioia!
Il suo tono di voce aumentò vertiginosamente.

 “Sì, Sì, Sì! – Gli gettò le braccia al collo – Sì! Sì!

Iniziò a riempire di baci ogni parte della sua faccia che gli capitasse a tiro: bocca, naso, guance, fronte, orecchie…
Percy scoppiò a ridere, sorpreso dalla sua reazione, ma si lasciò assalire e bagnare dalle sue lacrime.
Caddero entrambi per terra, e rimasero stesi lì con il fiatone, abbracciati, continuando a ridere.
Lei si sollevò su un fianco e si mise sopra di lui.
Ancora ansimando, si sistemò una ciocca bionda dietro l’orecchio, guardandolo fisso negli occhi.
Poi si avvicinò al suo volto con un tenero sorriso soddisfatto ma deciso.

“Lo voglio!” gli sussurrò prima di baciarlo.

Questa volta fu un bacio vero, profondo e intenso, carico di sentimenti, e la prima pietra di quel monumento fu, finalmente, posata.

 

 

 

***

 

 

 

Quando rientrarono alla festa (Parecchi minuti dopo) Percy ebbe la conferma dei suoi sospetti: se non era facile sfuggire agli occhi degli Dei sulla Terra, allora era praticamente impossibile riuscirci nella loro stessa casa.
Per quanto fossero stati soli, nel momento in cui rimise piede nella sala, mano nella mano con lei, capì che quello che era appena successo era già di dominio pubblico.

Per quanto la maggior parte dei presenti fingesse indifferenza o fingesse di essere impegnata a parlare d’altro, riuscì a cogliere un paio di occhiate eloquenti e dita che lo indicavano di nascosto.
Afrodite, da lontano, gli sorrise compiaciuta e gli fece l’occhiolino.
Apollo, accanto a lei, alzò entrambi i pollici e sorrise con trentadue denti brillanti come il sole.
Annabeth non sembrò nemmeno farci caso, era raggiante.

Finalmente, in fondo alla sala, trovarono le due persone che stavano cercando.
Poseidone sorrideva bonario, ma l’espressione di Atena era tutt’altro che gioviale.
In mezzo a loro, seduta sul suo scranno, Era fissava entrambi i Semidei con le dita intrecciate e una faccia fredda come il ghiaccio.

Il sorriso di Annabeth vacillò, ma strinse più forte la mano di Percy.

Il ragazzo si inchinò rispettoso a tutti e tre.
“Divina Era, Divina Atena…Papà!”
Nessuno disse nulla.

Atena ed Era fissavano Percy come se stessero valutando il modo migliore per concludere la sua sfolgorante e brevissima carriera come direttore del Campo. Probabilmente erano indecise tra l’incenerirlo o il disintegrarlo.

Cercò silenziosamente l’aiuto di suo padre, ma Poseidone stava fissando le due Dee.
Dietro la barba nera aveva le gote gonfie e stava chiaramente cercando non scoppiare a ridere.
La cosa avrebbe dovuto incoraggiarlo, ma il problema era che Atena lo guardava come un rinomato critico gastronomico guarderebbe un’insalatina scondita.

Finalmente, volse lo sguardo alla figlia.
La guardò con rassegnazione: “Sei proprio convinta?”
Annabeth deglutì, ma riuscì a sostenere con fermezza lo sguardo di sua madre.

“Assolutamente!”

Atena sospirò, scuotendo il capo con aria rassegnata, e si rivolse a Poseidone: “Tu ovviamente non hai intenzione di dire nulla, vero?”

Il Dio del Mare finalmente si lasciò andare ad una fragorosa risata, che echeggiò per tutta la sala.
“E cosa dovrei dire?! Se non che vorrei che qualcuno facesse una foto alle vostre facce in questo momento!”
La Dea mantenne un autocontrollo invidiabile, limitandosi roteare gli occhi al cielo, mentre l’uomo continuava a ridere di gusto.

“Come pensavo…Molto bene, allora!”

Si rivolse direttamente a Percy, e, come era successo prima con Zeus, la potenza del suo sguardo fu più penetrante di una lancia. Il ragazzo si sentì quasi andare a fuoco, mentre la sua mente sembrava esplodere.
La saggezza e la sapienza di Atena avrebbero potuto fare in poltiglia il suo cervello se solo avesse voluto.

“Percy Jackson!” la sua voce rimbombò per un attimo nella sua testa, come se avesse un altoparlante appiccicato all’orecchio, poi per fortuna si placò.
“Ti dissi già una volta, anni fa, che non approvavo la tua relazione con mia figlia!”

“Madre…” cercò di protestare Annabeth, ma la Dea la interruppe con un gesto.

“Tuttavia – proseguì – a quanto pare il Fato ha deciso per il contrario. Annabeth sembra essere molto sicura della sua scelta e, per quanto molte tue azioni siano state discutibili, hai dimostrato di tenere a lei in più di un’occasione. Non capirò mai cosa trovi in te, né forse vorrò mai capirlo.
Ma se questo è il volere delle Parche, non posso frappormi!”

Percy stava per tirare un sospiro di sollievo, ma la Dea proseguì, e questa volta si erse in tutta la sua divina maestosità, emanando pura potenza da ogni centimetro del suo corpo.

“Ma ascolta attentamente le mie parole, Mortale! Tu prova anche solo a pensare, in futuro, di spezzare il cuore di mia figlia, e il Tartaro al confronto ti sembrerà un piacevole villaggio vacanze, sono stata chiara?! Questa è la parola di Atena!”

L’atmosfera tornò tranquilla, la luce si placò.

 

Percy si rese conto di avere la pelle d’oca e un groppo in gola, mentre Annabeth pareva essersi liberata dal peso del Cielo una seconda volta.
Atena, soddisfatta, guardò Era.

 “Rimane solo la tua ultima parola!”
“Hey – Intervenne Percy all’improvviso – Cosa c’entra Era in tutto ques…?!”

La Regina lo interruppe subito con un gesto imperioso e stizzito: “Devo forse ricordarti, Perseus Jackson, che io sono la Dea della Famiglia e del Matrimonio?! Che nessuna unione può definirsi consacrata se prima io non ho dato la mia benedizione?!
Posso ancora decidere di non farlo, e trasformare il vostro radioso futuro in un campo minato, quindi non tentarmi!”

Tacque e deglutì. In condizioni normali, Annabeth gli avrebbe tirato un calcio negli stinchi, ma per fortuna era di nuovo troppo tesa per pensarci.
Ottimo – rifletté – stiamo per affidare nostro futuro insieme nelle mani di una Dea con cui abbiamo un pessimo rapporto!

Era aveva un conto aperto con Annabeth, ricambiato, da molti anni, e Percy non aveva ancora digerito il fatto di essere stato usato come pedina e privato della memoria per sette lunghi mesi.

Già, decisamente una gran bella prospettiva.

La Dea si appoggiò allo schienale, intrecciò le dita, e guardò prima Percy, poi Annabeth, arricciando il naso quando puntò gli occhi su di lei.
La ragazza ebbe un brivido.

Solo in quel momento si resero conto che attorno a loro era calato il silenzio: tutti i presenti osservavano con acceso interesse il dibattito in corso, e sicuramente stavano fioccando scommesse.

Era fece un profondo respiro: “Per quanto mi piacerebbe moltissimo rifiutarvi la mia benedizione solo per il gusto di vedere le vostre facce mutarsi in maschere di disperazione, sono consapevole che così mi attirerei le antipatie di molti degli astanti, compreso mio fratello Poseidone qui presente…”

Il Dio scosse le spalle con noncuranza.

“Inoltre, ho a cuore la sorte dei giovani Semidei che vi abbiamo affidato, e suppongo che qualora decidessi di non approvare questa unione, andrei probabilmente a minare il vostro impegno nei confronti di un incarico per cui, e cercate di ricordarlo – indicò entrambi con un dito – sono stata la prima a fare i vostri nomi!”

I ragazzi sbatterono le palpebre e si guardarono increduli. Era aveva davvero per prima appoggiato la loro candidatura?!

“Quindi, sembra che dovrò, a malincuore, accontentarvi!”

Si alzò in piedi, poi allungò entrambe le braccia, mettendo metaforicamente le sue mani sulle loro teste.

“Che questa unione tra queste due anime mortali sia benedetta! Sia essa prospera e duratura, sia felice e sia feconda, nel mio nome e in quello degli Dei! Alzatevi, Annabeth Chase e Percy Jackson, e andate in pace!”

Questa volta, l’applauso che scaturì dalla folla fu sincero ed entusiasta.
Percy non si sarebbe mai tolto dalla testa il sospetto che, nonostante loro fossero andati lì solo per comunicare la notizia ai loro genitori, Era avesse appena, di fatto, celebrato ufficialmente le loro nozze.

 Prima ancora di poterla avvicinare, Annabeth fu circondata e portata via da un capannello di ninfe curiose, mentre Percy si ritrovò (Di nuovo!) a stringere mani che non conosceva.
Poseidone si fece largo tra la folla, con un luminoso sorriso compiaciuto.
“Ottimo lavoro, figlio mio!” gli disse stringendogli la mano e battendogli l’altra sulla spalla.
“Grazie, papà…” rispose imbarazzato il giovane.
“Hai preso una decisione importante, ti sei preso un impegno per la vita e so che lo rispetterai. Sono fiero di te!” La frase poteva benissimo riferirsi a entrambe le novità di quel giorno, e probabilmente non era un caso.
“Vieni, facciamo due passi!”

Lo condusse fuori, all’aria aperta.
“Qui va decisamente meglio!” commentò il Dio del Mare.

Appoggiò la schiena alla balaustra, e Percy si mise accanto a lui.
Non parlava con suo padre da parecchio tempo, e Poseidone non era mai stato un tipo da grandi discorsi o da profondi rapporti padre-figlio.
Era un Dio, totalmente negato per le relazioni personali, abituato ad abbandonare le donne mortali e i loro figli, totalmente estraneo al concetto di tempo: cos’era qualche decennio per un essere che aveva vissuto per più di quattromila anni?
Tuttavia, eccoli lì, fianco a fianco su un balcone.

“Come sta tua madre?” gli chiese.
Percy scosse le spalle: “Bene. Ha pubblicato il suo terzo romanzo il mese scorso, e sta andando alla grande. Lei e Paul hanno preso Estelle e sono andati in vacanza alle Mauritius. Se lo sono meritati!”
Sorrise malinconico: “Mi manca già la mia sorellina. Ha da poco fatto due anni, ed è un vero terremoto: corre dappertutto, non sta zitta un secondo, e – fece una smorfia – adora pasticciare le mie magliette del Campo con i pennarelli. Diventerà un artista, probabilmente!”

“Mi fa piacere che tu tenga così tanto a lei. È bello sapere che sei un fratello amorevole, ma sinceramente non avrei mai avuto alcun dubbio…”

 C’era qualcosa che non andava, Poseidone sembrava nascondere qualcosa, si era improvvisamente fatto cupo.

“Papà, c’è qualcosa che devi dirmi?”

Il vecchio Dio tormentò nervosamente un anello di corallo e conchiglia che aveva al dito.
Possibile che fosse l’anello del matrimonio con la Nereide Anfitrite?

“C’è un altro motivo per cui ti abbiamo scelto come Direttore del Campo, Percy…” disse infine.

“Oltre al vostro comprovato valore, e alla fiducia che riponiamo nella vostra bussola morale, c’è stato un altro motivo…”

“Ovvero?” Percy lo guardò con aria interrogativa, e anche un po’ preoccupata.

“Ci serviva qualcuno con determinate…conoscenze pregresse, con una certa esperienza in fatto di Semidei particolarmente potenti e rari, che avesse già avuto a che fare con i figli dei Pezzi Grossi…”

Il ragazzo iniziò seriamente a preoccuparsi: “Papà, cosa stai cercando di dirmi?”
Lui lo guardò dritto negli occhi, decisamente a disagio.

“Quello che sto cercando di dirti è che…”

Percy Jackson, in futuro, avrebbe sempre sostenuto che se suo padre gli avesse detto: “Attento, c’è Crono che balla il tiptap con un vestito da marinaio!” probabilmente non sarebbe stato stupito e scioccato nemmeno la metà di quanto non lo fu alla notizia che ricevette.
In quel momento, capì perché avrebbero avuto bisogno di lui al Campo nei successivi anni. Capì che il suo compito sarebbe stato tutt’altro che facile, e forse molto più impegnativo di quanto preventivato.

 Il Dio del Mare arrossì imbarazzato: “…molto presto, Percy, avrai un’altra sorellastra!”

The End. For now.

 
   
 
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