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Autore: La neve di aprile    23/08/2009    7 recensioni
Impacciato, l'attore tace, senza sapere cosa dire, e dopo qualche attimo distoglie lo sguardo, incapace di sostenere tutto quel grigio talmente chiaro da sembrare quasi trasparente.
«Non ti mordo mica» ride sommessamente lei «Puoi sederti qui con me, se vuoi, tanto non manca molto»
«A cosa?» domanda, visibilmente sollevato, lasciando sul prato una serie di impronte leggere fino a sedersi accanto alla ragazza, che tiene il naso puntato verso il cielo. Un alito di vento piega gli steli dei fiori notturni, scuri e vellutati come la notte che li circonda.
«Evento straordinario! Una pioggia di stelle cadenti.» spiega, strizzandosi addosso una felpa troppo grande per lei, tanto da sembrare più di un vestito che una maglia.
«Ah» Robert finge di guardare il cielo, sbirciando di tanto in tanto la ragazza seduta accanto a lui. Riesce a sentirne il profumo, un miscuglio di shampoo per bambini e menta che sembra annullare qualsiasi altro odore, riempiendogli la mente con lo stesso effetto tranquillizzante di una boccata di fumo.
«Io sono Amy, comunque» si presenta alla fine, porgendogli una mano e lanciandogli un'occhiata obliqua. Gli occhi le brillano, nascosti dalle ciocche di una frangia che non vuole saperne di stare al suo posto.
«Robert. Io sono Robert.»
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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STARCROSSED
 

« Edward, no! » sta gridando Bella (Bella, non Kristen. Bella.), correndogli incontro in mezzo alla folla di controfigure ammantate di rosso.
Le campane suonano, riempiendo l'aria tiepida della primavera con il loro gioiose fragore, uno stormo di piccioni si leva in volo dal campanile disperdendosi sullo sfondo azzurro come non mai del cielo sgombro di nubi, la ragazza continua a corrergli in contro nonostante i jeans zuppi d'acqua debbano pesarle non poco.
E' così magra che non riesce proprio a capire come faccia a sostenersi, su quelle gambine minuscole.
Ma non ha tempo per pensare, non adesso: è il momento.
Sgombra la mente da ogni pensiero, chiudendo gli occhi e rilassando il volto.
Edward, io sono Edward.
E' Edward e in questo momento è felice di farsi ammazzare per lei.
Come si possa poi essere felici di una cosa del genere, proprio non lo capisce, ma dal momento che è quello che deve fare non si pone troppe domande.
Le braccia penzolano morbide lungo i fianchi, solo il palmo delle mani è rivolto al cielo.
Forse è diventato un pelino troppo cinico, in questi giorni, chi lo sa.
Forse è solo stanco.
Inspira a fondo, aspettando il prossimo rintocco delle campane: rimbomba nella piazza e, come stabilito dal copione, fa un lungo passo in avanti.
Edward, io sono Edward.
Il sole quasi lo sfiora, adesso, può già immaginarne il calore pizzicare sulla pelle.
Il sorriso che gli curva le labbra è spontaneo.
Dopo aver passato così tanto tempo immobile all'ombra, a torso nudo, iniziava davvero ad avere freddo.
« No! » grida di nuovo Bella (è faticoso ricordare che non è Kristen, la stessa ragazza con cui ieri sera ha passato la notte a giocare a carte per terra, in albergo) « Edward, sono qui! » aggiunge, trafelata, gettandosi contro di lui con un impeto tale che se non fosse per il tizio che gli si è piazzato dietro e che mi tiene, finirebbero entrambi a terra.
Edward, io sono Edward.
Automaticamente la stringe a sé, ignorando i brividi che lo scuotono quando i suoi vestiti bagnati vanno a posarsi contro la pelle nuda.
La lascia avvinghiarsi, aspettando un altro rintocco per riaprire gli occhi e guardarla.
Pallida, ansimante, il volto imperlato di sudore e la sua solita espressione vagamente agonizzante stampata in faccia, Bella ricambia il suo sguardo con la stessa espressività di un pesce rosso.
« Straordinario, » bisbiglia nonostante tutto « Carlisle aveva ragione. »
Si agita tra le sue braccia, fingendo di spingerlo verso l'ombra.
Ma anche ammesso ci stia provando davvero, con quelle ridicole imitazioni di muscoli che ha nelle braccia non riuscirebbe a smuoverlo di mezzo centimetro.
Ignora la sua espressione angosciata, tutt'altro che attraente o bellissima come dovrebbe invece apparire agli occhi del suo personaggio, e finge di non sentirla mentre lo implora di tornare verso l'ombra.
Edward, io sono Edward.
Continua a guardarla, il sorriso gli ammorbidisce ulteriormente il volto mentre le sfiora una guancia con una carezza.
Delicate, le sue dita indugiano qualche attimo sul profilo appuntito della sua mandibola prima di affondare nei suoi capelli scuri, scompigliati ad arte da fior fiore di parrucchieri.
« È incredibile, sono stati velocissimi. Non ho sentito niente... che bravi. » chiude di nuovo gli occhi, posandole un bacio tra i capelli.
Si sente così idiota a dire certe cazzate, che proprio non capisce cosa diavolo ci stia a fare ancora qui.
« "La morte che ha libato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto ancora sulla tua bellezza". » prosegue, citando i versi di Shakespeare.
Che molto probabilmente in questo momento si starà rivoltando nella sua tomba nel sentire la sua poesia buttata nel bel mezzo di un polpettone emo-sentimentale per teenager urlanti e completamente in visibilio per una persona che nel mondo reale passerebbe per folle.
La concentrazione vacilla, si obbliga a spingere tutto ciò che è Robert in un angolino profondo e scuro.
Edward, io sono Edward.
« Hai lo stesso profumo di sempre. » aggrotta la fronte, come se i capelli di lei odorassero di fiori e non di fumo e quel profumo lo facesse impazzire « Quindi forse questo è davvero l'inferno. Non importa. Resisterò. »
Bella sbotta, all'improvviso.
« Non sono morta! E nemmeno tu! Ti prego, Edward, dobbiamo muoverci. Ci prenderanno! »
Bla bla bla.
Non la invidia affatto, quel personaggio che ha del patetico alle volte.
Voglio dire: tesoro, ti ha mollata!
Apri gli occhi, che ti ami ancora o no, ti ha mollata!
Fattene una ragione, reprenditi la tua vita.
« Puoi ripetere? » domanda, quasi stonereo, cercando di ricordare dove si trova e cosa sta facendo.
Edward, io sono Edward.
Edward non le direbbe mai una cosa del genere, no?
Edward è perfetto.
« Non siamo morti, non ancora! Ma dobbiamo andarcene, prima che i Volturi... »
Reagisco all'istante, in risposta alla parola.
Recitare in fondo è come rispondere a una serie di stimoli, di segnali, cercando di far sembrare il tutto più naturale possibile: Edward scatta, a quel nome, e lui è Edward.
La trascina via dal limitare del sole, nascondendola dietro la schiena, contro il muro di pietra.
Allarga le braccia, si chino in avanti.
Se fosse un animale, ringhierebbe.
« STOOOOOOP! » urla in quello Chris Weitz, il regista, alzandosi dalla sua sedia e battendo le mani « Ottimo lavoro, ragazzi! »
Il resto della troupe lo imita, mentre la tensione inizia ad abbandonare i presenti sul cast: le comparse si sfilano le pesanti mantelle rosse, i cameramen si stiracchiano pigramente e il fonico alla sua destra posa il microfono contro la parete, passandosi una mano sulla fronte sudaticcia.
Kristen, alle sue spalle, si passa una mano tra i capelli e sbuffa, prima di posargli una mano sulla spalla e scivolargli accanto.
« Bel lavoro, Rob! » accenna una smorfia « Spero tanto sia l'ultima volta che la rifacciamo. »
« Già. » ribatte, ascoltando una parola si e una no di quello che sta dicendo, precedendola di qualche passo verso il gazebo dove li aspettano bottigliette d'acqua e un posto dove sedersi, giusto davanti ad una folla di ragazzine urlanti con il suo nome scritto sulle braccia e le mani cariche di peluche e cartelloni.
Se durante le riprese erano rimaste in religioso silenzio, come lo vedono comparire esplodono in un unico urlo talmente acuto da perdersi quasi in ultrasuoni.
« EDWAAAAAARD! » strillano, allungandosi verso di lui che è immobile, come paralizzato.
« Non ci si abitua mai, eh? » sogghigna Kristen, già comodamente accoccolata sulla sua sedia, prima di attaccarsi alla bottiglia come fosse un biberon.
In realtà alla fama ci si abitua, in un modo o nell'altro.
Si rinuncia a tante cose, come ad esempio uscire di casa per andare a prendere un giornale al tabacchino dietro l'angolo, ma non si smette di vivere del tutto, anzi.
Si frequentano persone che altrimenti sembrerebbero irraggiungibili e basta, si vanno nei locali migliori, ci si diverte.
« EDWAAAAAAARD! » continuano a strillare, senza sosta, sperando in chissà cosa.
Sente il viso contrarsi in una maschera inespressiva, mentre invece di andare loro incontro come fa di solito agguanta una bottiglietta d'acqua e si calo un berretto da baseball sul capo, fissando il pavimento della piazza che hanno occupato.
C'è un piccolo cuore, sbiadito, disegnato con un pennarello indelebile chissà quando da chissà chi, proprio vicino alla punta delle scarpe che gli hanno fatto indossare.
Le urla si fanno più forti, più acute, più tutto mentre la frustrazione dell'essere ignorate cresce.
Ma hanno sbagliato giornata.
Hanno sbagliato tutto, in realtà.
Io sono Robert, non Edward.

 

*
 

C'è solo luce, attorno a lui.
Allunga le gambe sull'erba, incrociando le caviglie, e socchiude gli occhi sentendo la corteccia ruvida dell'albero premere contro la schiena.
L'aria profuma di fiori, mentre il pomeriggio gli scorre attorno in tutto il suo tepore, coccolandolo in un abbraccio di colori e rumori nuovi.
I bambini strillano felici nel parco giochi qui vicino, sotto gli occhi benevoli delle loro madri, perse in fiumi di chiacchiere e risate.
E' tutto così normale che stenta a credere sia reale.
« Mostriciattolo, non mi tirare! » esclama in inglese una voce poco distante da lui, in risposta alla risata gorgogliante di una minuscola creatura che avrà tre anni e mezzo scarsi, una minuscola salopette, una minuscola maglietta a righe e un paio di minuscole all star.
I riccioli scuri saltellano attorno agli occhi del bambino, mentre tira con impazienza la mano della ragazza che lo accompagna.
La segue, suo malgrado: è l'unica persona di cui capisce le parole, in questo posto.
« Dai siamo quasi arrivati, stai buono un attimo. » gli sta dicendo, sbuffando nel tentativo di frenare il piccolo uragano che si porta appresso.
E' giovane, valuta, potrebbe avere la sua età e oltre al bambino si sta trascinando dietro una borsa di tela che sembra sul punto di esplodere.
Gli sfila davanti, senza accorgersi degli occhi che la seguono nascosti dietro le lenti scure di un paio di occhiali da sole, e ripete qualcosa al bimbo che, ovviamente, non l'ascolta e continua a tirare, impaziente di raggiungere i suoi amichetti che già si fanno guerra tra altelene e scivoli.
Sospira, intrecciando le dita dietro la nuca mentre quella della ragazza viene sfiorata dalla punta della coda in cui costringe i capelli scuri.
Si passa una mano sulla fronte, guardandosi attorno alla ricerca di qualcosa o qualcuno: i grandi occhi chiari si illuminano, mentre alza un braccio in segno di saluto e cambia direzione, avviandosi verso un gruppetto di ragazze appollaiate su una panchina.
Sono arrivate una manciata di minuti fa, chiassose e spensierate come non mai, immerse in una fitta conversazione e con un cono di gelato in mano.
Le loro risate sono talmente squillanti e vivaci che fanno sorridere pure lui.
La prima ad accorgersi della sua nuova arrivata è una brunetta, con i capelli a caschetto e gli occhi talmente luminosi da sembrare stelle: salta giù dalla panca e le corre incontro, spalancando le braccia per stringerla in un affettuoso abbraccio.
« Amy! » la sento esclamare « Ce l'hai fatta a venire, alla fine! »
« Credimi, sono stata costretta. » ribatte la mora, aprendo la bocca in un sorriso divertito « Louis non ha voluto sentire ragioni. »
Il bambino, chiamato in causa, incrocia le braccia al petto e lancia un'occhiataccia impertinente alla ragazza, che al contrario gli sorride e, dopo avergli scompigliati i riccioli color cioccolata gli annuncia che può andare a giocare.
La guarda mentre segue il piccolo con lo sguardo, prima di voltarsi verso l'altra e prenderla a braccetto.
« Prima o poi mi farà impazzire. » sospira, scivolando dopo un attimo nella cadenza musicale dell'italiano, trasformando la conversazione tra le due in una cantilena incomprensibile alle sue orecchie.
Quel che vede, però, parla chiaro: le due raggiungono le amiche e dopo una lunga serie di abbracci, saluti e risate, Amy si accoccola tra di loro e si abbraccia le ginocchia, tenendo gli occhi fissi sul bambino, alle prese con la difficile impresa di attraversare un ponte di corda sospeso a mezzo metro dal suolo.
La brunetta, piccola e minuta, siede sullo schienale della panchina, protestando quando la rossa seduta accanto a lei le pizzica la guancia affettuosamente. Nascosto da una cascata di boccoli di fiamma, un sorriso dolce come pochi altri fa capolino sul volto spruzzato di lentiggini: è più giovane delle altre, ma non per questo meno energica.
Gesticola senza sosta, immersa nel racconto di chissà cosa, e le altre la interrompono solo per ridere o per commentare le sue parole.
Alla sua destra, un'altra ragazza è china sul quadernetto che tiene sulle ginocchia e dove scrive senza mai fermarsi, se non per sorridere o picchiettarsi le labbra con il tappo della bic: capelli lunghi, scuri; occhi grandi e dolci.
« Mia, la pianti di scrivere e partecipi più attivamente al dramma? » sbuffa Amy, alzando il volto baciato dal sole e strizzando gli occhi per proteggerlo dalla luce.
« E tu la pianti di parlare inglese? » sbuffa la quarta, distesa nell'erba, alzando un braccio sottile e disegnano una spirale nell'aria con le dita affusolate.
I capelli biondi, chiarissimi, si perdono nel verde dell'erba, lo stesso colore dei suoi occhi. Accanto a lei, seduta a gambe incrociate, la quarta ragazza ghigna: al contrario dell'amica, ha i capelli tanto neri da sembrare quasi bluastri nella luce del pomeriggio e gli occhi sono due pozze di inchiostro senza fine.
« Gabriella Bianchi, » esclama, portando le mani ai fianchi « dovremmo forse dedurne che il suo inglese non è abbastanza buono da consentirle di seguire una conversazione? »
« Santo cielo Becca, parli come la Paschi. » rabbrividisce la bionda, ribattendo in un perfetto inglese privo di inflessioni.
« Resta il fatto, » prosegue Amy « che Mia non ci ha ancora raccontato di ieri sera. »
La rossa ha un sussulto, il volto a forma di cuore scatta verso l'amica che ha smesso di scrivere e sospira, scuotendo il capo.
« Fifi, non fare quella faccia. » ride Gabriella, sollevandosi a sedere con la delicatezza di una ballerina.
Sembra appena uscita da un sogno, le spalle sottili lasciate scoperte dalla larga maglia celeste.
Tutte loro sono quanto di più lontano dal suo mondo possa mai esistere: sono giovani, amiche, libere di passare un pomeriggio nel parco della loro città senza doversi nascondere.
Non hanno fama, non hanno notorietà: agli occhi dei più non hanno niente, ma per lui hanno le chiavi del mondo in mano.
Hanno la libertà di godere del sole e di un gelato in compagnia, hanno i loro sorrisi e le loro vite.
Lui, invece, non ha altro che un bel viso e un nugolo di ragazzine convinte che sia l'incarnazione fatta persona del personaggio di un libro.
Le labbra si piegano in una smorfia, mentre distolglie lo sguardo dal gruppetto felice e gioca distrattamente con il cinturino dell'orologio.
Ci sono giorni in cui maledice il momento in cui ho deciso di fare l'attore e quello è decisamente uno di quei giorni. Sospira, quando lo sguardo cade sull'ora, quasi le sei del pomeriggio. Ci mette un attimo a fare un rapido calcolo, picchiettandosi la tempia con la mano destra: sono passate più di cinque ore da quando se ne è andato dal set, senza avvisare nessuno, cosa che fa di lui una persona molto nei guai.
« Ehi signore. »
Alza lo sguardo, nel sentirsi chiamare da una vocina sottile ed estremamente seria, ed incrocia gli occhi di Louis, il bambino impaziente di giocare con i suoi amici.
Immobile, davanti a lui, lo guarda dritto negli occhi tenendo le braccia incrociate al petto.
Aggrotta la fronte, senza capire cosa ha detto, ma non ci sono dubbi che stia parlando con lui.
« Ciao. » gli sorride, accantonando ogni altro pensiero per lasciarsi prendere dalla curiosità.
« Signore, stai male? » chiede allora lui, passando ad un inglese sorprendentemente corretto e fluido.
« Perché dovrei stare male? » ribatte Robert, perplesso.
« Perché la mamma fa sempre così quando ha mal di testa. » recita compito, dondolandosi sui piedi un paio di volte
« Ah, capisco.. » annuisce, lo sguardo cade immediatamente su Amy, che sta salutando le sue amiche e si guarda attorno alla ricerca del bambino.
Che sia lei, la madre?
« Perché se stai male allora devi prendere una pastiglia che fa passare tutto. » lo informa, annuendo con fare esperto.
« Beh, ti ringrazio ma io non sto male.. »
« Louis! » esclama in quello la ragazza « Quante volte ti ho detto che non devi disturbare le persone? » lo rimprovera, afferrandolo prima che provi a scappare via. Il bambino strilla, deliziato, quando lei lo prende in braccio, prima di rivolgersi al ragazzo ancora seduto contro l'albero.
Lo guarda per un attimo, senza riconoscerlo.
« Mi dispiace, davvero, sono desolata.. »
« Se parli inglese è meglio. » la interrompe lui, alzandosi in piedi e curvando le labbra in un sorriso.
Amy è più bassa di quanto credesse, pur essendo la più alta delle sue amiche: deve alzare di poco il mento, per poterlo guardare in faccia
A Robert piace che quella ragazza non abbia paura di sostenere il suo sguardo. Ma più di ogni altra cosa, gli piace essere considerato un ragazzo come tanti.
« Oh, scusa. » sorride lei, cordiale « E mi spiace anche per questa piccola peste, spero non ti abbia dato troppo fastidio. Ma proprio non ascolta, quando gli dico che non deve andarsene in giro a disturbare le persone... » pizzica il fianco del bambino, rimproverandolo scherzosamente.
« Nessun disturbo. » scrolla le spalle, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. Amy inarca le sopracciglia, guardando il bambino come se si aspettasse qualcosa da lui e Louis sbuffa infastidito.
« Scusa, signore. » borbotta alla fine, il visetto paffuto imbronciato.
« Non fa niente! » ride Robert.
« Beh, tanto meglio.. » sorride la ragazza, un'ultima volta, prima di dargli le spalle e avviarsi con il bimbo in braccio lungo il sentiero che si snoda tra gli alberi « Louis, sei proprio tremendo sai? Mi farai impazzire prima o poi. »
« Uffa! » sbuffa il piccolo, gonfiando le guancie « Lui non era male! »
« Louis! »
Li guarda allontanarsi, posando la schiena contro la corteccia ruvida dell'albero. Con i polpastrelli sfiora le rughe che increspano il tronco dell'albero, senza pensare, solo seguendo con gli occhi quelle due figurine sempre più lontane: la voce di Louis ancora risuona nelle sue orecchie, il sorriso di Amy si riflette nei suoi occhi.
Probabilmente non li avrebbe mai più visti in vita sua, come accadeva con tutte le persone che incrociava da quando aveva iniziato a recitare.
La cosa, e ancora non riusciva a farsene una ragione, lo rattristava molto più di quanto non sarebbe stato lecito pensare.

*

Robert ama le notti che stanno a metà tra la primavera e l'estate.
C'è quel profumo, nell'aria, carico di promesse di giornate soleggiate e divertenti da passare con gli amici.
La notte può ascoltare musica senza aver bisogno di tenere l'i-pod a volume massimo per riuscire a distinguere le parole delle canzoni che sta ascoltando e comunque lasciarsi cullare dai rumori del mondo che lo circonda.
Questa volta però mancano gli eterni auricolari nelle orecchie: li ha lasciati nella sua stanza, quando la sua idea era solamente di uscire e fare una passeggiata. Del resto, come avrebbe potuto pensare che un innoquo pomeriggio in mezzo a persone vere gli facesse provare una così forte nostalgia della sua vecchia vita, quando non era nessuno e poteva fare tutto quello che voleva senza dover poi rendere conto di ogni cosa al suo manager?
Appunto, si dice mentre cammina lungo una strada lastricata in mezzo a giardini in fiore, tra piccole casette colorate che non hanno nulla a che spartire con i quartieri residenziali americani o londinesi a cui è abituato.
E' stato un caso, continua a ripetersi, che sia rimasto fuori per così tanto tempo. Tra un po' ritorno, aggiunge tanto per placare un vago accenno di senso colpa: sta così bene che tornare è l'ultima cosa che gli frulla per la testa.
Si guarda attorno, rubando piccole scene di vita quotidiana attraverso le finestre illuminate: una madre lava i piatti, in cucina, una famiglia è incastrata sul divano davanti alla tv, un'anziana signora lavora a maglia accanto al marito, immerso nella lettura di un quotidiano.
Ci mette qualche attimo ad accorgersi della musica.
Perso com'è nel nugolo dei suoi pensieri, le note della chitarra sono talmente deboli da non riuscire a scalfire la sua attenzione ma quando lo sente riconosce il giro di accordi al volo, era lo stesso che ripeteva all'infinito quando aveva appena iniziato ad avvicinarsi allo strumento, tanti anni prima.
A giudicare dall'abilità con cui viene suonato, però, è chiaro che non è un principiante ad abbracciare la chitarra: incuriosito, si guarda attorno alla ricerca di chi sta pizzicando le corde con tanta maestria. Lei è lì, seduta sui gradini di una veranda, vicino ad una candela alla citronella.
« Sei brava. » le dice, seguendo un impulso improvviso, restandosene sulla stradina.
« Non quanto vorrei.. » ribatte dopo qualche momento la ragazza, alzando il volto dallo strumento: grandi occhi chiari lo inchiodano lì, mentre un sorriso le curva le labbra morbide: è Amy.
« Ciao, ragazzo del parco. » prosegue dopo qualche attimo, inclinando appena il capo di lato.
« Ciao, ragazza del parco. » ribatte lui, alzando la mano destra in un cenno di saluto.
« Non ti ho mai visto, da queste parti. » osserva lei, aggrottando la fronte.
« Forse perché non sono di qui. » Robert scrolla le spalle «Ha importanza?»
Sembra rifletterci un attimo, tamburellando con le dita sottili sulla cassa armonica della chitarra.
« No, direi di no.» sorride, di nuovo, allungando le gambe davanti a sé.
Impacciato, l'attore tace, senza sapere cosa dire, e dopo qualche attimo distoglie lo sguardo, incapace di sostenere tutto quel grigio talmente chiaro da sembrare quasi trasparente.
« Non ti mordo mica, sai.. » ride sommessamente lei « Puoi sederti qui con me, se vuoi, tanto non manca molto. »
« A cosa? » domanda, visibilmente sollevato, lasciando sul prato una serie di impronte leggere fino a sedersi accanto alla ragazza, che tiene il naso puntato verso il cielo. Un alito di vento piega gli steli dei fiori notturni, scuri e vellutati come la notte che li circonda.
« Evento straordinario! Una pioggia di stelle cadenti. » spiega, strizzandosi addosso una felpa troppo grande per lei, tanto da sembrare più di un vestito che una maglia.
« Ah! » Robert finge di guardare il cielo, sbirciando di tanto in tanto la ragazza seduta accanto a lui. Riesce a sentirne il profumo, un miscuglio di shampoo per bambini e menta che sembra annullare qualsiasi altro odore, riempiendogli la mente con lo stesso effetto tranquillizzante di una boccata di fumo.
« Io sono Amy, comunque. » si presenta alla fine, porgendogli una mano e lanciandogli un'occhiata obliqua. Gli occhi le brillano, nascosti dalle ciocche di una frangia che non vuole saperne di stare al suo posto.
« Robert. Io sono Robert. »

Sono stesi su una vecchia coperta, tanto vicini che le guance quasi si sfiorano.
Il cielo, sopra di loro, è limpido come uno specchio, costellato di stelle che brillano lontane, delicate come il vibrare di una corda d'arpa.
« Sai che non ricordo nemmeno più l'ultima volta che ho guardato il cielo? » confessa Robert, con un sospiro.
Amy si solleva su un gomito, per poterlo guardare negli occhi.
« Mi stai prendendo in giro? » chiede, gli occhi grigi talmente sgranati da sembrare enormi.
« Purtroppo no. A L.A il cielo quasi non si vede e a Londra è sempre coperto da nuvoloni grigi. »
« Caspita.. » soffia, lasciandosi ricadere sulla coperta « Dev'essere triste. Io non ci riuscirei... »
« Perché? »
« Perché sono sempre con il naso per aria. »
Ridacchiano, sommessamente, prima che il silenzio torni ad abbracciarli. Ma non un silenzio imbarazzante, di quelli che vanno riempiti per forza di cose con frasi superficiali dette tanto per dire: uno diverso, confortante.
Pieno dei loro respiri, dei cigolii della casa addormentata, dei fruscii dei fiori attorno a loro.
« Parlami di Louis. » bisbiglia alla fine Robert, sfiorando con lo sguardo il profilo elegante della ragazza prima che lei si volti, cercando i suoi occhi.
« Louis? E cosa c'è da sapere, oltre al fatto che scombussola la vita di tutte le persone che incontra? » sorride, strappandogli un'altra risata « No, povero, in realtà è un tesoro. Non so che farei senza di lui, alle volte. »
« Sembra un tipetto sveglio...! » l'attore aggrotta la fronte, senza trovare il coraggio di chiedere ciò che vorrebbe.
« Fin troppo. » Amy sorride di nuovo, sollevando una mano e passando la punta dell'indice sulla fronte del ragazzo, come a voler spianare quelle rughe. La lascia fare, senza porsi troppe domande.
« Io credo che tu sia una di quelle persone che pensano troppo, Robert. » dichiara alla fine, lasciando cadere la mano.
« Che intendi? »
« Intendo dire che hai l'aria di uno che non respira aria fresca da un po', non so se mi spiego.. » prosegue lei, tornando a guardare il cielo « Dovresti passare un po' di tempo con il naso per aria. »
« Se potessi, lo farei. »
« E perché non puoi? » insiste lei, curiosa.
« Perché non è facile come stare qui a parlare con te. » si lascia sfuggire di bocca, prima di realizzare il senso delle parole che ha appena pronunciato.
« Tutto potrebbe essere così facile, se tu lo volessi... » borbotta, stringendo tra le dita una ciocca di capelli e scrutandone le punte con attenzione « Le cose basta volerle. E se questo non basta, avrai un sacco di stelle cadenti a cui chiedere tutti i desideri che vuoi, stanotte. »
Solleva una mano verso il cielo, aprendo le dita e poi richiudendole come per afferrare una manciata di stelle e strapparle via a quella coltre nera, scura e infinita.
Robert la imita, il suo braccio si spinge più lontano di qualche centimetro verso la volta stellata.
« Luois è un bambino fortunato. » commenta.
« Cosa te lo fa credere? »
« Ha te. »
« Ha me perché la madre è troppo impegnata a girare il mondo per prendersi cura di lui, la sua fortuna è relativa. » ribatte Amy, con un soffio di voce, gli occhi persi nell'infinito luminoso sopra di loro.
Ma non è le stelle che guarda, quanto la sua mano, vicina a quella di Robert, le sue dita piccole e sottili vicine alle sue, così rassicuranti e grandi. Le piacciono, quelle differenze, ma non vuole dirlo: in fondo, lo conosce appena.
« Ne è caduta una! » la voce del ragazzo la coglie di sorpresa.
Abbassa il braccio, seguendo il dito che le indica una porzione di cielo dove la prima stella è caduta.
« Hai espresso un desiderio? » domanda, sorridendo all'entusiasmo che traspare dalla voce di Robert.
« Eh? »
« Ma come, non sai che quando vedi una stella cadente devi esprimere un desiderio? Ma da che pianeta vieni? » ride, stringendo tra le dita la stoffa pesante della felpa.
« Sapessi... » allusivo, sorride, ma non fa in tempo ad aggiungere un altro che un'altra cometa attraversa il cielo.
« Un'altra! » esclama Amy, indicandola.
« Anche lì! »
Si sente un po' bambino, Robert, a continuare ad indicare le stelle cadenti, ma non riesce proprio a fermarsi.
Gli occhi puntati in quel mare nero, a seguire il volo rapido e luminoso di quelle stelle che hanno attraversato l'universo e ora sono lì, sotto il suo naso; si riscopre a trattenere il respiro e stringere forte tra le dita il polso sottile di Amy, ad ascoltare il lieve pulsare delle vene azzurrognole sotto la pelle pallida, quasi trasparente, in sincrono con il respiro tranquillo della ragazza.
E' tutto così diverso, in questo prato.
Per un attimo non è più Robert Pattinson, ma solo Robert, un ragazzo come tanti che in un universo parallelo avrebbe potuto essere il suo ragazzo, venuto a farle visita per guardare le stelle cadenti.
Non esistono più fan urlanti, isteriche, che a ciò che è hanno sovrapposto ciò che finge di essere.
Non ci sono più dubbi, frustrazioni, paure.
C'è solo lui, lei e il cielo sopra di loro.
« Io sono un attore. » confessa alla fine, con la stessa naturalezza con cui respira.
« Lo so. » ribatte lei, con lo stesso tono leggero.
« Lo sai? »
« Ti ha riconosciuto Alice. » annuisce, girandosi su un fianco per appoggiarsi su un gomito, lasciando che le dita di lui disegnino pigri cerchi sul suo polso « Sai, la ragazza con i capelli scuri, corti.. »
« Ah. »
« Avevi l'aria di uno che vuole essere lasciato in pace, per questo ti abbiamo lasciato in pace. » prosegue lei, con tranquillità « E poi ci ha pensato Louis ad aggredirti, no? »
« Direi proprio di si! » ride Robert, come sollevato, spostando lo sguardo dal cielo alla ragazza accanto a lui « E così la piccolina si chiama Alice, eh? »
« Ah-ah. E' uno scricciolo dal cuore immenso. » racconta Amy « Certe volto non so proprio che farei, senza di lei. E' sempre lì, che ascolta i miei deliri di onnipotenza, sempre lì quando ho bisogno di un consiglio... lei c'è, sempre. In qualsiasi momento. »
« E le altre? » curioso, l'attore non si preoccupa del fatto che sia notte fonda, che l'aria stia diventando sempre più fredda o che manchi ormai da troppo tempo per poter inventare una qualsiasi scusa che risulti plausibile. Non gli importa. Fin tanto che è accanto ad Amy, va tutto bene.
« Le altre... beh, c'è Mia. Mia è la ragazza con i capelli lunghi, che ha scritto per la maggior parte del tempo: non riesce a farne a meno e scrive delle cose che sono assolutamente meravigliosi, checcé ne dica lei. E' convinta che sia solo sciocchezze, ma non starla ad ascoltare. In tutto quello che scrive ci infila un pezzetto di sé, è tutto così vivo e reale che ogni volta mi capita qualcosa di suo sotto il naso stento a credere che non sia la realtà. »
S'interrompe, rannicchiandosi sulla coperta e stringendosi la felpa addosso, le mani quasi completamente nascoste dalle maniche troppo lunghe, sotto lo sguardo limpido di Robert che sembra non perderla un attimo di vista.
« Fiona invece è la più piccola, ha qualche anno meno di noi e sotto tutti quei capelli rossi si nasconde una vera pazza. Suona il pianoforte e non hai davvero idea di quanto talento nasconda dietro i suoi sorrisi e la sua vivacità. E' un uragano, non si ferma mai. Gabriella e Becca sono le mie anime gemelle, invece. »
Si stropiccia gli occhi, inspirando a fondo l'aria fresca della notte.
« Senza di loro non sarei niente, probabilmente. Ti è mai capitato di incontrare qualcuno per caso e scoprire di non riuscire più a vivere senza? Loro sono così. A vederle sono diversissime, non si somigliano nemmeno un po': Gabriella è silenziosa, introversa, tranquilla, mentre Becca è piena di vita, di idee, di energie, sempre circondata da mille amici e con mille progetti, ma nonostante tutto si completano a vicenda. E completano me. Davvero, io non ho idea di cosa ho fatto per meritarle. »
« Devono essere persone fantastiche. » osserva l'attore, con un sorriso.
« Ci puoi giurare, sono le migliori che abbia mai incontrato. »
« E tu? »
« Io cosa? » spiazzata, la ragazza sgrana lievemente gli occhi.
« Tu chi sei, Amy? »
« Io... ci sono momenti in cui non lo so, ti capita mai? »
« Non sai quante volte. » sospirò lui, le labbra contratte in una smorfia.
« Certe volte penso che sono quel che sono, niente di più. »
« Io penso che tu sia molto di più. » solenne, Robert disegna una linea orizzontale lungo la fronte della ragazza, in una precisa copia di gesti e espressioni di quanto lei stessa ha fatto.
« E chi lo sa? » rotola, sulla schiena, tornando a guardare il cielo.
« Io, lo so.»
I loro sguardi si cercano, si trovano e timido, un sorriso fa capolino sulle labbra di Amy con lo stesso splendore di un raggio di sole, tanto che Robert, per un attimo, non sa nemmeno che pensare se non che vorrebbe che la notte non finisse mai.

« Guarda, sta per sorgere il sole! » l'indice destro di Amy si leva verso oriente, indicando un punto non ben definito dove l'oscurità della notte inizia a sbiadire in un colore che, con un po' di tempo, si scioglierà in un tenue rosa pastello.
Robert aggrotta la fronte.
Di già?
Ha come l'impressione che il tempo sia volato, risucchiato in un vortice che l'ha fatto correre troppo in fretta: non può essere già mattino!
« E' proprio volata... » bisbiglia la ragazza, dopo qualche attimo, dando le spalle a quel lontano bagliore per rannicchiarsi su un fianco, il volto che quasi preme contro il petto del ragazzo, che la guarda mentre chiude gli occhi, appena appena segnati da un'ombra violacea.
« Stavo pensando la stessa cosa. » sorride lui, beandosi di quell'ombra di profumo che riesce a rubare nella vicinanza.
Riesce ad avvertire il calore della sua pelle, tanto è vicina, il ritmo regolare del suo respiro.
« In realtà lo penso già da un po'. » confessa lei, arrossendo appena.
« E arrossisci per una cosa del genere? » la punzecchia, dando le spalle al sole nascente per guardarlo riflesso nei grandi occhi di Amy, che sostiene lo sguardo con una mezza risata.
« Che vuoi farci, sono nata nel secolo sbagliato...! »
« No, sei perfetta così come sei. » la rassicura Robert, con un sorriso, passandole una mano tra i capelli « E se potessi, credimi, fermerei il tempo per restare a parlare qui con te. »
« Ma...? »
« Perché deve esserci un "ma"? »
« Perché c'è sempre, un "ma", in questi casi. »
La guarda, dritta negli occhi - quegli occhi grigi, così grandi e disarmanti, limpidi come quelli di un bambino -, trattenendo il respiro.
Non sa nemmeno cosa pensare, ha la testa completamente vuota e gli occhi pieni di quel grigio, riscaldati dai raggi dorati del sole che continua a salire, implacabile e inarrestabile, alle sue spalle.
Amy, invece, ha la testa che scoppia di pensieri.
Avrebbe mille cose da dire, da raccontare a quello strano tizio capitatole in giardino in una notte come tante altre, piccoli segreti nascosti sottopelle da lasciargli intuire, tesori nascosti tra i petali di un fiore delicato.
Eppure.
Eppure non sa niente di lui, se non quello che lui ha scelto di essere nell'arco di una notte.
Non conosce l'altra sua faccia, quella da copertina che fa girare la testa a miliardi di ragazze in tutto il globo, quella delle conferenze stampa, dei party esclusivi, delle avventure di una notte una via, delle sbronze solitarie, della vita senza nemmeno poche briciole di privacy.
Quella faccia che lei ha sempre ignorato, ignorando addirittura che lui fosse, fino a quando non se l'è trovato davanti.
Mani affondante nelle tasche dei jeans, scarpe da ginnastica e una felpa sbiadita.
Un ragazzo come tanti altri, con gli occhi tristi come tanti altri.
Non era stato difficile parlargli, lasciare che i pensieri scorressero liberi e dessero vita ad un arazzo di sogni e speranze che avevano condiviso.
Però adesso che la notte sta scivolando via silenziosa; adesso che il sole sorge ad illuminarli distruggendo quel bozzolo di sicurezze e verità costruito alla meno peggio per nascondersi dal resto del mondo... adesso le cose disegnano nuove prospettive che rendono tutto incerto, traballante, infido, poco sicuro.
Se fosse un ragazzo qualunque, non si farebbe nessun problema a baciarlo.
Se fosse un ragazzo qualunque, Robert l'avrebbe baciata già da un pezzo senza perdere tempo.
Perché capita, alle volte, che due persona si incrociano e scoprono di completarsi a vicenda, come quando lavori su un puzzle e all'improvviso scopri quei due pezzi che combaciano perfettamente, senza aver bisogno di cercarli: sono lì, vicini, ma non si vedevano fino a quando la tua mano non li ha avvicinati.
E per Amy e Robert le cose stanno esattamente così.
Lui sospira, disegnando con la punta delle dita il suo volto.
« Amy. » la chiama sottovoce, scivolando sulla fronte per andare a tracciare con i polpastrelli l'arco delle sopracciglia.
« Mh? »
« Grazie. » sospira, passando sugli zigomi, sulla mandibola e scivolando dietro le orecchie, sul collo, avvicinandola a sé e posando le labbra sulla sua fronte.
« Di che cosa? »
« Di tutto. » bisbiglia, la bocca che ancora la sfiora « Di niente. »
« Non c'è di che. »
E in quel momento, in quel preciso momento, entrambi sanno che quando il sole scolorerà la notte del tutto, allora si saluteranno e non si vedranno più.
Rimangono in silenzio, respirandosi a vicenda in un turbinare di pulviscolo dorato che profuma di fiori, vicini più di quanto avrebbero mai potuto essere in una vita intera, lontani come solo chi è destinato a dire addio può essere.

*

Mesi dopo.
Londra è in delirio, alla prima mondiale di New Moon.
I flash dei fotografi illuminano la notte a giorno e le urla si rincorrono da un punto all'altro delle transenne, senza sosta.
Robert è al fianco di Kristen e sorride, compito, rispondendo alle domande educate della presentatrice di chissà quale canale che gli piazza senza ritegno il microfono in bocca, tanto che deve ritrarsi continuamente per riuscire a rispondere.
Sono passati mesi da quel giorno di primavera in cui la sua vita ha incrociato quella di Amy e da quel momento non l'ha più rivista.
Gli piace ricordarla nel momento in cui si sono salutati, goffi e impacciati, mentre se ne stava in piedi sui gradini della veranda in quella felpa troppo grande per lei, tormentandosi le dita.
Quando le ha dato le spalle e si è incamminato nella luce del mattino, lasciandosi cogliere di sorpresa da quell'abbraccio inaspettato arrivato da dietro, quando le braccia della ragazza lo hanno stretto forte e le sue labbra si sono stampate contro il suo collo, prepotenti.
Non dimenticarti di me, Robert gli ha chiesto con la voce soffocata dall'emozione.
Come potrei? ha risposto lui, senza trovare la forza di voltarsi e guardarla negli occhi.
Sono rimasti così per degli interminabili minuti, fino a quando il suono di una sveglia dentro la casa non li ha costretti a separarsi, senza più guardarsi, senza più sentirsi, senza più capirsi.
Robert la ricorda così, Amy.
Un turbinare di capelli scuri e due grandi occhi grigi, mani piccole e un animo da sognatrice d'altri tempi.
« Ho sentito dire che hai avuto problemi con il tuo personaggio, Rob! Che cosa è successo? » gli sta chiedendo in quel momento la giornalista, sempre sbattendogli in faccia il microfono.
« Un momento di crisi. » ribatte lui, passandosi il dorso di una mano sotto il naso, a disagio « Cose che capitano, quando si ha a che fare con il paladino di così tante fanciulle, i paragoni sorgono spontanei e non mi vedono vincente! » ride, indicando con un cenno le fan ammassate alle sue spalle.
« E come sei riuscito a superare il momento? »
Robert sorride, di un sorriso spontaneo e luminoso, diverso da quelli che ha elargito fino a quel momento.
« Ho incontrato una persona ancora più straordinaria che mi ha insegnato a stare con il naso rivolto al cielo. »

E in quel momento, da qualche parte in Italia, in una casetta spersa tra le colline della Toscana, rannicchiata tra le sue migliore amiche davanti a uno schermo dove è inquadrato il volto di Robert, Amy sorride.





FINE

 

   
 
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