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Autore: Soul of Paper    06/12/2020    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 50 - La Famiglia - Parte Seconda


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

“T’ho messo qui le cose che sono sicuramente tue e che non ho intenzione di tenere.”

 

Pietro mostrò loro alcune scatole ed oggetti, ammassati nella zona che dava sul salone.

 

Imma riconobbe, oltre alla sua tigre di ceramica, alcune borse e vestiti più vecchi, che non si era portata dietro, non avendo molto spazio a disposizione. Il suo diploma del liceo classico e poi quello di laurea, con centodieci e lode, alcuni soprammobili nel suo stile ed i pochi souvenir che aveva accumulato negli anni, foto di lei in occasioni ufficiali. Il resto avrebbe dovuto passarlo in rassegna una volta a casa di sua madre.

 

“Se volete farvi un giro nelle stanze, puoi vedere se trovi altro che ti vorresti portare via. Io vado in camera di Valentina a suonare, tanto lì non ci sta niente di tuo. Se hai bisogno, chiamami ed avvisami se vuoi prendere altro, e comunque prima di andare via.”

 

Sembrava un discorso preimpostato, che si era preparato già da prima, perché a malapena la guardò negli occhi e poi si ritirò, come annunciato, dietro la porta di Valentina.

 

Per fortuna, a giudicare dall’assenza di rumore, stava usando il sax con le cuffie.

 

Una volta che si fu accertata che Pietro non sarebbe uscito, si guardò intorno. Le sembrava quasi surreale essere di nuovo lì, dopo tanto tempo e, soprattutto, esserci con Calogiuri.

 

Lo vedeva che era a disagio, sembrava non sapere dove guardare.

 

“Che c’è, Calogiù?” gli domandò, un poco preoccupata.

 

“Niente, è che... “ si fermò, come timoroso di proseguire, ma poi aggiunse, con un sospiro, “è che ho immaginato tante volte la tua vita familiare e… e te insieme a tuo marito e… e mi fa strano ora vedere questi posti e pensare alla… alla tua vita qua.”

 

Gli sorrise, intenerita, e gli accarezzò una guancia, “anche a me fa strano, Calogiuri. Sembra… sembra qualcosa di una vita precedente. Un’altra Imma, che è stata parte di me ma che… che ora non è più me. Se ti senti tanto a disagio, però, posso mettere da parte le cose più pesanti ed il resto posso portarlo io nel furgone.”

 

“Non dirlo nemmeno per scherzo! E poi… e poi se dovremo essere una… famiglia allargata… o prima o dopo qui dovrò metterci piede, quindi… come ha detto Pietro, via il dente, via il dolore.”

 

E poi, stranamente, Calogiuri rise.


“Che c’è da ridere?”

 

“Niente… stavo guardando la tigre: è proprio enorme. Mi è andata bene che a Roma ti sei accontentata di statuette più piccole!”

 

“Stupido!” lo redarguì, piantandogli un rapido bacio, prima di ricordarsi dove si trovasse.

 

Ma si stupì di non sentirsi in colpa, non come avrebbe pensato.

 

Entrò del tutto nel salotto. Era esattamente come se lo ricordava. L’unica differenza era una foto di Pietro con Cinzia che faceva capolino su uno dei mobili. Cinzia sembrava raggiante, mentre il sorriso di Pietro non gli raggiungeva gli occhi.

 

A giudicare dalla stanza intorno a loro, dai vestiti e dai sax, dovevano essere state scattate dopo un concerto.

 

Si sforzò poi di analizzare con calma ogni angolo della stanza, ma non ci trovò nulla che volesse, nulla che sentisse ormai più suo.

 

Tenendo d’occhio Calogiuri, che sembrava a dir poco spaesato, passò dalla sala alla zona cucina.

 

Vide ancora attaccata all’armadietto una foto di lei, Pietro e Valentina, ma la sua parte di foto era stata parzialmente coperta da uno scatto di Cinzia che suonava il sax.

 

Si chiese se fosse stata un’idea di Pietro o della stessa Cinzia.

 

Calogiuri non disse niente, limitandosi ad attendere che lei finisse l’ispezione.

 

Fu poi la volta del bagno, del corridoio e, infine, giunse davanti alla stanza da letto che per quasi vent’anni era stata l’alcova sua e di Pietro.

 

Calogiuri, che scemo non era ed aveva capito benissimo quale stanza mancasse all’appello, rimase qualche passo indietro.

 

Imma aprì la porta.

 

Tutto era, ancora una volta, quasi fermo a quando se n’era andata.


Certo, mancavano la maggioranza delle foto sue e di Pietro e… e c’era una vestaglia di seta nera su una delle sedie, che di sicuro non era di Pietro e che lei non avrebbe mai indossato.

 

Lanciò un altro sguardo a Calogiuri, che pareva in conflitto tra il cercare di non guardare troppo e, allo stesso tempo, l’essere quasi ipnotizzato da quella stanza. L’espressione addolorata però era inconfondibile.


Del resto pure lui, come Pietro, aveva sofferto tanto, anche se per motivi diversi. Il dolore che aveva causato ad entrambi, per troppi mesi, era una di quelle cose che non si sarebbe mai perdonata del tutto. Ma il passato ormai era veramente passato e, in fondo, l’aveva portata ad essere felice come mai avrebbe nemmeno lontanamente sperato.

 

E poi la vide: una foto sul comodino dal lato di Pietro.

 

Non c’era Cinzia, stavolta, ma loro due insieme con una Valentina piccolissima, il giorno del suo battesimo.

 

Si avvicinò ed afferrò la cornice, non potendo distogliere lo sguardo da quella scena. Notò quanto erano felici, nonostante le occhiaie tremende che si ritrovavano, per i problemi di sonno di Valentina.

 

Le prese di nuovo quella strana sensazione allo stomaco, che le diceva che forse quelle sensazioni poteva di nuovo provarle, che era ancora in tempo. E che, con Calogiuri - e con molta consapevolezza in più - si sarebbe goduta tutto in maniera diversa e… sarebbe stata ancora più felice. Con Valentina spesso non erano mancati i sensi di inadeguatezza, soprattutto verso Pietro, che era un genitore praticamente perfetto. Mentre lei non lo era, anzi: aveva sempre preferito inseguire un caso urgente, piuttosto che giocare con Valentina.

 

La verità era che una parte di lei non se ne era sentita capace.

 

Forse ora, invece, con Calogiuri che insisteva a coinvolgerla in tutto e con la leggerezza che le avevano donato, oltre a lui, i suoi quarant’anni ed il non dover più dimostrare niente a nessuno, sarebbe stato diverso e sarebbe riuscita meglio a conciliare il suo amore per il lavoro e le sue passioni - che restavano per lei irrinunciabili - con una famiglia.

 

Ma non poteva costringere Calogiuri a bruciarsi le tappe e le occasioni, prima di essersi sistemato lavorativamente come avrebbe meritato, solo per colpa del suo orologio biologico e della strana botta di tenerezza che le avevano causato prima Ottavia e poi Bianca.

 

“Eri… eri ancora più bella, sembravi raggiante!” sentì mormorare dietro al suo orecchio.

 

Si voltò e ci trovo Calogiuri che pareva pure lui quasi rapito da quell’immagine.

 

“Al massimo sembravo uno straccio, Calogiuri. Ero stanca morta,” si schernì e poi lasciò la foto e gli accarezzò di nuovo il viso, sussurrandogli, “e comunque nessuno mi aveva mai detto che sembrassi raggiante, se non da quando sto con te, che me l’hanno detto in tanti.”

 

“Non sarò mai geloso dell’amore che hai per Valentina, anzi, ma… a volte mi chiedo se potrò mai darti tutto quello che ti ha dato lui,” ammise Calogiuri, con un sorriso un poco amaro.

 

“Pietro mi ha dato tanto, Calogiuri, mi ha… mi ha salvata dalla solitudine e dall’idea di non poter piacere mai a nessuno. Mi ha dato un amore incondizionato per vent’anni. E una figlia che ha cresciuto benissimo. Ma… ma tu mi hai ridato me stessa, Calogiuri, la vera me, che avevo tenuto a freno per tutta una vita. E pure un rapporto più sereno con mia figlia, perché… sono più felice e soddisfatta e… e mi rendo conto soltanto ora di quanto invidiassi Valentina, la sua adolescenza, il suo… poter avere tutto quello che non avevo mai avuto. E non era giusto, né nei suoi, né nei miei confronti.”

 

Calogiuri non disse niente,  ma la stritolò in un abbraccio fortissimo, nel quale si lasciò andare completamente.

 

“Scu- scusami… forse qua non è il caso…” sussurrò poi Calogiuri, staccandosi quasi bruscamente da lei.

 

Ma Imma non sentiva nessuna colpa. La verità era che quella stanza, ormai era solo un ricordo - bellissimo, per tanti anni, ed orribile negli ultimi mesi, anche se per colpa sua e della sua vigliaccheria.

 

E pure gli oggetti… sì, alcune cose le faceva piacere rivederle ma… non provava il magone che aveva pensato di provare.

 

Era pronta, era finalmente pronta a riprenderseli, come probabilmente non era stata durante le visite precedenti a Matera.

 

“Non scusarti, Calogiuri. Non stiamo facendo niente di male. E comunque possiamo andare: non vedo altro, ho già tutto quello che mi serve,” gli disse, facendogli l’occhiolino e stringendogli la mano, per poi lasciarla ed avviarsi verso la porta di Valentina.

 

Bussò.

 

Dopo poco, uscì Pietro, il sax in mano ed una strana espressione in viso. Pareva avere gli occhi rossi, più di prima e sembrava come se gli fosse passato sopra un treno.

 

Ma poi si distrasse a guardare la camera di Valentina, che era la più impressionante: identica in tutto e per tutto a com’era prima che lei se ne andasse.


Era Valentina ad essere cambiata.

 

“Non ho preso altro, Pietro. Ci portiamo via gli scatoloni e la tigre e ce ne andiamo. Però un’altra cosa la vorrei. Qualche foto di Valentina negli anni, che non ne ho praticamente nessuna. Anche solo il file, se sono quelle digitali.”

 

Pietro sospirò ma annuì, dicendo, “sì, è giusto. Vuoi selezionarle tu o… o ti fidi della mia scelta?”

 

“Come sei più a tuo agio, Pietro. Al limite posso ripassare prima della fine delle vacanze di natale, fammi sapere.”

 

Pietrò annuì di nuovo e poi le chiese, “allora, è confermato che tu hai la vigilia e io il pranzo di natale con Valentina?”

 

“Sì, certo.”

 

Nel frattempo che parlavano, Imma iniziò ad avviarsi verso dove c’erano depositate tutte le loro cose e Calogiuri e Pietro la seguirono.

 

“Inizio a portare via le scatole. La tigre la imballo nella plastica e poi… forse è meglio che la mettiamo in piedi nell’abitacolo del furgone, che se cade è un disastro.”

 

Calogiuri, una maschera di solerzia e professionalità, cominciò a caricarsi in spalla cartoni e ad avviarsi lungo i ripidi gradini che portavano alla piazza.

 

“Volete una mano con quella?” chiese infine Pietro, in quello che le sembrò uno sforzo immane, indicando la statua di ceramica, “so quanto pesa, purtroppo.”

 

Calogiuri sembrò sorpreso, ma poi rispose con un, “se per voi non è un disturbo….”

 

Pietro aveva l’aria di chi si stava mordendo la lingua per non rispondere con una battutaccia. Ma poi sospirò ed afferrò la tigre per la parte del collo, mentre Calogiuri si abbassava per afferrarne le zampe.

 

Imma li seguì, un poco in apprensione, in una specie di surreale processione giù dalle scale.

 

“Non pensavo che ci fosse ancora il… trasloco in corso.”

 

La voce di Cinzia, giunta all’improvviso alle loro spalle, mentre stavano caricando la tigre sul furgone, per poco non fece prendere un colpo a lei e non diede il colpo di grazia alla tigre, che Calogiuri salvò in corner da una caduta rovinosa.

 

Si voltò e guardò verso la ex rivale. C’era qualcosa nel suo sguardo e nel suo tono di voce che le dava l’idea che non fosse realmente sorpresa di trovarli lì, affatto.

 

E poi Cinzia stampò un bacio a Pietro e, abbracciandoselo, commentò, “dove lo avete preso il furgone? Forse anche noi dovremmo noleggiarne uno, che nei prossimi giorni dobbiamo andare a comprare mobili. Vero, amore?”

 

Pietro annuì, pur non sembrandole molto convinto.

 

“Lo abbiamo noleggiato a Roma in realtà, ma sono sicura che ne potrete trovare uno pure qua a Matera.”

 

“Lo spero. Ah, ti sei presa pure la statua della tigre? Sai, cominciavo quasi a farci l’abitudine, ormai, ma sapessi quante volte mi sono spaventata o ci sono quasi inciampata di notte!” rise Cinzia ed Imma si chiese se fosse lei malfidata a vedere frecciatine e marcature del territorio ovunque o se ci fossero davvero.

 

“Se ti mancherà così tanto te la lascio, che tanto non la posso portare con me a Roma, viste le dimensioni che ha,” le rispose, con un sorrisetto, sapendo benissimo che Cinzia lo diceva solo per essere sarcastica.

 

E, infatti, fece un’espressione quasi terrorizzata che era tutto un programma.

 

“Ti ringrazio ma… se si libera spazio all’ingresso potremo finalmente farci un angolo per metterci tutti i nostri strumenti musicali. Che ne dici, amore?”

 

Pietro, nuovamente, si limitò ad assentire col capo.

 

Quasi le faceva tenerezza: Cinzia, per il decidere per gli altri, sembrava quasi ai livelli della sua ex suocera.

 

“Mi raccomando, però, usate sempre le cuffie, che ricordo ancora le lamentele dei vicini quando Pietro ha ricominciato col Sax. E se non ci vediamo prima, buon natale!” si congedò poi Imma, facendo un cenno a Calogiuri, “andiamo?”

 

Calogiuri non se lo fece ripetere due volte e, dopo pochi minuti, erano già per strada, guidando lentamente per evitare di uccidere la tigre.

 

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“Pensi che questa piacerà a Diana, Calogiù?”

 

“Dottoressa, di borse non me ne intendo molto. Ma mi sembra più… tranquilla delle tue.”

 

Gli mollò un colpo al braccio, “meno orribile delle mie, vuoi dire?”

 

“Lo sai che mi piace moltissimo come ti vesti, se no non saresti tu. Ma… non sai a che negozio va la signora Diana di solito? Magari puoi chiedere alle commesse cosa potrebbe piacerle e che cosa non ha.”

 

“Sì, così mi rifilano le cose più care o invendibili, Calogiuri.”

 

“Non se non vogliono perdere la cliente o trovarsi con un cambio, dottoressa,” le spiegò, con un sorriso, “sai, ho fatto pure il commesso per un periodo ad Avellino, per pagarmi i corsi.”

 

“Immagino che avrai fatto guadagnare un sacco di clienti donne al negozio.”

 

“Eh… non so quali erano le clienti prima e quali sono rimaste dopo.”

 

“Te lo dico, io, Calogiù, te lo dico io. E… se non ricordo male dai sacchetti da shopping che ho visto più spesso a Diana, temo vada dal negozio più caro di Matera, che sta nella via qua affianco. Sai che c’ha la mania dell’alta società, no?”

 

“Al limite puoi prenderle una cosa più piccola. Ma per una volta che le fai un regalo….”

 

“Forse c’hai ragione, mannaggia a te!” sospirò Imma, uscendo con lui dal negozio e percorrendo i pochi metri che la separavano da IL negozio di Matera.

 

Quello frequentato da tutte le signore della Matera Bene che odiava tanto.

 

Neanche l’avesse invocata, fece in tempo ad aprire la porta e guardarsi intorno, mentre la proprietaria la squadrava manco fosse stata un animale raro, quando sentì un “Imma! Ma che ci fai a Matera?! E poi non ti ho mai vista in questo negozio!”

 

La Guarini.

 

“Carmela…” sospirò, detestando già il suo sorriso fintissimo ed il tono di scherno con il quale sottolineava come lei non potesse permettersi di comprare lì.

 

La realtà è che, con moderazione, forse avrebbe anche potuto, ma non voleva permetterselo.

 

“Ah, ma c’è pure il famoso maresciallo! Non ci presenti, Imma?!” esclamò la Guarini, guardandosi Calogiuri da capo a piedi in un modo che le causò fastidio per un altro motivo, per poi rivolgere lo sguardo a lei in un modo che era un ma come diavolo hai fatto?! non verbale.

 

“Il maresciallo Ippazio Calogiuri, Carmela Guarini una mia ex compagna di scuola ai tempi del liceo classico.”

 

“Molto piacere!” rispose Calogiuri, con un sorriso, sembrando ignorare il tono di quella vipera di Carmela, per poi rivolgersi a lei, “ah, allora andava a scuola anche con la signora Diana? Magari ci può dare una mano, allora,”

 

“Eh, ma ultimamente si frequentano meno, Calogiuri, se non alle cenette.”

 

“Eh beh, certo, da quando Diana si è messa con quella specie di brigadiere… si vede sempre di meno. Del resto pure portarlo in società… come si veste, che pare scappato da un campo profughi! Almeno tu te ne sei scelta uno che è un bel vedere e non si veste neanche male, anzi.”

 

“Carmela, con tutto il bene, non mi pare che tu sia sposata con Richard Gere. Per carità, i suoi completi saranno pure eleganti, ma ad un certo punto bisogna farci pure altro,” rispose Imma con un sorrisetto paro paro a quello dell’altra e, quando lei fece un’espressione scandalizzata, aggiunse, “ma che hai capito, Carmè? Con Calogiuri e perfino con Capozza non mi è mai capitato di addormentarmi mentre mi parlavano. Tu, a quanto ne so, hai bisogno di molta caffeina a casa.”

 

Carmela rimase a bocca aperta. Evidentemente non pensava che lei avesse sentito quelle confidenze fatte alla famosa cenetta di classe, quando aveva raccontato alle sue amichette di una volta quanto il marito la facesse addormentare e non solo a letto.

 

“Imma! Certo che la lingua altro che biforcuta ce l’hai!”

 

“Ho imparato dalle migliori, Carmela!” le sorrise, mentre vedeva che pure Calogiuri si tratteneva dal ridere.

 

Carmela lanciò uno sguardo d’aiuto alla proprietaria, che si avvicinò lestamente per salvare quella che doveva essere un’ottima cliente.


“Dottoressa, che bello vederla qui! Sa già cosa cerca o vuole dare un’occhiata in giro?”

 

“Sto cercando un regalo per la signora Diana De Santis. Una borsetta magari. So che acquista spesso qui, quindi….”

 

Carmela fece un’espressione basita, manco avesse appena annunciato di voler fare una rapina.

 

“C’è una borsa che la signora De Santis ha adocchiato spesso, le ultime volte che è venuta. Aspetti che gliela vado a prendere.”

 

“Che c’è, Carmela?” le chiese, con un sopracciglio alzato, come a sfidarla a dire quello che pensasse.

 

“Sarà l’aria di Roma o il nuovo amore ma… mi sei diventata generosa, Imma?”

 

“Imma è sempre stata generosa, con chi se lo merita e con le persone che a lei tengono davvero.”

 

Carmela spalancò gli occhi, guardando verso Calogiuri, ancora più sconvolta.

 

“Come avrai notato, Carmela, Calogiuri parla poco, ma quando lo fa è impossibile addormentarsi,” rimarcò Imma, prendendolo sotto braccio e dandogli pure un rapido bacio.

 

La proprietaria ritornò e Carmela ne approfittò subito per smarcarsi con un “devo proseguire con le compere natalizie. Buone feste!” e si dileguò fuori dalla porta.

 

Imma fece l’occhiolino a Calogiuri e poi guardò la borsetta che le veniva proposta.

 

“Guardi, si tratta di una borsa tote, in pelle di vitello martellata blu scuro. Normalmente verrebbe cinquecentocinquanta euro, ma trattandosi di un fine serie ed essendo la signora De Santis una cliente affezionata, posso fargliela a quattrocento.”

 

“Un affare proprio!” commentò Imma, guardando Calogiuri, che stava usando il cellulare.

 

“Su alcuni siti la vedo a trecento euro, in offerta. Non può arrivare almeno a trecentocinquanta? Una piccola differenza è comprensibile, trattandosi di una realtà locale, ma cento euro sono un-”

 

“Un venticinque percento in meno, mica poco. Un trentatre percento in più, se consideriamo i prezzi sugli altri siti,” intervenne Imma, sapendo che Calogiuri sui conti traballava un poco e volendo contribuire a quel momento meraviglioso.

 

Non solo aveva asfaltato il tentativo di far passare quel prezzo come un grande affare, ma aveva pure sottolineato come quel negozio, che dalle signore Materane veniva considerato la mecca dello status symbol, fosse alla fine quello, una realtà locale, di cui nessuno fuori da Matera conosceva l’esistenza, pure se la proprietaria se la tirava manco fossero una casa di moda internazionale.

 

Se le occhiate avessero potuto uccidere, Calogiuri sarebbe già morto, ma almeno la signora non avrebbe più pensato che fosse un bello ma scemo. Peccato solo che non lo avrebbe sicuramente raccontato alle sue altre clienti.

 

“Credo che… si possa fare anche trecento, ma con la speranza magari che tornerà nel nostro negozio, dottoressa, abbiamo anche marchi... più nel suo stile.”

 

Sì, se al suo stile avessero aggiunto, minimo minimo, uno zero.

 

“Ne terrò conto quando sarò a Matera, ma sa, ormai qua ci vengo poco. Mi può incartare questa borsa per cominciare?”

 

La signora si arrese e si avviò verso la cassa, mentre Imma sperò che Diana non si aspettasse ogni anno un dono di quel valore.

 

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“E bravo, Calogiuri! Allora internet serve pure per risparmiare!”

 

“Normalmente non mi sarei azzardato, ma certi atteggiamenti mi danno fastidio veramente, lo sai.”

 

“Come ti capisco! Che dici se mo ci andiamo a fare un poco di spesa, prima che ci sia il delirio. Tanto la maggior parte delle cose che devo prendere per la vigilia un paio di giorni resistono.”

 

“Va bene. Però, in mezzo a tutte le cose materane, mi devi permettere di prepararti anche qualcosa di Grottaminarda.”

 

“Ah, se mi dai una mano in cucina lungi da me lamentarmi, Calogiuri, anzi, e-”

 

“Imma?”

 

Il suo nome, pronunciato a Matera, presagiva sempre o disgrazie o rotture di scatole infinite.

 

Ma quella voce… era infinitamente più complicato di così.

 

Si voltò e si trovò davanti a Chiara Latronico, con diversi sacchetti di carta tra le mani.

 

“Non ero sicura che tornassi a Matera per natale. Vedo che hai fatto acquisti pure tu.”

 

“Meno di te.”


“Eh, lo so, ma… sono gli ultimi che poi… sai, negli ultimi anni il natale l’ho sempre passato in una casa un po’ fuori Bari, in campagna ma vicino al mare. Luca, l’altro mio figlio, mi verrà a trovare qualche giorno e… meglio lì che qui pure per lui.”

 

Imma sospirò, perché non è che non li capisse, anzi. Ma ciò non toglieva che la situazione coi Latronico… fosse quella che era.

 

“Senti, Imma, ora che… che Andrea è stato scagionato, e tra l’altro ti devo ringraziare ancora tantissimo per-”

 

“Ho solo fatto il mestiere mio, come sempre.”

 

“Lo so, ma… mi piacerebbe parlare un po’ con te, ora che è tutto chiarito, almeno per quanto riguarda mio figlio.”

 

“Matera è piccola e la gente mormora, e lo sai. Se andassimo a parlare da qualche parte io e te, come minimo il giorno dopo lo saprebbe tutta la città. E c’è ancora il maxiprocesso in corso.”

 

“Col quale noi però non c’entriamo niente.”

 

“No, ma pure il procedimento per direttissima contro Spaziani e De Carolis non è ancora finito e sono il magistrato incaricato.”

 

“Lo so, ma… senti, Imma, se… se non mi vuoi parlare lo posso capire ma… perché non mi venite a trovare a Bari? La mia casa sta tra Cozze e San Vito, un posto bellissimo. Lì non ci vedrebbe nessuno e… e potremmo chiacchierare un po’, con calma. E poi, se è una bella giornata, c’è tanto da vedere nei paesi vicini, pure se non ti vuoi fermare molto da me. Ci penserai?”

 

Imma guardò Calogiuri, ma lui aveva quell’espressione da devi fare come ti senti!

 

“Ci penserò. Ma non ti prometto niente.”

 

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“Sei sicura di volerlo fare?”

 

Sembrava preoccupato, ma pure in parte felice. Che poi era esattamente quello che provava lei: apprensione mista ad eccitazione.

 

“Tanto ormai la Guarini lo avrà detto a tutta la città, quindi, meglio prendere il toro per le corna.”

 

Calogiuri annuì e voltarono l’angolo, percorrendo gli ultimi metri che li dividevano da un portone molto familiare.

 

“Dottoressa?”

 

Le guardie all’ingresso le fecero l’attenti e la guardarono sorpresi, e lei con un “comodi, comodi!”, augurò loro buone feste e, dopo che Calogiuri, in quello che era un antico rituale, le aprì la porta, varcò la soglia della Procura di Matera.

 

“Weeeeee maresciallo, ma che ci fai qua? Dottoressa, c’è pure lei?”

 

“Capozza…” sospirò, vedendo il brigadiere, abbigliato con una felpa ed una giacca di pelle improbabili, che stava vicino all’ingresso con un bicchierino di caffè in mano, “certo che lei in PG non ci sta mai, sempre in giro. Gli anni passano ma lei non cambia.”

 

“Manco lei cambia, dottoressa, che pure se non è più il capo mi riprende lo stesso!” scherzò lui, avvicinandosi di più a loro, “e comunque domani è la vigilia di natale, in questo periodo è tutto tranquillo, lo sa pure lei.”

 

“Insomma… non tutti i criminali si fanno le vacanze di natale, Capozza. Immagino lei non sarà di turno?”

 

“No,  no, per fortuna: largo ai giovani!”

 

Imma sospirò, scuotendo il capo, col pensiero che forse i giovani avrebbero fatto un lavoro migliore, ma poi Capozza aggiunse, in un sussurro, dopo essersi guardato in giro, “comunque la volevo ringraziare per… insomma per aver parlato con Diana. Non so come farei a vivere senza di lei.”

 

“Veda di meritarsela, Capozza! Che Diana se solo si guarda in giro, sa quanti ne trova! Quindi uomo avvisato…” lo minacciò, anche se, da un lato, l’attaccamento reciproco di quella coppia tanto improbabile la toccava molto.


Forse alla fine erano proprio le coppie improbabili a funzionare di più.

 

“Lo so, lo so.”

 

“Capozza, hai preso tu il fascicolo su- dottoressa?”

 

“Matarazzo…” sibilò, vedendo la giovane, completamente bloccata a pochi passi dalla PG dalla quale era appena uscita.

 

“Maresciallo...  c’è anche lei. Non ditemi che state qua per il maxiprocesso pure a natale…” ironizzò l’agente, in un modo che le diede sui nervi. Ma Matarazzo sui nervi le dava in generale, considerando che per colpa sua si erano dovuti trasferire entrambi.

 

Ma forse, col senno di poi, era stato meglio così e-

 

“No, siamo qua solamente per fare gli auguri di natale.”

 

La voce di Calogiuri la sorprese e si voltò verso di lui, vedendolo fiero esattamente come il tono che aveva usato, quasi ad osare sfidare Matarazzo a dire qualcosa.

 

“Quindi passerete le feste qua a Matera?”

 

“E lei, Matarazzo, le passerà in Sicilia?”

 

“No, dottoressa, a me tocca restare disponibile per le emergenze. Sa, sono giovane e non ho santi in paradiso,” rispose la giovane con un sorrisetto, che le fece venire voglia di mollarle un ceffone, anche se in estremo ritardo rispetto a quando avrebbe dovuto farlo, per l’insinuazione, “magari allora ci incroceremo ancora per Matera.”

 

“Dubito che frequenteremo gli stessi posti durante queste vacanze, Jessica.”

 

“Già,” aggiunse Imma, dando supporto a Calogiuri.

 

“E chi lo sa… lei i guai li attira come le mosche, dottoressa, e pure il maresciallo non scherza. Mo però devo andare, che se non chiudo i file per la D’Antonio prima delle feste una tragedia sarà. Capozza, il raccoglitore dove lo hai lasciato?”

 

“Dovrebbe essere nel primo cassetto. Vengo a vedere. Spero anche io che ci rivedremo ancora prima della fine delle vacanze. Maresciallo, fatti sentire!” si congedò Capozza, seguendo Matarazzo che continuava a guardarli in un modo che da un lato la innervosiva, ma dall’altro era un’enorme soddisfazione.

 

Non le era ancora andata giù del tutto di essere stata spreferita a lei, figuriamoci ora vederli arrivare belli belli, tranquilli tranquilli, a fare gli auguri di natale, senza niente da nascondere.

 

“Mi spiace, Imma, io-”

 

“A me per niente, Calogiuri,” rispose lei, facendogli l’occhiolino, “alla fine tutti i casini che ha fatto non sono serviti a niente, anzi, e lo sa pure lei.”

 

Calogiuri le sorrise in un modo bellissimo e stava per proporgli di salire le scale e cercare Vitali - dal quale non poteva non passare - e Diana, quando un “Imma!” carico di sorpresa la bloccò.

 

“Maria…” sospirò, guardando la bionda che, ancora più elegante del solito, si esibiva in uno di quei sorrisetti da schiaffi.

 

“Imma! E c’è pure Calogiuri! Ma che cosa ci fate qua? Non dirmi che vuoi farci lavorare pure oggi, perché qua domani chiude tutto quello che non è necessario, lo sai.”

 

Si rese conto che, al di là del sarcasmo della Moliterni e di Matarazzo, nessuno si aspettava realmente che lei potesse andare in procura soltanto per fare un saluto e gli auguri.

 

“Tranquilla, Maria, non turberò il tuo immeritato riposo dopo tutto l’estenuante lavoro che avrai dovuto fare in questi mesi; poi dopo che io me ne sono andata, figuriamoci! Siamo venuti a fare gli auguri di natale.”

 

“Imma, ma non è che hai preso l’influenza? Dicono che quest’anno sia particolarmente brutta e possa causare pure deliri per la febbre.”

 

“Purtroppo per te sto benissimo, Maria, ma se i nostri auguri non li vuoi-”

 

“No, no, è che… mi sorprende, Imma, sia per la gentilezza, che non è da te, sia per il coraggio. Calogiuri ha fatto proprio un miracolo!”

 

Calogiuri si schernì un poco mentre lei alzò gli occhi al cielo.

 

“Va beh, allora auguri, Imma. A sapere che venivi magari ti facevo un regalino, che ho saputo che sei diventata molto generosa!”

 

La Guarini in un solo giorno aveva  già suonato la tromba e pure le grancasse.

 

“Non avrai detto a-”

 

“Tranquilla, Imma, non rovinerei mai la sorpresa a qualcuno. Anche se… una sorpresa così, dopo tutti questi anni… la povera Diana rischia l’infarto. A proposito, se sopravvivete, perché non venite da noi all’ultimo dell’anno? L’ultima volta al golf alla fine ci siamo divertiti, no? E poi… e poi finalmente potrai evitare di imbucarti da qualche parte col cellulare alla mezzanotte!”

 

Imma si sentì avvampare, mentre Calogiuri la guardava, confuso.


“Ah, non lo sai, Calogiuri? Due capodanni fa la dottoressa era da me quando ti ha telefonato per farti gli auguri. Che l’ho dovuta salvare in corner prima che il povero Pietro se ne accorgesse. Ah, bei tempi! Ma ora dovrebbe essere pure più divertente!”

 

Calogiuri nel giro di tre secondi era passato dal pallore al colore peperone crusco, Imma si schiarì la gola e rispose, “non lo so, Maria, poi tuo marito non so se apprezzerebbe.”


“E chissenefrega! Di andare al ristorante non se ne parla e l’alternativa è passare il capodanno da soli.”

 

“Ma come? La moglie del prefetto non ha già una sfilza di invitati per un’occasione del genere?”

 

“Tutti noiosi o che vogliono favori, Imma. Tu almeno su quello, non te ne è mai importato niente. Diana già mi ha dato più problemi ma… dopo come è andato a finire il favore che mi ha chiesto l’ultima volta, mi sa che non ne chiederà un altro per un bel po’.”

 

In effetti….

 

“Ci… ci penseremo, Maria. Ti facciamo sapere…” svicolò Imma, con un, “ora, se non ti dispiace, vorrei andare a salutare Vitali, prima che gli dicano che sto qua in procura e si offenda.”

 

“Troppo tardi, dottoressa, troppo tardi! Ho riconosciuto la sua voce sobria ed il suo passo felpato.”

 

Vitali era in cima alla scala, che pareva una diva di altri tempi pronta a fare il suo ingresso trionfale e, sotto ai suoi inconfondibili baffetti, aveva un sorriso che le faceva intuire che aveva sentito tutto o quasi.

 

“Venite con me nel mio ufficio, ci faccio portare un caffè dal bar? Poi ho delle pastarelle che avevo giusto giusto portato per fare gli auguri in procura, tanto ce ne stanno sempre di più, con tutta questa mania delle diete. E non mi dica che i dolci napoletani le sono indigesti, che quelli avellinesi invece mi sa che li apprezza e non è che ci sta tutta sta differenza.”

 

“E invece ci sta una bella differenza, dottore,” ironizzò, come era ormai solito fare tra loro, “ma vada per le pastarelle.”

 

Arrivarono in silenzio all’ufficio di Vitali, attirando alcune occhiate sorprese, anche dalla sua segretaria, e poi si accomodarono di fronte alla scrivania.

 

Si guardò in giro mentre Vitali ordinava i caffè e ritrovò i suoi oggetti scaramantici e la famosa statua di Pulcinella. In fondo, un poco poco le era mancato.

 

“Allora, dottoressa, a che devo questa visita? Non mi dica che è venuta qua soltanto per gli auguri di natale.”

 

“Se vuole non glielo dico, dottore, ma è proprio così,” ribadì e Vitali sembrò stranamente deluso.


“Sa, speravo che magari ci fossero buone nuove su un suo possibile trasferimento… ma in effetti con l’appello del maxiprocesso ancora in corso….”

 

“Non è solo per quello, ma anche perché Calogiuri ancora almeno per un anno non si può muovere, lo sa.”

 

“Eh… lo so, lo so….”

 

“E poi… non so che opportunità ci sarebbero qua, anche per lui. Sa, a Roma ci sono molte più opportunità di carriera e se le merita.”

 

“Lo sai che non mi dispiacerebbe per niente tornare qua,” si inserì Calogiuri, con un sorriso.

 

“Per carità, sono tutte considerazioni molto giuste da fare. Ma pensateci bene perché… io non so per quanti anni ancora sarò qui e poi… potrebbe essere più complicato il rientro. E per quanto riguarda lei, maresciallo, girano voci che si prepari un concorso interno all’arma per diventare ufficiali. Per ora sono solo voci ma… fossi in lei comincerei a stare in campana.”

 

“Ci… ci penserò, grazie!” rispose Calogiuri, lanciandole un’occhiata e lei ricambiò con una che era un se c’è quel concorso lo devi fare assolutamente! non verbale.

 

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“Avanti.”

 

“Si può?”

 

“Imma!!!”

 

Fece appena in tempo a sentire il solito tono di Diana quando era contenta e si trovò stretta in un abbraccio a morsa, prima che potesse rendersene conto.

 

“Imma!!! Ma che sorpresa! Mica pensavo che venivi qua in procura, anche se speravo che ci saremmo viste nei prossimi giorni, che se no ti toglievo il saluto!”


“Addirittura! E poi a chi li spaccavi i timpani?”

 

“Imma!” esclamò, stavolta fintamente arrabbiata - appunto! - e poi guardò alle sue spalle e sorrise, “Ippazio, ma ci sei anche tu! Bravi! Che chissà quanti ne avete fatti schiattare se vi hanno visti!”

 

“Ci hanno visti, ci hanno visti. Ci manca solo la D’Antonio, in effetti, tra i simpaticoni.”

 

“E non la vedrai, perché la signora è da venerdì scorso che sta in ferie.”

 

“Pure io, Diana, in realtà….” ammise, un poco imbarazzata.

 

“Qualcuno qua ha fatto proprio un miracolo!” esclamò Diana, con una risata, facendo l’occhiolino a Calogiuri, “e comunque, Imma, tu fai bene, che terresti tipo vent’anni di ferie arretrate da recuperare.”

 

“Sì, ma non funziona così. E comunque… a proposito di miracoli… non ti ci abituare, ma… un ringraziamento per tutto quello che hai fatto in questi anni. Mi raccomando!” le intimò, aprendo la shopper enorme leopardata che si era portata dietro apposta ed estraendone la scatola impacchettata dal negozio.

 

Diana rimase a bocca aperta, senza nemmeno prendere il pacco.


Per un attimo temette che si fosse sentita male.

 

“Ma… ma è per me?”

 

“No, è per la D’Antonio! Ma certo che è per te! Dai, prendilo, se no sono ancora in tempo ad andare a restituirlo!”

 

Diana, come in trance, afferrò la scatola e poi spalancò gli occhi.


“Ma… ma questo negozio?! Non avevi detto che era un negozio per cretine che pensano di essere eleganti solo perché pagano un vestito più di una rata di un mutuo?”

 

Imma sospirò. In effetti suonava come una frase da lei. Vide che Calogiuri si stava mordendo il labbro per non ridere.

 

“E infatti ti ho detto di non abituartici. Ma so che a te sta roba piace, quindi….”

 

Gli occhi di Diana si fecero lucidi, e poi, con mano un poco tremante, poggiò il pacco sulla scrivania e lo aprì.

 

Quando ne estrasse un sacchetto e poi la borsa che c’era contenuta, fece un suono che pareva uno squittio e poi Imma per poco non si trovò lunga sul pavimento, visto che la abbracciò di nuovo con una foga da stritolamento.


“Imma! Grazie, Imma, grazie!” continuava a ripetere Diana ed Imma sentiva che stava piangendo.

 

Le venne da commuoversi pure a lei, mannaggia a Diana!

 

“E va beh, su Diana, diciamo che sono vent’anni di regali arretrati.”

 

“Venti?! Dì pure trenta, come minimo!” rispose Diana, staccandosi da lei con un sorriso ancora un poco umido.

 

“E va beh! Dobbiamo proprio sempre ricordare quanto siamo vecchie?”

 

“Vecchia sarai te! Che poi vecchia e vecchia, ma intanto guarda chi hai accalappiato!” esclamò Diana, rivolgendosi a Calogiuri, “Ippazio, ti devo ringraziare, veramente. Sono sicura che c’è anche il tuo zampino.”

 

“Veramente il regalo l’ha fatto Imma, non ho contributo, insomma, economicamente,” precisò lui, in quel modo che aveva di schernirsi quando qualcuno gli attribuiva meriti che non sentiva come suoi.

 

“Magari economicamente no, ma psicologicamente tantissimo, considerato che è il primo regalo vero che vedo in trent’anni di conoscenza! Non è che magari daresti qualche consiglio pure a Capozza? Che lui ci si impegna ed è pure generoso ma… sui regali abbiamo un po’ i gusti diversi.”

 

“Completi intimi? Una giacca di pelle ed una maglietta di qualche band metal o un completo per sembrare usciti dall’Oktober Fest?” ironizzò Imma e Diana sospirò.

 

“Eh… più o meno….”

 

Imma si scambiò uno sguardo ed un sorriso con Calogiuri: certo che era stata proprio tanto, ma tanto fortunata.

 

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“Si può? Sappiamo che non abbiamo prenotato ma….”


“Imma! Ippazio!”

 

Imma si trovò stretta in un altro abbraccio - anche se meno travolgente di quelli di Diana, più timido - e poi la ragazza diede una pacca sulla spalla e due baci sulle guance a Calogiuri.

 

Ma lei poteva fare quello che voleva, non le dava fastidio.

 

“Che bella sorpresa! Siete tornati per le vacanze?”

 

“Eh sì… natale in famiglia, nel bene e nel male.”

 

“Immagino… poi le famiglie del Sud… non tornare per natale è un disonore!””

 

Calogiuri cambiò espressione ed Imma si chiese se stesse pensando alla sua di famiglia e di mammà, dalla quale stavolta non sarebbe tornato. L’affronto massimo, ma era stata lei a scegliere di tagliare i ponti.

 

“Allora, che pensate di fare? Ormai non ho più clienti oggi, potremmo farci una cavalcata insieme, ma dovete smetterla di venire d’inverno che non si può andare nel bosco.”

 

“Eh, lo so… ma quest’estate siamo andati altrove. E lo faremo pure quella prossima. Però ti abbiamo preso una cosa.”

 

Calogiuri andò verso il bagagliaio e tornò con un sacco regalo.

 

“Ma non dovevate, grazie!” esclamò Sabrina, aprendo il sacco ed estraendone delle strisce di cuoio e tessuto coloratissime.


“Sono le decorazioni tipiche dei cavalli a Minorca, per le feste tradizionali. Per ringraziarti che senza di te… non avremmo passato una vacanza così bella, nonostante il finale.”

 

“Grazie! Sono bellissime! Sono sicura che le cavalle si ingelosiranno molto su chi può indossarle,” scherzò Sabrina, prima di aggiungere, “io per voi purtroppo non ho niente ma… che ne dite di andare a cavalcare e fare un bel ripasso? Gratis, ovviamente. Tanto ho appena finito con l’ultimo cliente prima di natale.”

 

“Non serve, non-” provò a intervenire Calogiuri, ma Sabrina lo bloccò.

 

“Ma lo voglio fare. E poi così avete un incentivo a tornare a Matera a fare un’altra lezione, stavolta per il bosco, che ne so… a pasqua.”


“Va bene,” sospirò Imma, non riuscendo però a non sorridere: Sabrina le era mancata un sacco ed era uno dei motivi per cui le dispiaceva non abitare più a Matera.

 

“Sabrina, allora io vado. Buon natale!”

 

A salutarla era stato un ragazzo, che poteva avere più o meno l’età di Valentina. Bruno, belloccio, l’aria da ricco per com’era vestito, ma con un sorriso gentile che, a differenza di altri ragazzi di buona famiglia che aveva visto a Matera, pareva più sincero.

 

E pure questo doveva già averlo visto, perché le pareva familiare, ma non ricordava quando e dove. Di sicuro non di recente.

 

“Grazie Carlo, pure a te!” lo salutò Sabrina, ricambiando il sorriso ed il ragazzo, dopo essersi un attimo bloccato, lanciando verso lei e Calogiuri uno sguardo strano, si avviò verso la sua macchina. Una bella auto dalla linea sportiva.

 

Probabilmente lui invece sapeva chi fossero lei e Calogiuri. A Matera era difficile aspettarsi altro, del resto, soprattutto dopo che erano finiti ripetutamente sui giornali, non solo locali ma pure nazionali, pure se prevalentemente di giornaletti si trattava.

 

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“Allora, le strazzat’ le ha fatte Valentina, le frittelle di peperoni cruschi stanno pronte, ancora belle calde. La pasta-”

 

“Il sugo alle vongole è quasi pronto, poi la buttiamo all’ultimo.”

 

“Bene. Le scarole, com’è che si chiamano?”

 

“‘Mbuttunate.”

 

“Ecco, a che punto stanno?”

 

“Ancora due minuti a rosolare e poi possono riposare fino a che è ora di mangiarle, che è meglio.”

 

“Il baccalà fritto è pronto da ripassare al forno. Altro?”


“I dolci sono pronti da mo, sempre se avremo ancora fame, dopo tutto questo ben di dio!” rise Calogiuri e lei gli diede una gomitata.

 

“Guarda che le donne di casa Tataranni sulla fame non hanno mai scherzato, che ti credi? E mo ce n’è pure una in più.”

 

Come se l’avessero chiamata, dai loro piedi giunse un miagolio lamentoso ed un poco stizzito.

 

Imma abbassò lo sguardo e vide Ottavia che, per la millesima volta quel giorno, faceva lo sguardo da Gatto di Shrek, cercando di ottenere qualcosa. Già si era messa come un avvoltoio in zona piedi, di vedetta, in caso cascasse loro qualcosa.

 

“Ottà, il fritto ti fa male. Per te però c’abbiamo un poco di baccalà normale, va bene?”

 

La gatta miagolò pigramente e con uno sguardo che le ricordava i suoi “sarà meglio!” e poi Imma si rivolse a Calogiuri e aggiunse, “dobbiamo sfamare la belva e poi chiamiamo Valentì che è pronto e-”

 

“E non serve, che sto già qui!”

 

Imma si voltò e trovarono Valentina sul divano, che li guardava, divertiti, “facevate un casino tale, che pareva di stare ad un’esercitazione militare, più che alla cena della vigilia, e allora-”

 

“Perché? Tu l’avresti mai fatta un’esercitazione militare, signorina?”

 

“No, dottoressa, ma ho idea che chi dà i comandi per le missioni abbia il tuo tono quando ripassi i piatti. No, Calogiuri? Tu che l’addestramento l’hai fatto.”

 

“Posso avvalermi della facoltà di non rispondere?” scherzò lui, prima di proclamare, “allora dò da mangiare alla micia e poi è il nostro turno.”

 

“Bene. Anche perché mi è parso di sentire che ci sono dei piatti nuovi. Tipo la scarola.”

 

“Sì, sono ricette avellinesi, che ha preparato Calogiù. Par condicio. In realtà pure gli spaghetti li ha fatti con la ricetta sua di famiglia.”

 

“Allora preghiamo di non avvelenarci. Che già mamma, rispetto a papà, è più a rischio!” ironizzò la ragazza, prendendo posto a tavola.


“Dai, Valentì, che i piatti di papà tuo e nonna tua domani li potrai mangiare,” rispose Imma, fulminandola con uno sguardo, perché non voleva che facesse sentire Calogiuri in competizione.

 

“Va beh… e comunque, Calogiuri, già è un miracolo che ti abbia fatto entrare in cucina: di solito con papà facevano a turni, più che altro quando cucinava lei, che non vuole mai nessuno tra i piedi,” abbozzò Valentina, parendo aver colto il messaggio non verbale.

 

“Eh, ma con Calogiuri siamo abituati a lavorare insieme.”

 

“Sei abituata a fare il generale di ferro, vorrai dire.”

 

“Non sempre, Valentì, non sempre. Che sulle sue di ricette, Calogiuri mi ha fatto ‘na capa tanta!”

 

“E allora meno male che a me non è toccato cucinare, se non un dolce.”

 

Dopo aver lasciato un’Ottavia felice a divorare il suo baccalà sfilacciato, si sedettero a tavola, per iniziare con i fritti - pettole con vari ripieni, i lampascioni ed i peperoni cruschi pastellati e rifritti - Imma provò un qualcosa allo stomaco. E non era solo il languorino per il profumo illegale che mandava tutto quel ben di dio.

 

No, era che… ritrovarsi così, ad un tavolo, tutti e tre insieme, a celebrare il natale… era qualcosa che pareva impensabile fino a solo pochi mesi prima.

 

Calogiuri versò il vino bianco frizzante che avevano scelto per gli antipasti ed Imma si sorprese da sola proponendo un brindisi.

“Brindiamo? Al natale e che sia solo il primo di molti natali insieme!” sorrise, sollevando il bicchiere.

 

Risposero subito sia Calogiuri, che pareva toccato dalle circostanze quanto lei, sia Valentina, che invece, pur aderendo al brindisi, precisò con un, “anche perché vorrà dire che non siamo morti intossicati!”

 

Ma, del resto, era figlia sua, e l’essere dissacranti era parte della loro natura.

 

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“Ancora un poco di struffoli? Che freschi sono più buoni. La pastiera invece se riposa è pure meglio.”

 

“Calogiù, ti ringrazio, ma non mi sta uno spillo in più!”

 

“Manco a me! Voi siete matti! Dopo tutte quelle cose salate, pure gli struffoli, le strazzat’ e perfino la pastiera!”

 

“E va beh, Valentì… è tradizione!”

 

“Anche se devo dire che, almeno sui dolci, mi spiace per le nonne ma i dolci campani vincono.”

 

Tu quoque?! Se ti sentisse Vitali non vivrei più!” esclamò Imma, volutamente drammatica, prima di dover ammettere, “però in effetti, almeno sui dolci, la tradizione campana è imbattibile. Ma sul salato ci siamo difese, dai.”

 

“Sì, anche se devo dire che la pasta con le vongole bianca mi piace molto di più. E pure la verdura non era niente male. Te li sei scelta tutti bravi a cucinare, mà. Ma non cuochi di professione. Mica scema!”

 

Imma rise, anche se si sentì un poco in imbarazzo.

 

Ma forse, la spontaneità di Valentina, il suo saper parlare anche di Pietro, senza imbarazzo, rendeva l’argomento meno un tabù anche per lei e Calogiuri.


E poi… e poi comunque, per fortuna, aveva più che elogiato la cucina di lui e, almeno su quella, non aveva fatto un confronto con quella paterna, al massimo con la materna.

 

“Per i regali ci tocca aspettare la mezzanotte? Che ormai manca un quarto d’ora.”

 

“Direi che ci prendiamo il vin santo, pure senza le strazzat’, che tanto lo stomaco è sufficientemente pieno, e ci mettiamo sul divano per fare l’apertura ufficiale.”

 

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“Questo è per te, Valentì!”

 

“Una busta?” domandò, allungando la mano verso la madre.

 

“Sì….”

 

Percepiva che Imma fosse un po’ in apprensione, per come avrebbe reagito la figlia.

 

Valentina aprì la busta e ci trovò il bigliettino che Imma aveva scritto e che non aveva fatto vedere manco a lui. Ma lo sguardo gli parve sempre più commosso, fino a vedere il regalo vero e proprio.

 

“Un buono per una vacanza dove mi pare in Europa?”

 

“Sì, per questa estate. Ovviamente c’è un budget massimo e… con criterio, Valentì, come ti  ho scritto.”


“E senza la scorta stavolta?” scherzò, ma dietro il sarcasmo si percepiva che ne fosse rimasta colpita.

 

“No, anche perché… io e Calogiuri in quel periodo staremo in Giappone,” spiegò Imma, dopo aver preso un forte respiro ed avergli lanciato un’occhiata per avere supporto, “è un anno che Calogiuri risparmia per questo e-”

 

“E ho capito allora perché mi mandi da un’altra parte, mà! Se no i risparmi non bastano!” rise Valentina, ma poi diventò più seria e aggiunse, “grazie mille per il regalo e per la fiducia e… mi auguro che, almeno in Giappone, i giornalisti vi lasceranno stare!”

 

“Eh, speriamo, Valentì, speriamo!” esclamò Imma, stringendo la figlia in un abbraccio.


“A- anche io ho qualcosa per te, Valentina,” disse, un poco timidamente, porgendole un pacchettino.

 

Valentina parve sorpresa ma poi lo prese e lo aprì.

 

“Un… un braccialetto?” gli domandò, ancora più stupita.

 

“Mi hanno detto che… piacciono molto alle ragazze giovani e-”

 

“E tu a fare i regali alle ragazze giovani non sei abituato,” scherzò Valentina e lui si sentì avvampare, mentre Imma la rimproverò con un “Valentì!”, dandole un paio di pizzicotti, che Valentina ricambiò.

 

Poi però prese in mano il braccialetto ed analizzò i pendenti o charms, come li avevano chiamati quelli del negozio.


“Allora… ma questo è… è Stitch?”

 

“So da tua mamma che i film Disney ti piacevano tanto.”

 

“E qui c’è… un albero di natale… e poi un… family?” gli chiese, trafiggendolo con quegli occhi tanto simili a quelli di Imma per intensità, pure se anche tanto diversi.

 

“Sì… allargata nel mio caso, ma… insomma è il primo natale che….”

 

“E poi… un cuore con su scritto thank you?”

 

“Per… per avermi dato più di una possibilità di… di fare parte anche della tua vita, oltre che di quella di tua mamma.”

 

Per un attimo Valentina si zittì e temette di avere detto qualcosa che non andava, ma poi si trovò con due paia di occhi scurissimi e lucidi che lo fissavano e, subito dopo, stretto in un abbraccio collettivo.

 

“A- aspetta, che non ho ancora finito,” disse Valentina, quando si staccarono, “ma quanto hai speso?”

 

“Ma che, mi fai pure tu i conti in tasca come tua madre, mo?”

 

“No, ma è che… non me l’aspettavo…” ammise lei, prima di guardare gli ultimi charms, “ma questi sono… i Doni della Morte di Harry Potter?”

 

“So che ti piaceva pure quello.”

 

“E poi… il mappamondo? Ma tu e mamma vi siete messi d’accordo?”

 

“Sapeva del mio regalo ma… non ha letto il biglietto e io non avevo idea che ti avrebbe regalato qualcosa,” rispose Imma, la voce rochissima.

 

“Ed infine… due cuori con su scritto mother e daughter? Ma che fai, l’intercessione per interposta persona?”

 

“No, no... “ sussurrò, imbarazzato, grattandosi un poco la nuca, “è che… poi ho pure questo….”

 

Passò un pacchettino uguale anche ad Imma, che lo aprì e ne estrasse un altro bracciale.


“Ma non era soltanto per le giovani?” lo punzecchiò, facendogli l’occhiolino.


“Non ho detto questo e poi tu sei giovane, che non riesco neanche a starti dietro, e lo sai.”

 

“Sì, va beh… sei più ruffiano di Ottavia! Che menomale che dopo la cena ronfa, se no con tutti questi cosi ci va a nozze. Allora… c’ho pure io Stitch, giusto? Poi u… una micia? L’albero di natale e… family e poi….”

 

Le si ruppe la voce e Calogiuri sorrise, incredibilmente felice che la sorpresa l’avesse emozionata così tanto.

 

“E poi la casa di Up,” finì per lei, facendole l’occhiolino.

 

Mother e daughter pure per me… certo che co tutto sto inglese, pare di stare a Milano mo!”


“Così ce li avete simili, pure se un po’ diversi. E poi potete aggiungere quelli che preferite.”

 

“E questo rosa cos’è?”

 

“Sono tanti infiniti intrecciati.”

 

“Calogiù, tu sei matto ma-”

 

“Aspetta!” la bloccò, mettendole un dito sulle labbra prima che dicesse altro o si avvicinasse troppo, “quello è… l’antipasto. Per collegarci a questo.”

 

E dalla tasca interna della giacca prese un altro cofanetto, più grande,

 

“Calogiuri, ma….”

 

“Aprilo almeno, prima di protestare, dottoressa!”

 

Imma, con mano un poco tremante, aprì il cofanetto, dove c’era una catenina in oro bianco con su un ciondolo, “ma… ma questo è….”

 

“Il simbolo dell’infinito con un cuore in mezzo. Lo so che forse… è un po’ sdolcinato, o da ragazzini, ma-”

 

Non riuscì a finire di parlare perché Imma gli piantò un bacio sulle labbra, anche se breve, visto che c’era pure Valentina.

 

“Ma… ma questo è… è oro vero? E questi sono diamanti?” gli chiese poi, guardandolo in quel modo che non gli faceva capire se volesse abbracciarlo o fargli un cazziatone.

 

“Sì, il braccialetto no ma… ma questo sì, oro bianco per l’infinito e oro rosa per il cuore. I diamanti sono piccolini: non posso permettermi quelli più… importanti ma….”

 

“Ma sei matto già così! Troppo hai speso!”

 

“No, era il minimo e… e poi volevo regalarti qualcosa che rimanesse nel tempo.”

 

“Ma… ma ci hai inciso pure le iniziali? I. e… e C.?”

 

“Non mi hai mai chiamato Ippazio, mica dovremo cominciare su un’incisione, no, dottoressa?”

 

Si trovò travolto da un altro bacio, stavolta più lungo, anche se sempre delicato, le loro labbra che si accarezzavano teneramente, finché un “i limoni dovevi metterci sul bracciale per mà!” li fece staccare, imbarazzati.

 

“Se pensi che questi siano limoni, ti consiglio vivamente di scegliere meglio al prossimo fidanzato, Valentì!”

 

Valentina, per tutta risposta, divenne colore dei peperoni cruschi che si erano spazzolati quella sera, facendo invidia perfino a lui.

 

“E mo, il mio regalo per te, Calogiuri. O meglio… una prima parte del tuo regalo.”

 

Si trovò di fronte anche lui ad una piccola scatolina, impacchettata però con cura. La aprì e ci trovò delle chiavi ma….

 

“Ma queste sono chiavi di una… di una moto?” le domandò ed Imma sorrise, passandogli una busta.

 

La aprì e ci trovò una foto di una moto meravigliosa, vera, di quelle da turismo, di un blu metallizzato scuro che gli ricordava il mare di sera.

 

“Ma…” il cuore gli andava a mille, mentre gli sembrava di non saper formare le parole.

 

“Sta a Roma, in buone mani. La andremo a ritirare quando rientriamo. Naturalmente la moto è usata ma… mi sono fatta dare una mano da qualcuno che se ne intende più di me e mi ha garantito che è in un ottimo stato e che non ha fatto tanti chilometri.”

 

A quel qualcuno che se ne intende più di me, gli venne spontanea una fitta di gelosia, per quanto fosse da deficiente,.

 

“Ma chi...?”

 

“Che sei geloso, maresciallo?”

 

“Sempre!”

 

“Comunque si tratta di Mariani. La tua amica se ne intende e pure parecchio.”

 

“Dovrò ringraziarla e… e non so cosa dire per ringraziare te… e poi ti lamentavi di quanto ho speso per una collanina e un ciondolo?!”

 

“E che c’entra, tu stai ancora risparmiando per il Giappone e… e poi con questa potremo viaggiare di più qui in Italia, anche nei fine settimana.”

 

Se la strinse più forte che poteva, commosso, rubandole un ultimo bacio, alla faccia dei limoni!

 

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“Mangia, creatura, mangia! Che chissà ieri sera che l’è toccato a sta povera ragazza!”

 

“Veramente ho mangiato bene, fin troppo. Oggi non posso fare tutti i bis nonna, se no scoppio!”

 

“Quindi tua madre ha cucinato, per una volta?”

 

“Veramente Imma cucinava pure prima, mà, dai, che facevate la lotta su chi preparava più piatti,” intervenne a sorpresa suo padre, guardandola come per darle supporto.

 

Cinzia, invece, appollaiata al fianco di lui, fece un’espressione che le parve infastidita.

 

“Ma quella roba che produceva non poteva essere definito cucinare, figlio mio! Che avrebbe preparato ieri, Valentì? Che quella col pesce non c’ha mai preso!”

 

“Forse non ci avrà mai preso, ma almeno non ha mai mandato papà all’ospedale per intossicazione alimentare,” non riuscì a trattenersi dal dire, e Cinzia prese a tossire che per poco non si strozzava con gli spaghetti con salsiccia e cime di rapa.

 

Si scambiò uno sguardo con suo padre, che diede alcuni colpetti sulla schiena a Cinzia ma, se da un lato pareva volerla rimproverare, dall’altro Valentina vedeva benissimo che non era arrabbiato con lei, anzi.

 

In alcune cose restava il papà che tanto amava, pure se ultimamente era davvero difficile stargli vicino.

 

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“Qua c’abbiamo da mangiare per un reggimento, Calogiù!”

 

Erano sul divano a gustarsi gli avanzi ed un film, mentre Ottavia, tra loro, puntava alternativamente al cibo ed al suo braccialetto, “mi sa che il tuo dono ha avuto troppo successo, Calogiuri!”

 

La verità era che, se ci ripensava, ancora si commuoveva. Non solo per quello che aveva regalato a lei, ma pure a Valentina, studiando ogni cosa nei minimi dettagli. E la cosa bella era che sapeva che non era una cosa fatta per compiacere lei, o per obbligo, ma perché Calogiuri una specie di famiglia con lei e Valentina la voleva davvero e ci teneva a sua figlia, anche se, per l’età che avevano, di sicuro non sarebbe mai stata una figura paterna per lei. Ma, forse, il loro rapporto funzionava proprio per quello. Ed Imma non avrebbe potuto sentirsi più schifosamente felice e fortunata di così.

 

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“Pronto?”

 

“Amore! Come stai?”

 

“Hai una domanda di riserva?” chiese con un sospiro, tenendo il cellulare con una mano intirizzita, mentre l’aria fredda le schiariva i pensieri.

 

“Così tremendo il natale con i tuoi?”

 

“Più che con i miei il problema è nonna… pensa che ha lanciato talmente tante frecciate su mamma che perfino papà l’ha difesa.”

 

“Beh, allora magari le frecciatine in un certo senso possono pure servire, no?”

 

“Preferirei senza, lo sai. Tu, com’è andato il natale con tua madre? Domani sei libera?”

 

“Bene e sì, domani sono tutta tua, anche se… potremo fare poco qua a Matera, lo sai.”


“Perché? Di solito non sei tutta mia?”

 

“Scema! Sei più gelosa di tua madre con quel poveraccio del maresciallo!”

 

“No, guarda, tu non hai visto niente della gelosia di mia madre. E comunque magari potremmo farci un giro in qualche posto più tranquillo di Matera, dove ci va poca gente.”

 

“Ti mancano i miei baci, eh?”

 

Rise: adorava quando Penelope la provocava così.

 

“Mia madre mi ha detto che devo fare pratica sui limoni… una storia lunga… quindi, preparati!”

 

“Non so se voglio sapere come siete entrate in argomento, ma mi offro molto volentieri! Anche se te la cavi già più che bene!”


“Più che bene soltanto?!” esclamò, fintamente offesa, fermandosi sotto casa per rubare gli ultimi attimi al telefono.

 

“Preparati che domani ti dò il voto, De Ruggeri!”

 

“E pure io a te!”

 

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“Allora, come sta Penelope?”

 

Sua figlia fece un’espressione strana. Era rossa in faccia, rossissima: chissà quanto freddo si erano prese in giro per Matera!

 

“Bene, mà. Ma… per Capodanno vorremmo andare da lei a Milano: partiamo dopodomani.”

 

Imma ci rimase un poco male: non sarebbero state quasi mai insieme.

 

“Ma… ma Penelope sta così poco con sua madre?” chiese, per dissimulare e lanciare, almeno all’inizio, un messaggio più implicito.

 

“La madre di Penelope domani parte per le Canarie con il suo nuovo compagno e quindi Penelope sarebbe a casa da sola. Per tanto così… almeno a Milano c’è più vita.”

 

E brava la madre di Penelope!

 

Pure a lei un po’ di sole e mare non sarebbe dispiaciuto affatto.

 

“Ma tu qua c’hai non solo me, ma pure tuo padre che ti vede sempre poco. Perché… perché… non inviti Penelope a stare qua con noi? Almeno fino al primo dell’anno, poi andate dove vi pare. Tanto in camera tua c’è il letto matrimoniale e dove stiamo in tre stiamo pure in quattro.”

 

“Penelope qua?” ripetè Valentina, sembrando ancora più rossa.


“Sì. Così Penelope passa almeno qualche giorno di festa in famiglia e tu puoi vedere un po’ tuo padre, prima che mi faccia una capa tanta che stai sempre troppo poco a Matera.”

 

Valentina rimase un attimo a bocca aperta.


“Guarda che ti entrano le mosche!” ribattè, come avrebbe fatto la sua di madre un po’ di anni prima.

 

“Va… va bene… sento Penelope che ne pensa, ma non ti prometto niente,” le rispose infine, sembrando stranamente esitante e pure in imbarazzo.

 

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“Buongiorno, dottoressa. E grazie per l’invito!”

 

Imma ne fu stranita: Penelope, oltre a sembrare improvvisamente la sorella perduta della cara Irene come cortesia, pareva pure in imbarazzo.

 

Proprio lei che era sempre stata così easy, come diceva Valentina.

 

“Ma che dottoressa e dottoressa! E figurati! Poi sulle vacanze insieme ormai un poco di esperienza ce l’abbiamo, no? Anche se per qualche giorno dovrai sopportarci più da vicino, a me, a Calogiuri e pure a Valentina, che mica è una passeggiata!”

 

“No, infatti!” ribattè, pronta, Penelope, sembrando rilassarsi.

 

“Ci manca che vi coalizzate e poi me ne torno a Roma!” si inserì Valentina, anche se non sembrava realmente dispiaciuta.

 

“Ciao Penelope! Mi fa piacere rivederti!”

 

“Sei sicuro? Ogni volta che ci vediamo dopo poco succede un casino coi giornalisti.”

 

“Perché? Vi siete visti dopo Maiorca?” domandò a Calogiuri, stupita.


“Sì, le ho incrociate prima di partire per Milano,” ammise, un poco a disagio, probabilmente temendo la sua reazione.

 

“E va beh! Peggio per i giornalisti, allora, visto che qua il massimo dell’azione sarà la cena di capodanno dalla Moliterni. Sai te che scoop!"

 

“A proposito, Vale, per capodanno sono riuscita a prenotare in discoteca. Il nuovo compagno di mia madre è uno che conosce tutti qua a Matera, quindi….”

 

“Però il primo dell’anno vi voglio tutte e due qua a pranzo. Cucina tipica Materana.”

 

“Va bene, volentieri,” assentì subito Penelope con un sorriso e vide chiaramente che Valentina le lanciava uno sguardo sorpreso, “che non sono mai riuscita ad assaggiare i piatti dei tutorial di Vale e… mia madre non è una gran cuoca.”

 

“Bene. Allora, Valentina ti può mostrare la vostra stanza. Per i pasti ci possiamo mettere d’accordo. Se volete stare fuori qualche volta a pranzo o cena basta che mi avvisate per tempo, va bene?”

 

“Signorsì, generale!” esclamò Valentina, mettendosi sull'attenti, ma decise di sorvolare.


“I mobili purtroppo non sono un granché. Erano quelli di mia madre e non ho ancora avuto occasione di cambiarli. Però la vostra stanza è stata rifatta di recente.”

 

“Ma si figuri! Anzi, sa più di famiglia così, e poi… e poi mi ricordo con piacere sua madre, quelle poche volte che sono venuta a trovarla con Valentina.”

 

“Non… non lo sapevo che l’avessi conosciuta,” disse Imma, sentendo quella specie di garbuglio di sensazioni che accompagnavano sempre il ricordo di sua mamma.

 

Non la stupiva che Penelope le fosse piaciuta: sua madre sulle persone, paradossalmente ancora di più da quando aveva la demenza, teneva una specie di sesto senso.

 

“Dai, ti accompagno in camera!” si offrì Valentina, ma proprio in quel momento si sentì un forte miagolio ed Ottavia sbucò da dietro il corridoio, guardò per un attimo Penelope e poi scappò via.

 

“Fa la timida, ma non ti fare ingannare: se le fai due coccole non te la leverai più dai piedi, letteralmente,” le spiegò Valentina, mentre lei e la sua amica sparivano nella loro stanza.

 

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“Scusami per… per l’invadenza di mia madre ma… lo sai com’è fatta.”

 

“Ma figurati, Vale! Anzi, mi fa molto piacere di essere… stata accolta in famiglia. Almeno per ora.”

 

“In che senso?”

 

“Che… quando tua madre saprà di noi… potrebbe essere decisamente meno accogliente,” le sussurrò, un po’ preoccupata.

 

“Se fosse meno accogliente le rinfaccerò il mio supporto col suo maresciallo in tutti questi mesi. Se ho potuto essere aperta mentalmente io, lo può essere pure lei.”

 

“Lo spero per te… e per noi…” sospirò Penelope, dandole un abbraccio fin troppo rapido.

 

Valentina le prese il viso e la baciò, anche se si costrinse a staccarsi prima di quanto avrebbe voluto. Poi le sussurrò, mentre erano ancora vicine, “purtroppo più di così qua non possiamo fare. Che i muri sono sottili e si sente tutto, lo so per esperienza, purtroppo. Spero che tu abbia le cuffiette o i tappi per la notte. Io con mia madre ci sono abituata.”


“Ho proprio capito da chi hai preso, allora!” rise Penelope, facendole l’occhiolino, “anche se, magari, se sono impegnati a darci dentro, non ci sentirebbero.”

 

“E dai!” rispose, buttandola sul letto per punirla con il solletico..

 

Almeno quello potevano farlo.

 

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Si buttò sul cuscino, esausta ma felice.

 

“Stanca?”

 

“Un po’. Non ero più abituata ad avere tanta gente per casa,” ammise, allungando una mano per fargli una carezza, “tra l’altro, spero che non ti dispiaccia dell’invito a Penelope.”

 

“Ma che scherzi? No, anzi! Sono solo felice di… di essere stato incluso in famiglia. E poi Penelope mi è simpatica.”

 

“Sì, Valentina è fortunata ad aver trovato un’amica così, invece di quelle snob che frequentava al liceo classico.”

 

Calogiuri stava per risponderle quando le squillò il telefono.

 

Era strano ricevere un messaggio a quell’ora e quindi controllò, temendo un’emergenza.


Scusami per l’orario, ma ci ho messo un po’ a trovare il coraggio di scriverti e non volevo disturbarti con una telefonata. L’invito è sempre valido. Perché non vieni qua domani o dopo? Come ti ho già detto, se vuoi puoi pure fermarti anche solo cinque minuti, ma dammi una possibilità di spiegarti un po’ di cose.

 

Chiara Latronico.

 

Porse il telefono a Calogiuri, per mostrare il messaggio pure a lui, chiedendogli implicitamente consiglio.

 

“Dipende da cosa ti senti di fare tu, lo sai.”

 

“Lo so, ma… tu che ne pensi?”

 

“Penso che se non volessi proprio vederla già le avresti detto di no, fin da subito o quasi. Con la capa tosta che hai. Se sei in dubbio è perché, almeno un po’, pure tu vuoi vederla e parlare di nuovo con lei.”

 

Sospirò e gli si strinse al collo, abbracciandolo forte, finendo sopra di lui.

 

Calogiuri la conosceva benissimo.

 

Solo che, in quel preciso istante - pensò mentre gli posava un bacio sulle labbra - altro che di parlare aveva voglia!

 

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“Dovrebbe essere questa.”

 

Imma rimase a bocca aperta, fissando la casetta che le stava indicando Calogiuri. Era una bellissima masseria nella campagna, a pochi minuti dal mare che avevano intravisto fino a poco prima nel percorrere la strada indicata dal navigatore.

 

Teneva tanta terra, tanta! Otto massarie teneva!

 

Le parole di sua madre, pronunciate sul bus in quel giorno d’agosto, dopo che Calogiuri le aveva accompagnate e se ne era andato - e se lo erano ammirato per bene - le tornarono improvvisamente alla mente.

 

Che poi, stando a quanto aveva detto Chiara, questa masseria non doveva essere ricompresa in quelle otto. Sempre se non erano state nel frattempo vendute.

 

Un altro mondo rispetto a quello in cui era stata cresciuta. Si chiese per un attimo come sarebbe stata la sua vita a crescere in mezzo ai Latronico e ringraziò il cielo che non fosse successo.

 

“Imma!”

 

Vide Chiara uscire dalla porta principale, con un gran sorriso. Calogiuri parcheggiò il furgone nel vialetto sterrato e ne scesero entrambi.

 

“Sono proprio felice che sei venuta! Vi faccio strada,” si offrì Chiara, con un altro sorriso.

 

E fu in quel momento che Imma sentì inconfondibile un odore, oltre che un rumore.

 

“Ma… ma ci sono cavalli qui?”

 

“Non ti sfugge mai niente, eh? Sì, sul retro c’è una stalla ed uno spazio per farli sgambare. Ne ho tre per l’esattezza: uno è mio, gli altri dei miei figli, anche se ormai ci vengono raramente qua.”

 

“Ma quindi… cavalcate?”

 

“E come no, ma certo! Da sempre è stata una delle mie più grandi passioni. Ma perché? Non dirmi che anche tu….”

 

“Sì, mi… mi diletto con l’equitazione anche se ho cominciato da pochi anni e… non c’ho molto tempo da dedicarci. Diciamo che me la cavo.”

 

Si sentiva turbata, molto turbata, anche se forse non in modo del tutto spiacevole. Ma si chiese se pure la passione per l’equitazione l’avesse presa dai Latronico, insieme a quella per la legge - anche se non esattamente dallo stesso lato della barricata.

 

“Allora magari possiamo farci una cavalcata qui intorno che, per fortuna, rispetto a Matera c’è tutta un’altra temperatura e la terra non è gelata. E così possiamo parlare in modo più rilassato.”

 

“Solo se può venire pure Calogiuri, però,” specificò Imma, che di restare da sola con Chiara, almeno per il momento, non ne aveva proprio voglia.

 

“Se cavalca anche lui può usare la mia cavalla, che è più giovane. Quelli dei miei figli sono un poco anziani ormai e non mi fido a fare reggere loro il suo peso.”

 

“Va- va bene, non c’è problema.”

 

“Posso prestarti uno dei miei completi da equitazione, Imma, tanto più o meno avremo la stessa taglia. Così non ti rimane l’odore addosso. E per lei, maresciallo, credo che uno di quelli dei miei figli dovrebbe andarle bene. Forse erano un po’ meno muscolosi di spalle rispetto a lei ma… l’importante sono i pantaloni.”

 

“Va bene, la ringrazio,” rispose Calogiuri, sempre gentilissimo, “ma mi dia pure del tu e non mi chiami maresciallo, per favore.”

 

“Solo se pure tu mi dai del tu, però.”

 

“Va bene,” ripetè lui ed Imma non riuscì a trattenere un sorriso, vedendo chiaramente quanto fosse a disagio e quanto gli sarebbe stato difficile.

 

Se solo avesse saputo quanta forza le dava, invece!

 

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Prendere le misure con il cavallo, dal nome altisonante di Velluto - probabilmente in onore del bellissimo manto nero - non era stato semplice, per niente.


Era anzianotto, sì, ma testardo, e voleva portarla dove gli pareva a lui.

 

In fondo, era di famiglia pure quello.

 

Ma, finalmente, dopo un po’ di tentativi di farlo andare al passo, lei e Chiara procedevano fianco a fianco, cercando di mantenere la passeggiata per la campagna il più tranquilla possibile.

 

Sentiva gli zoccoli della cavalla montata da Calogiuri poco distante da loro, dietro. Chissà perché lei con lui non aveva fatto storie. Il suo ascendente sul genere femminile, umano o animale, si riconfermava in pieno.

 

Al di là di tutto, però, apprezzava molto questa discrezione di Calogiuri, questo volerle lasciare spazio, pur guardandole, letteralmente, le spalle.

 

Lanciò un’occhiata in tralice a Chiara, notando ancora la somiglianza con Valentina, almeno in alcune cose, perfino in un paio di espressioni. Le vennero in mente tutte le ricerche studiate al corso di criminologia su quanto facesse la genetica e quanto l’ambiente in cui si era cresciuti.

 

Chiara la guardò di rimando, avendo percepito gli occhi su di lei.

 

Imma sospirò: non potevano proseguire in silenzio per sempre, dovevano parlare, prima o poi.

 

“Allora, che cosa volevi dirmi?”

 

Chiara sospirò a sua volta, sembrando un poco incerta.

 

“Volevo… volevo innanzitutto ringraziarti per Andrea e-”

 

“E ti ho già detto che ho soltanto fatto il mio lavoro. Non l’ho fatto né per te, né per lui. Se fosse stato colpevole, non avrei esitato a chiedere il rinvio a giudizio e la giusta condanna.”

 

“Lo so, lo so, considerando che non ci hai neppure più voluti né vedere né sentire. Ma sono sicura che quasi chiunque altro ci fosse stato al tuo posto, con le prove contro di lui che c’erano, avrebbe chiuso lì l’indagine. Mentre tu hai continuato a lavorarci su.”

 

“Se qualcosa non mi torna non mollo, posso metterci anni ma non mollo. Pure se, alla fine, c’è voluta una confessione per capire del tutto quale fosse la verità.”

 

“Secondo te… sono una cattiva persona se… se non mi riesco troppo a dispiacere per il tempo che Amedeo Spaziani ha passato in galera?” le chiese Chiara all’improvviso, dopo qualche momento di silenzio.

 

Ne apprezzò l’onestà.

 

“No, sei umana, visto che ha provato a incastrare tuo figlio. Se qualcuno lo avesse fatto a Valentina, probabilmente, pur di non sentirmi più, sarebbe andato in galera spontaneamente e avrebbe gettato da solo la chiave.”

 

Chiara rise. E pure nella risata c’era un qualcosa di familiare.

 

“Andrea… si sta riprendendo da quello che ha passato e… sta trascorrendo le feste con Barbara, a Roma. Lei è ancora sconvolta dalla notizia che… che suo marito abbia scelto l’eutanasia.”

 

“Quindi il loro rapporto sta proseguendo?” domandò Imma, mentre una parte di lei, invece, si domandava perché la notizia le avesse dato una sensazione positiva al petto.

 

“Sì. Sai… avevo e ho un poco di paura per Andrea che… sembra veramente tanto preso da lei. Barbara invece… è vedova da poco, ha passato degli anni terribili. Facendo il medico so benissimo che non è raro aggrapparsi a qualcuno quando si soffre. Non per cattiveria, ma per istinto di sopravvivenza. Quindi spero che… che tra un po’, quando starà meglio, non… non me lo faccia soffrire.”

 

“Questo non lo possiamo sapere, ma… Barbara per Andrea era pronta a finire in galera. Ha confessato per cercare di evitargli problemi. Quindi qualcosa la prova, oltre alla gratitudine. Poi ci vuole tempo per queste cose.”

 

“Lo spero…” sospirò Chiara, mentre tirava leggermente le briglie del suo cavallo che stava andando troppo in avanti, “scusalo, ma… gli piace comandare.”

 

“Di famiglia pure lui,” commentò Imma, e Chiara divenne rossa, facendola un poco pentire del commento sarcastico.

“Ascolta, Imma, io… io mi rendo conto di venire da una famiglia disgraziata, ma… mi piacerebbe tanto poterti conoscere meglio, che ci vedessimo ogni tanto. Per dimostrarti che non siamo tutti così. E poi… e poi sento molto la mancanza di una famiglia, di una famiglia di cui non vergognarmi. Tranne i miei figli, che però sono sempre lontani. Capisco che… che tu possa sentirti… sradicata e… che non mi possa vedere come una sorella mo che ho cinquant’anni passati, di cui per più di quaranta non ci siamo conosciute ma… ma anche io sento di non avere più radici e… mi andrebbe bene anche un’amicizia, con qualcuno che, almeno in parte, può capire quello che provo.”

 

“Non lo so se lo posso capire veramente quello che provi tu…” rispose Imma, onestamente, cercando di cambiare argomento, con un dubbio che le stava a cuore, “ma… ma quindi questa casa, queste terre, non erano di tuo padre?”

 

“No, no. Papà aveva tante terre e poderi tipo questo, ma… erano tutti a Matera o vicino a Matera. Sai, voleva mantenere il più possibile il controllo sul territorio. Questo posto l’ho trovato quando i ragazzi erano piccoli: venivamo spesso al mare qua in zona e mi è piaciuto da subito. Mio padre però mi ha dato della stupida perché secondo lui avevo speso troppo, sia per comprare la masseria che per risistemarla, ma… ma io me ne ero innamorata e… di passioni nella vita già ne ho avute poche. Ogni tanto un colpo di testa mi ci voleva.”

 

Imma, di nuovo, ebbe come una fitta al petto. Perché si riconosceva in quella descrizione più di quanto avrebbe voluto ammettere. E perché capiva fin troppo bene Chiara.

 

“Sai, in un certo senso ero la pecora nera di famiglia. Bianca, anzi. Per fortuna, essendo donna, mio padre al massimo da me si aspettava un buon matrimonio. E sono riuscita ad evitarmi i delinquenti figli degli amici suoi con i quali mi voleva sistemare. Ma tante volte, soprattutto in questi ultimi anni, mi sono chiesta a che sia servito tutto quel rigore, lo staccarmi dalla mia famiglia e cercare di farmi una vita per conto mio, se alla fine per tutti resto solo la figlia del Demonio di Matera.”

 

Sull’essere considerata malissimo dall’opinione pubblica, indipendentemente da tutti i suoi sforzi, ne aveva esperienza pure lei, non poca. Ma certo, almeno non era ritenuta figlia di un assassino, di un criminale così efferato. E sperava di non esserlo mai. Forse era anche per quello che avvicinarsi a Chiara la spaventava tanto.

 

“Per natale ho… ho sentito mio fratello…” proseguì Chiara, che ormai sembrava quasi stare parlando tra sé e sé, come in uno sfogo, per liberarsi, “sta ancora in galera, anche se conta di uscire col programma protezione testimoni tra non molto tempo. E, forse, sono di nuovo una sorella terribile ma… spero solo che se ne stia il più lontano possibile sia da Matera sia da Roma. Almeno Luca vive all’estero e… non me ne devo preoccupare.”

 

“Col maxiprocesso in corso a Roma sicuramente sarà mandato molto distante dalla capitale. E da Matera figuriamoci! Non ti devi preoccupare.”

 

“Sai, è strano… lo so che… per tante cose siamo completamente diverse, ma… per altre ti sento più simile a me di quanto lo sia mai stato mio fratello. Lui è sempre stato più freddo, come mamma, mentre papà… stranamente era più affettuoso, pure se molto disturbato, indubbiamente, ma… era un uomo di grandi passioni, fin troppo. Forse per questo ho sempre cercato di starne alla larga dalle passioni, mi facevano paura.”

 

“Io dalle passioni invece ci stavo a distanza un po’ perché loro stavano a distanza da me, un po’ perché non me le potevo proprio permettere. Poi col mestiere che faccio, ne ho viste troppe di finite malissimo.”

 

“Lo so… però… sai… tua madre te l’ho un po’ invidiata, quando veniva da noi a servizio. Avrei voluto tanto una mamma come lei e invece-”

 

“E invece forse con te e con… con tuo fratello era più buona perché non eravate figli suoi, non vi doveva educare. Con me… la ringrazierò sempre per tutto quello che mi ha dato e ha fatto per me e… so che mi voleva bene da morire ma… ma non è stato sempre facile avere a che fare con il suo essere così esigente. E pure io ho avuto lo stesso problema con Valentina,” si stupì di ammettere, ma parlare con Chiara le veniva fin troppo facile.

 

E questo la spaventava molto.

 

“Io invece… più che altro ho fatto di tutto perché i miei figli crescessero lontani da mio padre, ma… alla fine si sono allontanati pure da me perché… io Matera non riesco proprio a lasciarla, per quanto la odi. Come non ero riuscita del tutto a tagliare i ponti con mio padre, finché era vivo. Tu sei stata coraggiosa a ricominciare tutto a Roma.”

 

“Forse… ma era l’unica cosa che potevo fare.”

 

“Posso… posso chiederti com’era tuo padre? Cioè, il padre che ti ha cresciuta?”

 

Imma si sorprese un attimo e Chiara si affrettò ad aggiungere, “se non ti va di parlarne non-”

 

“Avrai sentito le voci a Matera, no?” le domandò, con un sopracciglio alzato.

 

“Beh sì… cioè… che… che aveva problemi di alcolismo ed il fegato non gli ha retto. Cirrosi epatica, da come me ne hanno parlato. Però… una diagnosi non spiega tutto di una persona, no? E nemmeno una dipendenza.”

 

Forse lo diceva per salvarsi dalla sua ira, forse perché, da medico, era abituata a trattare certi argomenti, ma… la sensazione di fastidio e di sentirsi giudicata sparì. Era una domanda onesta e diretta, forse meglio di tutti quelli che, invece, di nominare suo padre non si erano mai più osati, ma poi ne sparlavano alle spalle.


“Non mi ricordo moltissimo: ero molto piccola, ma… non era… non era un uomo cattivo. Fortunatamente non era un violento, nemmeno da ubriaco. Ma… è stato quasi come non avercelo un padre. Era assente. Prima per il lavoro e poi… per la malattia. Stava in un mondo tutto suo.”

 

“Il mio invece è stato fin troppo presente,” sospirò Chiara, aggiungendo dopo qualche istante di esitazione, “ci pensi mai a tornare a Matera? Intendo stabilmente. Lo so che per la vostra relazione è meglio Roma….”

 

Chiara si voltò indietro e lanciò uno sguardo a Calogiuri. Imma fece lo stesso.

 

Stava cavalcando, semplicemente, e ricambiò lo sguardo tranquillamente. Ma Imma, conoscendolo, vedeva che gli occhi azzurri erano un po’ troppo brillanti.

 

“Roma non è meglio soltanto per la nostra relazione ma… ci sono più opportunità anche sul lavoro. Poi nella vita… cosa succederà non si può sapere.”

 

“Lo capisco. E capisco anche che… finché non finirà il procedimento a carico di Spaziani e di De Carolis… sarà difficile vederci a Roma. Ma… spero davvero di poterlo fare ogni tanto. O lì o qua.”

 

“Vedremo….”

 

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“Questa è una specialità di Bari, soprattutto in questo periodo. Riso, patate e cozze.”

 

La teglia era più che abbondante, il vino bianco buonissimo e Chiara sembrava stranamente a suo agio.

 

Almeno lei.

 

“Non… non immaginavo che ti piacesse la cucina tipica. Poi col fatto che sei un medico.”

 

“Ho imparato per reazione a mia madre, che mi teneva a stecchetto. E, anche se di solito mangio sanissimo, alle feste mi è sempre piaciuto preparare cose più sostanziose. Si vive una volta sola, no? A te piace cucinare?”

 

“Guarda, meglio che non ti dico cosa ci cuciniamo di solito io e Calogiuri, se no ci spedisci a fare le analisi del sangue. Ma sì, mi piace cucinare i piatti della tradizione, almeno per le feste comandate, che di solito chi c’ha il tempo?”

 

“Ho visto che… che pure Valentina è molto brava a cucinare.”

 

Ad Imma cascò la forchetta nel piatto, con un clangore metallico che rimbombò per tutto il salone.

 

“Scusami, non volevo metterti a disagio, ma… ho visto i suoi video, anche se… sono di qualche anno fa. Sai, c’era pure tua madre e quindi… mi hanno incuriosita.”

 

Sospirò. In fondo quei video li aveva visti mezza Matera, non c’era niente di male.

 

“Valentina non ha più molto la passione per la cucina. Cioè, se la cava abbastanza bene, però penso sia ancora in ricerca di una cosa che l’appassioni veramente.”

 

“Eh, non è facile trovare la propria strada. E… e che cosa ne pensa Valentina di… insomma… della situazione con… con me e con i Latronico?”

 

“Valentina ci pensa poco. C’ha altri pensieri al momento in testa, altri interessi. Sa di voi e della storia della paternità ma… non la voglio coinvolgere. Valentina comunque dei nonni ed una famiglia li ha avuti ed ha già i suoi problemi, legati alla sua età.”

 

“Sì, capisco che… incontrarci potrebbe turbarla ma… in futuro mi farebbe piacere, ma capisco se non te la sentirai.”

 

“Valentina ti somiglia, sai? Di lineamenti intendo. Il carattere, quello l’ha preso un poco da me e un poco da suo padre.”

 

“Il carattere del tuo ex marito non ce l’ho presente, ma… se ha preso da te non dev’essere male. E meglio che non abbia il mio di carattere: alla fine, come vedi, sono sola, pure se è un po’ per scelta mia.”

 

“Ma come mai? Non penso che ti manchino i corteggiatori. Sei una bella donna e sei ancora in un’età per rifarti una vita,” le fece notare, anche se non capiva bene cosa la spingesse a parlare.

 

“Sai, essendo benestante… è facile trovare gente interessata solo a quello. Mentre magari uomini più onesti non mi considererebbero per le mie parentele. E di uomini sbagliati ne ho già visti fin troppi in famiglia.”

 

“Beh, noi almeno quel problema non ce l’abbiamo, no, Calogiù? Nessuno starebbe con noi per interesse economico!” ironizzò e Calogiuri rise ed annuì, con un, “anche se con te si finisce sempre a fare a gara su chi deve offrire.”

 

Chiara fece una faccia talmente stupita da trasfigurarle quasi il viso.

 

“Che pensavi che mi tenessi i soldi nascosti?”

 

“No, no, anzi, è che… insomma… la tua parsimonia è cosa nota a Matera, Imma. E quindi mi stupisce che voglia offrire tutto tu.”

 

“Diciamo che sono parsimoniosa, ma con chi se lo merita ed è generoso so essere generosa pure io. Anche se nei limiti del mio budget limitato.”

 

“Ancora un poco di riso?” domandò poi Chiara, visto che avevano finito di mangiare, “come dolce ho fatto le cartellate. Sono immancabili per il natale Barese.”

 

“Riso no, ma al dolce non si nega mai una possibilità. Tu, Calogiuri?”

 

“Idem.”

 

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Dopo caffè e ammazzacaffè - un liquore al mandarino che poteva risuscitare i morti - Chiara era andata a ritirare le ultime cose in cucina.

 

Ma era già passato un po’ di tempo e non tornava.

 

Stava cominciando ad inquietarsi, quando la vide varcare la soglia, con una scatola di velluto in mano.

 

“Tieni,” le disse, porgendogliela.

 

“Non… non posso accettare regali. Poi col processo ancora in corso non-”

 

“Sì che potresti, visto che Andrea non è più indagato, ma non è questo il punto. Non è un regalo, non da parte mia, almeno. Aprila.”

 

Un poco confusa, Imma lanciò uno sguardo a Calogiuri, che però le fece segno di aprire.


Del resto, fosse stata una cosa pericolosa, sarebbero finiti malissimo tutti, Chiara compresa.

 

Le dita le sembravano di piombo. Ma la aprì.

 

Una collana in oro giallo e rubini. Stranamente familiare.

 

“Quando… quando papà è morto, prima di morire mi prese da parte e mi disse che questa collana dovevo darla a mia sorella.”

 

Imma tirò un rapido respiro, la testa che girava, mentre faceva il collegamento: era praticamente uguale al bracciale, anche se molto più in grande. Dovevano fare parte di una parure.

 

“All’epoca non ci ho fatto caso. Sai, nonostante tutto ero… ero disperata per la sua morte. Poi… gli ultimi giorni era semi incosciente… non capiva più molto bene dove fosse e con chi. E… e ho pensato che si riferisse a sua sorella, ormai morta. O che pensasse di essere con mio fratello e che volesse darla a me.”

 

Imma annuì, perché era successo lo stesso a lei per tanto tempo con sua madre e Garibaldi, ma… si sentiva impietrita lo stesso.

 

“Sembra antica. Ho domandato al gioielliere che l’ha venduta a mio padre e… e mi ha detto che era degli anni Settanta. Per precisione un anno dopo che sei nata tu. E il gioielliere mi ha detto pure, in confidenza, che tu eri andata qualche anno fa a chiedere di un braccialetto molto simile, che mio padre invece aveva comprato… intorno a quando sei nata tu.”

 

Imma rimase a bocca aperta, ed andò in panico allo stesso tempo.

 

“Non ti preoccupare. Il gioielliere ha pensato che… che fosse per le indagini del maxiprocesso sulla nostra famiglia e… pure io gliel’ho fatto intendere. Lui me ne ha parlato come avvertimento, sai, siamo suoi clienti da tanti anni e… voleva mettermi in guardia.”

 

“Certo che pure tu hai indagato, e pure parecchio,” commentò poi Imma, passandosi una mano sugli occhi e sulla fronte e cercando di nuovo lo sguardo di Calogiuri.


“Forse il mistero, l’incognito, sono passioni di famiglia, anche se… in modo molto diverso.”

 

“Comunque questa… collana non la posso e non la voglio accettare. Anzi, ti dovrei ridare pure il braccialetto, mo che sai che esiste.”

 

“Ma figurati, Imma! Io… lo so che ti potrà sembrare assurdo, ma… vorrei rispettare almeno in questo le volontà di mio padre. Questa collana era per te e mi sentirei una ladra a tenerla io. E poi… non ha nemmeno più un grande valore economico, tra la foggia e l’età che ha. Ma… penso che mio padre avesse intenzione di contribuire, almeno economicamente, ma poi… per tua fortuna deve avere desistito dall’avvicinarsi troppo a te e a tua madre.”

 

In effetti se la collana era un dono per il suo primo compleanno, forse voleva contribuire, come diceva Chiara, o, più realisticamente, continuare a comprare il silenzio di sua madre, temendo potesse rovinarlo un giorno.

 

“Secondo me… il fatto di avere un’altra figlia e non poterla frequentare, conoscere, deve essere stato un grande rimpianto per lui. Anche se a te, sinceramente, è andata meglio così.”

 

“E questo grande rimpianto lo desumi da una collana, comprata quando tenevo un anno e mai consegnata?” sibilò, sarcastica e di nuovo a disagio.


Va bene che Latronico era pur sempre il papà di Chiara e ogni scarrafone è bello a figlia sua, ma….

 

“No, è che… ho trovato pure questi, quando ho sistemato soffitta di casa di papà,” rispose, prendendo stavolta quella che pareva una vecchia scatola di biscotti, di quelle di latta, appoggiata sul comò lì vicino, e piazzandogliela davanti.

 

Imma, curiosa nonostante l’inquietudine, la aprì e ci trovò una pila di carta. Ritagli di giornale, di tutte le forme.

 

Li fece scorrere e vide che erano tutti casi suoi, dei quali si era occupata lei, fin dai primissimi quando era giovane. Alcuni pure di quando non era ancora a Matera.

 

“Sai… quando l’ho trovato, tanti anni fa, non ci ho fatto caso. Papà aveva l’abitudine di tenere tutto quello che… che lo riguardava in cronaca nera. Pensavo che fossero casi in cui in qualche modo c’entrava pure lui. Però mi è tornato in mente qualche mese fa, perché ricordavo che c’erano delle foto tue nelle immagini dei ritagli. E… e riguardandole, credo che… insomma ti tenesse d’occhio, che seguisse i tuoi casi e la tua carriera. Perché… alcuni di questi ritagli si riferiscono a cose in cui difficilmente poteva c’entrare mio padre, pure fuori regione, fatti che sembrano più delitti privati.”

 

Imma continuò a sfogliare, vedendo in effetti delle immagini sgranate e ingiallite della se stessa dei primi anni 2000. Una PM alle prime armi, che iniziava ad osare con l’abbigliamento, ma che aveva ancora i capelli castani e tante rughe e tanti anni in meno.

 

Percepì un alito sul collo e seppe, pure senza bisogno di girarsi, che Calogiuri si era sporto per vedere quelle foto di lei da giovane. E la cosa la intenerì molto, pure in mezzo all’inquietudine.

 

“Non… non ti voglio sconvolgere ma… volevo solo che sapessi che… che papà a modo suo ti pensava, ecco. So che magari sarebbe stato meglio tacere ma… so anche che il rifiuto, anche se da parte di… del peggiore dei genitori… comunque può essere una ferita che rimane, pure se si scopre tardi. E-”

 

“E magari invece tuo padre,” la interruppe Imma, sottolineando volutamente il tuo, “mi seguiva perché temeva fossi un pericolo per lui. Che un giorno avrei potuto ricattarlo, se magari mia madre si fosse fatta sfuggire qualcosa. O mettergli i bastoni tra le ruote.”

 

Ma la verità era che, di nuovo, sentiva quella strana sensazione al petto.


“Imma, con papà tutto può essere, specie le cose peggiori, ma… era uno di quegli uomini strani, che potevano compiere le cose peggiori fuori dalla famiglia, ma per cui la famiglia era sacra. Con la sua visione distorta del sacro, ovviamente. Ho… ho fatto molta fatica ad accettare che… che pure un mostro o un demonio… possa avere dei lati belli, anche se questo non giustifica quelli brutti. Ma l’esistenza di quelli brutti… non rende per forza falso quel poco di bello che c’era. O forse è solo una spiegazione che mi sono data col mio psicologo per cercare di fare pace con la mia infanzia, anche se è praticamente impossibile, visto che non ci sono mai riuscita del tutto.”

 

Imma si sentiva come se fosse stata infilata in una botte e buttata giù da una rupe: completamente scombussolata.

 

Incrociò gli occhi di Calogiuri, quasi con disperazione, in un e mo che faccio?! non verbale.

 

Il modo in cui lui le stringeva la mano, le fece capire che doveva essere lei a decidere, ma che lui comunque le sarebbe stato vicino, come sempre.

 

E fu così che una strada da percorrere, magari non per sempre ma almeno per i primi tempi, si fece chiara in lei.


“Per ora terrò la collana. Ma solamente a scopo di indagine. Sempre se ti va bene lasciarmela, visto cosa penso di farne.”

 

“La collana in ogni caso per me è tua, quindi puoi farne tutto quello che vuoi,” rispose Chiara, passandole di nuovo l’astuccio, mentre Imma chiedeva a Calogiuri di fare foto di quei ritagli di giornale.

 

*********************************************************************************************************

 

“Imma! Benarrivati!”

 

“Maria…” sospirò lei, accettando il mezzo abbraccio e i due baci - rigorosamente in aria - della Moliterni, che prese il pacco che le aveva porto, “una torta di ricotta, Maria. Diciamo che la ricotta è un poco un nostro cavallo di battaglia, no, Calogiuri?”

 

Calogiuri sorrise ed annuì, probabilmente pensando che lei si riferisse alla pastiera.

 

Ah, se solo avesse saputo che la ricotta con lui era tutt’altra cosa!

 

“Grazie, Imma, non dovevi!” rispose Maria, con uno sguardo che lasciava intendere come non necessitasse di altri dolci per cena, poi però si offrì con un, “se mi date i cappotti, così li metto da parte.”

 

Imma tolse il suo cappottone marrone, il più pesante che teneva - col freddo che faceva e come era vestita sotto! - e Maria strabuzzò gli occhi, squadrandola da capo a piedi.

 

“Beh, che c’è? A Capodanno ci si veste di rosso, no?”

 

Aveva indossato il vestito leopardato comprato per il teatro con la cara Irene, ma con una giacca di raso rossa presa per l’occasione in saldo.

 

Di rosso sì,” sottolineò più che volutamente Maria, mentre ritirava i loro cappotti.

 

“Dottoressa, maresciallo,” li accolse il prefetto, con aria poco entusiasta.

 

“Signor prefetto,” risposero quasi all’unisono, si guardarono e sorrisero.

 

“Imma!”

 

Vide Diana, talmente elegante che pareva pronta per un matrimonio, alzarsi dal divano sul quale era accomodata, insieme ad un Capozza che, per il suoi standard, era tirato a lucido: addirittura una camicia bianca ed un maglione blu, su pantaloni che non erano jeans. Da non crederci!

 

Notò che Diana stringeva in mano il manico della borsa che le aveva regalato e che sembrava sfoggiare con orgoglio.

 

Stava per rispondere al saluto quando un “buonasera a tutti!” alle sue spalle la gelò.

 

Sperò che fosse solo una similitudine vocale o un’allucinazione uditiva dovuta alle festività. Ma, a giudicare dall’espressione di Calogiuri, mentre si voltava, seppe di non esserselo immaginato.

 

All’ingresso, accanto a Maria che pareva guardarla mortificata - sta stronza! - c’erano nientepopodimeno che Pietro, con un completo elegantissimo, che le pareva lo stesso dei concerti con Cinzia, e Miss Sax, attaccata al suo braccio peggio di una cozza. Pure lei elegantissima, anche se, come sempre, di nero vestita.

 

“Imma?” domandò Pietro, in un modo che le fece pensare che nemmeno lui avesse idea del fatto che ci fosse pure lei.

 

“Pietro. Cinzia,” li salutò, lanciando poi un’occhiataccia alla Moliterni, che aveva l’ardire ancora di sembrare dispiaciuta.

 

“Imma. Maresciallo. Che sorpresa…” rispose Pietro con un sospiro, guardando invece verso Vitolo.

 

“Benvenuti. Ci siamo tutti, no, cara? Possiamo cominciare con gli aperitivi?”

 

Vitolo con una nonchalance invidiabile - e detestabile - si avvicinò alla Moliterni che annuì e fece segno verso la cameriera, che accorse in cucina, per prendere le cose da servire.

 

Le venne in mente sua madre, che spessissimo lavorava pure nelle festività. Chissà che avrebbe pensato vedendola lì.

 

Dopo pochissimo la povera cameriera - sicuramente pagata troppo poco per quello che faceva! - portò un carrello che faceva tanto film d’epoca ed iniziò a proporre champagne o un cocktail analcolico.

 

Imma decise che solo l’alcol poteva rendere leggermente meno insopportabile quella bella seratina.

 

E poi la cameriera giunse con un vassoio di vari salatini e tartine con salmone e quello che pareva caviale.

 

La Moliterni ed il prefetto non avevano badato a spese.

 

Prese due cose, giusto per attutire l’effetto dell’alcol - che meno depressa sì, ma sbronza no! - e Calogiuri fece lo stesso, quando si ritrovò a scontrarsi con una mano e si rese conto che era quella di Pietro, che si era allungato a prendere la stessa tartina al patè di qualche cosa.

 

Pietrò levò subito la mano, come se si fosse scottato, e le disse “prendila pure tu.”

 

“Ti ringrazio, Pietro, ma ce ne stanno tante altre uguali, per fortuna!”

 

“Già. Magari fosse tutto come le tartine nella vita!” commentò lui, con un sospiro, prendendone un’altra e mettendosela in bocca, forse per evitare di parlare, “foie gras. A te non piace, no, Imma?”

 

“Sì, grazie, ti lascio pure quella che volevi in origine, mi sa. E me ne prendo un’altra al salmone,” rispose, lanciando un’occhiata a Calogiuri che le era accanto e che stava come mezzo paralizzato col piatto in mano.

 

Bastò incrociare i suoi occhi per un secondo, perché lui prendesse a sua volta una tartina al salmone e poi bevesse un sorso di vino. Cercò di trasmettergli quanto le dispiacesse per quella situazione e per lui, nel poco tempo che aveva perché gli altri non se ne avvedessero. Non voleva dare soddisfazione a nessuno. E avrebbe voluto che nemmeno lui la desse loro.

 

Ma, a giudicare da come si prendeva pure una tartina col patè e se la assaggiava, per poi esclamare un, “ma sa di fegato!” che le fece scappare una risata, si erano capiti perfettamente.

 

“E menomale che sa di fegato, Calogiù, visto che è fatto col fegato d’oca!” gli spiegò, fregandosene di Pietro e recuperando un tono più normale e scherzoso.

 

Ringraziava il cielo per la semplicità di Calogiuri, nel senso migliore del termine, che le faceva sempre guardare il mondo da una prospettiva migliore.

 

“Ma… ma è quel patè che prima fanno mangiare le oche fino a farle scoppiare?” le domandò, spalancando gli occhi, e guardando la tartina come con pentimento.

 

“Esatto,” confermò, non sorprendendosi ormai più che lui sapesse quello ma non cosa fosse il foie gras: la cultura di Calogiuri, in perenne formazione, era imprevedibile.

 

“Le oche avranno pure un brutto carattere, ma così è troppo,” rispose Calogiuri, finendo la tartina con un, “solo perché non mi piace buttare il cibo.”

 

“Non sapevo che avesse un animo da ambientalista, maresciallo,” intervenne Pietro, sembrando però stavolta più lui in imbarazzo.

 

“Non sono vegetariano o vegano e sono cresciuto in una casa dove, quando ero piccolo, ancora si ammazzavano i conigli e i maiali, purtroppo, ma… almeno farli vivere dignitosamente e non farli soffrire quando giunge l’ora, ecco.”

 

“Io invece penso che o tutto o niente. Se ci si vuole fare scrupoli bisognerebbe farseli sempre, se no è da ipocriti,” rispose Pietro, ed Imma si chiese se ci fosse una frecciatina poco velata, per poi aggiungere, scuotendo il capo, “comunque… non avevo idea che… ci sareste stati pure voi stasera. E… immaginavo di passarlo diversamente questo capodanno.”

 

“Pure noi, Pietro, credici.”

 

“Vorrà dire che almeno qualcosa in comune questa sera ce l’avremo,” sospirò di nuovo Pietro, bevendosi un sorso di champagne fin troppo abbondante, poi notò che la squadrava un attimo.

 

Forse avendo capito di essere stato beccato, le chiese, “ma è nuovo? Non ricordo che avessi abiti così… attillati… almeno non quelli che usavi per uscire.”

 

Percepì nettamente il tendersi dei muscoli di Calogiuri, pur con la coda dell’occhio.

 

Il suo gelosone!

 

“Un acquisto recente, sì. E mi pareva l’occasione giusta per sfoggiarlo.”

 

“Se volevi fare una protesta silenziosa per l’invito, direi che ci sei riuscita in pieno,” ironizzò Pietro e sì, la conosceva molto bene pure lui.

 

Anche se la scelta del vestito era stata pure a beneficio di Calogiuri ma… ci godeva a presentarsi ancora più estrosa del solito, quando si trattava della Moliterni, non c’era niente da fare.

 

“In effetti è perfetto per Capodanno. Anche se devo dire che mi pare che a te il rosso, Imma, piaccia pure in altre occasioni. Ricordo ancora com’eri vestita quando siete venuti a vederci in concerto la prima volta,” intervenne Cinzia, comparendo con un calice in mano e riprendendo Pietro a braccetto, in un’immagine quasi speculare, in effetti, del loro primo incontro, ma a parti invertite.

 

“Io invece con tutti i completi neri che metti, Cinzia, purtroppo tendo a confondermi,” replicò, con un sorriso, e seppe subito, dal modo in cui Calogiuri muoveva il viso, che si stava trattenendo dal ridere.

 

Ma pure Pietro non le parve contrariato, anzi.

 

“Imma, non abbiamo neanche fatto in tempo a salutarci come si deve!” saltò su all’ìmprovviso Diana, inserendosi tra loro e dandole i canonici due baci, nonostante il pericolo rappresentato dai calici di vino, poi si voltò verso l’altra coppia e disse, “Pietro, ti trovo in forma. E lei è?”

 

Ad Imma venne da sorridere, perché figuriamoci se una come Diana, che bagnava il naso pure a Lucania News, poteva non sapere chi fosse Cinzia.

 

“Cinzia, la compagna di Pietro. Effettivamente non ci siamo mai incrociate. Lei è un’amica di Imma?”

 

“Diana De Santis. Amica ed ex cancelliera,” rispose Diana, con nonchalance, ed Imma si chiese se avesse fatto apposta a intervenire per levarli dall’imbarazzo ed evitarle altre battute delle sue.

 

“Ah quindi lavora anche lei in procura?”

 

“Sì, esatto, mentre lei invece?”

 

“Suono il sassofono ed insegno musica.”

 

“Bello! Io facevo piano in gioventù ma non c’ero molto portata.”

 

“Io invece suonavo la chitarra, in una band hard rock. Che ricordi!”

 

Tutti si voltarono verso Capozza, che teneva in una mano un piatto colmo di stuzzichini, manco ci fosse prevista una carestia, e nell’altro lo champagne.

 

“Ma da queste parti? Perché le band locali me le ricordo abbastanza, almeno quelle di un po’ di anni fa.”

 

“Ma lei è troppo giovane, signorina,” rispose Capozza a Cinzia, “e comunque no, stavo vicino a Napoli. Ma i Rockos hanno lasciato il segno!”

 

“Immagino,” mormorò Imma, bevendosi un altro sorso di vino mentre cercava di levarsi l’immagine mentale di Capozza in pantaloni di pelle attillati.

 

“Diana, posso dirle che è elegantissima? Ed invidio moltissimo la sua borsa,” commentò Cinzia, forse per cercare di conquistarsi la sua cancelliera o forse per rigirare il coltello nella piaga con lei.

 

“Ah, la ringrazio, ma è un regalo.”

 

Immediatamente, di nuovo, Cinzia e Pietro si voltarono stupiti verso Capozza.

 

“No, ma non è un regalo mio.”

 

“No, infatti è un regalo di Imma,” spiegò Diana con un grande sorriso, di quelli che faceva pure sul lavoro quando non reggeva qualcuno ma doveva essere gentile.

 

Le espressioni di Cinzia e, soprattutto, di Pietro, divennero ancora più comiche

 

“Eh, la nostra Imma ci sta diventando generosa. Se continua così tra un po’ ci offrirà lei la cena!” si inserì la Moliterni, con un sorrisetto, mentre il prefetto sembrava ridere sotto ai baffi.

 

“Non ho una casa sufficientemente grande, Maria, e poi non potrei mai eguagliare la bravura della tua cuoca,” sottolineò, godendosi sia la faccia della Moliterni, sia il sorriso malcelato della sua persona di servizio.

 

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“Complimenti, tutto ottimo.”

 

“Sì, complimenti alla cuoca,” ribadì Imma con un sorriso: pure se la ragazza era ucraina, la era ferratissima nella cucina italiana e perfino materana.

 

“I dolci li assaggiamo dopo con il brindisi. Anzi, cominciamo a predisporre il terrazzo?” chiese la Moliterni e la ragazza annuì.

 

“Ne approfitterei un attimo, allora, Maria,” disse Imma, alzandosi dalla sedia.

 

“Vieni, che ti accompagno,” si offrì l’altra, da perfetta padrona di casa, conducendola in un paio di corridoi, fino al bagno.

 

Ma poi, inaspettatamente, ci si chiuse dentro con lei.


“Maria….”

 

“Imma, ascolta, lo sai che… mi piace punzecchiarti, come piace a te, ma… Vitolo mi ha detto all’ultimo dell’invito a Pietro e Cinzia, se no ti avrei avvertita. Mi dispiace molto per la situazione, ma sai… quello è amico di Pietro e… credo non gli sia andata giù che vi ho invitati senza consultarlo prima.”

 

“Diciamo che avrei preferito senza, Maria, ma… ormai stiamo in ballo e balliamo.”

 

“Lo so, è che… credo si identifichi più in Pietro, lo sai, anche se… magari c’avessi uno come Calogiuri!” sospirò Maria, scuotendo il capo.

 

“Senti, Maria, lungi da me incitare all’infedeltà coniugale o al divorzio, anche perché non è che siano passeggiate di salute, ma se sei infelice, perché continui a starci insieme?”

 

“Perché tu sei stata fortunata, Imma, ma io rischio soltanto di trovare di peggio. Al massimo ci può stare qualche distrazione… ma… sono la moglie del prefetto… non voglio rischiare voci, che sai, qua la gente con un niente sa gli affari di tutti quanti. Mi sono rifatta solo qualche volta in vacanza,” le sussurrò, in una confidenza che la stupì non tanto per i contenuti ma per il fatto che  l’avesse fatta a lei.

 

Certo che se si era rifatta in vacanza come si era rifatta in faccia… i lidi italiani chissà quante fiamme della Moliterni tenevano!

 

“Guarda, Maria, a me un amante è bastato e avanzato.”

 

“Eh ma tu te lo sei preso buono subito, Imma, così non vale. Ma sai che pure il caddy del club mi ha chiesto di te qualche volta?  Vorrei capire davvero qual è il tuo segreto. Sarà il leopardato?” le domandò, guardandola dalla testa ai piedi.

 

Un poco le faceva piacere sapere di aver colpito, lo doveva ammettere.

 

“Forse il non fare nulla per provarci o, nel caso dell’insegnante di golf, i miei cinque minuti di celebrità.”

 

“Sarà….” sospirò Maria, non sembrando convinta.


“Marì, senti, mo, però, apprezzo l’atmosfera da liceo, ma avrei veramente urgenza, se non ti dispiace….”

 

“No, no, scusa, hai ragione!” esclamò Maria, lasciandola finalmente da sola ed in pace.

 

Anche se solo per pochi secondi.

 

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Sospirò nel bicchiere di vin brulé che era stato offerto per scaldarsi in attesa della mezzanotte e del nuovo brindisi con lo champagne.

 

Per fortuna aveva cercato di contenersi con gli alcolici, perché i Moliterni ci andavano giù pesanti con il bere, tra champagne, vino bianco, vino rosso e poi mo pure questo.

 

Si chiese dove fosse finita Imma, perché lui si sentiva a disagio con tutti, tranne Diana e Capozza che però erano già un poco brilli e mo Capozza era impegnato dall’altro lato del terrazzo con il prefetto e il signor De Ruggeri - che tanto sobri non sembravano manco loro - a cantare The Final Countdown, mimando la chitarra in aria.

 

Ma lui si sentiva a disagio con il prefetto ed il signor De Ruggeri: per motivi diversi sapeva di non rientrare nelle loro simpatie e quindi se ne era rimasto in un angolino in disparte.

 

“Mi vuoi dire cosa ci trovate?”

 

La voce alle sue spalle lo fece sobbalzare, che per poco non gli cascava il bicchiere - ci mancava solo quello per farsi odiare ancora di più! - si voltò e si trovò di fronte a Cinzia, con un bicchiere in mano pure lei.

 

“Come?”

 

“Cosa ci trovate in lei? In Imma,” chiarì lei, con la voce di chi non era magari ubriaca ma sicuramente alticcia, “perché siete tutti così… persi per lei? Pure se vi ha fatto soffrire, pure se c’ha un carattere di merda e racconta un sacco di palle. Perché? Io sono più giovane, più bella, ho un carattere migliore ma no, tutti appresso a lei e ai suoi vestiti da battona!”

 

Calogiuri solitamente aveva molta pazienza, raramente si arrabbiava, ma sentì come un interruttore scattare in lui, una vena sulla tempia che gli faceva male, mentre l’incazzatura e l’indignazione se lo mangiavano.


“Ma come ti permetti?! Non ti permetto di parlare di Imma in questo modo! Non vali un centesimo di quello che vale lei, anzi, non vali proprio niente!”

 

“Che succede?”

 

Alzò gli occhi e vide Pietro, il prefetto e Capozza che avevano smesso con il karaoke e si erano avvicinati.

 

Cinzia si voltò a sua volta e ancora un poco si buttò al collo del signor De Ruggeri, iniziando a gridare e piangere, “mi ha insultata! Mi ha detto che non valgo niente!”

 

L’ex marito di Imma lo fulminò con un’occhiata forse più furente di tutte quelle che gli aveva mai rivolto, ed era tutto dire, considerati i rapporti tra loro.

 

“Ma come ti permetti, eh? Chi ti credi di essere?! Ma che uomo sei? Non sei un uomo sei un vigliacco!” urlò Pietro, avvicinandosi a lui e spintonandolo, tanto che il bicchiere del vino gli sfuggì di mano e si ruppe a terra con un rumore fragoroso.

 

“Ma che sta succedendo?” urlarono Imma e la Moliterni, che erano appena accorse sul balcone, insieme alla signora Diana.

 

“Succede che il tuo caro maresciallo si è messo ad insultare Cinzia e ad urlarle contro! Dovrebbe vergognarsi, sempre se lo sa cos’è la vergogna!” ululò Pietro, lanciando sguardi di fuoco sia a lui che a Imma, ma almeno smettendo di spintonarlo.

 

“No- non è vero! Ha cominciato lei, che-”

 

“Ma se sei tu che mi hai aggredita! Sei un cafone!” lo interruppe Cinzia, e Calogiuri dovette ammettere che, purtroppo per lui, era molto brava a fingere.

 

“Vigliacco! Almeno prenditi la responsabilità delle tue azioni, per una volta, se ne sei capace!” si inserì di nuovo Pietro, che non stava certamente parlando solo di Cinzia.

 

“Basta! Non voglio discussioni a casa mia! Soprattutto non in un giorno di festa. Visto che l’abbiamo sentita chiaramente urlare, maresciallo, mentre non abbiamo sentito Cinzia dire nulla, la prego di andarsene e anche a lei, dottoressa.”

 

Calogiuri sentì tutto il sangue andargli alla testa, che gli girava pure vorticosamente. Cacciati dalla casa del prefetto, anzi, Imma cacciata dalla casa del prefetto, per colpa sua. Avrebbe voluto che la terra lo inghiottisse.

 

“Dai, Calogiuri, andiamo,” disse Imma, con un tono ed uno sguardo furiosi, seguiti da un sarcastico, “buon proseguimento di serata!”

 

La seguì, mortificato, mentre a passo marziale percorreva casa della Moliterni, che la inseguiva, pure sui tacchi.

 

“Mi dispiace…” sussurrò la moglie del prefetto, porgendo loro i cappotti, sulla porta.

 

Imma scosse la testa, come a dire di lasciar stare ed in quel momento sentirono la voce di Diana, a sua volta seguita da Capozza, “Imma, veniamo con voi!”

 

“Diana, ma che sei matta?! Pensa al lavoro, dai!” rispose Imma, in un sussurro, anche se la Moliterni poteva sicuramente sentirla, “buon anno, che se il buon anno si vede dall’inizio….”

 

E poi aprì la porta e lui si affrettò a correrle dietro, prima che lo piantasse lì.

 

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“Ragazzi, preparatevi per la mezzanotte!! Passeranno ora le nostre ragazze con un bicchiere di spumante per voi. Per intanto, tenetevi stretta le vostre di ragazze, che fino alla mezzanotte è l’ora dei lenti e poi ci scateniamo!!”

 

“Nel senso che poi dovresti ballare con una ragazza immagine?” urlò Valentina a Penelope, che rise, e si trovò stretta in un forte abbraccio.

 

“Hai sentito che cosa ha detto il DJ, no? Ti devo tenere stretta!”

 

“Spero pure dopo la mezzanotte!” ironizzò Valentina, ricambiando però l’abbraccio e cominciando a ballare.

 

“Spero anche io per te, Vale! E pure per tutto l’anno nuovo, almeno!”

 

“Cos’è? Mi fai le proposte serie?” rise, invasa da una felicità che non aveva mai provato prima, neanche nei momenti migliori con Samuel.

 

“Perché? Hai in progetto di mollarmi prima?” scherzò Penelope, anche se, perfino con la musica a palla, percepiva che fosse un poco in ansia per la risposta.

 

“No, anzi!” gridò, per farsi sentire, prima che una consapevolezza nuova le diede la conferma ad un’idea che la tormentava da tempo, e che dalle labbra le uscisse, prima che se ne potesse rendere conto, “voglio… voglio dire di noi due ai miei!”


Nota dell’autrice: Ed eccoci non solo alla fine di questa seconda parte del rientro a Matera ma, soprattutto, alla fine del cinquantesimo capitolo.

Mi sembra quasi impossibile di avere scritto così tanto e di avere ancora un bel po’ da scrivere, vi ringrazio per la costanza con la quale seguite la mia storia, spero davvero che continui a piacervi, nonostante la lunghezza. Lo so che questi due ultimi capitoli sono stati, in parte, più sul dolcioso ma, come avrete visto, il prossimo si prospetta pieno di casini e vi anticipo che siamo solo all’inizio da quel punto di vista: negli ultimi giorni a Matera succederà di tutto, tra cui alcune rivelazioni molto attese e numerose tragedie greche familiari. E non mancherà la parte gialla.

Ringrazio tantissimo chi mi ha lasciato una recensione: mi motivano sempre un sacco e sono utilissime per capire come va la scrittura.

Un grazie anche a chi ha inserito la mia storia nei seguiti o nei preferiti.

Il prossimo capitolo, la terza e ultima parte di questa full immersion in famiglia, giungerà il 20 dicembre, tra due settimane esatte, giusto in tempo per farci gli auguri in questo natale così particolare.

Grazie ancora! 

 
   
 
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