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Autore: Mahela    06/12/2020    0 recensioni
Questa fanfiction ha come coppia principale il pairing "klance" (Keith x Lance).
Tutti conoscono la leggenda delle sirene. Ancora oggi tanti le ritraggono e parlano delle loro gesta.
Ma se le sirene avessero dei predatori naturali? E se questi avessero per secoli condizionato la loro vita?
E cosa succederebbe se uno di loro si sentisse attratto dalla sua preda?
Genere: Romantico, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Garrison Hunk, Kogane Keith, McClain Lance
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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C’era qualcosa di strano quella mattina, ma Lance non riusciva bene a capire cosa.
Non era insolito che Keith si mettesse a fissarlo – ci aveva fatto il callo ormai -, ma qualcosa nel suo sguardo era diverso.
Era come se un’onda di determinazione lo avesse travolto e fosse pronto a buttarsi alla carica, ma per fare cosa non lo sapeva.
La conferma arrivò quando vide il ragazzo raggiungerlo allo sportello del ristorante e salutarlo, come se nelle ultime ore non si fosse accorto delle sue pupille scure che lo perforavano da parte a parte.
Il primo pensiero di Lance fu che volesse qualcosa da lui, ma obiettivamente non c’era nulla che un pescatore mezzo squattrinato potesse offrirgli, se non quello, e Keith non gli sembrava proprio il tipo.
L’unica altra opzione era che, alla fine, avesse messo da parte l’orgoglio e ci stesse provando sul serio (sebbene la sua incapacità fosse più palese che mai).
O in alternativa aveva preso un brutto colpo di sole.
Un po’ intimorito dal cambio repentino nella loro dinamica, Lance scelse di credere in una momentanea perdita di lucidità. Almeno, se fosse stato davvero così, avrebbe evitato delle situazioni imbarazzanti per il tuttofare e sgradevoli per lui.  
Per questo motivo, superata quella mattinata decisamente strana, si aspettava che il giorno dopo Keith sarebbe tornato il solito arrogante fighetto con una cotta segreta per lui, ma per sua sfortuna le cose non andarono così.
Nell’arco di una settimana, arrivò a pensare di non aver mai visto l’hábrók così impacciato e gentile nei suoi confronti. La sua insistenza raggiunse un tale livello che Lance credette lo avessero rapito e sostituito con un sosia malfatto.
Lo salutava regolarmente, si offriva di aiutarlo nelle sue mansioni (arrivando persino a fare l’assistente non pagato al negozio di Aurora) e si sforzava di non reagire a qualsiasi provocazione. Divenne così bravo a fingere indifferenza per le sue battutine, che Lance credette davvero non gliene importasse più nulla.
L’intera situazione era così assurda da mandarlo in paranoia.
Continuava a ripetersi che forse avrebbe dovuto essere grato o almeno un po’ felice di tanta premura e sensibilità, ma al contrario si sentiva ancora più offeso di quando Keith gli aveva fatto quello sgarro al loro primo incontro.
Il suo stato d’animo si sarebbe potuto paragonare a quello di un bambino a cui viene detto che il suo gusto preferito di gelato non verrà più fatto, ma che potrà comunque prendere gli altri gusti. E mentre se ne sta lì, confuso sul perché proprio il gusto che piace a lui sia stato tolto, cerca di convincersi che il gelato è pur sempre gelato.
In breve, forzato e innaturale erano gli aggettivi più adatti per descrivere il modo in cui Lance vedeva quel nuovo evolversi delle cose.
Keith col suo comportamento avrebbe voluto indurre il coetaneo a fidarsi abbastanza da essergli amico, ma al contrario aveva provocato nella sirena un’onda di emozioni in cui a predominare erano lo sgomento e l’irritazione.
Inconsapevolmente e con totale ingenuità, aveva tolto alla loro relazione ciò che spingeva Lance a tollerare la sua presenza. Perché, anche se non se ne rendeva conto, dentro di sé Lance si sentiva minacciato. Quel loro giochino infantile fatto di battibecchi, era l’unica cosa che riusciva a farlo sentire un suo pari, se non superiore.
Di conseguenza, la sua reazione fu una sola.
Rabbia.
Lance non si sentiva speciale per quelle attenzioni, ma piuttosto sminuito. Chi si credeva di essere? Perché si prendeva tanta confidenza? Davvero pensava che sarebbe bastato fare un po’ il galante per farlo cadere ai suoi piedi? Si sbagliava di grosso!
La sirena poteva avvertire distintamente tutto l’ardore dentro di sé scendere e risalire lungo il suo corpo, a un livello tale che gli fu impossibile non impedire che straripasse.
Iniziò con delle semplici risposte secche, come: “no, grazie”, “non serve”, “faccio da solo”, fino a giungere a delle vere e proprie esplosioni di rabbia improvvise, sicché l’hábrók non riuscì più a controbattere, limitandosi a guardarlo andar via come un vulcano in eruzione.
Non sapeva davvero che pensare. Dal suo punto di vista non aveva fatto niente di male (e in effetti era così), eppure, invece di avvicinarli, il suo comportamento aveva avuto l’esito opposto. A quel ritmo, sarebbero passati anni prima che riuscisse a completare il suo piano, ma se la gentilezza e la tolleranza non avevano funzionato, cos’altro avrebbe potuto fare per far breccia nel cuore di Lance? Cosa gli sfuggiva? Ci doveva pur essere un modo per conquistare la sua fiducia.
Keith però era un introverso e un asociale, essenzialmente. Era abituato a stare lontano dalle persone a cui sapeva di non piacere o che non piacevano a lui. Quella era la prima volta che provava a diventare intimo con qualcuno intenzionalmente, e se già l’impresa era ardua di suo, lo era ancora di più quando si parlava di quell’esplosione di egocentrismo che era Lance.
Necessitava di un aiuto!
__
«Pidge, tu come faresti a convincere qualcuno a cui non piaci ad essere tuo amico?».
Si sentì morire dentro dall’imbarazzo nel momento esatto in cui pronunciò quelle parole. Era come se tutto d’un tratto fosse tornato bambino e chiedesse consiglio all’amichetta su normali dinamiche relazionali, ma era troppo disperato per poterci dare peso.
La ragazza distolse lo sguardo dal computer, girandosi lentamente sulla sua sedia nella direzione del collega, mentre con le dita si rimetteva a posto gli occhiali tondi. In viso un’espressione evidentemente sospettosa e stranita, vista la natura della domanda e la persona che gliela stava rivolgendo.
«…Ti senti bene?».
«……Sì? Che c’entra?».
«Ah…».
Tolto il dubbio, tornò a lavorare, un po’ scocciata.
«Se vuoi consigli di cuore, non credo di essere la persona giusta».
«Non so di che parli».
«Smettila, so perfettamente a chi ti riferisci e tu lo sai. Se vuoi sapere la mia opinione, lascia perdere. Non fa per te».
Decisamente insoddisfatto e anche un po’ offeso dal sottinteso di quell’affermazione, un cipiglio si fece spazio sul viso del ragazzo, insieme a un evidente fastidio.
Solitamente apprezzava la schiettezza e la sincerità di Pidge, ma in momenti come quello avrebbe avuto voglia di ricordarle che non aveva la palla di cristallo, il che – detto da uno che tendeva ad avere lo stesso atteggiamento – faceva abbastanza sorridere.
«Be’, immagino sia stato un errore da parte mia chiedere a qualcuno che di rapporti umani ne sa quanto un riccio di mare».
«Sai, è proprio per quella tua boccaccia che non gli piaci. E come dargli torto, credo che nella sua vita gli basti già la sua, non ha certo bisogno del tuo aiuto».
Keith serrò le labbra, mettendo da parte quell’alterco per riflettere, un po’ colpito dalla risposta ricevuta.
Effettivamente, ammetteva che non sempre usava i toni di voce più adatti e che sapeva essere spietato quando si sentiva attaccato, ma in quegli ultimi giorni gli era parso di aver tenuto a freno quel suo lato, quindi non credeva fosse quello il motivo… o forse si sbagliava? In fin dei conti, la sua era una percezione del tutto personale. Sarebbe stato del tutto plausibile se, involontariamente, avesse fatto qualcosa di mal interpretabile.
Vedendo di sottecchi l’hábrók affondare nei suoi pensieri, la collega roteò gli occhi, rassegnata ad assecondarlo. Sebbene non avesse un particolare amore per Lance e credesse che Keith non stesse affatto bene con lui, quella scena gli faceva troppa pena. Ma tu guarda che mi tocca vedere.
«Scusami, ma non ti è venuto in mente di chiedere a Hunk? Sicuramente lo conosce abbastanza bene da poterti dare dei consigli più utili di me».
Un’illuminazione attraversò la mente del ragazzo, colpendolo come un fulmine a ciel sereno.
Ma certo, Hunk!
__
Hunk non era solo il migliore amico di Lance, ma anche la persona di cui la sirena si fidava più in assoluto.
Sapevano tutto l’uno dell’altro, e il loro rapporto era tanto profondo quanto il loro affetto reciproco.
Si erano conosciuti alcuni anni prima, quando Aurora e Lance avevano deciso di nascondersi sull’isola, poco prima che Hunk prendesse in carica l’attività di famiglia.
Il cuoco ricordava ancora della prima volta in cui lo aveva visto: camminava sulla riva del mare, proprio dove le onde si increspavano, mentre con gli occhi puntava un punto imprecisato del terreno. Le spalle un po’ incurvate in avanti, i piedi scalzi che lentamente affondavano nella sabbia scura e sul viso uno sguardo perso, vuoto.
Hunk, di natura generosa, era rimasto così colpito da quell’immagine che senza pensarci si era avvicinato a lui, offrendogli un buono sconto per il ristorante di famiglia. Le labbra distese in un enorme e caloroso sorriso.
«Ciao! Se ti va, la mia famiglia gestisce il ristorante sulla spiaggia. Vieni quando vuoi, ti farò un prezzo speciale!».
A quel gesto la sirena era rimasta un po’ intontita, non sapendo bene come sarebbe stato meglio reagire, così, titubante e un po’ a disagio per tanta disponibilità, gli aveva rivolto un timido “grazie” e aveva continuato per la sua strada.
L’isolano era convinto di essere stato troppo precipitoso e che non l’avrebbe più rivisto, eppure quella sera stessa Lance si era presentato al ristorante e si era seduto al bancone interno, proprio davanti alla sua postazione di lavoro.
La loro sintonia era stata praticamente immediata. Le loro indoli, diametralmente opposte, si compensavano a vicenda, tirando fuori il meglio l’una dall’altra.
Hunk lo calmava quando andava troppo su di giri e lo spingeva a riflettere meglio sulle cose, mentre Lance lo incoraggiava a sperimentare e a mettersi in gioco senza curarsi delle conseguenze, tanto che era stato proprio lui a dirgli di ristrutturare il ristorante e farlo come piaceva a lui.
Inizialmente, il ragazzo si era mostrato dubbioso all’idea, sia per la difficoltà dell’impresa che per la rigidità di suo padre - sempre restio ai cambiamenti -, ma alla fine si era fatto trascinare e non se n’era mai pentito! Quei sei mesi di discussioni, di lavoretti qua e là per racimolare denaro e di notti in bianco passate a ristrutturare con Lance, erano decisamente valse la pena.
Loro due erano il perfetto esempio di un’amicizia che va oltre l’amicizia stessa. Erano famiglia e allo stesso tempo rifugio.
Erano equilibrio.
 
Proprio per questo, se davvero Keith voleva avere qualche speranza con Lance, la miglior cosa da fare era rivolgersi a lui, anche se il solo pensiero di chiedergli consiglio, faceva provare all’hábrók sentimenti contrastanti.
Di fatto, nonostante l’entusiasmo iniziale al suggerimento di Pidge, una volta sedutosi al bancone del ristorante, era stato pervaso da un mare di dubbi.
Come sarebbe stato meglio chiederglielo? Avrebbe dovuto uscire l’argomento in modo casuale o andare dritto al punto? E se gli avesse detto anche lui di lasciar perdere? O peggio, cosa avrebbe fatto se si fosse rifiutato di aiutarlo? In fondo, era risaputo che Hunk tendeva ad essere più suscettibile e protettivo quando si trattava di Lance. Lo aveva visto coi propri occhi, sebbene la sirena ne sembrasse ignara.
Bastava dire qualcosa di troppo in sua presenza per spingerlo a perdere la sua solita solarità, sostituendola con una palpabile freddezza e diffidenza.
Nessuno si permetteva di insultare Lance o di prenderlo in giro davanti a lui: prima di tutto, perché non volevano inimicarsi contro il miglior cuoco dell’isola, e in secondo luogo perché tutti avevano abbastanza stima e rispetto di Hunk da non volerlo contrariare.
Il fenomeno era tale che alcuni si convinsero Hunk avesse un debole per Lance e, benché Keith sapesse che la gente di quelle parti vedeva doppi sensi ovunque, anche lui si era domandato se ci fosse qualcosa di più nella loro relazione.
Ad ogni sorriso dolce, ad ogni abbraccio, ad ogni burla e ad ogni fragorosa risata che aveva visto Lance rivolgere a Hunk, si era sempre chiesto cosa avesse di così speciale quel tipo da averlo attratto a tal punto.
Non andava particolarmente fiero di questi pensieri - tanto che il più delle volte si sforzava di relegarli nell’oscurità della sua mente - ma a parte la gentilezza, non gli sembrava Hunk avesse niente di speciale. Non era neanche molto attraente, dal suo punto di vista, eppure aveva sentito Lance dire esattamente: «io ti trovo meraviglioso, Hunk».
Perché?
Continuava a indugiare su quelle riflessioni, mangiando lentamente il suo pasto un boccone alla volta, quasi fosse un automa. Gli occhi fissi sulla figura del cuoco, nell’intento di esaminarne ogni minima caratteristica.
I capelli arruffati sotto la cuffietta, la pelle scura imperlata di sudore, le mani callose e ruvide, il grembiule bianco un po’ macchiato che evidenziava le sue forme tonde, il mento squadrato, il naso a patata, gli occhietti piccoli sovrastati da spesse e folte sopracciglia; osservava meticolosamente ogni suo dettaglio, ma più lo studiava, meno riusciva a darsi una spiegazione.
Maledizione. Stava di nuovo perdendo tempo. Se non si fosse dato una mossa, avrebbe finito per non concludere niente… di nuovo.
«Senti, Hunk, posso chiederti una cosa?».
«Hm?». Il cuoco distolse un attimo lo sguardo da quello che stava facendo, mandando un’occhiata a Keith in segno di ascolto. «Dimmi».
«Riguarda Lance».
«…È successo qualcosa?».
L’hábrók si fermò un attimo, riflettendo sulle parole migliori da usare. Non voleva infastidire Hunk, né risultare patetico, ma l’intera situazione non offriva molte alternative.
«Vorrei andare d’accordo con lui. Ho provato ad essere gentile, ma ho come l’impressione che mi odi ancora di più adesso. Tu sei il suo migliore amico, quindi ho pensato che avresti potuto… darmi qualche consiglio?». Vorrei scomparire, lo giuro.
Hunk rimase in silenzio, riprendendo a cucinare con sguardo pensieroso. Sapeva perfettamente a cosa si riferiva: Lance gli aveva parlato fino alla nausea di quanto odiasse Keith e quanto il suo comportamento in quei giorni gli desse sui nervi. “Ma l’hai visto? Crede non sappia fare le cose da solo? O che sia tanto ingenuo da cascare nella sua stupida trappola? Ci vuole ben altro per abbindolarmi!”.
Aveva provato più volte a calmarlo e a fargli capire che forse le intenzioni di Keith erano buone - sebbene neanche lui riuscisse bene a capire il motivo di quel cambiamento improvviso - ma ogni suo tentativo era stato inutile. La furia di Lance era stata implacabile come non mai.
«Sai, io credo che avresti molto più successo se smettessi di aiutarlo. Perché, invece di cercare di fare le cose per lui, non provi a chiedergli di aiutarti in qualcosa?»
«Aiutarmi in qualcosa?». Lui?
«Sì, esatto! Sono sicuro che se sentisse che hai bisogno di lui, sarebbe meno ostile nei tuoi confronti».
«Ma cosa potrei mai chiedergli?». Non c’era niente, di fatto, per cui Keith avesse bisogno del suo aiuto. Era sempre stato un tipo indipendente e gli piaceva cavarsela da solo anche nelle situazioni più complicate. Chiedere aiuto agli altri non era esattamente nelle sue corde.
Hunk alzò per un momento gli occhi, pensieroso, arricciando le labbra all’insù. Le mani ancora intente a impiattare le ordinazioni. «Che ne dici di chiedergli di insegnarti a pescare? È davvero bravo, sai! Posso assicurarti che non c’è nessuno che conosce queste coste meglio di lui. Potresti imparare veramente qualcosa».
Pescare? Non era convinto. Essendo un uccello rapace, non gli era mai servito imparare le tecniche umane. Se voleva prendere qualcosa, gli bastava assumere la sua forma completa e afferrarla coi suoi stessi artigli. Perché avrebbe dovuto prendersi il disturbo di imparare pratiche così barbare come la pesca umana? Ed eravamo sicuri che Lance fosse così esperto? Da quando aveva scoperto il suo segreto, aveva l’impressione che il suo successo nella pesca fosse dovuto alla sua natura marina, e non a un’abilità innata con la canna da pesca e la rete a maglie strette (se mai le aveva usate). Però non gli veniva in mente niente di meglio, quindi tentare non gli sarebbe costato nulla. Male che vada, mi caccerà via in malo modo.
Fece spallucce, addentando un'altra forchettata. «Ci penserò».


Note dell'autore:
Finalmente ho finito il capitolo 3 XD In realtà, avrebbe dovuto avere qualche scena in più, ma poi mi sembrava il capitolo sarebbe stato troppo lungo (?). 
Hunk è il primo personaggio non protagonista di cui parlo più approfonditamente. Mi sembrava giusto spendere per lui qualche parola in più, perché è una parte importante della vita di Lance. Sicuramente, in seguito parlerò anche di qualcun altro, anche se prima vorrei scrivere di più di Lance e dell'evolversi del suo rapporto con Keith.
Grazie per aver letto fin qui ^^ 
Alla prossima <3 
   
 
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