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Autore: Bookmaker    08/12/2020    0 recensioni
Mesi dopo il festival culturale, Hōtarō ed Eru vengono invitati in una scuola di Tokyo per parlare del successo del loro club, e nonostante la riluttanza del ragazzo Eru riesce a trascinarlo con sé.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eru Chitanda, Houtarou Oreki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Colori


 
 
– Chitanda-san, io avrei un’altra domanda.
Era tutta la sera che quella storia andava avanti, e Hōtarō cominciava ad avere un brutto mal di testa. Davanti ai suoi occhi l’aula magna stava diventando sempre più sfocata, e il giovane continuava a torturarsi le dita sotto al tavolo nel vano tentativo di controllare la propria ansia. Tutta quella storia era solo uno spreco di energie.
***
Era iniziato tutto con una lettera di sua sorella Tomoe. La ragazza, come sempre in giro per il mondo alle prese con i suoi viaggi, aveva pregato lui ed Eru di recarsi a Tokyo a Natale per fare un favore a una vecchia amica. Nulla di strano, fino a qui, e Hōtarō avrebbe potuto perfino pensare di accontentare la sorella senza considerare il viaggio come una seccatura.
Come sempre, però, la richiesta di Tomoe celava un inghippo: visto il grande successo del florilegio redatto in occasione dell’ultimo festival culturale, lui ed Eru avrebbero dovuto partecipare a un seminario in qualità di relatori. In altre parole, la mite Eru Chitanda e lo schivo Hōtarō Oreki avrebbero dovuto tenere un discorso di almeno trenta minuti nell’aula magna di una prestigiosa accademia privata di Tokyo, a cui sarebbe seguita una sessione di domande libere dal pubblico. Favoloso, no?
– Oreki-san, ti prego! – aveva esclamato Eru, a cui Tomoe aveva preventivamente inviato una copia della missiva. – Non sono mai stata a Tokyo!
Eru si era sporta verso Hōtarō e aveva spalancato i suoi grandi occhi color ametista, una visione alla quale il ragazzo non sarebbe mai riuscito ad abituarsi. Aveva inspirato profondamente, fissando il suo compagno di club con uno sguardo ancor più penetrante del solito, e aveva concluso la sua frase con le parole che Hōtarō temeva maggiormente: – Io… sono curiosa!
Al ragazzo non era rimasta altra opzione che alzare bandiera bianca e accasciarsi sul tavolo dell’aula del club, mentre il suo cervello cominciava già a processare l’idea di un’intera giornata passata a Tokyo, nel frastuono di una grande città.
In realtà Hōtarō non si aspettava che un liceale sano di mente potesse essere interessato alla loro antologia, e si era recato al seminario sperando di trovarsi davanti a una platea semivuota. Aveva preso il treno delle undici insieme a Eru, in modo da arrivare a Tokyo poco dopo le due e raggiungere la loro destinazione a Shinjuku nel primo pomeriggio. Il cortile della scuola era completamente ricoperto di neve, e i ciliegi spogli chinavano delicatamente il capo sul viale che portava all’ingresso dell’istituto.
– Che bello! – aveva esclamato Eru, fermandosi per qualche istante con le mani giunte davanti al petto. Hōtarō la guardò furtivamente, ripassando più volte il profilo del suo volto sorridente con lo sguardo. Gli ci vollero circa tre secondi per accorgersi di quanto strano potesse sembrare quel suo comportamento e per rimproverarsi mentalmente per quella malsana e ridicola curiosità.
– Muoviamoci, – borbottò alla fine, sistemandosi la cartella a tracolla e cominciando a dirigersi verso l’edificio. – Il presidente del consiglio studentesco ha detto che ci avrebbero aspettato all’ingresso.
In effetti, al termine del viale c’erano tre ragazze e due ragazzi intenti a chiacchierare. Houtaro notò subito le fasce del consiglio studentesco appuntate alle maniche delle loro uniformi, e si diresse verso la ragazza che recava la scritta “presidente”.
– Buongiorno, – cominciò il ragazzo, alzando educatamente una mano per richiamare l’attenzione del gruppo. – Sono Oreki Hōtarō, lei è Chitanda Eru. Siamo…
– I rappresentanti del club di cultura classica del Kamiyama! – esclamò la presidentessa con un sorriso. – Benvenuti, vi stavamo aspettando. Io sono Tokiwa Midori, abbiamo già avuto modo di parlare per telefono. Volete riposarvi un po’ prima del seminario? La stanza del consiglio studentesco è tutta per voi, se ne avete bisogno.
– No, grazie, – la fermò Hōtarō, portandosi una mano sulla spalla e distogliendo lo sguardo. – Il mio motto è “Non fare nulla che non sia costretto a fare, e se proprio devi farlo…”
– “Fallo in fretta”, dico bene?
Hōtarō fu molto sorpreso da quella interruzione. La presidentessa evidentemente colse il suo stupore, e scoppiò in una lieve risata. – La tua fama ti precede, Oreki-san. Tua sorella…
Il resto della frase si trasformò in un brusio indistinto per Hōtarō, come una voce emessa da una radio guasta. Come sempre, Tomoe condizionava il giudizio che gli altri avevano di lui. Il ragazzo serrò i pugni, cercando di non dare a vedere il proprio fastidio, e non appena si aprì uno spiraglio nella conversazione tentò di far tornare l’argomento su un terreno meno insidioso.
– Ad ogni modo, – sospirò, – vorremmo cominciare a prepararci per salire sul palco. Il seminario è previsto tra un’ora, giusto?
– Sì, – rispose seccamente un’altra ragazza, con la fascia di vicepresidente. – Ma sicuramente finiremo col cominciare in ritardo. Spero che non sia un problema.
– Non penso, – intervenne Eru, che fino a quel momento aveva continuato a guardarsi intorno per ammirare la splendida facciata dell’edificio scolastico. – Abbiamo preso i biglietti per il treno delle sette. Per quell’ora dovremmo aver finito, no?
– Sì, – disse Hōtarō. – Il discorso non durerà più di trenta minuti, e anche tenendo conto delle domande del pubblico non credo che faremo più tardi delle sei.
– Allora è tutto a posto, – esclamò la presidentessa battendo le mani. – Entriamo, vi va? Qui fuori fa freddo!
Vista dall’interno, la scuola era ancora più bella. Non che Hōtarō non se lo aspettasse: aveva fatto qualche ricerca, ed era venuto fuori che il palazzo era appartenuto a una ricca famiglia vicina alla nobiltà imperiale, la quale dopo decenni di incuria aveva deciso di rimetterlo a nuovo e di venderlo insieme a tutti i mobili e dipinti che conteneva. L’acquirente aveva poi scelto di destinare quell’edificio ad uso scolastico, pubblicizzando quell’accademia come “il luogo di formazione della classe dirigente di domani”. Inutile dire che la retta era astronomica.
Tuttavia, Hōtarō non provava alcuna invidia per quel posto. Certo, la sua bellezza era innegabile, ma ogni volta che provava a pensarci il ragazzo finiva col soffermarsi sulle aspettative che una scuola del genere avrebbe canalizzato su di lui. Quel pensiero gli dava il mal di testa, e Hōtarō preferiva quindi tornare alla sua placida vita alla Kamiyama, lontano dalle attese degli altri.
– Questa è l’aula magna, – disse infine la presidentessa, aprendo una grande porta. – Prego, sistemate pure le vostre cose sul palco.
Mentre Eru percorreva la corsia principale del salone, Hōtarō si fermò per un attimo sull’ingresso, contando mentalmente i posti a sedere. Erano almeno duecento, e lateralmente alle file erano state posizionate almeno altre cinquanta sedie pieghevoli. In quel momento, un pensiero balenò nella sua mente, facendolo sussultare.
– Tokiwa-san, – mormorò alla fine, – è prevista molta affluenza?
– Oh, sì! – esclamò la ragazza. – Abbiamo venduto oltre duecento biglietti!
– Duecento sessantanove, per l’esattezza, – la corresse il ragazzo la cui fascia recitava “tesoriere”. – È stato un grande successo.
– Infatti, – riprese la presidentessa. – Vedi, Oreki-san, questo edificio è molto vecchio, e le stanze di molti club hanno bisogno di nuovi impianti e strumenti, soprattutto per quanto riguarda i club tecnologici. Era da tempo che cercavamo un modo per raccogliere fondi da destinare a questo scopo, e grazie a tua sorella lo abbiamo trovato.
– A proposito di mia sorella, – intervenne Hōtarō, – come l’avete trovata?
– Ma come, non te l’ha detto? – chiese Midori con un certo stupore. – È stata lei a contattarci.
***
E così, mentre le domande del pubblico continuavano a piovere su una Eru sempre più entusiasta, Hōtarō non poté fare a meno di pensare a quanta sfortuna potesse essergli caduta addosso. Dalle parole della presidentessa, Tomoe era passata dall’accademia solo casualmente, e nel suo solito ficcanasare aveva scoperto che anche i ricchi, a quanto pareva, avevano problemi di fondi. Quindi tutta la storia della vecchia amica era una bugia, e Hōtarō si sorprese a chiedersi se Tomoe avesse mentito solo a lui, o anche a Eru. Non che avesse importanza, ormai.
– Come avete fatto a rivitalizzare così in fretta un club prossimo alla chiusura?
Mentre Eru ringraziava per la domanda e si preparava a rispondere, un pensiero assurdo e maligno sfiorò la mente di Hōtarō.
“E se anche Eru mi avesse mentito?”
Il ragazzo scattò in piedi, facendo sobbalzare Eru e arrestando di colpo il lieve brusio che aleggiava nell’aula.
Seguirono diversi secondi di silenzio, durante i quali Hōtarō realizzò di aver fatto una sciocchezza. Gli sguardi di tutti erano puntati su di lui, adesso, e la stanza prese a ondeggiargli davanti in modo nauseante. Quando le persone ripresero a rumoreggiare, le loro parole arrivarono alle orecchie di Hōtarō come interferenze in un canale audio, fino a che nella sua testa rimase solo un sibilo lacerante. Il ragazzo fu scosso da un brivido, e nella sua testa rimase solo l’istinto di fuggire da quella stanza.
– Credo che Oreki-san sia la persona più indicata per rispondere a questa domanda.
La voce di Eru spezzò quel frastuono silenzioso in un attimo. Hōtarō si voltò verso di lei, rimanendo in piedi ma sciogliendosi leggermente dalla posa rigida in cui era stato bloccato fino a quel momento. Gli occhi di Eru si fissarono su di lui, e la ragazza gli sorrise con una gentilezza ancora maggiore di quella a cui Hōtarō era abituato. – Giusto, Oreki-san?
Nell’aula magna tornò il silenzio. Hōtarō prese il microfono fissato al tavolo, si schiarì la voce e rivolse un ultimo sguardo alla sua compagna di club.
– Chitanda Eru, – cominciò, – è una persona incredibilmente curiosa. Ai suoi occhi, la realtà è un insieme di piccoli eventi straordinari, nessuno dei quali dovrebbe essere ignorato. All’inizio, consideravo questa cosa una seccatura. In effetti, la mia realtà è sempre stata un luogo abbastanza grigio e piatto. Ma da quando l’ho conosciuta… la mia realtà ha cominciato a colorarsi.
– Chitanda-san è capace di trascinarti in qualunque genere di avventura. Ti dice “Sono curiosa!” ed ogni tentativo di resistenza diventa inutile. Quando mi ha chiesto di aiutarla a indagare sul motivo per cui suo zio era stato allontanato dall’istituto Kamiyama, io ho pensato che fosse uno spreco di energie, e ho cercato di liquidare la questione nel minor tempo possibile. Ma quando ho capito quanto fosse importante per lei, ho sentito che dovevo aiutarla. È stata una sensazione che non avevo mai provato, come se la sua curiosità fosse la cosa più importante del mondo e io dovessi aiutarla ad ogni costo. E quando abbiamo risolto il caso e lei ha sorriso…
Hōtarō si interruppe. L’aula magna era silenziosa, tanto che riusciva a sentire il respiro di Eru accanto a sé. Per un attimo gli sembrò che non ci fosse nessuno lì, oltre a loro due. Il ragazzo inspirò profondamente.
– Quando lei ha sorriso, ho sentito che volevo vederla sorridere ancora, e ancora, e ancora. Per cui ho continuato a farmi trascinare nelle sue avventure, e da lì sono nate nuove amicizie che hanno espanso sempre di più il nostro club. Perciò, se volete sapere perché il club di cultura classica dell’istituto Kamiyama è tornato al suo vecchio splendore, – concluse Hōtarō indicando la ragazza al suo fianco, – la colpa è tutta di Chitanda Eru.
Nella sala tornò nuovamente il silenzio. Poi, un timido applauso scaturì dalle ultime file, seguito da molti altri battiti di mani, finché tutta l’aula magna risuonò di uno scrosciante applauso. Hōtarō accennò un inchino, dopodiché si sedette e mise a posto il microfono.
– Sono curioso di scoprire quali colori mi riserva il futuro, – sussurrò, in modo che solo Eru potesse sentirlo, e allungò una mano verso di lei. La ragazza gli sorrise e la strinse dolcemente.
– Anche io.
   
 
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