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Autore: crazyfred    08/12/2020    1 recensioni
{FRANCESCO & EMMA} "La neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, del cioccolato, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé"
Prosieguo ideale della storia d'amore di Emma e Francesco, dove li abbiamo lasciati alla fine della quinta stagione. La voglia di ricominciare da zero, ma anche di non cancellare quello che è stato, il ricordo indelebile di errori da non commettere più. E chissà, magari coronare il loro amore con un nuovo arrivo...
Ma anche la storia di quella banda di matti che li circonda: Vincenzo, Valeria, ma anche Isabella, Klaus e naturalmente Huber.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 21 - Ferragosto di fuoco




 
 
"Allora Giulio … posso chiamarti Giulio adesso, vero?" il ragazzo annuì, mentre stringeva la mano a Vincenzo, uscendo dal suo studio "Speriamo di non rivederci più." "Non in commissariato ma a casa nostra sì" lo corresse Emma, che aveva voluto accompagnare suo fratello in quel giorno importante. Per Giulio, infatti, il periodo di messa alla prova era terminato e quello era l'ultimo giorno in cui avrebbe dovuto presentarsi in commissariato per adempiere all'obbligo di firma.
"Ah sì certo. Allo' tutto chiaro guagliù?" "Assolutamente commissario!" "Adesso puoi anche chiamarmi Vincenzo pure tu, basta formalismi. Siamo praticamente di famiglia."
Giulio si sentì sollevato. Tornando indietro con la memoria ai giorni in cui era arrivato a San Candido e aveva conosciuto la famiglia putativa di sua sorella, provava ancora una forte mortificazione per come si era comportato e per la brutta figura che aveva fatto fare ad Emma. Ma lei era diversa dai loro genitori: badava più alla sostanza che alle apparenze e non le interessavano affatto le dicerie e le impressioni altrui; questo per Giulio non era solo un conforto, ma anche una motivazione a migliorarsi e a sconfiggere quel malessere che sentiva dentro. Al fianco di sua sorella, sentiva meno ansia di dover sempre apparire perfetto e vincente che invece lo opprimevano quando viveva a Firenze con la madre.
Terminati i convenevoli, Giulio ed Emma fecero per  lasciare il commissariato. Prima di andar via, vennero fermati per un saluto veloce anche da Huber.
"Hai visto che bel commissariato che avete messo su, Huber? E tu che avevi tanta paura. Ora starete tutti molto più comodi" "Co-come si dice, Emma: c-chi laascia la via v-veecchia pe-per la nuova sa qu-queello c-che peerde e non s-sa qu-queello cche trova"
Emma guardava al poliziotto dai capelli rossi con affetto e divertimento. A differenza di Vincenzo, che si affannava a pretendere da lui un certo tono, riteneva che la sua presenza dava letteralmente calore e luce in un posto che generalmente è spento e severo. Era il cuore nascosto degli altoatesini, che spesso vengono tacciati come freddi e con la puzza sotto il naso.
"Francesco ti ha avvertito per Ferragosto, Huber?  Vogliamo inaugurare" disse Emma, con un tono gentile, mimando le virgolette "il maso con tutta la ciurma. Non potete mancare."
Il poliziotto la ringraziò. "Jo, danke! È bene fe-feesteggiare ora. Qu-quando nascerà qu-queesta f-fagoottina sarà più diffiicile t-trovare tempo!" "Fagottina? Huber non lo sappiamo neanche noi se è maschio o femmina" "Onkel Huber le s-seente qu-queeste c-cose. Ho avuto ci-cinque figli, ne so qu-quaalccosa di paance!"
Emma si lasciò andare ad una risata di cuore, accarezzandosi la pancia. Non aveva preferenze e l'unica cosa che le interessava è che fosse in salute, ma - superstizioni e tradizioni popolari a parte - non poteva negare una certa speranza che fosse una bambina, ma solo perché, nel suo immaginario, l'immagine di Francesco con una principessina tutta sua tra le braccia le scaldava il cuore di più di qualsiasi altra cosa.
In auto, lungo la nazionale che li conduceva verso Dobbiaco, Emma notò che suo fratello era silenzioso, immerso nei suoi pensieri. Generalmente, quando si vedevano, era un vulcano: raccontava del suo lavoro, volendo dimostrare quanto si fosse rimesso in carreggiata, ma in particolare amava recuperare quanto più possibile della vita di sua sorella, aggiornamenti sul nipotino adottivo e su quello in arrivo.
"Se sei preoccupato per il processo devi stare tranquillo" esordì Emma, gli occhi fissi sulla strada "hai sentito Vincenzo: andrà tutto bene, sei stato bravissimo in questi mesi. E ieri ho parlato anche con l'avvocato, dice che l'udienza sarà una mera formalità per archiviare la pratica"
"Avrei preferito che fosse solo Francesco a riferire all'assistente sociale che scriverà la relazione" confessò il ragazzo "ne sarei stato più sicuro".
I rapporti tra i due cognati erano ormai completamente distesi; non erano migliori amici, la differenza di età glielo impediva, ma Giulio si fidava di Francesco ed il forestale, a sua volta, complice anche il feeling istantaneo del ragazzo con Leonardo, lo aveva preso sotto la sua ala protettiva. Emma non poteva che esserne felice: non che avesse qualche dubbio a riguardo, ma conoscendo i loro caratteri credeva che i tempi sarebbero stati biblici e che entrambi ne sarebbero usciti con lividi e graffi, figurativamente parlando.
Con l'assistente sociale del Comune, invece, c'era stato, soprattutto all'inizio, qualche screzio, ma la mediazione di Francesco e di Vincenzo, nonché il suo percorso di riabilitazione, avevano calmato le acque.
"Non è di sua competenza lo sai, lui può solo riferire agli organi preposti" "Appunto, immagina quanto lo prenderanno sul serio sapendo che è mio cognato"
"Non ci sono problemi per Ferragosto vero? Puoi venire da noi?" domandò Emma, cercando di cambiare argomento, altro non poteva fare. In quella cocciutaggine, del resto, riconosceva un po' anche un po' sé stessa. "Sì, credo di sì." "Hai bisogno di distrarti un po' e credo di avere la comitiva giusta per farlo."
 
In Alto Adige, come nel resto d'Italia, a Ferragosto la vita quotidiana si ferma per un giorno, nonostante la stagione turistica sia al suo massimo e i turisti riempiano strade, ristoranti e alberghi. Lasciato ai sottoposti il compito di pattugliare e stare di guardia, i capi se ne stavano a godersi la giornata al sole e all'aria aperta ospiti dei Neri al loro maso.
Con il costume tradizionale addosso - immancabile nei giorni di festa per la famiglia Fabricetti - ed inforcato il blauer Schurz, l'irrinunciabile grembiule blu di cotone, Huber si appropriò della brace. Il padrone di casa lo lasciò fare, sia mai che l'ospite non si sentisse benvenuto.
"Ah beh!" lo canzonò Vincenzo "si è messo anche il grembiule allora la cosa è proprio seria…" "In Alto Adige, commissario" intervenne la moglie del poliziotto, con il suo marcato accento tirolese "noi diciamo che senza schurz  l'uomo è mezzo nudo! Senza, non può fare nulla." "Perdonami Karin, scherzavo … lo sai che io e Huber siamo cane e gatto, ma poi non possiamo stare separati" "Adesso hai detto una cosa giusta, commissario!" esclamò Francesco, dando una pacca sulla schiena a Vincenzo, con un'energia sufficiente a farlo barcollare per un secondo, e passandogli un braccio attorno alle sue spalle "Però è meglio che inizi a lavorare su questa delicatezza da pachiderma…non ti si addice."
In realtà nonostante le battutine sul suo abbigliamento e suoi modi di fare, Vincenzo fu presto costretto a rimangiarsi tutto: Huber era veramente il re del barbecue. L'unico inconveniente fu che, a causa del calore della brace e della piacevole compagnia, presto la comitiva perse il conto di quanti boccali di birra erano stati offerti al povero poliziotto.
"Vorrei fare un brindisi a questa bellissiiiima giornata" iniziò l'uomo quando, una volta terminate le operazioni di arrostitura, fu anche il suo turno di accomodarsi a mangiare. Le parole scivolavano lisce come l'olio, con sommo stupore di tutti. "Vorrei ringraziare Francesco ed Emma, per averci ospitati qui oggi nella loro nuova casa perché come dice il detto: amico vecchio e casa nuova"
Nonostante gli applausi e i boati di incoraggiamento volti ad interromperlo, il suo discorso continuò imperterrito, proseguendo con il ringraziare ogni singolo commensale, da Vincenzo al piccolo Leonardo, per poi passare ad una lezione sul Ferragosto.  Sua moglie si coprì il volto dall'imbarazzo. "Aveva iniziato così bene" sussurrò Isabella a sua zia. "Isa, ma ancora non hai capito che è ubriaco?!" "E cosa aspettate a fermarlo, non è bello che lo mortifichiate così. Pensa domani come starà male poverino a sapere di questa sceneggiata…" "Stai tranquilla Isa" intervenne Vincenzo, con un occhiolino "un altro paio di minuti e chell' neanche si ricorda come si chiama. Gli si scaricano le batterie e casca per terra comm'a na pera cotta"
"Ma il 15 di Agosto in Südtirol lo chiamiamo Hochunserfrauentag" proseguiva imperterrito, con i bambini che avevano abbandonato la tavola per tornare a giocare, i ragazzi con le teste sugli schermi dei telefonini, le donne che si scambiavano sguardi imbarazzati e Francesco che lanciava occhiatacce a Vincenzo, mimando di nascosto le forbici con le dita "ed è legato ad un altro avvenimento storico: quando le guerre contro i bavaresi ed i francesi facevano paura alla nostra terra, Andreas Hofer …" "Basta Huber, Andreas Hofer anche oggi no!" lo riproverò alla fine sua moglie, che si scusò con il commissario per la figuraccia del marito. Vincenzo, anche lui leggermente brillo, ma ancora in sé, lasciò correre i canti patriottici e persino di fronte a quelli separatisti che uscivano dalla bocca del suo poliziotto riuscì a non indignarsi. Ne aveva viste tante con Huber, non si stupiva più di nulla.
"Chi è Andreas Ho-" provò a domandare Leo che, come una spugna tutto assorbiva e, anche nel bel mezzo di una partita a palla avvelenata, voleva sentire e partecipare ai discorsi degli adulti. Fu prontamente zittito da Lisa, una delle figlie di Huber, che lo riportò a giocare assieme agli altri bimbi, prima che suo padre si sentisse autorizzato a raccontare tutta la storia del patriota tirolese dalla notte dei tempi.
"Forza Huber, perché non vieni a stenderti un po' sul plaid" suggerì Emma, stendendo sotto al grande castagno del giardino la coperta da picnic. Accompagnato dagli amici, Huber si stese e tempo qualche minuto, iniziò ad addormentarsi, farfugliando ancora nozioni sulla regione come fosse una guida turistica, tornando a balbettare lentamente.
"Io direi che è meglio che anche voi restiate lì con lui" suggerì Valeria a Vincenzo e Francesco, lanciando loro due bottigliette d'acqua dalla ghiacciaia "non si sa mai che avete anche voi dell'alcool in eccesso da far evaporare" "Sì anche perché qui abbiamo cose più importanti di cui discutere" precisò Emma, facendo gruppo con Valeria ed Karin "tutine, passeggini, pannolini"
"Amico mio" commentò Vincenzo, sardonico, rivolgendosi al forestale "nascondi la carta di credito. Quelle hanno tutta l'aria di volerne prosciugare un paio…"
 
Nello schiamazzo gioioso e confuso dell'allegra brigata, Emma si accorse che mancava la voce di suo fratello: si guardò intorno e non lo trovò né insieme Klaus ed Isabella, appartati vicino alla legnaia a fare i piccioncini, né insieme ai bambini che giocavano e neanche insieme ai bambini più grandi, quelli che erano finiti a giocare a carte sulla coperta da pic nic come i pensionati del paesello.
Emma radunò qualche piatto e bicchiere sporco, come scusa per entrare in casa e cercare il fratello senza destare sospetti. "Cara vuoi una mano?" si offrì Karin. "No, tranquilla…devo muovermi o prenderò la forma di questa panca" "Ma se sei un figurino …" la riprese Valeria "hai preso almeno un chilo in gravidanza?"
Emma neanche rispose a quella battuta, in quel momento aveva altri pensieri nella testa. "Bimbi vi porto qualcosa? Un succo di mela?" domandò, ma erano troppo impegnati a correre e sudare per badare a lei.
"A noi non chiedi nulla?" domandò Francesco, ironico. "Perdonami signor Neri, ti porto un po' di acqua e bicarbonato per digerire? Sai, con quello che ti sei scofanato a pranzo…" "Ho capito, Giorgi, è meglio se taccio" "Ecco bravo … meno male che voi due non lavorate più con lui" disse Emma, puntando il dito contro il commissario ed il suo vice, facendo l'occhiolino "me lo portate troppo sulla cattiva strada … tra un mese diventa papà e lo avete trasformato in un nonno"
Entrata in casa buttò uno sguardo nel soggiorno, nel bagno degli ospiti e persino nella piccola lavanderia che avevano ricavato nell'ala del maso che era, in passato, usata per gli animali,  ma di suo fratello nessuna traccia. Arrivata in cucina, lo scorse da una delle finestre, seduto sulla staccionata di quello che, prima o poi, sarebbe diventato l'orticello: per ora era solo un pezzo di terra recintato e pieno di erbe infestanti.
Sistemò i piatti nel lavastoviglie, tenendolo d'occhio. Lo vide che aspirava distrattamente da una sigaretta, lo sguardo perso nel vuoto. Quando ebbe finito lo raggiunse in giardino.
"Non buttare la cenere sue mie piante … selvatiche!" finse di rimproverarlo, ridacchiando. Lui rise con lei, mostrandole un bicchiere di plastica che stava usando come posacenere di fortuna. "Questa novità?" domandò Emma, accennando al fumo. Non voleva che passasse da una dipendenza mortale ad un'altra, più lenta e subdola della prima. "Non fumo davvero … avrò rollato 5 o 6 sigarette in un mese" spiegò Giulio, spegnendo la sigaretta: pensò non stava bene fumare al fianco di una donna incinta. "Ho questo pacchetto di tabacco con me per le situazioni d'emergenza."
Non era agitato come quando cercava di convincerla che non era drogato, era tranquillo, limpido, Emma sentiva che poteva fidarsi di lui. "E questa è una situazione d'emergenza?" gli domandò appoggiandosi di schiena alla staccionata. "Lo è sempre quando c'è troppa gente, non riesco a gestire bene la folla, mi sento sotto pressione, come se dovessi dimostrare sempre qualcosa a ciascuno dei"
Lo sapeva bene Emma da dove veniva questa ansia del fratello: i loro genitori, tanto per cambiare. Erano persone di successo che si circondavano di persone di successo: i mediocri, a loro, non interessavano. Da piccoli, ricordava, gli unici momenti in cui li sentiva attenti e vicini erano gli incontri con gli insegnanti o quando venivano messi in bella mostra i progetti scolastici: guai a tornare a casa senza almeno un distinto. Emma era diligente, studiosa, letteralmente innamorata del sapere; ma Giulio, pur intelligente, aveva bisogno dei suoi tempi e delle giuste motivazioni che i suoi non riuscivano a dargli, puntualmente finendo in affanno.
"Di là conoscono tutti la tua storia, eppure sono qui e ti stanno tutti trattando bene. Non è così?"
Annuì, un sorriso amaro. "Che c'è?" domandò sua sorella. "Sono gentili per davvero o solo perché sono tuo fratello?! Non ce l'ho con te, né con Francesco, lo sai non sarò mai grato abbastanza per quello che avete fatto per me, nonostante tutto, ma non è facile ricominciare …"
"Ascoltami bene…" gli disse, forzandolo a scendere dallo steccato e obbligandolo a guardarla dritta negli occhi "Non c'è una persona di là, che non abbia una storia difficile alle spalle da raccontare … ecco, giusto Huber forse, ma è una persona così buona che non vede il male neanche se fosse un muro e ci andasse a sbattare contro. Non sono gentili con te per pietà, né per rispetto nei nostri confronti. Mi hai capito? Mmh?" Giulio le sorrise sincero. Voleva fidarsi di Emma, anche solo perché statisticamente era lei ad avere ragione.
"È una giornata così bella, non lasciarla rovinare dai brutti pensieri. Devi iniziare a pensare al futuro. Anzi, fossi in te io inizierei a progettare cosa fare appena tutta questa brutta storia sarà finita."
"Sarebbe un problema se restassi qui? In Val Pusteria intendo… " "Perché dovrebbe?! Ne sarei felice." "Non voglio tornare a Firenze, non è un posto che mi fa bene. Qui invece mi sento a casa."
Non era la città, Emma lo sapeva bene. Lontano dai loro genitori, anche Giulio non aveva avuto difficoltà a trovare una propria dimensione in cui potersi esprimere al meglio. A San Candido, esattamente come lei, aveva trovato invece delle persone che poteva chiamare famiglia.
"Prima non lo capivo, ma ho bisogno di continuare il mio percorso in comunità" dichiarò il ragazzo "non solo ho la possibilità di rimettermi in sesto, ma posso anche pensare ad avere un nuovo inizio. Ci sono delle idee, dei progetti …"
Giulio aveva chiesto a sua sorella di non chiedergli nulla del percorso che stava facendo finché lui non fosse stato pronto ed Emma aveva rispettato questo suo pudore nella speranza di aiutarlo a venirne fuori il prima possibile. Fino a quel momento, si era limitato a raccontarle della vita al di fuori della comunità, dei lavori socialmente utili, dei corsi professionali … Emma non conosceva le terapie, le discese e le risalite che avevano provocato, anche se dagli occhi del fratello poteva facilmente scorgere e distinguere le buone giornate dalle cattive. In silenzio lo osservava e in silenzio pregava perché tutto si risolvesse.
"Davvero? Giulio sarei felicissima di poterti dare una mano per quanto possibile" "Tutto è ancora nell'ordine delle idee…non partire in quarta! Tu hai ben altro a cui pensare adesso" la frenò Giulio. Il ragazzo le avvolse le spalle con un abbraccio, ridacchiando perché ora con la pancia era difficile stringerla come avrebbe voluto e potuto dopo tanto tempo. Pensare a quanta strada lui stesso aveva fatto, quando aveva dato alla sorella dell'egoista quando stava pensando solo al bene del suo bambino, metteva i brividi anche a lui. Di solito si dice: non si riconosceva. No, lui si riconosceva benissimo; il ragazzo che era stato fino a pochi mesi prima, quello era l'estraneo.
"Innanzitutto voglio terminare l'università, potrei fare il trasferimento all'Università di Bolzano come non frequentante, rimanendo in comunità" proseguì "poi con Klaus vorremmo riaprire l'allevamento di cavalli del padre, ma in maniera completamente diversa. Con la laurea in psicologia aprire un maneggio per ippoterapia non sarebbe una cattiva idea."
"No, non lo è affatto" esclamò Emma, commossa. "Ti ho visto prima, mentre parlavate con Klaus. Non avevo idea che foste amici." "L'ho incontrato in comunità." Le raccontò che dopo il sequestro della fattoria della famiglia Moser alcuni dei cavalli sono stati portati nella comunità di recupero perché gli ospiti in terapia se ne prendessero cura ed il ragazzo si era offerto volontario per insegnare come fare. "Si è ricordato di quando sono venuto a trovarti l'anno scorso e da lì è partito tutto. Lui vuole riportare le sorelle a casa. Io voglio costruirmene una. Ci siamo trovati, ecco tutto"
Dopo un momento di imbarazzo e di silenzio, Giulio riprese: "Perché mi guardi così?"
Emma si rese conto che il suo sguardo a metà tra la commozione e l'orgoglio era più un fissare minaccioso. "È bello che tu riesca a parlare di nuovo con me liberamente. Era questo che intendevo quando sei arrivato qui e abbiamo litigato. Tu puoi dirmi tutto, lo sai vero?" "Ora lo so" "Anche se da fuori può sembrare che io abbia tanto altro a cui pensare … tu sei parte di quei pensieri, non lo scordare mai!"
Era un sollievo per Emma sapere che anche suo fratello stava costruendo una rete di persone di cui poteva fidarsi. La diffidenza era parte di quel percorso. E ci sarebbe voluto del tempo,  lo aveva visto con Francesco, ma alla fine anche lui avrebbe trovato un suo equilibrio.
 
"Non capisco perché non siano venuti con noi…" commentò Vincenzo mentre, spingendo il passeggino con dentro la sua piccola addormentata, passeggiava lungo le vie del centro assieme a Valeria. I Fabricetti, più avanti, correvano dietro ai figli più piccoli che richiedevano a gran voce un gelato.
"Abbiamo invaso casa loro per tutta la giornata e tra un mese Emma avrà un bambino…credo siano un tanto ragioni sufficienti per voler restare a casa a riposare" Valeria credeva di star spiegando l'ovvio, ma evidentemente così non era. Avrebbe anche voluto aggiungere che Emma aveva suggerito persino di lasciare la bambina da loro per avere un po' di tempo da soli ma, per quanto la cosa l'allettasse, non voleva approfittare della generosità della sua migliore amica in avanzato stato di gravidanza e con già un bambino piccolo. E poi, di serate da soli, ce n'erano diverse all'orizzonte. Eva infatti sarebbe arrivata l'indomani per prendere Mela e andare con lei in vacanza al mare per una decina di giorni. Anche per questo motivo risolse che togliere a Vincenzo la bambina, seppur addormentata nel passeggino, non era fattibile.
"A che pensi?" le domandò Vincenzo, notandola assorta. Avevano raggiunto Piazza del Magistrato, di fronte al comune dove, nell'auditorium all'aperto, la banda del paese si stava preparando per un concerto. Non era il massimo del divertimento, ma sempre meglio dei gruppi metal di lingua tedesca che Isabella aveva iniziato ad ascoltare prima che lui lasciasse la foresteria.
"Domani a che ora arriva Eva? Fate voi per le valigie?"
Vincenzo la squadrò, cercando di non dare troppo nell'occhio. Era dolcissima quando provava a restare distaccata, ma non ci riusciva: Carmela per Valeria era un vero e proprio nervo scoperto ed era contento che fosse così; non si sarebbe impegnato con nessuna che non fosse disposta ad accogliere sua figlia nella sua vita totalmente.
"Credo nel pomeriggio. Sì, ci pensiamo noi … guarda che vanno via solo un paio di settimane, eh. Anche perché poi Carmela andrà al nido…" "E chi ha detto nulla? Eva è sua madre … è libera di fare quello che meglio ritiene, purché tu sia d'accordo" "Perché devi fare così?" "Così come?" "Far finta che va tutto bene quando non è così … non usare l'armatura davanti a me, non voglio ferirti"
Valeria si lasciò andare ad un sorriso "Non è per te … non sei tu a ferirmi, anzi. Io vorrei solo proteggervi" "Da Eva?" Valeria annuì, evitando di guardare Vincenzo in volto e schiarendosi la gola. Si era accorta infatti che il sindaco si stava facendo spazio tra la folla per raggiungerli, per invitare Vincenzo, in quanto Commissario, ad andare a sedere nei posti riservati, accanto a lui, ma Vincenzo si era divincolato scaltramente usando la figlia come scusa.
"Vale …" le disse, quando il sindaco si fu allontanato, avvicinandosi a lei prendendole la mano risolutamente, costringendola a girarsi verso di lui "… Eva non significa nulla per me. È la madre di Carmela e resterà per sempre nella mia vita, ma non nel senso che credi tu. Pensavo fosse abbastanza chiaro arrivati a questo punto."
"Lo so, non è per quello … è che pensavo all'ultima volta che Carmela è rimasta da sola con sua madre per più di un paio d'ore" affermò, stavolta guardando Vincenzo dritto negli occhi. Voleva che afferrasse appieno le sue parole. Ci riuscì: l'uomo sentì per un attimo il suo cuore fermarsi e ripartire e un brivido di freddo gli attraverso la schiena. L'ultima volta che Eva aveva passato più di un paio d'ore sola con sua figlia c'era mancato poco che non ottenesse la custodia esclusiva.
Era passato un anno, solo 12 mesi, eppure sembrava una vita. Entrambi erano cambiati e non temeva più che potesse portargli via la bambina. Tra tutti, non poteva credere che proprio Valeria potesse ancora provare rancore o timore nei confronti di Eva per quella storia.
"Non penserai mica che …?" "Eva ti ha detto che verrà a lavorare in Italia?" "Chi ti ha detto questa cosa?" "Rispondimi. Te lo ha detto?" "No." "Lo annuncia sui giornali e non lo dice al padre di sua figlia … ho detto tutto."
Per alcune cose Vincenzo era straordinariamente lento, ma quando voleva sapeva fare anche più di due più due. Era chiaro perché Valeria temesse questa capatina di Eva nelle loro vite. A causa delle solite interviste di Eva, 
che a quanto pareva non aveva imparato nulla dalle brutte esperienze con la carta stampataa ai giornali scandalistici, era stata portata a credere che la donna avrebbe tentato di portare di nuovo via la bambina da Vincenzo, e quindi da lei.
Ma lo avrebbe fatto davvero? Non parlavano molto, il loro principale argomento di conversazione era Carmela, naturalmente, ma non poteva credere che fosse una donna tanto mostruosa da fargli quel torto un'altra volta, pur avendo visto e vissuto le conseguenze in prima persona.
"Senti…" sussurrò, noncurante che la musica della banda potesse coprire le sue parole, perché la mano erano già sulla guancia accaldata e tra i ricci ribelli di Valeria "sono sicuro che sono brutti pensieri, del tutto infondati. Domani le parlo. Ma ti giuro che al minimo sospetto, Mela non si muove da qui. Mmh?"
"Mi piace quando fai il duro... è una cosa che non capita spesso" rispose Valeria, umettandosi il labbro inferiore. Lo faceva sempre quando lo prendeva in giro. Avrebbe fatto uscire Vincenzo fuori di testa, un giorno o l'altro. Un attimo ragazzina fragile, quello dopo una donna indipendente e sicura di sé.
"Lo stai facendo di nuovo" le disse. "Cosa?" "Mostrarti per quella che non sei" "C'è qualche legge che obbliga ad essere solo in modo? Donzella in pericolo o tipa tosta dalle palle quadre?"
"Hai parlato con Emma" affermò Vincenzo. "Che significa?" "Pensi anche tu come lei che io sono fermo all'età della pietra, che sono un maschilista che pensa che le donne devono stare a casa  a fare la calzetta, che l'uomo porta il pane a casa e dovrei aggiornarmi" Così era stato quello l'argomento di conversazione, pensò la forestale. Sapeva che Emma non aveva peli sulla lingua e che il suo stato interessante probabilmente rappresentava una sorta di salvacondotto: difficilmente qualcuno l'avrebbe contraddetta o ostacolato nelle sue condizioni. E ci marciava.
"No, non lo penso" spiegò Valeria,  "e credo che nemmeno Emma lo pensi." Avrebbe dovuto tirare le orecchie alla sua amica, anziché difenderla, ma Vincenzo probabilmente aveva frainteso le sue parole e non era giusto che si facesse un'idea sbagliata di lei. "Ma a volte quello che fai mi spiazza, perché sai essere una persona così…giusta. Però mi piace che tu sia così complicato perché sei esattamente come me"
"Ti piace come sono?" "Mi piaci tu, commissario. Sì." confesso, questa volta guardadolo dritto negli occhi. Era la sera di Ferragosto, ma non per questo Vincenzo si senti avvampare d'improvviso: gli occhi di Valeria, fissi su di lui, gli facevano ribollire il sangue. "Magari anche qualcosa di più?!" "Magari..."
In quel momento, per loro due la piazzetta era improvvisamente vuota. C'erano solo loro e la musica della banda era una melodia ovattata lontana, come venisse da una stanza chiusa e vagamente isonorizzata. Anche la piccola Mela, nel passeggino, sembrava sparita.
Vincenzo sentiva il cuore battergli forte come quello di un ragazzino alle sue prime esperienze: Emma aveva ragione, quelle parole che aveva usato non erano state dette tanto per incoraggiamento. Lo sospettava anche lui, e quella conferma lo galvanizzava. Si sentiva pieno di vita e di energia e che fossero in una piazza gremita di gente e, possibilmente, di occhi indiscreti, in quel momento non faceva differenza. Si sentiva parte di una bolla, calma, ovattata e protetta, dove niente li avrebbe disturbati.
Valeria guardò Vincenzo negli occhi e capì che era arrivato il momento. E si sentiva piccola, ancora più piccola di quello che era. Aveva detto all'uomo che stava di fronte a lei, che non esisteva solo un lato di lei, che sapeva essere dolce ma anche forte e coraggiosa ed era arrivato il momento di dimostrarlo. Più a sé stessa che a lui. Non era il momento migliore perché accadesse, ma non poteva farci nulla: se avessero aspettato che tutto combaciasse, che il luogo, il tempo e le circostanze fossero ideali, l'occasione propizia non sarebbe mai arrivata; bisognava solo buttarsi e rischiare. A milioni di persone prima di loro era andata bene, potevano fare parte anche loro di quel novero fortunato.
Le mani di Valeria si posarono lievemente sul petto di Vincenzo e attraverso la camicia l'uomo poté sentirle tremare, seppur impercettibilmente. Con il braccio sinistro attorno alla vita la attirò a sé, così stretta da riempirsi i polmoni di quel mix fresco e deciso tra natura e caffè. Riusciva anche a distinguere il profumo che metteva tutte le mattine sul collo, dietro i lobi e sui polsi, nonostante i fumi dell'arrosto e il sudore per la giornata calda fossero appiccicati sulla pelle e sui vestiti. Valeria, invece, era concentrata sulle labbra dell'uomo, incapace in quel momento di ricambiare quello sguardo intenso che sentiva puntato addosso, quel piombo colato che si avvicinava al suo viso, man mano che Vincenzo l'approcciava, abbassandosi verso di lei. Forse per la prima volta nella sua vita, Vincenzo non si sentiva goffo e impacciato; semmai,  la sensazione quel respiro caldo, sebbene destabilizzante, lo attraeva e lo spingeva a farsi avanti. Avvolse entrambe le braccia intorno alla piccola corporatura di Valeria e incontrò le sue labbra a metà strada.
Per quanto la giovane donna avesse voluto prendere il controllo della situazione, dimezzando la distanza, già esigua, tra loro, ogni difesa cadde nel momento in cui le loro labbra si incontrarono: sembrò che  il tempo avesse rallentato la sua corsa quando le labbra di Vincenzo incontrarono le sue, mentre il suo cuore accelerò i suoi battiti. Le mani aumentarono la presa sulla camicia dell'uomo a compensare le ginocchia che sentiva deboli. Riusciva solo a pensare a quanto le labbra di lui fossero morbide contro la sua bocca, e a quanto la sua barba, ispida, la solleticasse stimolando i suoi sensi e le avesse creato, pur in poco tempo, dipendenza.
Nessuno dei due sapeva dire quanto tempo fosse passato, né se avessero attirato l'attenzione, ma nessuno dei due aveva intenzione di smettere.
Dello stesso avviso, però, non era il telefono del commissario, che iniziò a squillare nella tasca dei pantaloni.
"Lascialo suonare" esclamò Valeria, prendendo tra le mani il volto di Vincenzo, sentendolo divincolarsi. "No…dai…Vale" la riprese lui, staccandosi da lei "potrebbe essere per lavoro".
In effetti il collega lo avvertiva che c'era stato un grave incidente poco fuori dall'uscita del paese e bisognava andare a fare i rilevamenti del caso. Valeria sbuffò, protestando perché non vedeva la necessità di avere il commissario sul posto quando c'è già il vice reperibile. "Siamo una piccola stazione di polizia, se mando gli uomini in servizio, il commissariato rimane vuoto" spiegò l'uomo, provando a ricomporsi e a darsi un'aria professionale pur sorridendo.
I due si guardarono attorno, ma si accorsero che nessuno stava minimamente prestando attenzione a loro. Vincenzo affidò la bimba a Valeria, lasciandole le chiavi dell'appartamento. "Non mi aspettare sveglia, temo sarà una lunga notte" le disse, posandole un bacio sulla guancia con la mano, mentre andava via.
Sì, pensò Valeria: tra lei e i suoi pensieri, sarebbe stata davvero una lunga notte.
   
 
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