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Autore: Marydb13    08/12/2020    0 recensioni
Quattro ragazze trovano, per caso, un passaggio che collega il loro mondo a quello di certi pirati di nostra conoscenza e, ben presto, si renderanno conto che, forse, la Disney non ha raccontato proprio tutto... Metto il rating arancione per sicurezza, ma nella maggior parte della storia è da considerarsi verde.
*****
Tratto dalla storia:
"Allora è tutto a posto? Posso tornare nella mia epoca?"
"Certamente"
"Oh, grazie infinite! L'ho sempre detto che lei è una persona ragionevole!"
"Ma ad una condizione: Mr. Mercer verrà con te"
"Cosa?!"
"Ti seguirà ovunque, sarà la tua ombra e i miei occhi." quelle parole, unite alla velata minaccia nel suo sguardo, furono l'ultima cosa che udì, prima di essere trascinata via dall'uomo che l'aveva pestata nelle tre settimane precedenti.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ian Mercer, Jack Sparrow, Lord Cutler Beckett, Nuovo Personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 13- Segreti svelati
Di quando un becchino tentò di seppellire Mercer ante tempo.
 
 
Anno 2019, 31 gennaio, h 23,30
Genova, Italy (casa di Mary)
 

Due settimane erano ormai trascorse da quel fatidico giorno. Maria Vittoria non aveva più avuto occasione di confrontarsi seriamente con il suo coinquilino, che aveva ripreso a snobbarla, ma il loro strano rapporto stava migliorando a vista d’occhio. Mr. Mercer si stava lentamente abituando ai nuovi ritmi che fare da balia ad una ragazzina implicava e, anche se non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, l’idea di non dover tornare in una casa vuota dopo una lunga e faticosa missione non gli dispiaceva poi così tanto. A Port Royal tutti lo temevano e, all’infuori di Lord Beckett, nessuno aveva l’ardire di avvicinarsi a lui, a meno che non fosse stato strettamente necessario. “Lo scozzese” lo additavano gli altri soldati, invidiosi per i suoi successi e troppo codardi per parlargli faccia a faccia. E i civili non erano da meno. Come dargli torto, dato che le voci sui suoi “metodi” per estorcere confessioni ed eliminare gli ostacoli sul cammino del suo padrone erano riuscite ad arrivare persino nel “Nuovo Mondo”. Non che la prospettiva di essere circondato da un branco di codardi ed esseri inetti lo allettasse, ma restava comunque il fatto che una vita di solitudine poteva essere piuttosto noiosa.

Intendiamoci, continuava a non sopportare il suo lato infantile ed il piangersi addosso tipico dei rampolli di nobile stirpe, ma al mondo c’era decisamente di peggio. Tipo le mocciose che giravano con delle scarpe perfino più alte ed instabili di quelle settecentesche, mezze nude e con dei pigmenti in volto che avrebbero dovuto servire per farle “sembrare più belle”, ma il cui unico risultato era quello di rendere difficile il riconoscimento anche da parte dei famigliari più stretti. Oppure le donne della sua età che si atteggiavano da ragazzine cretine, invece di occuparsi della casa, dei figli, del marito e del lavoro. Perché sì, a quanto pare le donne erano così astute da aver lottato affinché, oltre ai loro già numerosi doveri, potessero avere anche il diritto a ammazzarsi di fatica in ambito lavorativo in cui si facevano il c**o quadro, ma venivano comunque discriminate dai colleghi. (Ma Mr. Mercer, non siamo più nei primi del Novecento! Nd: Mary) L’uomo aveva come la vaga impressione che le fondatrici dei movimenti a favore dei diritti delle donne avessero avuto in mente un modello di donna più simile a quello della madre di Maria Vittoria. Non l’aveva ancora conosciuta di persona, ma da quanto aveva potuto capire, era una donna di classe, intraprendente e capace in ambito lavorativo e per niente frivola o dedita ad atteggiamenti stupidi. Una donna consapevole di valere in quanto individuo e, per nulla preoccupata all’idea di dover dimostrare qualcosa a qualcuno. Una donna fiera di essere donna e di dare il meglio di sé, nell’ottica secondo cui per quale motivo si dovrebbe dimostrare di valere quanto un uomo, se tanto uomini e donne hanno già pari dignità? (Lettrici che lo guardano scioccate da un ragionamento così elaborato per un uomo del ‘700… A quanto pare, è vero il detto che viaggiare apre la mente)

Maria Vittoria, dal canto suo, aveva, involontariamente fatto delle scoperte che l’avevano portata a rivalutare Mr. Mercer e a smettere di fare incubi su di lui. In primis, il fatto (svelatole dalle sue amiche che, prima della partenza di Lucia, erano riuscite a fare un salto in camera di Beckett per salutarla e scusarsi per il loro atteggiamento egoista) che l’uomo avesse fatto una bella lavata di capo a Lucia e Francesca, raccontato che cosa aveva dovuto subire Maria Vittoria da quando aveva scelto di rimanere in prigione per loro e minacciate di morte se le avessero riferito qualcosa. Inutile dire che dopo dieci minuti lo sapeva perfino il garzone che vendeva ostriche davanti al porto… E avete presente quando Maria Vittoria era rimasta scioccata all’idea che nessuno fosse venuto a sapere del suo rifiuto in diretta da parte di Francesco? Indovinate un po’ chi gli era piombato in casa alle tre di notte, assicurandosi che avrebbe tenuto la bocca chiusa? Quando Maria Vittoria aveva sentito per caso i maschi che ne parlavano (il loro spogliatoio era separato da quello delle femmine da una sottile parete di cartongesso, che non avrebbe concesso l’anonimato neanche ad una mosca), non riusciva a crederci.

Il timore nei suoi confronti si era pian piano trasformato in una forma di rispetto-timore reverenziale, alla luce delle continue abilità che l’uomo dimostrava di possedere ogni giorno. Prima tra tutte, la conoscenza delle lingue e delle culture lontane. Se Lord Beckett era una sorta di guru per quanto riguarda le lingue morte, il suo secondo lo era nelle moderne. Inglese, Francese, Spagnolo, Portoghese, Tedesco, Russo, Olandese, Indiano, Vietnamita, Cinese, Coreano e Giapponese, solo per fare alcuni esempi. Per non parlare dei numerosissimi stili di combattimento, culture, tecniche di sopravvivenza e di navigazione che aveva avuto modo di conoscere durante i suoi viaggi come spia-sicario di Beckett.
La prima volta che si era azzardata a porgli qualche domanda sui suoi viaggi, temendo che potesse arrabbiarsi, si era già preparata spiritualmente per prendersi una caterva di botte, ma, contro ogni aspettativa, l’uomo si era limitato a pronunciare un paio di frasi in maniera fredda. Quando, poi, aveva capito che la fanciulla non era interessata ai pettegolezzi sui paesi esotici, quanto piuttosto* alla narrazione dei combattimenti e delle strategie difensive che aveva avuto modo di vedere e, perché no, anche alle avventure da lui vissute in prima persona, aveva iniziato a parlare con sempre maggior disinvoltura. Mr. Mercer aveva trovato in Maria Vittoria un’ascoltatrice attenta e paziente (cosa che faceva, tra l’altro, emergere il suo orgoglio maschile troppo a lungo represso. Del resto, per una volta che aveva una fan!) e lei aveva trovato in lui un pozzo inesauribile di aneddoti curiosi di cui andava matta. (Ed ecco fatta la perfetta simbiosi fungo-alga per dare origine ad un lichene! Nd: Fra)

Ciò non significa che fossero improvvisamente diventati due amiconi (figuriamoci), ma la convivenza aveva, certamente, trovato un suo equilibrio. E di questo Mary non avrebbe potuto essere più grata. Era certa che Mr. Mercer non si fosse dimenticato della questione “in sospeso” sulla sua identità ed ora che si era completamente rimessa, poteva aspettarsi un quarto grado da parte sua, da un momento all’altro. E l’occasione giunse proprio quella sera.
♪Isse no se de fumikomu goorain bokura wa

‹‹Stordita! Ti suona quell’aggeggio infernale!››
‹‹Chi è?››
‹‹C’è scritto chiamata dall’Aldilà. Che c***o vuol dire?››
‹‹C-come chiamata dall’Aldilà?›› domandò lei, incredula. Del resto Mr. Mercer non conosceva l’Italiano: non poteva trattarsi di uno scherzo.

♪Nanimo nanimo mada shiranu
Issen koete furikaeruto mō nai bokura wa♪


‹‹Che vuoi che ne sappia: il telefono è tuo, mica mio››
‹‹E’ un modo di dire… C’è, per caso, un’immagine sullo schermo?›› domandò lei, sperando di poterci capire qualcosa di più.
‹‹Una lapide, pare. Con sopra il tuo nome, la data di nascita e quella… di oggi. Hahaha sentito, mocciosa? Sta suonando la tua ora hahaha›› iniziò a sghignazzare lui, senza ritegno. Sì, si era decisamente sciolto rispetto ai primi giorni.
‹‹Ah, ho capito, è il signor Becchino… Però non me lo ricordavo così tecnologico da riuscire a cambiare il nome e l’immagine di un contatto su un altro dispositivo. Deve esserci lo zampino di sua nipote… Quella ragazzina è un piccolo hacker›› constatò lei, per nulla scossa, apprestandosi a rispondere.
 
*THREE MINUTES LATER*
‹‹Perché lo chiami signor becchino?›› domandò lui, stranito, quando la ragazza ebbe modo di chiudere la conversazione. Da quel che aveva avuto modo di capire “becchino” era il corrispondente dell’inglese “undertaker”.
‹‹Perché, vista la sua professione, ha fatto richiesta all’anagrafe di poter cambiare il proprio cognome da Cecchino a Becchino. Una sorta di nome d’arte, insomma hehehe››
‹‹Hmm›› si limitò a mugugnare lui, fissandola diffidente. Era evidente che quella non fosse l’unica risposta che si aspettava da lei in quel momento.
“L’ora della verità è giunta” pensò lei, tra sé e sé, mentre raccoglieva il coraggio a due mani, apprestandosi a fargli una di quelle proposte che non capita di ricevere tutti i giorni: ‹‹Avete voglia di accompagnarmi al cimitero?››
Notando che l’uomo aveva assunto un cipiglio alquanto sinistro, tuttavia, si affrettò a specificare: ‹‹Non per il mio funerale››
L’uomo parve alquanto deluso dall’affermazione, cosa che non fece altro che aumentare i timori della ragazza. Portarlo con sé in Toscana era davvero una buona idea? Non che avesse molta scelta, comunque, dati i restrittivi ordini impostigli da Cutler Beckett… Sarebbe stato un luuungo viaggio.
 
*****
 
Anno 2019, 31 gennaio, h 10,30
Paesino sperduto in provincia di Pisa, Italy (pompe funebri)
 
Ad accoglierli all’ingresso del tetro negozio, una porta costruita sul modello dell’entrata dell’Inferno e corredata di incisione sull’architrave, recante le famose parole:
Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
 
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina potestate,
la somma sapienza e ‘l primo amore;
 
dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, o voi ch’ intrate.”

Scritta non più rassicurante di quella che componeva lo slogan pubblicitario della compagnia: “Dietro le nuvole c’è sempre il sole”, con un chiaro riferimento al fatto che ciò che arreca danni ad alcuni, può giovare ad altri…
Vuoi perché non conosceva l’Italiano, vuoi perché si era convinto che il proprietario fosse “tanto fumo e poco arrosto”, non si fece minimamente intimorire. Non sapendo che cosa li avrebbe aspettati all’interno del luogo angusto, tuttavia, bloccò Maria Vittoria con un gesto e le fece segno di seguirlo mentre lui la precedeva all’interno. Ricordiamo che Maria Vittoria era abituata ad individui del calibro di Francesco e la persona più coraggiosa che conosceva era il suo maestro di Karate che, a parte gli scherzi, aveva ottant’anni. Nessuno può giudicare, dunque, se lo seguì con gli occhi a cuoricino, sospirando “Finalmente un vero uomo!”.

L’interno del loculo negozio era decisamente più moderno di quanto ci si potesse aspettare a prima vista. Passando sopra l’illuminazione cupa di cui il proprietario si serviva per mantenere l’immagine che si era creato per battere la pubblicità della concorrenza (il mos maiorum vince sempre su tutto), assomigliava in tutto e per tutto alle normali agenzie delle pompe funebri. I colori del mobilio erano di un paio di tonalità più scure del normale, ma il design era decisamente all’avanguardia. Di bare inquietanti esposte neanche l’ombra e lo stesso si poteva dire di macchie di sangue e ragnatele. Dopo una rapida analisi del luogo, Mr. Mercer si voltò verso di Mary, rivolgendole un ghigno, come per dire “pensavate davvero di poter spaventare me?”. La ragazza, dal canto suo, intuendo i suoi pensieri, sospirò pesantemente, per poi indicargli una piccola porta di legno mal messa che pareva condurre in un ripostiglio.
Maria Vittoria gli fece segno di seguirlo, dato che conosceva la strada, ma anche questa volta l’uomo volle precederla. Ah, perché non ci sono più gli uomini di una volta?

La porticina cigolante si apriva su uno stretto pianerottolo da cui scendeva una scala a chiocciola di legno tutto tarlato che, per grande gioia di Maria Vittoria che aveva il terrore delle cose pericolanti, non faceva altro che scricchiolare e dondolare ad ogni loro più piccolo movimento. Inoltre, dato che in quel lato della struttura non arrivava la corrente elettrica, i visitatori erano costretti a farsi luce con una di quelle torce antiche che si vedono nei film. Una volta giunti a metà, un congegno avrebbe fatto rovesciare dei secchi d’acqua sulla stessa, costringendoli a terminare il percorso al buio, udendo registrazioni di grida di dolore sommesse, risate diaboliche in lontananza e colpi e richieste d’aiuto di persone che avrebbero dovuto essere “sepolte vive”.
Per ovviare il problema, di solito Maria Vittoria utilizzava una torcia elettrica, ma questa volta voleva che il suo compagno potesse godersi tutti i “benefit” del servizio “I becchini di ieri, oggi e domani”. L’uomo, a dire il vero, non parve avere problemi a raggiungere la base della scala, ma la stessa cosa non si poteva dire di Maria Vittoria che, imbranata com’era, si fece metà scale rotolando come una palla da biliardo che finisce in buca. Letteralmente. Ad aspettare i malcapitati dopo l’ultimo gradino, infatti, c’era una finta fossa scavata nel terreno, corredata di scheletro finto. Davanti ad essa il famoso becchino che, travestito da medico della peste (perché, come aveva imparato, il termine “becchino” nacque proprio nel periodo della Grande Peste, per via delle maschere utilizzate per “contrastare” la malattia), si faceva trovare davanti alla fossa con una lanterna in una mano e un badile dell’Ikea nell’altra… Sì, una volta scoperta la provenienza, non faceva poi così tanta paura.

Il resto dell’ambiente era arredato con bare di ogni dimensione e colore, poste su tavolini come si vedeva nei primi anni del ‘900. E quella era proprio l’immagine che Giovanni Becchino voleva dare della sua camera mortuari: un’attività a conduzione familiare che nasceva nella seconda metà dell’800 e mirava a seguire i propri clienti ed i loro discendenti fino alla fine dei giorni. Letteralmente. Come testimoniavano i volantini, distribuiti in piccole pile ordinate sui tavolini posti accanto ad ogni feretro, vicino ai santini del defunto. Al centro, il proprietario che, con un’aria ancora più lugubre che dal vivo, guardava verso lo spettatore con uno sguardo che pareva passare oltre. La scritta sottostante recitava un versetto evangelico: “Io sono con voi fino alla fine dei tempi”, corredato di “1857I becchini di ieri, oggi e domani”.

Maria Vittoria, ripresasi dalla brutta caduta, stava giusto per riemergere dal buco, quando Mr. Mercer pensò bene che fosse il caso di finire con “Un piede nella fossa”, camminandole sulla testa e raggiungendo indenne la zona sicura del pavimento. Chiunque avrebbe potuto dare la colpa al buio, ma Mary poteva giurare che l’avesse fatto apposta per metterla ancora più in difficoltà. Preferì, comunque, rimandare il diverbio, dato che al momento la cosa che più le premeva era uscire di lì. Il signor Giovanni era sicuramente un vecchietto simpatico, ma era comunque prossimo ai novanta e, prima che gli venisse un attacco di Alza Imer, avrebbe gradito trovarsi il più lontano possibile da una fossa nel terreno. Già era caduta nel suo stesso scherzo. Letteralmente. Non aveva nessuna intenzione di “cadere” nell’altro senso del termine. Era ancora giovane ed aveva troppe cose da fare, tipo trovare Marta, decifrare la lineare A, cose del genere, insomma.
‹‹Signor Giovanni? Ha detto che voleva vedermi? Ci sono altri aggiornamenti su… SIGNOR GIOVANNI!›› l’urlo era dovuto al fatto che l’arzillo vecchietto, adocchiato un possibile cliente alto quasi due metri, l’aveva abilmente colpito con la pala dietro alla nuca, facendolo collassare a terra, privo di sensi. Non voleva assolutamente lasciarsi scappare l’occasione di vendere una bara di tali dimensioni, perché si sa, le bare su misura costano molto di più di quelle standard.

‹‹Oh, sei tu, Maria Vittoria! Da quanto tempo… e mi hai portato un amico, a quanto vedo. Un amico che frutterà un bel mucchio di quattri…››
‹‹Non si può dire che sia proprio un mio amico, è…›› lo corresse lei, pensosa.
‹‹Nessun problema allora! E se tieni la bocca chiusa ti dò una percentuale sulla vendita, che ne dici?››
‹‹Signor Giovanni!›› esclamò lei, indignata.
‹‹Pff… I giovani d’oggi, troppo moralisti per i miei gusti: e fatevela una risata!›› mise il broncio come un bambino a cui viene negato di andare a giocare al parco con gli amichetti.
‹‹Una risata, dite?›› rifletté lei, titubante ‹‹In effetti, un’idea ce l’avrei…››
*****
 
Anno 2019, 31 gennaio, h 12,30
Paesino sperduto in provincia di Pisa, Italy (cimitero)
 
 

‹‹L’era propri’un brav ragass›› (traslitterazione dialettale malamente riuscita)
‹‹Era così giovane!››
Il primo senso che Mr. Mercer riacquistò una volta rinvenuto, fu l’udito. Inizialmente le parole gli giunsero sotto forma di suoni intermittenti e sconnessi tra l’oro e poi, quando riuscì ad intenderne il senso, non capì chi le stesse pronunciando. Eppure aveva sempre goduto di un’ottima memoria da quel punto di vista.
Ancora confuso, tese l’orecchio, nella speranza di riuscire a comprendere qualcosa di più. La sua vista lo tradiva e gli arti parevano ancora intorbiditi. Al momento non riusciva a capire bene dove si trovasse e, del resto, non aveva un’idea molto chiara di cosa gli fosse accaduto. Ricordava vagamente di aver accompagnato la mocciosa a trovare un vecchietto svitato in un negozio di bare, ma poi il vuoto più totale.
La prima voce che riconobbe fu proprio quella della mocciosa: ‹‹Vabbè, dai, non esageriamo: era già sulla cinquantina›› Non l’avesse mai detto: tale frase suscitò subito il biasimo della folla, costituita prevalentemente da ultra ottantenni: ‹‹Vuoi forse insinuare che siamo vecchie?››

‹‹Ma assolutamente, ci mancherebbe… Le signore, pardon, signorine invecchia… hem, volevo dire crescono sempre più lentamente degli uomini, lo sanno tutti›› si salvò lei in extremis, vedendo già borsette, bastoni, stampelle e riviste di “Gente” arrotolate, protese minacciosamente verso di lei.
‹‹Hmm…›› mormorò la più arzilla, poco convinta. La signorina Fogliani aveva ricoperto per oltre 57 anni l’ambita carica di maestra del paese (nel dopo guerra significava essere l’unica con lo stipendio fisso, in quanto impiegata statale, e, dunque, l’unica ad essere dotata delle più innovative attrezzature tecnologiche. Tanto per fare un esempio, la televisione. La sua abitazione, diventava, quindi, per acclamazione popolare, centro di ritrovo durante le trasmissioni più in del momento, come San Remo) ed era abituata a fiutare le menzogne dei suoi sfortunati studenti.
A salvarla dall’ingrata situazione, tuttavia, intervenne il deus ex macchina… letteralmente, dato che Don Emanuele Traversa scese dalla Panda per proseguire il rito funebre. E si sa, per i credenti il prete durante le celebrazioni, benedizioni e somministrazioni dei sacramenti rappresenta Gesù Cristo, ergo Dio. ‹‹Maria Vittoria, cara, vuoi condividere con noi qualche pensiero sul tuo caro defunto?››

“Defunto a chi?” pensò Mr. Mercer, in un misto di confusione e risentimento.
‹‹Sì, certo, grazie Don Emanuele… Intanto ci tenevo a ringraziare tutti i presenti per esservi radunati con così poco preavviso. Sono certa che Ianiro Mercenario riesce a sentire tutto il vostro affetto anche nel posto in cui si trova in questo momento… SIG, SOB, SIG, SIG… Scusate, ho bisogno di un momento… il dolore è troppo forte›› si interruppe lei, con voce spezzata.
La mocciosa lo credeva davvero morto? Mr. Mercer sorrise, diabolico, al pensiero di poter udire che cosa lei pensasse davvero di lui. Quasi quasi aspettava ancora qualche minuto, prima di palesarsi.
Don Emanuele si apprestò a confortarla, passandole un fazzoletto e ponendole una mano sulla spalla per infonderle un po’ di coraggio: ‹‹Non piangere, Mary-vì1, il tuo amico si trova sicuramente in un posto migliore in questo momento››
Le sue parole, tuttavia, ottennero l’effetto opposto: Mary riprese a singhiozzare con ancora più forza: ‹‹N-non lo so… E’ proprio questo il punto! SIG, SOB! Mr. Mercer non ha condotto proprio una vita esemplare. Ha tradito, torturato tante persone… Ha perfino ucciso degli innocenti! Non ha risparmiato neanche i bambini… SIG, SIG!››
Don Emanuele, sorpreso dalla fantasia della ragazza, si divertì ancora di più a partecipare allo scherzo: ‹‹M-ma cara, devi pensare all’immensa misericordia del nostro Signore. Sono certo che il nostro fratello Ianiro, alfine, si sia pentito››
E daie con quel nome di m***a.

Anziché rassicurarla, l’uomo non fece altro che farla sprofondare ancora di più nello sconforto: ‹‹Non ha fatto in tempo… SIG, SOB, SOB! La morte, di nero ammantata (il Signor Giovanni) lo ha colto all’improvviso››
Don Emanuele l’abbraccio, lasciando che desse sfogo alle sue lacrime: ‹‹Mary-vì, non disperare: se Ianiro è diventato tuo amico, sono sicuro che nascondeva sicuramente del buono dento di sé››
‹‹L-lo credi davvero?›› domandò lei, sciogliendo finalmente l’abbraccio e tirando su col naso un paio di volte.
‹‹Ma certo, e ne sono testimonianza i bei momenti che avete vissuto insieme›› vedendo che la ragazzina annuiva, la invitò a raccontarne alcuni. Era troppo curioso di vedere fin dove la sua risaputa fantasia l’avrebbe spinta.
‹‹N-non so da dove cominciare… ci conosciamo da poco tempo, ma abbiamo vissuto così tante esperienze indimenticabili insieme›› fece lei, titubante.
‹‹Immagino che il vostro primo incontro sia stato esemplare›› l’aiutò lui, trattenendo a stento le risate. Da quando Mary-vì era diventata così brava a recitare?
‹‹E’ un ricordo un po’ confuso, sapete, io non ho una buona memoria con i volti. La prima cosa che mi ha colpito di lui è stato il suo caloroso abbraccio. Non ne ho mai sentiti di così forti e a presa sicura…››
‹‹Ti stava consolando dopo una brutta notizia, immagino›› interpretò lui.

‹‹No, stava cercando di stritolare me e le mie amiche. Il caldo era dovuto dai nostri corpi spremuti insieme e dal caldo soffocante dei Caraibi›› nel dirlo, tornò seria per un momento, per poi riscoppiare a piangere.
‹‹Oh… Ma poi vi siete chiariti, immagino. Avete avuto modo di parlare in privato››
‹‹Sì, per tre giorni è stato praticamente l’unica persona che ha rischiarato le mie buie giornate…››ammise lei.
‹‹Ah, beh, dolcissimo, direi›› fece lui, supportato dalle vecchiette.
‹‹… dato che quando apriva la porta della mia cella per torturarmi ed estorcermi informazioni che non possedevo, la luce dell’esterno mi accecava sempre››
‹‹Ah, ma quindi poi vi siete conosciti meglio e ti ha liberata? Però, che avventura! Non so perché, ma mi ricorda l’incontro tra Lucia e l’Innominato…›› l’excursus letterario dell’uomo fu rovinato dalla voce fredda della fanciulla: ‹‹No, il suo capo mi ha ricattata utilizzando le vite delle mie amiche e gli ha ordinato di sorvegliarmi 24/7››
‹‹Chi l’avrebbe mai detto… Quindi è stata la convivenza a farvi conoscere meglio ed a migliorare i vostri rapporti›› dedusse lui.
‹‹Suppongo che si possa dire così›› sorrise lei, per poi recuperare quell’aria malinconica: ‹‹Sapete, il primo periodo è stato veramente difficile: ogni motivo era buono per picchiarmi, minacciarmi e farmi finire nei guai con le forze dell’ordine. La notte non riuscivo più a dormire: ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo il suo volto sorridente mentre mi sollevava da terra e cercava di spappolarmi la carotide con una mano sola. Dicevo che dovevo rimanere in piedi fino a tardi per cucinare e studiare, ma la verità è che non avevo il coraggio di affrontarlo anche nei miei incubi>>
‹‹Ma poi…›› le disse Don Emanuele, facendole segno di continuare.
‹‹Siamo arrivati qui per parlare con il Signor Giovanni, ed è successo, beh, lo vedete anche voi… SIG, SOB, SOB!››
‹‹Cioè, ha continuato a tormentarti?›› le domandò lui, estremamente divertito dalle sue trovate per aumentare la suspence.
In tutta risposta, Mari Vittoria si arrotolò le maniche della felpa, mostrando una serie innumerabile di lividi, tagli e segni di ogni forma e colore: ‹‹Questi sono tutti di oggi… Si è approfittato del fatto che non potessi staccare le mani dal volante per seviziarmi››

Notando le ferite, Don Emanuele iniziò a nutrire qualche lievissimo sospetto sulla veridicità delle affermazioni della fanciulla. In effetti, ora che ci pensava, per quale motivo una ragazza così riservata con lei avrebbe avuto occasione di conoscere così tanto bene un uomo (con una differenza di età così elevata) da invitarlo a pernottare nella propria casa?
I suoi dubbi furono, però, dissipati da un grugnito animalesco, susseguito da “volo-di-coperchio-di-bara”, che colpì in pieno la povera fanciulla. Quest’ultima, colta alla sprovvista, perse l’equilibrio e cadde all’indietro. Se il coperchio della cassa non fosse stato “over size”, sarebbe passato tranquillamente attraverso l’apertura della fossa, facendole fare un volo di cinque metri. Fortuna volle che la ragazza atterrasse proprio sopra il coperchio, incastrandolo, così, nel bordo esterno della tomba. Il suo primo istinto fu quello di alzarsi da quel luogo instabile, ma, avvertendo un poco rassicurante tremolio della “struttura”, decise di evitare movimenti troppo veloci.
‹‹Si può sapere che diavolo stai dicendo? Cos’è tutta questa buffonata?›› le urlò lui, piazzandosi con le gambe divaricate sulla cornice dell’apertura, ad altezza della sua vita. Ora non poteva più muoversi.
‹‹Ah, ecco, i tagli mi avevano un po’ sconcertato, ma ero sicuro che fosse uno scherzo…›› iniziò a dire Don Emanuele, confortato dalle parole dell’uomo. Fu, però, costretto a ricredersi nel momento in cui quello aggiunse: ‹‹Non sono così idiota da ferirti mentre guidi. Non ho nessuna intenzione di andare giù di strada! Ora non ti ricordi più nemmeno quando ti punisco?››

‹‹C-cosa? M-ma…›› Don Emanuele sbiancò di colpo. Era tutto vero? Quel mostro le aveva fatto del male? Ma perché non l’aveva chiamato? La sarebbe andata a prendere immediatamente!
I due, però, parvero ignorarlo. ‹‹He, he, he, ve l’avevo detto che il funerale non sarebbe stato il mio›› ridacchiò lei, mentre si rigirava le parole pronunciate la sera precedente.
L’uomo non parve gradire particolarmente il commento, perché strappò la pala al becchino (non prima di ringhiargli un “Io e te facciamo i conti più tardi, vecchio!”) e fece per apprestarsi a scagliarla nella fossa e seppellirla viva: ‹‹Tu dici? Io, invece, penso proprio che sia giunto il momento di sotterrare questa faccenda. Pensavo di aspettare ancora un po’, ma questa volta mi hai veramente fatto arrabbiare››
‹‹EHHH?!?!?›› strillò lei, terrorizzata, vedendolo calare la pala verso di lei, in maniera minacciosa.
‹‹E dì pure addio alle tue amate rose rosse: non te le meriti›› continuò lui, imperterrito.
‹‹No, no, per favore! Era solo uno scherzo…››
‹‹Io, invece, sono serio››
‹‹Hey, aspetti, non può farlo!››
“Ema alla riscossa” pensò Mary, raggiante.

‹‹Da che mondo e mondo uccidere una ragazza vile, oltre che punibile sia dalle leggi umane che da quelle divine››
“Ben detto!” pensò lei, felice che il suo amico stesse prendendo le sue difese nonostante la figura minacciose ed imponente dell’uomo.
‹‹E soprattutto, è inaccettabile…››
Che faccia del male ad un innocente? Che uccida una persona senza pensarci due volte? Che un uomo maturo non sappia accettare uno scherzetto innocente?
‹‹… che non le lasci nemmeno il tempo per confessarsi. Che ne è stata della formula di rito: di’ le tue ultime preghiere?››
‹‹Cosa?›› bell’amico che era. Ma perché gli squilibrati dovevano capitare tutti a lei?
*****
Anno 2019, 31 gennaio, h 18,00
Luogo X, Italy (carcere Segretissimo)
 

*Immaginate, sempre, la voce del narratore di Fantozzi*
Maria Vittoria ed il Signor Giovanni se la cavarono solo per l’intervento disarmato (sono pur sempre sacerdoti) del seminario di ***, in provincia di Pisa, mobilitato dalla Santa Sede di Roma.
Il corpo militare gruppo sacerdotale era, infatti, finito su tutti i giornali per la storia assai particolare che li aveva visti convertirsi e prendere i voti. I dodici (“come gli apostoli”, avevano fatto notare i più credenti) facevano parte di un reparto speciale della “Folgore” e, durante una missione, il loro aereo era precipitato nel bel mezzo del deserto del Shara. Grazie alle loro incredibili abilità erano riusciti, chissà come, a fare atterrare l’aereo privato in modo tale da riuscire a sopravvivere. Feriti e completamente disorientati, erano riusciti a sopravvivere per quasi 52 ore, servendosi unicamente delle tecniche di sopravvivenza apprese durante il loro duro addestramento. Quando stavano, ormai, per perdere le speranze, il meno ateo del gruppo (perché credeva in antichissimi riti celtici), aveva recitato l’unica preghiera che ricordava dall’epoca del catechismo.

Dopo pochi minuti, sulla cima di una duna lì di fronte, era apparsa una comitiva di sacerdoti copti, che li avevano avvistati e soccorsi. Quello che ai poveretti era apparso come un miracolo, li aveva spinti alla conversione e, infine, al cambio di carriera. Congedati con onore, avevano scelto di dedicare il resto della propria vita alla cura del prossimo e, in particolare, di chi, come loro, dopo una vita poco onorevole, aveva sentito la necessità del perdono. Erano entrati, dunque, nell’ordine sacerdotale di S. Filippo Neri, che aveva fatto della Confessione l’atto più alto di servizio nei confronti della comunità. Il che significava che chiunque, per qualunque motivo, in qualunque luogo e momento poteva chiedere di essere confessato (Mica come nelle chiese moderne dove è già un miracolo trovare un confessore libero durante la messa. Nd: Mary). Anche se è vero che, conoscendo le leggende sul loro conto, era assai raro che qualcuno osasse disturbarli nel cuore della notte per motivi di coscienza. Eppure avevano affisso un cartello sulla porta del loro convitto su cui si invitava i fedeli a non farsi “problemi nel svegliarli anche nel cuore della notte, dato che loro non se ne sarebbero fatti a pestarli prima di somministrargli il sacramento”. Chissà come mai?

C’era poi chi, all’interno della comunità dei fedeli, non li vedeva di buon occhio. I complottisti, in particolare, sostenevano che non avessero perso tutti i contatti con gli ex commilitoni o che, addirittura, fossero stati inviati sotto copertura per spiare i collaboratori dello Stato Vaticano. Teoria che, in effetti, avrebbe spiegato come fossero riusciti a trovare Maria Vittoria ed altri ragazzi, quando pochi anni prima, si erano persi nella “selva oscura”, per sfuggire ad un manipolo di criminali poco sobri. (Vi ricordate le scuse che Mary affibbiava all’istruttore per giustificare le proprie assenze da Karate? Forse non erano poi così tanto campate per aria…)
Ad ogni modo, in dodici bastarono a malapena per riuscire a trattenere Mr. Mercer lo stretto necessario per permettergli di sfogare la propria rabbia prima di rivalersi sulla poveretta. Resisi conto delle sue incredibili potenzialità, pensarono bene di proporgli di unirsi alla loro causa, al che l’uomo, per poco non li mandò a benedire. (In effetti, in quanto sacerdoti… hahaha Nd: Mary. Vuoi subire la nostra ira? Nd: la banda dei dodici. No, no, ci mancherebbe… Vi prego, risparmiatemi! Nd: Mary).

Ed ora erano lì, in un luogo sperduto nella campagna Laziale, in un carcere detentivo di massima sicurezza, costruito interamente all’interno del basamento di una montagna. L’entrata, nascosta da una parete rocciosa coperta da rampicanti (manco fossimo nella giungla. Nd: tutti. Shhh! Era solo per creare un po’ di atmosfera. Nd: me), in particolare, ricordava quei film di avventura in cui l’esploratore trovava il covo segreto dell’acerrimo nemico, proprio in un nascondiglio simile a quello. I servizi segreti italiani, oltre ad essere molto abili, erano anche trash, a quanto pare.
I due, non appena arrivati, erano stati scortati all’interno da due agenti piuttosto seri e taciturni. Si vedeva lontano un miglio che erano stati costretti a farsi carico di quell’incarico ingrato. “In effetti, per due agenti di alto livello, essere degradati a dare da uscieri per una mocciosa non deve essere proprio un vanto”, si ritrovò a riflettere Mr. Mercer che, in un certo senso, sentiva di capire la frustrazione che i due stavano provando in quel momento. Del resto anche lui, seppur in un’epoca ed in un contesto differenti, si era ritrovato nella medesima situazione nel momento in cui Lord Beckett gli aveva ordinato di farle da balia. E, a proposito di mocciosi, quella che gli camminava accanto e che non aveva ancora strangolato solo perché voleva prima scoprire cosa stesse nascondendo, si era dimostrata incredibilmente taciturna. Eppure di solito non si faceva problemi a discorrere persino con gli sconosciuti, pur di spezzare i silenzi imbarazzanti. Doveva aver capito la serietà della situazione o, cosa ancora più probabile, si stava preparando mentalmente per affrontare l’interrogatorio che, di lì a poco, avrebbe dovuto condurre.

Avete capito bene: interrogatorio. A quanto pare, quando diceva di essere particolarmente interessata al caso del “secondo Jack lo squartatore”, non scherzava affatto. Non che avere a che fare con un pericoloso criminale fosse la massima ambizione della vita di una mocciosa viziata, ma, come gli aveva spiegato mentre erano in viaggio, era stata praticamente costretta a partecipare alle indagini sul recupero dei corpi delle giovani vittime. L’incriminato, infatti, sin dal momento della sua costituzione, aveva messo bene in chiaro che avrebbe parlato solo con tale Kore. Gli investigatori, non avendo informazioni sufficienti per rintracciare il possibile testimone, avevano lanciato numerosi appelli sui mas media, sperando che costui/costei riconoscesse la descrizione dell’uomo e si facesse avanti.

Data la giovane età e ingenuità estrema, tuttavia, la mocciosa in questione si era resa conto di essere coinvolta nella vicenda, solo cinque anni dopo (12 anni). Inizialmente i commissari con cui aveva condiviso i suoi sospetti non le avevano creduto, ma poi, resisi conto dell’inettitudine e ingenuità dell’individuo, avevano contattato i servizi segreti, che l’avevano portata ad incontrare il criminale in questione. Da lì era iniziato il lungo calvario che, dopo sei anni, la vedeva ancora protagonista di incubi continui sui racconti dettagliati sugli omicidi dell’uomo. La poveretta, infatti, per cercare di entrare in una forma fittizia di empatia con l’uomo, era stata costretta ad ascoltare per filo e per segno tutti i pensieri e le crudeltà commesse dall’uomo su ogni singola vittima. Solo a quel punto, lei poteva porgli delle domande per riuscire ad ottenere informazioni sul nome e l’ubicazione del cadavere e restituire, dunque, ai familiari delle vittime dei resti su cui piangere.
L’uomo, tuttavia, divertito dal suo macabro gioco, si limitava a fornirle indizi tratti dalle mitologie delle culture più antiche. La ragazza, a quel punto doveva (da sola: questa era un’altra condizione espressa dall’uomo) effettuare delle ricerche per scoprire le versioni integrali delle leggende a cui faceva riferimento e, poi, cercare di risolvere l’enigma, attraverso i verbali redatti dagli agenti competenti per i relativi casi di sparizione e le informazioni reperite sul territorio in cui era avvenuto il delitto.

E in tutto questo, seguendo la regola implicita e fondamentale del gioco: mai rivelare informazioni personali, se non attraverso richiami al mito, alla storia antica o alla letteratura. Del resto, quale mocciosa sarebbe stata felice di sapere che un sadico assassino conosce il suo nome, cognome e indirizzo di casa? A volte le sbarre di una cella non paiono abbastanza per scongiurare l’immagine di un incubo.
I pensieri dell’uomo furono interrotti dalla voce di una delle guardie che, con una freddezza invidiabile, si raccomandarono: ‹‹Ricordate di non mostrare emozioni, non sbilanciarvi con giudizi positivi o negativi nei confronti del suo operato. Non distogliete mai lo sguardo: lo prenderà come un sintomo di debolezza. Non rivelate i vostri veri nomi, e parlate sempre nel codice concordato. Quando vi rivolgete a lui dovete chiamarlo…››

‹‹Orione›› la tranquillità con cui Mr. Mercer pronunciò quella parola, spiazzò completamente la ragazza, che non riusciva a comprendere come avesse fatto a capirlo. Non gliene aveva mai parlato fino ad ora e, a dire il vero, l’unica volta in cui aveva raccontato quel brutto episodio della sua infanzia, era stato durante la prigionia di Port Royal. Fece mente locale, cercando di ricordare i volti delle persone presenti in quel momento, ma l’immagine di Mr. Mercer proprio le mancava. I tre bambini, le sue amiche, Elisabeth, il governatore che era arrivato verso la fine, i prigionieri, la colonna che rideva, le due guardie in servizio… La colonna che rideva? “Vuoi vedere che non me lo sono sognata?” pensò Maria Vittoria, prima di girarsi verso l’uomo e domandargli, scioccata: ‹‹V-voi, eravate voi? La colonna che rideva, quella sera… eravate voi!››
‹‹Di cosa stai parlando?›› domandò lui, confuso dal suo ennesimo sproloquio.
‹‹La seconda sera a Port Royal, quando ho raccontato le mie due scemate per calmare i bambini, ci stavate spiando?›› formulò, finalmente, una frase di senso compiuto.
‹‹Bene. La tua piccola testolina allora ogni tanto funziona›› ghignò lui, per poi superarla ed entrare in ascensore, al seguito delle guardie.
‹‹M-ma voi…›› borbottò lei, profondamente imbarazzata dalla situazione. Le aveva spiate per ore fin dal loro arrivo a Port Royal e, oltre ad averle fissate anche mentre dormivano, aveva udito tutti i loro sproloqui. Non c’era da stupirsi se la riteneva una mocciosa… Che figura!
 
*THREE MINUTES LATER*
Ad accoglierli davanti alla porta della sala interrogatori, un agente che, fortunatamente, aveva un’aria un po’ più gioviale (e soprattutto di bell’aspetto! Nd: Mary. Perché secondo te con tutte le belle donne che avrà intorno viene a guardare te? Nd: Mercer. Talvolta sognare non costa nulla. Nd: Mary).
‹‹Maria Vittoria!›› la salutò subito lui, sfoggiando un bel sorriso sincero. Come facesse a mantenere quell’aura allegra, con tutte le confessioni brutali a cui doveva assistere, era davvero un mistero.
‹‹Buona sera, Signor Esposito››
‹‹Ancora con quel signor? Andiamo, ci conosciamo quasi da sei anni… e poi non sono mica così vecchio!›› fece il finto offeso.
‹‹E io come al solito le rispondo che quando ci siamo conosciuti io avevo solo 12 anni. E poi mi sembrerebbe maleducato dare del tu ad una persona che potrebbe essere mio padre›› lo prese in giro lei.

‹‹Eddai, Maryyy, non abbiamo così tanti anni di differenza!››
‹‹Mr. Mercer, quanti figli hanno in media gli uomini a 22 anni?›› domandò lei, approfittando del fatto che nel ‘700 le coppie si sposavano molto prima. Certo, di solito erano le ragazze a sposarsi in giovanissima età, ma comunque i casi di giovanissimi accasati non erano poi così rari.
‹‹Legittimi o non?›› volle precisare, con fare serio. Perché non riusciva mai a capire gli scherzi?
‹‹Legittimi, Mr. Mercer, legittimi (o, almeno, voglio sperare)››
‹‹Tre o quattro, senza considerare i gemelli›› mentre proferiva il suo verdetto, badò bene di lanciare un’occhiata significativa all’uomo, quasi a voler dire “quindi tieni le tue manacce lontano dalle mocciose ingenue, fallito!”. A sua discolpa possiamo dire che, nella società di fine ‘600 in cui Mr. Mercer era cresciuto, le persone tendevano ad apparire quasi sempre serie e composte. Gli unici a dimostrarsi così apertamente amichevoli erano prevalentemente individui privi di scrupoli pronti ad approfittarsi dell’ingenuità di fanciulle di buona famiglia, per il proprio tornaconto personale.
‹‹Come siete crudeli!›› gli rispose l’agente, facendo la scena madre. Notando gli sguardi severi dei due colleghi che li stavano fulminando con lo sguardo, tuttavia, si decise a recuperare un minimo di contegno: ‹‹Hem, … che ne dite se iniziamo ad entrare? Prima iniziamo e prima finiamo››

Maria Vittoria, tornata improvvisamente seria, annuì piano, per poi attraversare la porta che l’uomo le stava galantemente tenendo aperta. Fece per fare lo stesso gesto anche per Mr. Mercer, ma l’occhiata di fuoco che quello gli rivolse, lo spinse ad alzare le mani in stile “mi arrendo” e a precederlo, ridacchiando con fare nervoso.
Esposito, notando l’espressione sempre più seria della ragazza, le si avvicinò e le bisbigliò: ‹‹Se non te la senti, possiamo aspettare un attimo, oppure provare domani. Non sei costretta a farlo, lo sai?››
‹‹Tranquillo, ho avuto solo un momento…, ma ora sto bene, grazie. Posso farcela›› gli rispose, facendo del suo meglio per sfoggiare un sorriso tirato. Anche se il signor Esposito era gentile con lei, sapeva perfettamente quale fosse il suo ruolo all’interno della vicenda. Non poteva tirarsi indietro di fronte ad una richiesta esplicita da parte dei servizi segreti, neanche se ne fosse andato della sua vita. E questa consapevolezza, se possibile, la opprimeva ancora più della situazione in sé. Per non parlare del fatto che, in tutti quegli anni non aveva potuto farne parola con nessuno, ad eccezione della psicologa offertale d’ufficio dall’agenzia. Non che le fosse stato vietato, ma, sapete, quale persona sana di mente crederebbe mai ad una storiella del genere? Perfino i suoi genitori, quando aveva provato a metterli al corrente, l’avevano completamente ignorata, preferendo guardare il derby Milan-Inter.
Non ne aveva parlato nemmeno con le sue migliori amiche, temendo che queste potessero pensare che si inventasse delle storie assurde solo per attirare l’attenzione. E poi, loro avevano già i loro problemi a cui fare fronte: non aveva il cuore di caricarle anche del proprio fardello.

A volte aveva fantasticato sulla possibilità di raccontare tutto a Francesco e che questo decidesse di accompagnarla in questa grande avventura. E che magari, lavorando insieme, la loro amicizia si trasformasse in qualcosa di più… (Non giudicate, okay? Ero pur sempre una ragazzina con gli ormoni a mille! Nd: Mary) Ciò che non si sarebbe mai aspettata era che la prima persona che le avrebbe offerto sostegno in quei momenti bui sarebbe stato proprio Mr. Mercer. Come rovinarsi il mito del principe azzurro a 19anni.
Scherzi a parte, l’idea che a casa ci fosse qualcuno a sostenerla mentre si preparava ad affrontare momenti delicati come quello, la faceva sentire in qualche modo più sollevata. Era vero che non si poteva dire che i due avessero un vero rapporto, ma sapere di avere il progenitore di Steven Seagal, Arnold Schwarzenegger e Silvester Stallone dalla sua parte, la confortava parecchio.
‹‹Piccola Kore? Bentornata!›› la voce palesemente finta dell’uomo la distolse dai suoi pensieri. Era incredibile come, a distanza di anni, riuscisse ancora a farle gelare il sangue nelle vene sin da subito.

Istintivamente, alzò lo sguardo che, fino ad allora, aveva tenuto incollato al pavimento ed i suoi occhi furono immediatamente incatenati in quelli dell’uomo. Orione (così si faceva chiamare) non doveva avere più di 45 anni e, se non fosse stato per l’aura maligna che lo circondava e la luce folle che si specchiava nei suoi occhi, avrebbe anche potuto essere definito un bell’uomo. Un uomo estremamente abile, intelligente, ricco di qualità, ma che aveva scelto di percorrere la via delle tenebre. I capelli, metà bianchi e metà neri e gli occhi, uno rosso e l’altro nero come la pece, parevano riflettere la duplice potenzialità impressa dalla natura nel suo animo.
‹‹E non sei sola…›› la presenza di Mr. Mercer doveva averlo infastidito.
“Che c’è, cacciatore, non sei abituato a confrontarti con delle persone forti? Eppure mi sembrava che con le donne e le ragazzine indifese non ti facessi tanti problemi” se non le fosse stato vietato di attaccarlo apertamente o giudicarlo, glielo avrebbe gridato in faccia.

‹‹Chi è?›› le domandò subito lui, in maniere quasi difensiva. Il cacciatore odiava non avere tutto sotto controllo, e non conoscere il nome e la storia di chi gli stava davanti lo mandava completamente in bestia. Cercava di dissimularlo, ovviamente, ma il fatto stesso che stesse ponendo la domanda a lei, di cui riteneva di conoscere già tutto, ne era la prova evidente. Un uomo che si credeva onnipotente, degno di giudicare se una persona dovesse vivere o morire, ma aveva paura di ciò che non conosceva. Lo stesso meccanismo del “raccontare per miti e favole”, che a prima vista poteva apparire come un semplice gioco macabro, altro non era che uno stratagemma per avere l’illusione di possedere una persona attraverso la sua storia.
‹‹Risponderti e rovinarti la magia della storia? Se mi conosci così bene come dici, non avrai problemi a capire di chi si tratta›› il tono della voce non risultò tagliente come avrebbe voluto, ma era già un miglioramento rispetto all’agitazione che la coglieva di solito durante gli interrogatori. L’idea di confonderlo con la presenza di un uomo praticamente incapace di manifestare emozioni stava dando i suoi frutti.

Orione non si scompose minimamente, c’era d’aspettarselo. Si limitò a sfoggiare un sorrisetto sadico ed a confermare: ‹‹Sì, sono bravo con le storie››
‹‹Ma non siamo qui per parlare della storia del mio accompagnatore›› cambiò argomento lei, sperando di riuscire a sfruttare la curiosità dell’uomo a proprio vantaggio ‹‹Che cosa mi sai dire di questa ragazza?››
L’uomo diede una veloce occhiata alla fotografia mostratagli dalla sua interlocutrice, ma non parve ritenerla di particolare interesse, dato che riportò subito la sua attenzione su Mr. Mercer.
‹‹Allora?›› lo incalzò lei. Quella sera non aveva nessuna intenzione di assecondare i suoi giochetti.
Orione dovette notare la sua impazienza, perché rifocalizzò la sua attenzione su di lei: ‹‹Perché non me lo dici tu?››
‹‹Marina De Gasperi, 19 anni, con due fratelli a carico di 11 e 7 anni. Frequentava il quinto anno al liceo artistico e sognava di diventare una disegnatrice di fumetti. Giocava a pallavolo da 14 anni ed era appena stata selezionata per entrare a far parte della squadra nazionale, quando i suoi genitori sono venuti a mancare. Ha smesso di giocare per sfruttare tutte le ore libere per lavorare come cameriera in un locale per mantenere sé stessa ed i due fratelli. E nonostante il dolore e le grandi difficoltà non ha mai perso il sorriso. Sorriso che i suoi fratelli, gli amici, i compagni di classe ed i conoscenti continuano a ricordare anche a 10 anni dalla scomparsa. E che il suo assassino non si è fatto problemi a cancellare. Ti dice niente?›› il teatrino era appena iniziato e lei stava già perdendo la pazienza.

‹‹No, non mi dice niente››
Udendo la risposta, Mary serrò i pugni e dovette contare fino a venti, per evitare di perdere la calma e strangolarlo. Sapeva perfettamente dove voleva andare a parare e sapeva anche che l’unico modo per riuscire ad ottenere le informazioni che le servivano era assecondarlo. Sbuffando pesantemente, estrasse dalla cartellina che le aveva dato il Signor Esposito una seconda immagine.
Curioso dalla strana reazione avuta dalla mocciosa, Mr. Mercer si azzardò a lanciare un’occhiata veloce alla fotografia e dire che rimase di sasso era un eufemismo. La donna, se così si poteva definire l’ammasso di carne insanguinato di cui non si distinguevano più nemmeno gli arti, era assolutamente irriconoscibile. Nella sua vita gli era capitato di vedere molti cadaveri brutalmente seviziati, ma mai una cosa del genere. Persino le carcasse divorate dalle bestie selvagge avevano un aspetto migliore di quello. Quello non era un semplice assassino: era un folle, una bestia completamente priva di controllo.
‹‹Ora ti viene in mente qualcosa?›› come riuscisse ancora a mantenere un tono apparentemente calmo era un mistero anche per lei stessa.
‹‹Mhh, forse. Puoi essere un po’ più specifica?››
Maria Vittoria dovette dare fondo a tutte le sue riserve di pazienza e autocontrollo per evitare di prenderlo a schiaffi. Se voleva sapere dove trovare i resti di quella poveretta doveva sottostare alle sue regole: ‹‹Qual è la sua storia?››

Udita la domanda che tanto agognava, prese a raccontare, mentre contemplava la foto, come se si trattasse di un’opera d’arte: ‹‹Ah, quanti ricordi… Così giovane, sorridente, dolce con i bambini, eppure così… odiosa. Una donna che passa il 95% del suo tempo fuori casa, che rifiuta tutte le generose offerte di matrimonio degli amici di famiglia, nonostante l’insistenza dei parenti che volevano solo garantirle una sicurezza economica. Si credeva indipendente, superiore a un uomo… li sfidava addirittura! Proprio non sapeva quale fosse il suo posto, ma io sono stato così magnanimo da insegnarglielo...››
Per un attimo Mr. Mercer pensò che sarebbe esplosa. Sapeva bene cosa Maria Vittoria e buona parte delle persone della sua epoca pensassero di chi faceva discorsi di questo tipo. E lui stesso, per quanto si rifiutasse di ammetterlo apertamente, si rendeva conto che in una società del genere una distinzione di ruoli così rigida tra uomo e donna era, ormai, impensabile (per non dire ridicola). Fu dunque a dir poco sorpreso, nell’udire il tono assolutamente apatico con cui la ragazza gli si rivolse di nuovo: ‹‹Generoso da parte di uomini dell’età di suo padre di proporsi ad una diciannovenne e di ricattarla pure››
‹‹Vero?›› ghignò lui, maligno. Se solo avesse potuto strangolarlo
‹‹Ti piacerebbe sapere che cosa le ho fatto?›› perché sembrava il tono di un genitore in procinto di raccontare una storia della buona notte?
‹‹Molto›› sussurrò lei, riuscendo ancora una volta a mantenere il controllo.
‹‹Non sai quanto ciò mi renda felice, piccola Kore!›› la luce folle che brillava nei suoi occhi l’avrebbe sicuramente perseguitata nei sogni almeno per i prossimi tre mesi.

*Il racconto sui dettagli è tagliato per ovvi motivi*
‹‹Allora, ti è piaciuta la storia?›› osò domandarle, dopo averla costretta ad ascoltare quasi tre ore di dettagli macabri su azioni altrettanto macabre ai danni di una povera ragazza innocente.
‹‹Molto›› rispose lei, meccanicamente, pronunciando la parola che, da sei anni a questa parte, le era stato insegnato a pronunciare in oltre 127 interrogatori. I suoi occhi gridavano “pietà”, ma il suo cervello la costringeva a rimanere in piedi, inflessibile ed imperturbabile.
‹‹Sono felice di esserti piaciuto, piccola Kore… o forse dovrei iniziare a chiamarti Persephone. Se Hades ti accompagna, non sei più una bambina›› volle insinuare lui.
Notando la strana luce dei suoi occhi, si affrettò a stroncare il suo discorso: ‹‹Non è Ade››. Già al secondo anno in cui aveva iniziato a lavorare al caso, gli agenti l’avevano ammonita riguardo a possibili domande di questo genere. L’uomo aveva deciso di costituirsi dopo averla identificata come Kore: se avesse anche solo avuto il sospetto che era cambiata o cresciuta, non avrebbe più collaborato.

‹‹Sei ancora la mia piccola Kore?›› la domanda, posta quasi di getto, sconvolse la ragazza. Era davvero così importante per le sue macabre fantasie sapere se lei fosse un personaggio mitologico piuttosto che un altro? E poi se pensava che le fosse Kore, non doveva essersi già messo con il cuore in pace, sapendo che era destinata a diventare Persefone?
‹‹Sì›› si costrinse a rispondergli. Ed in effetti, pensando alla sua vita in chiave metaforica, si poteva dire che lei fosse ancora una ragazzina ingenua, nonostante l’età.
La risposta parve rassicurarlo, perché, dopo un pesante sospiro di sollievo, riacquisì la solita espressione da “schiaffi”.
‹‹Allora, qual è il nome di questa ragazza?›› prima avrebbero saputo a quale personaggio mitologico si riferiva e prima avrebbero saputo dove trovare il corpo.
‹‹Mpf, così però non è valido, piccola Kore: io ti ho già raccontato tutta la storia e tu non mi hai ancora raccontato niente del tuo accompagnatore…›› fece il broncio lui. Tre anni.
‹‹Ma se io te lo dico, tu poi non mi dirai il nome che mi serve›› le fece osservare lei, perfettamente impassibile.
‹‹Che cosa proponi, dunque?›› le domandò lui, divertito dalla piega che stava prendendo la situazione.
‹‹Io ti racconto come l’ho conosciuto, ma non ti rivelerò quale dei numerosi personaggi che ho incontrato sia finché non mi avrai dato l’indizio››

Ci fu un attimo di silenzio in cui Maria Vittoria temette che l’uomo si rifiutasse di parlare. Era già capitato in passato, ed ogni volta aveva rallentato le indagini per mesi. E lei un ritardo questa volta non poteva proprio permetterselo. Già Lord Beckett non sarebbe stato affatto felice di sapere che una volta ogni due mesi si doveva recare così lontano dal punto di contatto tra le due epoche, figurarsi se avesse dovuto tornare in Lazio tutte le settimane per sette o otto mesi.
La risata del cacciatore fu uno shock per tutti. Stava seriamente ridendo?
‹‹Sei proprio sicura di essere ancora Kore? Non è da te cercare di contrattare con me…››
‹‹Sono piena di sorprese›› si limitò a commentare lei, ancora a dir poco scioccata per l’evolversi della situazione.
‹‹Inizi a ricordarmi la ragazza della foto. In effetti, ora che ci penso anche tuo padre cerca continuamente di maritarti, sebbene tua madre continui a ripetergli che sei ancora una bambina. Per non parlare delle continue proposte di matrimonio che ricevi dai tuoi coetanei e non››

Per un attimo le si gelò il sangue nelle vene. Come faceva a sapere dei tentativi di matrimonio combinato di suo padre e dei suoi amici nobili?
‹‹Non è che la piccola Kore si è stufata di farsi difendere da Demetra ed ha deciso di sfidare i propri pretendenti in corse (truccate) come Atalanta?››
Ah, okay, stava parlando ancora del mito… Che infarto! Svelato il mistero, si affrettò a negare: ‹‹Per carità, gli sport violenti e faticosi sono cose da maschi! Io preferisco di gran lunga dedicarmi al punto croce d’estate e alla maglia d’inverno›› Non invito i ragazzi, che mi chiedono di uscire solo per “portarmi a letto”, a Karate, promettendogli che uscirò con loro solo se mi batteranno in combattimento dopo la lezione. E Marco-sensei non è d’accordo con me e non li malmena talmente tanto che, quando arriva l’ora della verità, non riescono nemmeno più a reggersi in piedi e devono dare forfait. No, no.
La cosa inquietante era che, pur vedendola una volta ogni tre mesi, in una stanza da interrogatorio nascosta sotto terra, riusciva sempre ad individuare dei racconti che descrivevano alla perfezione la sua vita. L’ennesima prova che, se avesse scelto di sfruttare la sua intelligenza fuori dal comune per buone cause, avrebbe potuto aiutare davvero l’umanità a progredire. E invece aveva dovuto fare come Luke Skywalker, che pur essendo perfino più potente del maestro Yoda nella forza, aveva dovuto passare al lato oscuro. Mannaggia a lui!
‹‹Allora, questa storia?››

‹‹In cambio di?›› domandò lei, con fare furbo.
‹‹Non abbiamo forse concordato che ti avrei rivelato il nome della ragazza?››
‹‹Il patto era che tu mi avresti dato un indizio dopo il mio racconto. Quindi la carta Atalanta te la sei già bruciata››
‹‹Non ti sfugge niente hahaha›› ridacchiò l’uomo, per poi concludere: ‹‹E sia, ti rivelerò anche un altro nome, ma senza indicarti la fotografia. Starà a te indovinare la sua storia››
‹‹Ma ci saranno ancora cinquanta donne di cui non sono ancora stati individuati i resti! E’ praticamente impossibile che io riesca ad interrogare familiari e amici di tutte quante anche a distanza di vent’anni›› gli fece notare lei, sconsolata.
‹‹Abbiamo concordato un indizio soltanto e poi, se ti aiutassi troppo che gusto ci sarebbe? E’ da un po’ che desidero metterti alla prova per valutare se hai appreso bene i miei insegnamenti, hahaha››
‹‹Non mi hai insegnato proprio un bel niente›› gli ringhiò immediatamente lei. Al diavolo il protocollo: se pensava che sarebbero bastati dei racconti aberranti per trasformarla in un’assassina si sbagliava di grosso.
‹‹Lo vedremo. Lo vedremo.›› le sorrise lui, malignamente, per poi incoraggiarla: ‹‹Allora, questa storia?››

‹‹Mi trovavo al fiume a fare il bagno con le altre ninfe ed a giocare a palla, mentre spettegolavamo (Reality: pigiama party a casa di Francesca, partitone di monopoli e “spetteguless”)››
‹‹Una volta uscita dall’acqua, ho visto un fiore meraviglioso e non ho saputo resistere alla tentazione di coglierlo. Non appena l’ho fatto, tuttavia, una forza sovraumana mi ha trascinato di sotto terra e il varco che si è creato mi ha condotto nel regno dei morti (Reality: arrivate a casa di Mary, quest’ultima si è insospettita per i rumori provenienti da sotto il letto ed ha cercato di indagare. Mr. Mercer, però, l’ha trascinata sotto il letto, in un varco dimensionale che conduce, per l’appunto nel passato. E, a rigor di logica, si può dire che, essendo tutti i Settecenteschi già morti da secoli, si tratti proprio di un regno di morti)››
‹‹Là ho incontrato Hades, il signore di quelle terre che, dopo una breve permanenza, ha stretto un patto con mia madre, Demetra (Reality: Lord Beckett, che controlla Port Royal ed ha ormai il dominio di tutti i mari, dopo la prigionia di Mary ha parlato con la madre al telefono)››
‹‹Sarei rimasta nell’Ade per tre mesi all’anno, corrispondenti al numero di semi di Melograno che avevo mangiato, inavvertitamente, aiutando Hades nei giudizi ai dannati e tenendogli compagnia nelle lunghe notti del suo regno. Per il restante, avrei potuto tornare sulla Terra e riprendere la mia vita di tutti i giorni (Reality: i 3 semi di melograno che la tengono legata al ‘700 sono le sue amiche, i giudizi ai dannati sono le “grazie” che Mary riusciva ad ottenere per bambini, donne e ragazzi che riusciva a salvare dalla forca, le notti sono lunghe perché si riferiscono alle notti insonne di Mary e Lord Beckett durante le loro sedute di studio mattissimo e disperato)››

‹‹Durante la mia prigionia ho incontrato Caronte, che mi traghetta sempre tra il Regno dei vivi e il regno dei morti (Reality: Mr. Mercer che la trascina sotto il letto per i capelli), Argo dai cento occhi (riferito alla frase di Beckett: “ti seguirà sempre: sarà i miei occhi e la tua ombra), Thanatos (Reality: Mr. Mercer è il suo assassino, nonché più fedele collaboratore), Hypnos (Reality: Mr. Mercer la tormenta anche nei suoi incubi), Cerbero, guardiano che devo sempre rabbonire con le mie focacce (Reality: Mr. Mercer che cerca di corrompere col cibo) e le tre furie, che mi hanno tormentato nei primi giorni di prigionia, ma con cui poi ho instaurato una splendida amicizia (Reality: Tommy, Charlotte e Edward)››

‹‹Ci sono stati anche diversi colpi di scena. Un dannato piuttosto bellicoso ha tentato di trapassarmi il cuore con una spada e, se non fosse stato per il pronto intervento di Hades e di Thanatos, non sarei qui in questo momento (Reality: stessa scena sull’Olandese volante). Un’altra volta, la ninfa Menta ha attentato alla mia vita per questioni poco chiare. Sosteneva, infatti che il suo abbandono e le numerose sventure che l’avevano colpita fossero state causate dalla mia persona, anche se sono abbastanza certa di non aver avuto alcuna responsabilità al riguardo (I tentativi di omicidio colposo di Francesca, che l’aveva accusata di aver “montato” i pirati con le sue storie assurde, spingendoli fino al punto di sacrificarla ad un Kraken)››

‹‹Quell’infame del giardiniere, Ascalafo se non ricordo male, ha fatto la spia, raccontando a Lord Hades che avevo mangiato due semi di Melograno (Reality: James Norrington che racconta delle presunte morti di Marta e Lucia, i due semi di melograno). E tutto questo mentre Menta attentava senza sosta alla mia vita e quel disgraziato di Thanatos mi teneva ferma. E tutto questo solo perché era più bella e più donna di me. Quando gli ho chiesto che cosa intendesse, ha avuto il coraggio di rispondermi che me lo dirà quando sarò più grande. Ma ho già quasi 19 anni, dico! (Reality: stessa scena con Mr. Mercer al posto di Thanatos e Francesca al posto di Menta››

‹‹Ma c’è stato anche chi ha mostrato un minimo di compassione ed ha provato ad aiutarmi, a differenza di mio padre Zeus che, come al solito, lascia sbrigare tutto a mia madre e perde le sue giornate correndo dietro a donne più giovani che vogliono solo il suo potere (Reality: esattamente tale e quale a suo padre). E del mio amore platonico di una vita, Apollo, che sollazzandosi tra una bella mortale e l’altra, non si è minimamente accorto della mia assenza. E dire che pochi giorni fa, tra l’altro, mi ha fatto intendere che se decidessi di scendere a compromessi su un certo aspetto della mia morale (che ha a che fare con cose che andrebbero fatte solo dopo il matrimonio), ci farebbe anche un pensierino a mettersi con me. Ma che onore, non aspettavo altro! (Reality: esattamente tale e quale a Francesco)››

‹‹L’ha detto davvero?›› volle indagare Mr. Mercer e anche Orione, che se la stava ridendo da quando aveva iniziato a parlare, drizzò le antenne.
‹‹Già›› confermò Maria Vittoria, ormai completamente rassegnata a rimanere zitella a vita e a non avere mai nessun uomo che le regalasse una rosa rossa il giorno del suo compleanno.
“Buono a sapersi” pensò Mr. Mercer, mentre faceva scrocchiare le nocche delle mani e meditava sul se fosse il caso di porgergli un’altra visitina notturna.
‹‹E i due cavalieri che hanno aiutato la piccola Kore?›› ricentrò il discorso il cacciatore, che si era ormai interessato alla vicenda.
‹‹Sono due e, scommetto che riuscirai ad individuarne almeno uno›› gli rispose Maria Vittoria, cogliendo al balzo l’occasione per ribaltare il modo in cui in quegli anni si erano svolti gli interrogatori.
‹‹Hermes?›› che tristezza avere a che fare con dei geni.
‹‹Esatto›› rispose lei, con tono lugubre, per poi tornare a raccontare: ‹‹E’ venuto a prendermi dopo l’ennesimo abuso da parte di Hades e dei suoi adepti, senza curarsi delle conseguenze che l’eventuale ira di Thanatos e il suo padrone avrebbero potuto comportare (Reality: il salvataggio di Theodore Groves quando Mary si trovava in infermeria, vessata da Mr. Mercer)››
‹‹Non ricordavo un dettaglio del genere nel mito›› le fece notare lui, facendo la faccia di chi la sapeva lunga.
‹‹Ma la Kore qui presente vive nel XXI secolo, non ai tempi del mito ed è ovvio che Hades non la volesse rinchiudere nel suo regno solo per contemplarla… E dato che la fanciulla non aveva alcuna intenzione a dargliela (la verità sulla loro identità), non faceva altro che vessarla continuamente e a mandarle Thanatos affinché la persuadesse›› Maria Vittoria rimase volutamente sul vago, per aumentare le possibili interpretazioni e, di conseguenza la suspance.
‹‹E l’altro eroe?››

‹‹Non ci crederete mai: qual è la divinità che tenta l’approccio con qualunque essere sia dotato di apparato respiratorio, sia esso uomo, donna, piumato, squamato o in qualsiasi sua altra forma?››
‹‹Io?›› domandò lui, prontamente, mentre esibiva un sorrisetto compiaciuto.
‹‹Va bene l’autostima, ma fino a prova contraria non sei ancora una divinità… e poi, BLAH, che schifo! Non voglio neanche pensarci!››
‹‹Io sono un dio, come testimonia il colore dei miei capelli e dei miei occhi. Sono destinato a regnare su tutta l’Asia come Alessandro Magno2, hahaha›› si pavoneggiò lui.
‹‹La prima volta che ti ho incontrato ho pensato più a Crudelia Demon, ma forse Alessandro Magno si addice di più al tuo ego›› lo derise lei, ma notando l’occhiata di fuoco rivoltale dall’uomo, si decise a cambiare argomento: ‹‹Seriamente, quale divinità del mito ha queste caratteristiche?››
‹‹Poseidone?›› domandò lui, con un sopracciglio sollevato. Davvero non capiva dove volesse andare a parare.
‹‹Proprio lui›› confermò Mary, ridacchiando.
‹‹E cos’avrebbe spinto un individuo dalla dubbia morale come lui a prendere le tue difese? Voleva forse sposarti al posto di Hades?›› udendo l’ultima frase, Maria Vittoria scoppiò a ridere come una cretina, lasciando gli ascoltatori di stucco. Del resto Mr. Mercer non poteva ancora capire quale fosse il nome nascosto da quel Segnal: la descrizione degli atteggiamenti un tantino libertini di Poseidone, non aveva niente a che fare con lui.

‹‹Scusate›› riuscì a dire Maria Vittoria tra una risata e l’altra: ‹‹E’ che ogni volta che Poseidone sente il mio nome e il termine matrimonio nella stessa frase, rischia l’infarto hahaha››
Capendo, finalmente di chi si trattasse, Mr. Mercer dovette fare sforzi da ernia per non scoppiare a ridere a sua volta.
‹‹E a cosa sarebbe dovuto questo cambiamento, se posso chiedere?›› domandò il cacciatore, sinceramente curioso dell’ultima trovata della ragazzina.
‹‹Ne ignoro il motivo, ma pare che sia stato colto da un improvviso desiderio di paternità… forse per via di tutti i figli illegittimi che ha lasciato nell’arco dei secoli›› ma Mary mai avrebbe pensato che Mr. Mercer le avrebbe svelato l’arcano proprio in quel momento.
‹‹Eh, già, il nostro caro Poseidone si è messo sulla giusta careggiata da un paio di anni: da giovane era un esempio di dissolutezza. Gira voce che abbia avuto anche una figlia da una relazione illecita, ma che non l’abbia riconosciuta per non infangare il buon nome della sua famiglia e perché, forse, ancora troppo giovane››

‹‹Cosa?!›› domandò Maria Vittoria totalmente spiazzata. Stavano parlando della stessa persona? Ma il tenente Gillette non era solo un maniaco del controllo e della perfezione?
‹‹Dovrebbe avere all’incirca la tua età›› proseguì l’uomo, con estrema tranquillità, tanto per confonderla ancora un po’. Che nervi!
La tensione fu spezzata dall’ennesima risata di Orione: ‹‹Beh, suppongo che dovrò chiederti di raccontarmi le tue storie più spesso. Del resto, il tuo maestro, modestamente, è un vero genio nel campo››
‹‹Modestamente›› si limitò a fargli eco lei. Ormai non aveva più nemmeno voglia di contestare.
‹‹E i tre giudici infernali? Che impressione ti hanno fatto?›› volle indagare ancora Orione, che nutriva una certa simpatia per quelle figure e, in particolare per Minos, dati i suoi trascorsi poco pacifici a Cnosso.
‹‹Non ho ancora avuto il piacere di incontrarli, ma qualcosa mi dice che il momento arriverà presto›› improvvisò lei.
‹‹Un vero peccato›› commentò Orione serio: ‹‹Del resto, se avessi già terminato il tuo percorso nell’Ade, non saresti più Kore››
‹‹Questo è ancora tutto da vedere›› commentò lei, rivolgendogli uno sguardo di fuoco che avrebbe potuto mettere in fuga il mostro di Lochness. Talvolta lo “sguardo di famiglia” aveva la sua utilità.

Gli agenti, che monitoravano costantemente tutte le loro mosse, dovettero resistere all’impulso di intervenire, dato che Maria Vittoria aveva tutta l’aria di un aruspice pronto a sgozzare un vitello per leggerne il fegato. Persino Mr. Mercer ebbe un attimo di confusione al riguardo. Del resto, chi si sarebbe mai aspettato uno sguardo così carico d’odio da parte di una pazzoide squinternata che soleva girare vestita di rosa fuxia e con un grembiule a fiori?
Ma, come sempre accade in questi casi, il diretto interessato, non fece una piega. Sconsolata, Maria Vittoria sospirò pesantemente, per poi domandare al cacciatore il pagamento dovuto per la sua allegra storiella.
‹‹Come sei utilitarista… Davvero vuoi dirmi che non ti piacciono queste ore trascorse insieme? Certo, è meglio quando siamo solo noi due. L’atmosfera ha un nonsoché di profano, non credi?›› la prese in giro lui.

‹‹Se non contiamo l’equipe di agenti, tecnici, medici e psicologi che ci fissano costantemente da dietro i vetri oscuri, sì, siamo da soli. E sì, parlare di carneficine, asportazioni di organi e stupri a danno di ragazze della mia età è proprio il mio passatempo preferito›› lo freddò lei.
‹‹Dovresti prendere le cose con più leggerezza, sai?›› ebbe addirittura il coraggio di consigliarle.
‹‹Dille quel c***o di nome, così posso tornarmene a casa e mangiare, finalmente!›› la finezza di Mr. Mercer pose fine alla discussione.
‹‹Ti sei scelta un accompagnatore simpatico, devo ammetterlo›› la prese in giro il cacciatore ‹‹e dire che l’avevo scambiato per un innocuo vecchie…››
‹‹MUOVITI!››
‹‹E va bene, ma che modi!›› sbuffò lui, per poi riacquisire una parvenza di calma e parlare: ‹‹Il nuovo nome è Polissena. Ah, quanto ho amato quella ragazza… mi è quasi dispiaciuto ucciderla, hahaha››

‹‹Polissena…›› ripeté Mary tra sé e sé. Se la memoria non la ingannava, doveva essere una delle figlie di Priamo, sovrano di Troia durante l’epica battaglia narrata nell’Iliade. Ricordava la sua storia, a linee generali, ma la cosa che la preoccupava di più era il fatto che, essendo un personaggio minore, nel corso dei secoli, sul suo conto era stato scritto di tutto e di più. Anche solo la descrizione estetica poteva aver subito chissà quanti cambiamenti, anche solo nell’ambito del poema stesso. Persino il confronto con le foto delle vittime rimanenti sarebbe stato difficoltoso. Ecco come dare un indizio ad una persona, senza dirle niente di utile. Maledetto Orione!
‹‹Ora tocca a te, Kore: qual è il nome del tuo amico?›› gli occhi gli brillavano, tale era la bramosia di ricevere un’informazione che, per lui, era assolutamente vitale.
Maria Vittoria si voltò un attimo verso Mr. Mercer, e poi parlò, sorridendo: ‹‹Vi presento Thanatos, Argo, Hypnos, Cerbero e Caronte››
‹‹Quale dei cinque?›› domandò lui, sospettoso.
‹‹Tutti e cinque››
‹‹Tutti e cinque?››
‹‹E’ multitasking›› confermò lei, ridacchiando. E ora come farai, Orione? Non ti piace non avere una parola d’ordine per avere l’illusione di avere una persona in pugno? Ma che peccato.
 
*****
Dopo aver velocemente svolto quelle due o tre procedure di routine e salutato il signor Esposito (che era saltato fuori essere così gentile con Maria Vittoria solo perché sperava di arrivare alla bella madre. Come al solito), raggiunsero il parcheggio.
Per tutta la durata dei colloqui con agenti e psicologi, Mary aveva tenuto un lieve sorriso di cortesia, che lasciava cadere ogni volta in cui le pareva di non essere osservata. Quando avevano lasciato la struttura, tuttavia, la sua espressione si era fatta cupa oltre ogni dire ed un pesante silenzio era calato sui due compagni di viaggio. Mr. Mercer non poteva dire di esserne rattristato, del resto, era un estimatore della pace e tranquillità e i momenti in cui la mocciosa aveva la decenza di lasciarlo in pace, erano più unici che rari. Ciò che lo preoccupava, tuttavia, era il fatto che una pentola, a fuia di accumulare pressione, esplode, il che significava poca pace e molti problemi per lui.
Contro ogni previsione, riuscirono a raggiungere la macchina, senza cedimenti emotivi o altri problemi. Mr. Mercer stava quasi per tirare un sospiro di sollievo, quando la mocciosa si fermò di colpo. Non emetteva un suono, ma il suo corpo era percorso da fremiti.

‹‹E adesso che c’è?›› le domandò lui, per pure cortesia.
Non l’avesse mai fatto: la fanciulla, che fino a due secondi prima appariva morente, si girò repentinamente e gli si fiondò addosso con l’agilità di una tigre. L’uomo, accortosi del pericolo, provò anche a scansarsi e a scrollarsela di dosso, ma nulla è mai sufficiente contro la necessità di sfogarsi di una donna. Mai dare anche solo la vaga impressione di essere interessati ai tumulti dell’animo di una femmina, penserà che vi prestiate ad ascoltare pazientemente ore ed ore di piagnistei, lamentele, commiserazioni e filippiche contro il genere maschile di cui, tra l’altro, fate parte.
 
Note:
*Licenza poetica hahaha. So che è scorretto utilizzare “quanto” e “piuttosto”, ma nello scritto ho sempre avuto l’impressione che rendesse di più l’idea… Quindi, dato che tanto si tratta di un’umile fanfiction, li uso entrambi muhahaha.
1- Don Emanuele la chiama con un soprannome perché la conosce da quando è nata ed in più i due hanno solo cinque anni di differenza… Sì, è entrato in seminario giovanissimo. Anche Maria Vittoria, al di fuori dall’ambito ecclesiastico, lo chiama per soprannome (Ema). “Don Emanuele” le suona ancora un po’ strano.
2- Grazie alla mia professoressa di Storia, che soleva riempirci le notti di paginate e paginate di appunti su dettagli inutili sui personaggi storici di qualsiasi epoca, ho avuto anche l’onore di conoscere il colore di occhi e capelli di Alessandro Magno. E, tra parentesi, non l’avrei mai nemmeno sospettato, dato che gli affreschi e i mosaici che lo ritraggono lo mostrano ora biondo e ora moro. Ecco spiegato il perché in qualsiasi luogo della Terra giungesse, lo salutavano come una divinità… non erano solo lecchini, allora, hahaha.
  
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