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Autore: RLandH    11/12/2020    1 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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TORNATA DAI MEANDRI DELL’INFERNO. Mi sono finita The Trials of Apollo è devo ammettere di averlo davvero apprezzato (penso di non aver apprezzato, giusto, una o due cose) comunque mi ha riacceso tutto l’amore per questa saga (ed il mio altalenante interesse per questa storia).
Volevo dire che sono troppo contenta di aver inventato un poter Ad Hoc per Heather che poi anche Riordan ha dato ai figli di Apollo (senza spoiler, ma <3).
Comunque, ecco, il capitolo: era un po’ che non avevamo ne questi personaggi, in particolare dal punto di vista di Carter.
Confesso, la sua trama era è sempre la più ostica (perché è abbastanza esterna alla vicenda) ma era necessaria (e spero di riuscire a renderla più interessante).
Comunque, riassunto veloce della trama di Carter:
Grace ha portato Carter e l’allegra combriccola (composta dalla guerriero Lapito Ceneo, biologicamente donna, ed il romano, probabilmente in esilio, Drew) in un luogo chiamato Ironwood, dove Grace era stata in passato con suo figlio Marzio. Qui Grace fa un accordo con la Hag di Ironwood (che vorrebbe che l’Empusa raccogliesse un cuore) che la stessa Grace non ha deciso di non rispettare, ‘troppo tenera di cuore’. Alla combriccola si aggiunge anche Eirik, il lupo, precedente – e rinnovato – amante di Grace. Il gruppo viene indirizzato da Assetata, la spada maledetta di Drew, alla ricerca di un oggetto molto particolare: L’Astrolabio del Leone, un oggetto che potrà condurli ovunque desiderino.
Per Carter sua sorella Heather, di cui ha continue visioni di morte, per Drew la sua vendetta e per Ceneo un dio che possa trasformare il corpo più in sintonia con la mente.
Comunque: in qualche modo, qualcosa va sempre storto …

Buona Lettura

 

Il Crepuscolo degli Idoli

 

Tranquillo, una passeggiata nel mondo onirico rimedierà tutte le fratture nel rapporto tra un padre e un figlio. No, aspetta, non funziona così …

Carter IV

“Cos’è?” aveva chiesto Carter, con un cipiglio sospettoso, “Tè” aveva esclamato Eirik con un certo divertimento, “L’ho fatto io” aveva ammesso il gigante nordico, anche se in quel momento sembrava solamente un normale giovincello, con la giacchetta con il collo di pelliccia anche se era primavera. “Gratia mi ha detto che il tuo dono della vista è compromesso” aveva provato ancora il gigante, “Non sono pratico nel sidr, ma ho vissuto ad Ironwood abbastanza da riconoscere le radici” aveva ripreso.
“Quindi non è tè” aveva valutato Carter, “Si, è tè per rischiare la mente, mezzosangue” aveva detto leggermente irritato il lupo.
Tanto era bastato perché Drew si palesasse, con il capello floscio arancione, tirato fin quasi agli occhi, con due grosse occhiaie, per raccogliere la tazza dalle mani di Eirik, “Allora lo prendo io” aveva detto secco. Con una mano reggeva la tazza, che si era portata alle labbra, e con l’altra teneva l’elsa della spada, nonostante questa fosse allacciata alla vita. “Come va con l’Anatema?” aveva chiesto Carter allora, “Bene” aveva detto Drew, “Meno con quel simpaticone di Ceneo che parla solo greco di merda” aveva ringhiato.
“Come sono le cose tra te e Grace?” aveva domandato Carter, “Ti facevo una persona estremamente seriosa Carter Gale, non uomo da chiacchierelle” lo aveva ribeccato Eirik, “Penso sia colpa dei geni di mio padre” si era giustificato.
Era la prima volta, in tanto tempo, che si rivolgeva ad Apollo come Suo Padre, senza sdegno ed in così tanta tranquillità, come se avesse fatto riferimento ad un padre di provincia qualsiasi e non al signore del Sole, fonte primaria di ogni sua disgrazia.
“Secondo me perché se la voleva bombare lui, l’empusa” aveva detto Drew con sprezzo, provava a combattere contro l’influsso venefico di Assetata, probabilmente era migliore di quanto sarebbe stato Carter con lei, già così pingue di rabbia per Joelle, per la sua vita. Ma la spada riusciva comunque a turbare Drew.
“Amico, io pianterei quella spada da qualche parte, si vede che ti logora” aveva esclamato Eirik, con una punta divertita nella voce.
Simpatici i Jothuneim.
“Se la lasciassi per anche solo cinque minuti, Assetata, troverebbe il modo di cadere in altre mani” aveva risposto Drew, “Be, dai, non è detto” aveva proposto Carter, “Chi sa per quanto tempo è rimasta nelle mani di Manto?” aveva proposto lui.
Drew lo aveva puntato con occhi appuntiti, “Diciassette anni” aveva rivelato, “Quando il suo ultimo portatore, Elyas Phoenix, la ha volutamente lasciata alla Fonte” aveva raccontato, “Questo me lo ha detto Assettata” aveva spiegato, “Il potere di Manto ha irretito la sua volontà; inoltre la strega l’aveva rinchiusa in un posto dove nessuno sarebbe dovuto entrare” aveva ripreso la sua storia Drew, lanciando uno sguardo al figlio di Apollo.
“Fino a Lauren” aveva specificato Carter, ricordando il viso tondo della figlia di Afrodite, con i capelli castano ramato e le labbra morbide, fatte apposta per essere baciate.
Aveva ricordato quel bacio, appassionato, che si erano scambiati nello stanzino degli oggetti perduti, brulicanti di emozioni e passioni.
Non si era mai sentito così, immaginava fosse da attribuire alla natura afrodisiaca di cui era intrisa per sangue Lauren stessa … o magari aveva solo una cotta, poteva succedere, infondo anche Carter era umano.
“Una figlia di Venere, ovviamente” aveva detto Drew, con un riverbero d’astio nella voce, probabilmente provocato da Assetata. “Come il semidio per cui la maledizione è nata” aveva provato a proseguire, ma la voce di Ceneo era venuta sopra a quella di lui, aveva fatto un commento non esattamente felice in greco.
Da quando Ceneo aveva fatto coming out non era cambiato molto, continuava ancora ad indossare le camicie in flanella a quadri, sopra le canotte, il seno però era scomparso dietro una banda. Anche i pantaloni di jeans scoloriti, sempre portati larghi, non erano cambiati.
I capelli scuri erano ancora raccolti in una coda cavallina ed il suo viso era ancora tragicamente femminile, situazione che doveva irritarlo non poco.
Carter lo sapeva che avevano bisogno di un dio che mutasse il corpo di Ceneo. Sapeva anche che a lui non sarebbe dovuto importare così tanto, ma immaginava – circa, al limite delle sue possibilità – che ritrovarsi in un corpo che non corrispondesse allo spirito doveva essere una delle cose più atroci mai successe.
Drew aveva ringhiato qualcosa di rimando a Ceneo, aveva parlato in latino, Carter come lingua non la conosceva, ma immaginava non fosse niente di gentile.

“La strada … controllata. Grace, lei, trovato la macchina … direzione spada” aveva riportato poi Ceneo, sforzandosi di parlare in inglese, come Grace aveva chiesto. Drew aveva emesso un verso vagamente gutturale, ma Carter aveva interpretato quel suono come un verso di apprezzamento.
“Immagino che non mi abbia lasciato un pezzettino” aveva ghignato il gigante nordico, con un tono melodrammatico.
“Grace non mangia uomini” aveva detto Carter, con voce scandalizzata, ma Eirik aveva riso, di lui.

 

Carter doveva ancora abituarsi al fatto che Grace avesse un fidanzatino, mostruoso e dall’apparenza bonaria come lei, anche se non credeva davvero che Eirik potesse essere come Grace.
Infondo nessuno era come Grace.
Giusto, sulla sua amica, c’era da considerare anche quel piccolo ed assolutamente trascurabile dettaglio che un tempo era stata madre. Sebbene, a primo acchito, questa notizia lo avesse non solo stupito ma anche destabilizzato, in seguito aveva spiegato molti comportamenti che la sua amica aveva adottato e che aveva sempre confuso Carter.
Perché non mangiava carne umana, perché era sempre così materna con lui e perché sapesse sempre cosa fare con Marlon, come rapportarsi con lui. Veniva da chiedersi se in Grace avesse visto in Marlon – e forse anche in Carter – un po’ di suo figlio.
Marzio, così aveva detto fosse il suo nome.

Nonostante lui e Grace fossero stati amici da tempo, quella che avevano avuto qualche giorno prima, era stata la prima chiacchierata a cuore aperto, dove avevano potuto essere onesti e sinceri. Grace gli aveva parlato di Marzio, chiamato così perché era figlio del figlio del Dio della Guerra, ma che non aveva predisposizione nell’arte militare, ma aveva ereditato da lei la magia ed avevano parlato dei loro viaggi. Carter di risposta aveva raccontato di Joelle, realizzando di averne parlato per la prima volta. Lo aveva reso più vero, Joelle era morta, ma lo aveva anche reso più affrontabile, qualcosa che mai, fino a quel momento non aveva mai pensato potesse essere.
E si era chiesto perché avesse aspettato così tanto per parlarne con Grace.

 

Carter si era sentito rinato, dopo quella conversazione, dopo tanto tempo era anche riuscito a disegnare.  Era stato solo uno schizzo, fatto con un fazzoletto di una stack-house, con un bastoncino e il fondo del caffè. Però era qualcosa ed ovviamente era Joelle. Informe, sì, abbozzato, ma reale. Dopo tanto tempo.
Nessuno si salva dopo aver sfidato un Dio” ecco come aveva detto Joelle. Però, Carter non avrebbe perso più nessuno.
Avrebbe preso l’Astrolabio di Leone.
Avrebbe trovato Heather.
Avrebbe trovato un Dio per Ceneo.
Avrebbe trovato la vendetta per Drew.
Ed un posto per Grace ed il suo lupesco fidanzato.
Forse avrebbe potuto rivedere Marlon e Lauren, magari baciarla ancora.
Dovevano solo capire cosa e come fare.
“Sei molto bravo” aveva valutato Ceneo al suo fianco, in greco, mentre infilava una patata bollente in bocca, “Sangue di Apollo” aveva ammesso candido Carter, accartocciando il viso di Joelle poi. Realizzando con orrore di averlo fatto di nuovo, di aver parlato con disinvoltura di suo padre.
“Sono naturalmente bravo nel disegnare, suonare e tirare d’arco, ma preferisco la spada” aveva spiegato Carter.
 “Sei anche un ottimo medico” si era intromessa Grace sorridendo bonaria, mentre posava la testa sulla spalla di Eirik, aveva sussurrato qualcosa nell’orecchio del lupo, in una lingua che Carter non conosceva, aveva riconosciuto solo i termini ‘Apollo’ e ‘Freyr’.
“Per il canto?” aveva chiesto Ceneo, incuriosito, tecnicamente Carter era bravo anche in quello, non era di certo degno di The Voice, forse in effetti non era neanche così bravo, ma poteva utilizzare la sua voce come arma, di tanto in tanto, come ammansire le bestie, o per accrescere le sue altre doti, come quella medica.


Il loro pranzo era stato interrotto da Drew, che aveva spostato senza grazia i loro piatti, spalancando una cartina sul loro tavolo, “Lo abbiamo già fatto” aveva mormorato leggermente turbata Grace, “Io … mangiavo” aveva borbottato Ceneo, ammiccando al suo piatto da cui era stato tragicamente allontanato.
Drew aveva ignorato il secondo ed aveva risposto alla prima, “Sì lo so. Però ora lo ripetiamo” aveva detto, “Dobbiamo muoverci adesso, dobbiamo arrivare a Yellowstone il prima possibile” aveva ringhiato, armato di nervosismo il giovane. “Mozione per strapparli quella spada dal culo?” aveva chiesto Eirik, spiritoso.
“Sì, dividiamoci l’Anello del Potere” aveva accettato Carter, ignorando le proteste che erano naturalmente venute da Drew.


Nella macchina presa da Grace ci stavano tutti e cinque; un po’ stretti. Grace aveva preso il volante, il posto al suo fianco era stato arduamente lottato, lo aveva ottenuto Drew, solo a patto che mettesse Assetata nel bagagliaio.
“Se dovessimo essere attaccati, potrei non riuscire a recuperarla” erano state le vane prosteste del ragazzo di argilla, “Oh, tranquillo, Drew” aveva provato a rassicurarlo Grace, “Ho l’impressione che Assetata non starà molto in panchina” aveva bisbigliato.
Nei tre sedili dietro si erano sistemati lui, Ceneo ed Eirik. Carter che era il più piccolo di statura, meno spesso di Eirik e più basso di Ceneo, si era ritrovato ad occupare il centro.
“Va un po’ meglio Drew?” aveva chiesto Grace, rivolgendosi al ragazzo seduto sul sedile anteriore, “In realtà si” aveva ammesso quello, aveva ancora un tono aspro, ma sembrava più calmo, “Fantastico, allora farai tu le veci del gps” aveva stabilito Grace, mentre Drew distendeva la mappa davanti a sé, per poterli introiettare nella direzione indicata da Assetata. “Yellowstone stiamo arrivando” aveva canticchiare l’empusa come una scolaretta in gita.
Dopo che Grace aveva messo in azione il motore, Carter dovette ammettere di cominciare a sentire il sonno pressare sulle sue palpebre, era sempre stato sensibile ai mezzi, gli favorivano sempre l’addormentarsi, inoltre, in quei giorni aveva dormito poco tra attacchi da parte di gigante, guerriglia con spettri e centauri, funerali e pure il pantheon nordico.
Aveva provato a rimanere sveglio, appisolandosi più di una volta, finendo per urtare lo zigomo contro la spalla irta di Ceneo, ogni scossone della macchina lo aveva svegliato, ma alla fine, nonostante la strenua opposizione di  Carter, il sonno l’aveva avuta vinta.
Sarebbe stato bello, poter scivolare in un buio senza luce, ma raramente Carter era fortunato.

 

“Oh no” aveva mormorato, Carter, realizzando di essere in qualche luogo, a lui tristemente noto, sull’ansa del Lago Posa, non lontano dalla casa della sua infanzia.
“Mi sembrava azzeccato” aveva sentito una voce al suo fianco, con voce calma. Si era voltato allarmato, trovando un figuro al suo fianco. C’era un ragazzo proprio accanto a lui, uno di quei fighetti rivestiti che sua madre aveva sempre desiderato lui diventasse, con la pelle bronzea, la camicia sbottonata sui primi bottoni, i pantaloni crema e i mocassini.
Senza contare i capelli biondo d’orato un po’ selvaggio.
“Oh” si era lasciato sfuggire Carter.
“È tanto che non ci vediamo figliolo” aveva detto Apollo.
“Non chiamarmi così” aveva ringhiato Carter, la sua prima reazione spontanea.
“Eppure mi hai chiamato padre due volte, oggi” aveva replicato Apollo.
“Il fatto che tu sia mio padre, non fa di te un genitore” era stata la risposta di Carter.
Era strano averlo detto, dopo tutto quel tempo.
Apollo non aveva emesso nessun commento, il suo viso era rimasto neutro, cosa che non si addiceva molto a lui, visto di solito tendeva ad essere una personalità orribilmente passionale.
“Touché” aveva concesso il dio.
“Pensavo che la visione profetica fosse bloccata” aveva commentato poi Carter, dopo un certo silenzio imbarazzato, o la gita fino alla Fonte diventava obsoleta.
 “Si lo è. Un mio vecchio nemico, si è attorcigliato attorno alla fonte profetica di Delfi” aveva risposto suo padre senza nascondere una buona dose di veleno nella voce, “E voi non vi eravate murati nell’Olimpo?” aveva chiesto ancora il semidio.
Apollo aveva scosso il capo, a guardarlo così bello e perfetto, Carter lo capiva perché una donna intelligente e brillante come sua madre avesse commesso l’errore di cedere ad un tale faccia di bronzo.
“Mio padre mi ha esiliato a Delo. Insieme a mia sorella” aveva raccontato, “In questo momento, il tuo divino nonno mi odia e mi da colpe” aveva aggiunto con una punta di acredine, “Che non ho” ci aveva tenuto a specificarlo – il figlio ne aveva qualche dubbio.
“Oh!” aveva comunque commentato Carter, “Finalmente abbiamo qualcosa in comune, pare” aveva aggiunto.
Apollo l’aveva guardato con uno dei suoi occhioni blu ed aveva sollevato un sopracciglio, “Oh, ma che sciocchezza Carter, io non ti odio” aveva ammesso suo padre.
Sarebbe piaciuto a Carter dire che quella frase gli scivolò addosso come l’acqua, che dopo tutto quel tempo, dopo tutto quell’odio, sapere di non essere odiato, ma non fu così.
Ciò che Carter si era ritrovato a provare fu una primordiale confusione, disorientato confusione.
Perché lui aveva odiato Apollo – e lo odiava – e non poteva credere che quel sentimento che ardeva così feroce in lui, fosse a senso unico.
Non era giusto. Voleva che suo padre l’odiasse.
Suo padre doveva odiarlo, perché un dio e loro erano creature pingue, venali e crudeli.
“Parlavo di Zeus” aveva mentito Carter, per dissimulare quel tumulto di sensazione che albergavano dentro di lui.
Apollo aveva incassato il colpo, infilando la mano nei pantaloni kaki, con un’espressione colpevole in faccia.
Almeno ne era consapevole.

“Delo è la mia casa, lo sai, quella dove sono nato. Prima che l’agganciassero, era un’isola vagante, l’unico luogo dove mia madre, fuggiasca da Hera, poteva rifugiarsi …” aveva cominciato a parlare Apollo, ma era stato interrotto da Carter, “Si, la conosco questa storia, grazie” aveva replicato secco.
Anche in questo caso il dio non era sembrato particolarmente risentito dalla sua interruzione, “Si, be, la stavo prendendo incredibilmente alla lontana, sono il dio della poesia, sono un narratore eccezionale” aveva cominciato a ciarlare Apollo.
Carter lo aveva guardato con un certo biasimo, “Non ho bisogno di una storia alla lontana per sapere quanto facciano schifo gli Dei” aveva commentato con una certa acidità, suo padre lo aveva guardato con un certo biasimo.
Poi c’era stato del silenzio tra loro, “Puoi andare con la versione breve e spiegarmi quello che e che sta succedendo” aveva detto esasperato Carter, comprendendo che con suo padre non ne sarebbe venuto fuori facilmente; Apollo adorava troppo il suono della sua voce per poter velocizzare quel processo o essere rimproverato da un figlio traditore come Carter.
“Per farla breve Carter, quando la guerra è finita, noi Dei ci siamo ritrovati voi tra capo e collo” aveva cominciato suo padre, non sembrava breve.
“Noi? Intendi i mezzosangue filo-Crono?” aveva chiesto Carter, Apollo aveva annuito, “Avremmo potuto e fidati sia Atena sia Ares, per l’unica volta in accordo, erano piuttosto volenterosi di far calare la mannaia” aveva raccontato.
Carter era sbiancato, “Ucciderci?” aveva domandato, pensando con lucidità quanto avesse appena sfuggito quel destino.
Era coerente con il modo di interpretare la vita gli Dei, si lo era ma …
“No, no, quello era il piano della mia matrigna, sempre molto simpatica” aveva detto Apollo, colmo di imbarazzo.
“Tu invece sei sempre moderatissimo giusto” aveva rinfacciato Carter, non aveva senso tenersi tutto il suo veleno dentro a quel punto, tanto Apollo aveva ammesso di non odiarlo e di rimando Carter era già odiato.
“Non sono così cattivo come la gente mi scrive, sono un dio buono e disponibile …” aveva cominciato a blaterare suo padre.
Carter aveva sollevato un sopracciglio, “Infatti, io ho votato per lasciarvi in vita. Siamo stati la maggioranza” aveva esclamato soddisfatto di sè Apollo. Il figlio non gli aveva tolto gli occhi di dosso, sollevando un sopracciglio, “Dove è l’inghippo?” aveva domandato retorico. Il dio del sole era parso cotto per un secondo di puro imbarazzo, “Abbiamo valutato che vivere poteva rivelarsi una punizione più confacente” aveva ammesso.
Così potete tormentarci meglio, aveva pensato il semidio, morti non diamo troppa soddisfazione.
Io sarò ramingo e fuggiasco” aveva risposto Carter, allora. Apollo lo aveva guardato, con intensità, “È un verso della bibbia” lo aveva informato il semidio, “Lo so, lo so” lo aveva rassicurato il suo divino padre, “C’ero quando l’hanno scritto.”
“Atena e Ares vi volevano bandire tutti alla stessa maniera” aveva ripreso Apollo, “Ma poi, dopo la richiesta di Percy Jackson di riconoscere tutti” il dio aveva fatto una pausa, “Zia Estia consigliato di cuore di pensarci su un po’ di più, di considerare le cose per bene” aveva ammesso, “Tutti abbiamo un soft spot per Estia.”
“Oh, lo avete fatto Ad Personam” aveva realizzato Carter.
“Ogni singolo caso” aveva confermato Apollo, “Per una volta ci siamo impegnati ad essere bravi. Per davvero” aveva confessato, con un sorriso buono ad adornare il viso di bronzo.
Carter aveva fatto una smorfia, ma non era intervenuto. “Abbiamo ascoltato anche le Divinità Minori, per quanto, effettivamente non abbiamo potuto permettere a tutti di votare. Poi il processo sarebbe stato lungherrimo” aveva confidato, “Nel senso noi siamo eterni, ma voi … no”.
Immaginava, Carter, che dagli Dei non si potesse chiedere poi molto.
“Quindi: il mio caso, sentiamo” aveva berciato Carter, “Tanto è per questo che siamo qui” aveva detto.
Apollo, “Diretto: mi piace, questo lo hai preso da Kimmey” aveva ammesso suo padre. Carter aveva sentito un brivido lungo la schiena nel sentire suo padre rivolgersi con quel nomignolo dolce a sua madre.
“Tu non hai deposto le armi, fino a fine della guerra, hai tradito il campo mezzosangue e come hai ammesso tu stesso ad Ethan Nakamura. Riconosci il campo come la tua casa, riconosci i tuoi fratelli come tuoi affetti ed hai dichiarato più volte la tua idea di continuare a combattere contro gli Dei. Di volerci uccidere tutti” gli aveva ricordato suo padre.
Carter aveva sentito il fuoco bruciarli dentro, “Ed hai il coraggio di biasimarmi? Joelle!” aveva strillato, “Joelle era innocente! Non si meritava quello che …” aveva fatto una pausa.
Aveva immaginato il consiglio dei dodici dei che deliberavano sulla sua vita come se non fosse nulla, come probabilmente avevano fatto con Joelle, allora.
“Ho votato negativamente, figliolo, entrambe le volte!” gli aveva strillato contro suo padre, “Per te. Sempre per te” aveva aggiunto, accarezzandoli le guance con le nocche, la sua mano era calda, come giusto che fosse il Dio del Sole.
Carter lo aveva spinto.
Aveva spinto il Dio del Sole.
“Non mentirmi!” aveva strillato Carter.
Apollo sembrava irritato, “Non l’ho fatto e non accusarmi mai più di questo, ragazzino. Non abusare dell’amore che provo per te” gli aveva ringhiato.
Carter stava tremando di rabbia.
Amore? Quale amore?
“Ti ho dato il corvo, nonostante io odi quelle fameliche bestiacce, ti ho permesso di tenere i miei doni per te e ti ho perdonato, tutte le tue dannate ingiurie contro gli Dei e contro di me” aveva rimarcato Apollo.
Carter era rimasto in silenzio, assoluto, non sapendo bene come avrebbe dovuto rispondere a questo.
Suo padre sembrava ancora assurdamente infuriato, “Adesso: seguimi” aveva impartito, “Sto per mostrarti, per quanto possibile, il tuo futuro” aveva ripreso Apollo.
“Hai detto che un tuo noemico era avv-” aveva provato Carter, ma suo padre aveva mosso la mano come per scacciare quel discorso, “Visto che mio padre è arrabbiato con me, sono già in castigo e se i Sette non sistemano la situazione, saremo tutti morti. Sto facendo uno strappo alla regola” aveva detto Apollo.
“Ermes ha sempre saputo quale destino attendeva Luke, perciò, dopo il tuo processo …” aveva ripreso suo padre, “Dove avete dimenticato di convocare l’imputato” si era intromesso Carter, ignorato a pie pari, “Sono andato a controllare il tuo di futuro” aveva affermato Apollo, senza scomporsi.
Oh.
Wow.

Apollo aveva preso a camminare nella direzione opposta del lago e Carter lo aveva seguito, nolente, l’attimo dopo non erano più sulle rive del Pose, ma erano ad una stazione di servizio da qualche parte dell’America Rurale.
Carter aveva riconosciuto una macchina decapottabile rosso corallo, parcheggiata vicino un distributore della benzina. Carter aveva visto una ragazza che recuperava la manichetta della pompa per fare il pieno alla macchina, la sua prima, volgare, impressione fu che non era bello, c’era qualcosa di impreciso nel viso, come un disegnatore non si fosse curato troppo di mantenere una simmetria.
Fu tentato di chiedersi cosa volesse mostrargli Apollo, ma poi lo comprese subito.
Lauren era uscita dallo Store alle spalle, con la coda cavallina rosso castagno e la maglietta arancio del campo. Teneva due mik-shake in ambedue le mani, dirigendosi con un sorriso allegro verso l’altra ragazza.
Marlon la stava seguendo mangiando un pacco di patatine.
Di Emma, nessuna traccia.
“Potresti … Potresti tornare a casa, Carter” aveva detto Apollo, “Come ti sei comportato con Marlon, quello che dirà di te Lauren e allo stesso tempo …  Carter, tu, puoi tornare a casa” aveva raccontato.
“Se Percy Jackson ci salva il culo” aveva provato il semidio, cercando di tenere a galla la sua rabbia, rendendosi conto che stava cominciando a scemare.
Da quando si era confessato con Grace, il suo dolore stava cominciando a scemare.
Poteva tornare a casa.
Da Heather, da Will, Kayla e Austin.
“Sì, tragico effetto collaterale di questo mondo” aveva detto Apollo, prendendolo per un braccio per guidarlo via ancora.
Questa volta erano in una stanza, Carter non aveva ben idea di dove fossero, a guardarla sembrava una di quelle vecchie stanze nelle ville seicentesche che si vedevano sempre nei programmi storici, tipo le Stanze della Regina a Versailles, anche se, be, aveva dubbi fossero davvero quelle.
La carta da parati era comunque datata e con una fantasia floreale piuttosto pacchiana.
“Oh quanti ospiti interessanti” aveva detto un giovane uomo, “Ignorali Attis, sono spettatori passivi” lo aveva zittito Joelle.
Carte aveva sentito un tremore nel vedere il viso della sua amica, ancora tondo e roseo, con i capelli scuri ondulati, ma poi si era accorto che qualcosa stonava, non aveva gli stessi occhi grandi tondi, ma anzi erano più assottigliati, allungati, come quelli di Carter. Anche il naso era più stretto, aveva un collo lungo elegante come quello di un cigno ed un fisico a clessidra, da donna, come Joelle non lo era mai divenuta.
Era una creatura ibrida tra sua madre e Joelle, realizzava.
“Pensavo che questo posto fosse un posto sicuro!” aveva sentito strepitare qualcuno, non lo conosceva ma era giovane, forse suo coetaneo forse più giovane, un ragazzetto dalla pelle cotta, i capelli rasati e un’espressione funerea in viso.
“Non posso tenere fuori gli Dei se uno degli ospiti li invita. E questo dio qui è stato invitato” si era difesa Joelle-Kim, mettendo le mani sui fianchi, “Anche se si è presentato un po’ in ritardo” aveva detto guardando dritto Apollo; sul viso della donna si era dipinta un’espressione accigliata, che Carter riconosceva perfettamente in quella di sua madre, quando lui combinava qualche marachella da bambino.
“Nessuno ha invitato Lilith” aveva insistito quell’ultimo, “Si, giovane Trevor, quello è stato una mia svista” si era difesa la donna.
Doveva essere una dea, non poteva essere altrimenti. Si era voltata poi verso Attis, un uomo ancora giovane in viso, vestito con un maggiordomo, congedandolo.
“Uhm, possiamo … possiamo concentrarci?” per Carter sentire quella voce era stato disorientate, ma l’aveva riconosciuta subito, era una delle gemelle LaFayette, non erano omozigote, ma aveva comunque impiegato più del necessario per riconoscere chi era delle due.
Bernie, oscura, brillante e pericolosa. E sebbene Carter come figlio del sole le avesse sempre percepite entrambe in quella maniera, non aveva mai percepito Bernie così tanto in quel modo, aveva quasi l’impressione di percepire un’oscura aurea attorno a lei, come se sulla giovane mezzosangue ogni luce finisse per spegnersi.
Una oscura macchia di buio, ebbe paura che anche lui, vicino a lei, si sarebbe affievolito.

Bernie non era da sola, accanto a lui c’era un'altra conoscenza di Carter: capelli biondino pallido, con la pelle chiara come la carta da zucchero, anche lui aveva fatto parte dell’esercito di Crono, era il ragazzo che non parlava mai, l’amico di Alabaster – non era sicuro di ricordare il suo nome, o di averlo mai saputo.
“Loro sono vivi” lo aveva sussurrato ad Apollo con una gioia che non sapeva di avere, era strano? Non ne era sicuro.
Non aveva pensato molto a loro, loro due nello specifico, ma era felice, felicissimo, nel vederli.
Ebbe quasi l’impressione che Bernie potesse vederlo, nonostante Carter non fosse davvero lì.
“Si, tu e i tuoi amici siete estremamente tenaci” aveva concesso Apollo, ma la sua espressione era inasprita, come se qualcosa lo infastidisse nel profondo.
Perché erano i filo-titani.
 “Purtroppo il nostro universo è deterministico” aveva ripreso a parlare Joelle-Kimi, solo che non aveva risposto a Bernie, stava ancora parlando con Apollo, la sua voce era un morbido sussurro. “Grande Madre Idea” aveva provato il ragazzo dalla pelle scura, attirando nuovamente l’attenzione della dea. Carter non l’aveva mai sentita, ma percepiva dovesse essere una signora piuttosto potente.

Madre Idea con gli stessi occhi allungati di sua madre, del colore giallo delle foglie d’autunno, non aveva ancora dissoltolo lo sguardo da Apollo. Era pregna di afflizione “Però, possiamo barare un po’” aveva concesso, prima di voltarsi verso gli altri abitanti della stanza, aveva allungato una mano ed aveva accarezzato la testa rasata del giovane che le era più vicino.
“Bene, Trevor, mio giovane stregone” aveva cominciato Grande Madre Idea, strizzando la guancia di quello che doveva essere appunto Trevor, “Prendi quel tuo simpatico reperto archeologico” aveva aggiunto, “Non rischieremo di liberare l’Aten, vero?” aveva chiesto quello preoccupato.
“Allora il gioco varrebbe la candela” era intervenuta Bernie con voce ferace.
“Esatto: sarà necessario che tu sia così carica” aveva detto Grande Madre Idea, “Perché il tuo potere dovrà contenere quello di un Dio” aveva aggiunto mortalmente seria.
“Invece tu, Jude, dovrai utilizzare i doni che ti sono concessi da tua madre: la rinascenza” aveva aggiunto, ammiccando all’amico di Albastaer.
Non conosceva il nome di quel ragazzo fino a quel momento e non sapeva neanche di sua madre – era un pensiero stupido.
“Questo è colpa mia” aveva pronunciato Jude, le prime parole che Carter gli avesse mai sentito pronunciare, aveva una voce più adulta, profonda – diversa da come il figlio di Apollo l’aveva immaginata.
Il ragazzo si era avvicinato all’enorme letto matrimoniale, dove Carter in quel momento poteva scorgere fosse steso qualcuno, infagottato dalle coperte.
Bernie aveva rivolto uno sguardo di puro astio sul viso, verso Jude, condividendo evidentemente l’opinione del ragazzo stesso.  
“Non so se essere contenta o meno che Ethan non abbia usato il vostro veleno su Percy Jackson” aveva detto venefica.
Carter ebbe la certezza di sapere con vostro a chi si stesse riferendo, Jude ed il suo abituale comparo di merende: Alabaster C. Torrigton; Carter ricordava bene di aver visto i due cercare di creare un veleno che potesse seccare l’eroe Percy Jackson.
Lo avevano fatto, ma ricordava la titubanza che Ethan aveva avuto davanti quella mistura – proprio il giorno dopo, quella loro tesa conversazione a cena – ed alla fine aveva utilizzato altro.
Meno letale, meno efficiente.
Fallimentare.

Jude aveva chiuso gli occhi, c’era davvero dolore nel suo viso, si era morso il labbro. Una mano pallida come la neve, tormentata da macchie bluastre come una muffa, era emersa da sotto le lenzuola, posandosi sull’avambraccio di Jude. “Bernie” aveva sentito un sospiro, in quel momento, “Non tormentarlo” si era raccomandata la figura, che piano, piano, come un lombrico era strisciata da sotto le coperte.
Heather Shine, con la pelle squamata bianca come la neve, macchiata di vene blu come viticci, i capelli rossi cupi come sangue, spenta, era apparsa davanti a lui, come quando l’aveva vista alla fonte di Manto.
“No. Questo è sbagliato” aveva esclamato Carter, “Dovevamo essere al Campo …” aveva cominciato spaventato nel panico.
Dovevano essere al Campo, vicino al Pino, non c’era il vello, Heather era avvelenata come in quel momento, aveva chiesto di lui … si, ed era con Alabaster e … Bernie.
Dei immortali.
“Cominciamo! Heather, sfrutteremo il potere dell’Aten per guarirti, almeno parzialmente” aveva scherzato Grande Madre Idea.
“Mi raccomando Bernie … a te toccherà la parte più dura” aveva strillato la dea primordiale, “Cercherò di non disintegrarmi questa volta” disse Bernie lugubre.
Questa volta?
Carter avrebbe voluto vedere ancora, ma la visione si era sciolta come la neve in una giornata di sole.
“No! Aspetta, non è finita!” aveva strillato verso suo padre.
Apollo non aveva fatto una piega, “La salveranno, per ora” lo aveva rassicurato, c’era un fondo di dolcezza nella sua voce, ma la sua espressione rimaneva neutra, come se quella stesa sul letto di morte non fosse figlia sua.
Dei.
Infami.
Dei.
“Cassandra ha predetto la morte di Heather” suo padre aveva parlato con un tono pregno di dolore, Carter aveva potuto scorgere proprio la sofferenza quando aveva pronunciato il nome di ambedue.


Gioca pure con la pestilenza

Regina della fraudolenza

 il tuo destino è segnato

 il male acquattato

verdi i suoi occhi

Letali i suoi stocchi

L’averno due volte visiterai

ma la seconda volta resterai

Aveva recitato suo padre, “Questo Cassandra ha detto” aveva ammesso cupo. Carter aveva ascoltato quella piccola profezia, “Morirà e risorgerà” aveva sorriso per un mero secondo, “Gli ultimi due versi, potrebbero significare questo, no?” aveva incalzato verso suo padre.
Apollo si era morso un labbro, il viso invece di essere bronzeo sembrava bianchiccio e malato, non condivideva lo stesso cieco ottimismo di Carter, evidentemente.
Però aveva senso no?
Aveva visto Heather stare male, nel futuro – che ancora non era quello – ai piedi del Campo Mezzosangue, dove qualcuno avrebbe potuto stenderle addosso anche il vello d’oro. Dove un figlio d’Apollo come Will avrebbe potuto metterci mano.
L’espressione di suo padre era rimasta marcia.
“Ma tu non lo pensi e tu sei il dio della profezia” aveva sottolineato Carter, “Perché me lo hai mostrato?” aveva abbaiato poi, sentendo il sangue farsi amaro nelle sue vene.
Suo padre aveva sospirato, stanco, come se avesse faticato fino a quel momento, “Hanno fatto una previsione a tua sorella molti, moltissimi, secoli fa” aveva ammesso, “Ti ho detto che hai due vie” aveva aggiunto, “Casa” aveva ripreso Apollo, aveva fatto un gesto con la mano, aveva mosso del fumo verde, come quello degli oracoli, che si era condensato nella figura di Lauren Odalisque, “O … morte” aveva mosso ancora la mano, il fumo era mutato ed era divenuto Heather Shine.
“Non ci sono mai solo due strade” aveva risposto Carter,  “Giano non sarebbe d’accordo” aveva replicato suo padre, “Ecate si” aveva sottolineato lui, ripensando proprio al figlio di Ecate: Alabaster Torrigton con il sorriso storto e la malizia negli occhi … verdi.
“Al!” aveva strillato.
Apollo aveva aggrottato le sopracciglia bionde perfettamente pinzettate, “Cos …” aveva provato.
“Alabaster è uno spadaccino, oltre che uno stregone, uno dei migliori spadaccini che io abbia mai visto” aveva confidato, “Ed ha gli occhi verdi” aveva spiegato.
Verdi i suoi occhi,
letali i suoi stocchi.
“Il veleno che ha fabbricato Al è quello che la sta uccidendo ed Al non farebbe niente senza avere un rimediare” aveva chiarito.
Nella visione che aveva visto Heather era sorretta da Bernie ed Alabaster, che la stavano portando al campo mezzo-sangue, forse per chiedere aiuto, forse per recuperare degli ingredienti.
Heather non chiedeva di lui per una qualche connessione mistica, ma perché si erano probabilmente già incontrati …
Perché Carter le aveva portato la soluzione: Alabaster.
“Devo trovare Al, per Heather” aveva esclamato.
Eccola, la sua terza via.
Suo padre lo aveva guardato in tralice.
“No, Carter, non è qu-” ma il tentativo di evasione di suo padre era stato interrotto da Carter stesso, “Grazie, Padre” aveva ammesso, “Certo come dio della medicina, o padre del signore-supremo-della-guarigione, potresti comparire e sistemare Heather, fare un altro strappo alla regola” aveva aggiunto con una punta di cattiveria.
“Ma grazie” aveva aggiunto nuovamente.
Suo padre lo aveva guardato con un’espressione che Carter non era in grado di decifrare, leggeva un po’ di rassegnazione per non essere riuscito a dissuaderlo, ma anche soddisfazione, per lo stesso motivo. E c’era dolore, per lui, per Heather … perché la morte era la loro ultima fermata, ma sarebbe stato sempre così, che fosse avvenuto tra due giorni o vent’anni.
E c’era amore, negli occhi, tanto amore, che fece quasi male.
Apollo allungò una mano per provare ad accarezzare il volto di Carter, ma quello si ritrasse immediatamente indietro, timoroso di finire bruciato.
Nonostante tutto, Carter non era disposto a perdonare Apollo.
“Permettimi di darti due consigli allora” aveva cominciato suo padre.
“Due, addirittura: generoso” aveva scherzato forzatamente Carter, ma si rendeva conto che il sarcasmo che aveva voluto adoperare ne era uscito piuttosto fiacco. “Sangue chiama sangue, sempre. Non importa il pantheon” aveva detto lugubre Apollo.
Carter ebbe la sgradevole sensazione non stesse parlando di lui, “Grace” sospirò Carter, Apollo non confermò ne smentì nulla e tanto basto a lui per comprendere che aveva avuto ragione, “La tua amica ha fatto un giuramento di sangue all’amante di Loki” aveva spiegato suo padre.
L’amante di Loki?
Intendeva la Hag di Ironwood?
Prima che Carter potesse fare domanda, Apollo aveva ripreso a parlare: “I nordici prendono molto sul serio i giuramenti di sangue, ricordalo alla tua amica” aveva chiarito.
Carter aveva annuito – quello era un problema. Decisamente.
“La seconda questione riguarda l’Astrolabio di Leone” aveva detto, “Non lo potrai avere se permetterai ai sentimenti di aver ragione sulla mente” aveva spiegato suo padre.
“E tu, Carter, sei figlio mio. Sei molto passionale” aveva ammesso Apollo.
L’odio che lo teneva in piedi poteva esserne un grande esempio, “So essere schifosamente razionale, o avrei bruciato mezzo mondo” aveva ammesso Carter, incerto delle sue stesse parole.
Apollo aveva sorriso, circospetto.
Non gli credeva, ma a Carter non importava.
“Quello che mi hai risposto è la prova di ciò che ho detto, non mi hai chiesto nulla, non hai cercato di strapparmi alcuna informazione utile, preferendo aggredirmi” lo aveva stuzzicato suo padre.
Carter si era morso il labro, lo odiava, quanto lo odiava.
“Ma come si dice infondo: Il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce” aveva sussurrato Apollo, l’aria intorno a loro stava cominciando a sfocarsi, sbiadirsi, stava iniziando a svegliarsi.
“La hai scritta tu?” aveva chiesto, “No, un tuo fratello” aveva risposto Apollo, “Ora scusa devo andare: Artemide mi sta punzecchiando con un ramo” si era giustificato il dio.

Carter si era svegliato improvvisamente, ritrovandosi collassato sulla spalla rigida ed ossuta di Cenis. “Non ho più percettibilità alla mia spalla, fanciullo” aveva scherzato il guerriero, con un tono vagamente divertito, sempre in greco.
“Scusa” aveva mormorato. “Era un bel po’ che non dormivi sogni tranquilli, eh?” lo aveva stuzzicato Eirik, ottenendo un grugnito da Carter, “Direi non fossero pacifici” aveva borbottato, quell’ammissione aveva fatto scaturire a Grace l’impulso di abbassare il volume della radio – interrompendo una canzone di Katy Perry e sì, Carter si sentiva come una ‘busta di plastica mossa dal vento’ – e guardarlo dallo specchietto retrovisore.
“Vuoi parlarne?” aveva chiesto apprensiva.
Carter serrò le palpebre e si prese un secondo per riflettere, “Sì” ammise.
Evitò di riportargli tutti i dettagli, come il permesso di tornare a casa, delle due scelte, preferendo concentrarsi sulla questione ‘Devo cercare Alabaster, poi Heather’ e ‘L’Astrolabio lo avremo solo se saremo lucidi e logici’.
Drew si era girato verso di lui, rischiando quasi di strozzarsi con la cintura, “Tuo padre ti è apparso in sogno?” aveva esclamato sconvolto, “Io … gli dei maggiori non rispondono a nessuno da mesi ed io … io credevo tu fossi … sai … un esule” aveva borbottato poi, sgranando gli occhi.
“Sono sconvolto anche io” aveva rivelato Carter.
Non era il sentimento giusto, era anche quello, ma soprattutto era la confusione.
Poteva tornare a casa.
Aveva rivisto Heather.
Poteva avere un futuro con Lauren – se sceglieva una via.
E suo padre non lo odiava.

“Comunque siamo messi male, allora” aveva valutato Eirik, attirando l’attenzione di tutti, “Come?” aveva chiesto Grace confusa.
“Tu, Gratia, sei un cuore raggiante, sei tutta un cuore, mossa da amore” aveva cominciato a spiegare Eirik, “Io mi muovo d’istinto, letteralmente due giorni fa ero a farmi i cavoli miei al mio bel negozietto” aveva sottolineato il lupo di Ironwood.
Due punti a loro sfavore.
“Drew, senza offesa,  ha la mente avvelenata” aveva ripreso a parlare Eirik, ammiccando a Drew, che si era limitato a dirgli qualcosa di poco carino in latino. “Magari Ceneo è equilibrato – ma la sua condizione deve destabilizzarlo un po’” aveva ripreso quello, di rimando il guerriero lapita aveva guardato le sue ginocchia trovandole incredibilmente interessanti.
“E io sono un figlio di Apollo” aveva commentato acre Carter, tre volte in un giorno.
“Ed io dovrei saperlo?” aveva chiesto retorico il lupo, giustamente, “No, non ti avrei dato comunque un centesimo perché tuo padre, che mi pare di capire, sia giusto sotto Gendo Ikari nella categoria dei pessimi padri” aveva detto Eirik.
“Tu conosci Neo Genesis Evangelion?” aveva domandato confuso Carter, “Sono un essere incredibilmente longevo Carter Gale, non ho passato tutta l’eternità a organizzare cene a base di giovani mezzosangue” aveva scherzato quello, “Trovo strano che tu, tra una titanomachia e l’altra, abbia trovato il tempo di vederlo” aveva scherzato.
Carter aveva sollevato un sopracciglio, “Oh, be, sulla Principessa Andromeda non dovevo preoccuparmi che i campi elettromagnetici – o quel che è – attirasse i mostri” aveva spiegato Carter, “Chris e Marvin avevano messo su una connessione wireless da urlo, prendeva nel mezzo anche in mezzo al mare” aveva raccontato con una punta di dolcezza, a quel ricordo.
Chris era ancora vivo, ma dopo il labirinto era uscito fuori testa – e quando aveva recuperato un principio di sanità mentale era rimasto con i suoi nuovi-vecchi amici, Carter non lo giudicava, era arrabbiato ma non lo disprezzava per questo – mentre Marvin, figlio di Efesto, era morto – e Carter non riusciva a ricordare come. Questo lo faceva stare peggio, perché si sentiva come un dio incurante.
Non conosceva benissimo Marvin, lo ricordava come un ragazzino sorridente con le lentiggini sulle guance, gentile.
Ma Marvin era stato uno di loro, lo aveva visto centinaia di volte sul pontile della Principessa, se lo ricordava mentre armato di fibra, fili e parabola assieme a Chris Rodriguez, mentre rassicurava tutti che avrebbero avuto una bella tv in camera.
Luke aveva strillato loro che quello non era affatto una nave da crociera, ma sotto la scorza dura anche il loro generale sembrava ammorbidito – a modo suo, anche lui soffriva il campo. Marvin aveva replicato che lo faceva per il ragazzino umano con la vista, la loro speciale Mascotte.
Anche lui era morto, quando la Nave era bruciata.


Probabilmente Grace lo aveva visto bianco come un lenzuolo, dallo specchietto centrale, per questo aveva parlato; “Apollo è stato comunque insolitamente gentile” aveva notato Grace, interrompendo qualsiasi conversazione che sarebbe potuta nascere su NGE o la valle di lacrime che sarebbe salita a Carter per quella passeggiata nel viale dei ricordi.
“Troppo” aveva considerato Carter, grattandosi sotto il mento. Non sapeva se fosse più turbato da quell’improvvisa pioggia di pensieri che riguardavano la sua vecchia vita, i suoi vecchi amici, o l’incontro con suo padre.
Le sue due scelte: vita – Lauren – o morte – Heather.
Tornare a casa.
Le parole di suo padre, la sua voce continuava a rimbombare nella sua testa, come un tenue veleno, all’inizio senza effetto, ma poi mano a mano paralizzava tutto il resto e lo consumava, come stava accadendo a sua sorella.
Poi, riflettendoci, Carter aveva realizzato di aver omesso un’altra cosa, inconsapevolmente quella volta, “Mi ha detto anche un’altra cosa” aveva mormorato Carter, “Sangue chiama Sangue, non importa il Pantheon” aveva riportato.
“Tetro” aveva commentato Drew cupo.
“Sventura” aveva sussurrato Cenis, in inglese moderno.
“Oh … norne nefaste” aveva detto invece Eirik, “Parlava di Gratia?” aveva chiesto poi allarmato a Carter.
“Si, ha fatto riferimento al giuramento di sangue” aveva mormorato Carter, rivolgendosi direttamente a Grace le aveva detto: “La Hag di Ironwood ha detto che per giuramento di sangue tu appartenevi a quel posto.”
Eirik aveva annuito.
Ceneo aveva parlato, “Tu … detto … non giurato” aveva provato comunque il guerriero Lapito, forse non era riuscito a seguire per bene tutto il discorso.

“Non è mai stato necessario che io giurassi” aveva mormorato Grace, colpevole, “Perché lo ho fatto secoli fa, ho giurato con il sangue, secoli fa” aveva detto amareggiata, “Speravo fosse una piccolezza di cui la Hag non tenesse conto” aveva cercato di dissimulare.
Non ci aveva davvero pensato, Carter lo realizzava.
Grace era fallibile.
“Ignorala!” aveva gracchiato allora Drew, “O ritarda il giuramento, o di che porterai il cuore che vuole tu e lo trafughiamo da una camera mortuaria” aveva proposto il romano.
Audace il romano.
“Non … accordo?” aveva provato in inglese Ceneo, prima di cedere a parlare in greco, “Non vi era tra di voi un legame di parola? Una cosa che tu farai per lei in cambio di una che lei farà per te?” aveva chiesto.
Ottimo punto.
Heather!
Carter aveva drizzato le orecchie, realizzandolo, fissando gli occhi di Grace dallo specchietto, “Anche questo è vero: non devo fare la mia parte fino a che Agrodoba non farà la sua” aveva esclamato Grace con rinnovata – finta – gioia, “Potrebbe non accadere mai, la Hag, come tutti ultimamente è a caccia del figlio di Freyr” aveva provato senza molte convinzione Eirik.
“Sì, abbiamo delle priorità: Yellowstone!” aveva strillato Drew.
Carter non era d’accordo, ma aveva anche la vaga impressione che se suo padre avesse spostato il suo divino deretano da Delo, fino ai suoi sogni, per avvertirlo, voleva dire una sola cosa: sarebbe successo.
E questo non aiutava la sua Ragione ad imbrigliare i suoi sentimenti, proprio per niente.

   
 
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