TORNATA
DAI
MEANDRI DELL’INFERNO.
Mi sono
finita The Trials of Apollo è devo ammettere di averlo
davvero apprezzato
(penso di non aver apprezzato, giusto, una o due cose) comunque mi ha
riacceso
tutto l’amore per questa saga (ed il mio altalenante
interesse per questa
storia).
Volevo dire che sono troppo contenta di aver inventato un poter Ad Hoc
per
Heather che poi anche Riordan ha dato ai figli di Apollo (senza
spoiler, ma
<3).
Comunque, ecco, il capitolo: era un po’ che non avevamo ne
questi personaggi,
in particolare dal punto di vista di Carter.
Confesso, la sua trama era è sempre la più ostica
(perché è abbastanza esterna
alla vicenda) ma era necessaria (e spero di riuscire a renderla
più
interessante).
Comunque, riassunto veloce della trama di Carter:
Grace ha portato Carter e l’allegra combriccola (composta
dalla guerriero Lapito
Ceneo, biologicamente donna, ed il romano, probabilmente in esilio,
Drew) in un
luogo chiamato Ironwood, dove Grace era stata in passato con suo figlio
Marzio.
Qui Grace fa un accordo con la Hag di Ironwood (che vorrebbe che
l’Empusa
raccogliesse un cuore) che la stessa Grace non ha deciso di non
rispettare,
‘troppo tenera di cuore’. Alla combriccola si
aggiunge anche Eirik, il lupo,
precedente – e rinnovato – amante di Grace. Il
gruppo viene indirizzato da
Assetata, la spada maledetta di Drew, alla ricerca di un oggetto molto
particolare: L’Astrolabio del Leone, un
oggetto che potrà condurli
ovunque desiderino.
Per Carter sua sorella Heather, di cui ha continue visioni di morte,
per Drew
la sua vendetta e per Ceneo un dio che possa trasformare il corpo
più in
sintonia con la mente.
Comunque: in qualche modo, qualcosa va sempre storto …
Buona
Lettura
Il
Crepuscolo degli Idoli
Tranquillo,
una passeggiata nel mondo onirico
rimedierà tutte le fratture nel rapporto tra un padre e un
figlio. No, aspetta,
non funziona così …
Carter
IV
“Cos’è?”
aveva chiesto Carter, con un cipiglio sospettoso,
“Tè” aveva esclamato Eirik
con un certo divertimento, “L’ho fatto
io” aveva ammesso il gigante nordico,
anche se in quel momento sembrava solamente un normale giovincello, con
la
giacchetta con il collo di pelliccia anche se era primavera.
“Gratia mi ha
detto che il tuo dono della vista è compromesso”
aveva provato ancora il
gigante, “Non sono pratico nel sidr, ma ho vissuto ad
Ironwood abbastanza da
riconoscere le radici” aveva ripreso.
“Quindi non è tè” aveva
valutato Carter, “Si, è tè per
rischiare la mente,
mezzosangue” aveva detto leggermente irritato il lupo.
Tanto era bastato perché Drew si palesasse, con il capello
floscio arancione,
tirato fin quasi agli occhi, con due grosse occhiaie, per raccogliere
la tazza
dalle mani di Eirik, “Allora lo prendo io” aveva
detto secco. Con una mano
reggeva la tazza, che si era portata alle labbra, e con
l’altra teneva l’elsa
della spada, nonostante questa fosse allacciata alla vita.
“Come va con
l’Anatema?” aveva chiesto Carter allora,
“Bene” aveva detto Drew, “Meno con
quel simpaticone di Ceneo che parla solo greco di
merda” aveva
ringhiato.
“Come sono le cose tra te e Grace?” aveva domandato
Carter, “Ti facevo una
persona estremamente seriosa Carter Gale, non uomo
da chiacchierelle” lo
aveva ribeccato Eirik, “Penso sia colpa dei geni di mio
padre” si era
giustificato.
Era la prima volta, in tanto tempo, che si rivolgeva ad Apollo come Suo
Padre, senza sdegno ed in così tanta
tranquillità, come se avesse fatto
riferimento ad un padre di provincia qualsiasi e non al signore del
Sole, fonte
primaria di ogni sua disgrazia.
“Secondo me perché se la voleva bombare
lui, l’empusa” aveva detto Drew
con sprezzo, provava a combattere contro l’influsso venefico
di Assetata,
probabilmente era migliore di quanto sarebbe stato Carter con lei,
già così
pingue di rabbia per Joelle, per la sua vita. Ma la spada riusciva
comunque a
turbare Drew.
“Amico, io pianterei quella spada da qualche parte, si vede
che ti logora”
aveva esclamato Eirik, con una punta divertita nella voce.
Simpatici i Jothuneim.
“Se la lasciassi per anche solo cinque minuti, Assetata,
troverebbe il modo di
cadere in altre mani” aveva risposto Drew, “Be,
dai, non è detto” aveva proposto
Carter, “Chi sa per quanto tempo è rimasta nelle
mani di Manto?” aveva proposto
lui.
Drew lo aveva puntato con occhi appuntiti, “Diciassette
anni” aveva rivelato,
“Quando il suo ultimo portatore, Elyas Phoenix, la ha
volutamente lasciata alla
Fonte” aveva raccontato, “Questo me lo ha detto
Assettata” aveva spiegato, “Il
potere di Manto ha irretito la sua volontà; inoltre la
strega l’aveva rinchiusa
in un posto dove nessuno sarebbe dovuto entrare” aveva
ripreso la sua storia
Drew, lanciando uno sguardo al figlio di Apollo.
“Fino a Lauren” aveva specificato Carter,
ricordando il viso tondo della figlia
di Afrodite, con i capelli castano ramato e le labbra morbide, fatte
apposta
per essere baciate.
Aveva ricordato quel bacio, appassionato, che si erano scambiati nello
stanzino
degli oggetti perduti, brulicanti di emozioni e passioni.
Non si era mai sentito così, immaginava fosse da attribuire
alla natura
afrodisiaca di cui era intrisa per sangue Lauren stessa … o
magari aveva solo
una cotta, poteva succedere, infondo anche Carter era umano.
“Una figlia di Venere, ovviamente” aveva detto
Drew, con un riverbero d’astio
nella voce, probabilmente provocato da Assetata. “Come il
semidio per cui la
maledizione è nata” aveva provato a proseguire, ma
la voce di Ceneo era venuta
sopra a quella di lui, aveva fatto un commento non esattamente felice
in greco.
Da quando Ceneo aveva fatto coming out non era
cambiato molto,
continuava ancora ad indossare le camicie in flanella a quadri, sopra
le
canotte, il seno però era scomparso dietro una banda. Anche
i pantaloni di
jeans scoloriti, sempre portati larghi, non erano cambiati.
I capelli scuri erano ancora raccolti in una coda cavallina ed il suo
viso era
ancora tragicamente femminile, situazione che doveva irritarlo non poco.
Carter lo sapeva che avevano bisogno di un dio che mutasse il corpo di
Ceneo.
Sapeva anche che a lui non sarebbe dovuto importare così
tanto, ma immaginava –
circa, al limite delle sue possibilità – che
ritrovarsi in un corpo che non
corrispondesse allo spirito doveva essere una delle cose più
atroci mai
successe.
Drew aveva ringhiato qualcosa di rimando a Ceneo, aveva parlato in
latino,
Carter come lingua non la conosceva, ma immaginava non fosse niente di
gentile.
“La strada … controllata. Grace, lei, trovato la
macchina … direzione spada”
aveva riportato poi Ceneo, sforzandosi di parlare in inglese, come
Grace aveva
chiesto. Drew aveva emesso un verso vagamente gutturale, ma Carter
aveva
interpretato quel suono come un verso di apprezzamento.
“Immagino che non mi abbia lasciato un pezzettino”
aveva ghignato il gigante
nordico, con un tono melodrammatico.
“Grace non mangia uomini” aveva detto Carter, con
voce scandalizzata, ma Eirik
aveva riso, di lui.
Carter
doveva ancora abituarsi al fatto che Grace avesse un fidanzatino,
mostruoso e
dall’apparenza bonaria come lei, anche se non credeva davvero
che Eirik potesse
essere come Grace.
Infondo nessuno era come Grace.
Giusto, sulla sua amica, c’era da considerare anche quel
piccolo ed
assolutamente trascurabile dettaglio che un tempo era stata madre.
Sebbene, a
primo acchito, questa notizia lo avesse non solo stupito ma anche
destabilizzato, in seguito aveva spiegato molti comportamenti che la
sua amica
aveva adottato e che aveva sempre confuso Carter.
Perché non mangiava carne umana, perché era
sempre così materna con lui e
perché sapesse sempre cosa fare con Marlon, come rapportarsi
con lui. Veniva da
chiedersi se in Grace avesse visto in Marlon – e forse anche
in Carter – un po’
di suo figlio.
Marzio, così aveva detto fosse il suo
nome.
Nonostante
lui e Grace fossero stati amici da tempo, quella che avevano avuto
qualche
giorno prima, era stata la prima chiacchierata a cuore aperto, dove
avevano
potuto essere onesti e sinceri. Grace gli aveva parlato di Marzio,
chiamato
così perché era figlio del figlio del Dio della
Guerra, ma che non aveva
predisposizione nell’arte militare, ma aveva ereditato da lei
la magia ed
avevano parlato dei loro viaggi. Carter di risposta aveva raccontato di
Joelle,
realizzando di averne parlato per la prima volta. Lo aveva reso
più vero, Joelle
era morta, ma lo aveva anche reso più
affrontabile, qualcosa che mai, fino
a quel momento non aveva mai pensato potesse essere.
E si era chiesto perché avesse aspettato così
tanto per parlarne con Grace.
Carter
si
era sentito rinato, dopo quella conversazione, dopo tanto tempo era
anche
riuscito a disegnare. Era stato solo uno schizzo, fatto con
un fazzoletto
di una stack-house, con un bastoncino e il fondo del caffè.
Però era qualcosa
ed ovviamente era Joelle. Informe, sì, abbozzato, ma reale.
Dopo tanto tempo.
“Nessuno si salva dopo aver sfidato un Dio”
ecco come aveva detto
Joelle. Però, Carter non avrebbe perso più
nessuno.
Avrebbe preso l’Astrolabio di Leone.
Avrebbe trovato Heather.
Avrebbe trovato un Dio per Ceneo.
Avrebbe trovato la vendetta per Drew.
Ed un posto per Grace ed il suo lupesco fidanzato.
Forse avrebbe potuto rivedere Marlon e Lauren, magari baciarla ancora.
Dovevano solo capire cosa e come fare.
“Sei molto bravo” aveva valutato Ceneo al suo
fianco, in greco, mentre infilava
una patata bollente in bocca, “Sangue di Apollo”
aveva ammesso candido Carter,
accartocciando il viso di Joelle poi. Realizzando con orrore di averlo
fatto di
nuovo, di aver parlato con disinvoltura di suo padre.
“Sono naturalmente bravo nel disegnare, suonare e tirare
d’arco, ma preferisco
la spada” aveva spiegato Carter.
“Sei anche un ottimo medico” si era
intromessa Grace sorridendo bonaria,
mentre posava la testa sulla spalla di Eirik, aveva sussurrato qualcosa
nell’orecchio del lupo, in una lingua che Carter non
conosceva, aveva
riconosciuto solo i termini ‘Apollo’
e ‘Freyr’.
“Per il canto?” aveva chiesto Ceneo, incuriosito,
tecnicamente Carter era bravo
anche in quello, non era di certo degno di The Voice, forse in effetti
non era
neanche così bravo, ma poteva utilizzare la sua voce come
arma, di tanto in
tanto, come ammansire le bestie, o per accrescere le sue altre doti,
come
quella medica.
Il
loro
pranzo era stato interrotto da Drew, che aveva spostato senza grazia i
loro
piatti, spalancando una cartina sul loro tavolo, “Lo abbiamo
già fatto” aveva
mormorato leggermente turbata Grace, “Io …
mangiavo” aveva borbottato Ceneo,
ammiccando al suo piatto da cui era stato tragicamente allontanato.
Drew aveva ignorato il secondo ed aveva risposto alla prima,
“Sì lo so. Però
ora lo ripetiamo” aveva detto, “Dobbiamo muoverci adesso,
dobbiamo
arrivare a Yellowstone il prima possibile” aveva ringhiato,
armato di
nervosismo il giovane. “Mozione per strapparli quella spada
dal culo?” aveva
chiesto Eirik, spiritoso.
“Sì, dividiamoci l’Anello del
Potere” aveva accettato Carter, ignorando le
proteste che erano naturalmente venute da Drew.
Nella
macchina presa da Grace ci stavano tutti e cinque; un po’
stretti. Grace aveva
preso il volante, il posto al suo fianco era stato arduamente lottato,
lo aveva
ottenuto Drew, solo a patto che mettesse Assetata nel bagagliaio.
“Se dovessimo essere attaccati, potrei non riuscire a
recuperarla” erano state
le vane prosteste del ragazzo di argilla, “Oh, tranquillo,
Drew” aveva provato
a rassicurarlo Grace, “Ho l’impressione che
Assetata non starà molto in
panchina” aveva bisbigliato.
Nei tre sedili dietro si erano sistemati lui, Ceneo ed Eirik. Carter
che era il
più piccolo di statura, meno spesso di Eirik e
più basso di Ceneo, si era
ritrovato ad occupare il centro.
“Va un po’ meglio Drew?” aveva chiesto
Grace, rivolgendosi al ragazzo seduto
sul sedile anteriore, “In realtà si”
aveva ammesso quello, aveva ancora un tono
aspro, ma sembrava più calmo, “Fantastico, allora
farai tu le veci del gps”
aveva stabilito Grace, mentre Drew distendeva la mappa davanti a
sé, per
poterli introiettare nella direzione indicata da Assetata.
“Yellowstone stiamo
arrivando” aveva canticchiare l’empusa come una
scolaretta in gita.
Dopo che Grace aveva messo in azione il motore, Carter dovette
ammettere di
cominciare a sentire il sonno pressare sulle sue palpebre, era sempre
stato
sensibile ai mezzi, gli favorivano sempre l’addormentarsi,
inoltre, in quei
giorni aveva dormito poco tra attacchi da parte di gigante, guerriglia
con
spettri e centauri, funerali e pure il pantheon nordico.
Aveva provato a rimanere sveglio, appisolandosi più di una
volta, finendo per
urtare lo zigomo contro la spalla irta di Ceneo, ogni scossone della
macchina
lo aveva svegliato, ma alla fine, nonostante la strenua opposizione
di
Carter, il sonno l’aveva avuta vinta.
Sarebbe stato bello, poter scivolare in un buio senza luce, ma
raramente Carter
era fortunato.
“Oh
no”
aveva mormorato, Carter, realizzando di essere in qualche luogo, a lui
tristemente noto, sull’ansa del Lago Posa, non lontano dalla
casa della sua
infanzia.
“Mi sembrava azzeccato” aveva sentito una voce al
suo fianco, con voce calma.
Si era voltato allarmato, trovando un figuro al suo fianco.
C’era un ragazzo
proprio accanto a lui, uno di quei fighetti rivestiti che sua madre
aveva
sempre desiderato lui diventasse, con la pelle bronzea, la camicia
sbottonata
sui primi bottoni, i pantaloni crema e i mocassini.
Senza contare i capelli biondo d’orato un po’
selvaggio.
“Oh” si era lasciato sfuggire Carter.
“È tanto che non ci vediamo figliolo”
aveva detto Apollo.
“Non chiamarmi così”
aveva ringhiato Carter, la sua prima reazione
spontanea.
“Eppure mi hai chiamato padre due volte, oggi”
aveva replicato Apollo.
“Il fatto che tu sia mio padre, non fa di te un
genitore” era stata la risposta
di Carter.
Era strano averlo detto, dopo tutto quel tempo.
Apollo non aveva emesso nessun commento, il suo viso era rimasto
neutro, cosa
che non si addiceva molto a lui, visto di solito tendeva ad essere una
personalità orribilmente passionale.
“Touché” aveva concesso il dio.
“Pensavo che la visione profetica fosse bloccata”
aveva commentato poi Carter,
dopo un certo silenzio imbarazzato, o la gita fino alla Fonte diventava
obsoleta.
“Si lo è. Un mio vecchio nemico, si
è attorcigliato attorno alla fonte
profetica di Delfi” aveva risposto suo padre senza nascondere
una buona dose di
veleno nella voce, “E voi non vi eravate murati
nell’Olimpo?” aveva chiesto
ancora il semidio.
Apollo aveva scosso il capo, a guardarlo così bello e
perfetto, Carter lo
capiva perché una donna intelligente e brillante come sua
madre avesse commesso
l’errore di cedere ad un tale faccia di bronzo.
“Mio padre mi ha esiliato a Delo. Insieme a mia
sorella” aveva raccontato, “In
questo momento, il tuo divino nonno mi odia e mi da colpe”
aveva aggiunto con
una punta di acredine, “Che non ho” ci aveva tenuto
a specificarlo – il figlio
ne aveva qualche dubbio.
“Oh!” aveva comunque commentato Carter,
“Finalmente abbiamo qualcosa in comune,
pare” aveva aggiunto.
Apollo l’aveva guardato con uno dei suoi occhioni blu ed
aveva sollevato un
sopracciglio, “Oh, ma che sciocchezza Carter, io
non ti odio” aveva
ammesso suo padre.
Sarebbe piaciuto a Carter dire che quella frase gli scivolò
addosso come
l’acqua, che dopo tutto quel tempo, dopo tutto
quell’odio, sapere di non essere
odiato, ma non fu così.
Ciò che Carter si era ritrovato a provare fu una primordiale
confusione,
disorientato confusione.
Perché lui aveva odiato Apollo – e lo odiava
– e non poteva credere che quel
sentimento che ardeva così feroce in lui, fosse a senso
unico.
Non era giusto. Voleva che suo padre l’odiasse.
Suo padre doveva odiarlo, perché un dio e loro erano
creature pingue, venali e
crudeli.
“Parlavo di Zeus” aveva mentito Carter, per
dissimulare quel tumulto di
sensazione che albergavano dentro di lui.
Apollo aveva incassato il colpo, infilando la mano nei pantaloni kaki,
con
un’espressione colpevole in faccia.
Almeno ne era consapevole.
“Delo
è la
mia casa, lo sai, quella dove sono nato. Prima che
l’agganciassero, era
un’isola vagante, l’unico luogo dove mia madre,
fuggiasca da Hera, poteva
rifugiarsi …” aveva cominciato a parlare Apollo,
ma era stato interrotto da
Carter, “Si, la conosco questa storia, grazie”
aveva replicato secco.
Anche in questo caso il dio non era sembrato particolarmente risentito
dalla
sua interruzione, “Si, be, la stavo prendendo incredibilmente
alla lontana,
sono il dio della poesia, sono un narratore eccezionale”
aveva cominciato a
ciarlare Apollo.
Carter lo aveva guardato con un certo biasimo, “Non ho
bisogno di una storia
alla lontana per sapere quanto facciano schifo gli Dei” aveva
commentato con
una certa acidità, suo padre lo aveva guardato con un certo
biasimo.
Poi c’era stato del silenzio tra loro, “Puoi andare
con la versione breve e
spiegarmi quello che e che sta succedendo” aveva detto
esasperato Carter,
comprendendo che con suo padre non ne sarebbe venuto fuori facilmente;
Apollo
adorava troppo il suono della sua voce per poter velocizzare quel
processo o
essere rimproverato da un figlio traditore come Carter.
“Per farla breve Carter, quando la guerra è
finita, noi Dei ci siamo ritrovati voi
tra capo e collo” aveva cominciato suo padre, non sembrava
breve.
“Noi? Intendi i mezzosangue filo-Crono?” aveva
chiesto Carter, Apollo aveva
annuito, “Avremmo potuto e fidati sia Atena sia Ares, per
l’unica volta in
accordo, erano piuttosto volenterosi di far calare la
mannaia” aveva
raccontato.
Carter era sbiancato, “Ucciderci?” aveva domandato,
pensando con lucidità
quanto avesse appena sfuggito quel destino.
Era coerente con il modo di interpretare la vita gli Dei, si lo era ma
…
“No, no, quello era il piano della mia matrigna, sempre molto
simpatica” aveva
detto Apollo, colmo di imbarazzo.
“Tu invece sei sempre moderatissimo giusto” aveva
rinfacciato Carter, non aveva
senso tenersi tutto il suo veleno dentro a quel punto, tanto Apollo
aveva
ammesso di non odiarlo e di rimando Carter era già odiato.
“Non sono così cattivo come la gente mi scrive,
sono un dio buono e disponibile
…” aveva cominciato a blaterare suo padre.
Carter aveva sollevato un sopracciglio, “Infatti, io ho
votato per lasciarvi in
vita. Siamo stati la maggioranza” aveva esclamato soddisfatto
di sè Apollo. Il
figlio non gli aveva tolto gli occhi di dosso, sollevando un
sopracciglio,
“Dove è l’inghippo?” aveva
domandato retorico. Il dio del sole era parso cotto
per un secondo di puro imbarazzo, “Abbiamo valutato che
vivere poteva rivelarsi
una punizione più confacente” aveva ammesso.
Così potete tormentarci meglio, aveva
pensato il semidio, morti non
diamo troppa soddisfazione.
“Io sarò ramingo e fuggiasco”
aveva risposto Carter, allora. Apollo lo
aveva guardato, con intensità, “È un
verso della bibbia” lo aveva informato il
semidio, “Lo so, lo so” lo aveva rassicurato il suo
divino padre, “C’ero quando
l’hanno scritto.”
“Atena e Ares vi volevano bandire tutti alla stessa
maniera” aveva ripreso
Apollo, “Ma poi, dopo la richiesta di Percy Jackson di
riconoscere tutti” il
dio aveva fatto una pausa, “Zia Estia consigliato di cuore di
pensarci su un
po’ di più, di considerare le cose per
bene” aveva ammesso, “Tutti abbiamo un
soft spot per Estia.”
“Oh, lo avete fatto Ad Personam”
aveva realizzato Carter.
“Ogni singolo caso” aveva confermato Apollo,
“Per una volta ci siamo impegnati
ad essere bravi. Per davvero” aveva confessato, con un
sorriso buono ad
adornare il viso di bronzo.
Carter aveva fatto una smorfia, ma non era intervenuto.
“Abbiamo ascoltato
anche le Divinità Minori, per quanto, effettivamente non
abbiamo potuto
permettere a tutti di votare. Poi il processo sarebbe stato lungherrimo”
aveva confidato, “Nel senso noi siamo eterni, ma voi
… no”.
Immaginava, Carter, che dagli Dei non si potesse chiedere poi molto.
“Quindi: il mio caso, sentiamo” aveva berciato
Carter, “Tanto è per questo che
siamo qui” aveva detto.
Apollo, “Diretto: mi piace, questo lo hai preso da
Kimmey” aveva ammesso suo
padre. Carter aveva sentito un brivido lungo la schiena nel sentire suo
padre
rivolgersi con quel nomignolo dolce a sua madre.
“Tu non hai deposto le armi, fino a fine della guerra, hai
tradito il campo
mezzosangue e come hai ammesso tu stesso ad Ethan Nakamura. Riconosci
il campo
come la tua casa, riconosci i tuoi fratelli come tuoi affetti ed hai
dichiarato
più volte la tua idea di continuare a combattere contro gli
Dei. Di volerci
uccidere tutti” gli aveva ricordato suo padre.
Carter aveva sentito il fuoco bruciarli dentro, “Ed hai il
coraggio di
biasimarmi? Joelle!” aveva strillato, “Joelle era
innocente! Non si
meritava quello che …” aveva fatto una pausa.
Aveva immaginato il consiglio dei dodici dei che deliberavano sulla sua
vita
come se non fosse nulla, come probabilmente avevano fatto con Joelle,
allora.
“Ho votato negativamente, figliolo, entrambe le
volte!” gli aveva strillato
contro suo padre, “Per te. Sempre per te” aveva
aggiunto, accarezzandoli le
guance con le nocche, la sua mano era calda, come giusto che fosse il
Dio del
Sole.
Carter lo aveva spinto.
Aveva spinto il Dio del Sole.
“Non mentirmi!” aveva strillato Carter.
Apollo sembrava irritato, “Non l’ho fatto e non
accusarmi mai più di questo,
ragazzino. Non abusare dell’amore che provo per te”
gli aveva ringhiato.
Carter stava tremando di rabbia.
Amore? Quale amore?
“Ti ho dato il corvo, nonostante io odi quelle fameliche
bestiacce, ti ho
permesso di tenere i miei doni per te e ti ho perdonato, tutte le tue
dannate
ingiurie contro gli Dei e contro di me” aveva rimarcato
Apollo.
Carter era rimasto in silenzio, assoluto, non sapendo bene come avrebbe
dovuto
rispondere a questo.
Suo padre sembrava ancora assurdamente infuriato, “Adesso:
seguimi” aveva
impartito, “Sto per mostrarti, per quanto possibile, il tuo
futuro” aveva
ripreso Apollo.
“Hai detto che un tuo noemico era avv-” aveva
provato Carter, ma suo padre
aveva mosso la mano come per scacciare quel discorso, “Visto
che mio padre è
arrabbiato con me, sono già in castigo e se i Sette non
sistemano la situazione,
saremo tutti morti. Sto facendo uno strappo alla regola”
aveva detto Apollo.
“Ermes ha sempre saputo quale destino attendeva Luke,
perciò, dopo il tuo
processo …” aveva ripreso suo padre,
“Dove avete dimenticato di convocare
l’imputato” si era intromesso Carter, ignorato a
pie pari, “Sono andato a
controllare il tuo di futuro” aveva affermato Apollo, senza
scomporsi.
Oh.
Wow.
Apollo
aveva
preso a camminare nella direzione opposta del lago e Carter lo aveva
seguito,
nolente, l’attimo dopo non erano più sulle rive
del Pose, ma erano ad una
stazione di servizio da qualche parte dell’America Rurale.
Carter aveva riconosciuto una macchina decapottabile rosso corallo,
parcheggiata vicino un distributore della benzina. Carter aveva visto
una
ragazza che recuperava la manichetta della pompa per fare il pieno alla
macchina, la sua prima, volgare, impressione fu che non era bello,
c’era
qualcosa di impreciso nel viso, come un disegnatore non si fosse curato
troppo
di mantenere una simmetria.
Fu tentato di chiedersi cosa volesse mostrargli Apollo, ma poi lo
comprese
subito.
Lauren era uscita dallo Store alle spalle, con la coda cavallina rosso
castagno
e la maglietta arancio del campo. Teneva due mik-shake in ambedue le
mani,
dirigendosi con un sorriso allegro verso l’altra ragazza.
Marlon la stava seguendo mangiando un pacco di patatine.
Di Emma, nessuna traccia.
“Potresti … Potresti tornare a casa,
Carter” aveva detto Apollo, “Come
ti sei comportato con Marlon, quello che dirà di te Lauren e
allo stesso tempo
… Carter, tu, puoi tornare a casa”
aveva raccontato.
“Se Percy Jackson ci salva il culo” aveva provato
il semidio, cercando di
tenere a galla la sua rabbia, rendendosi conto che stava cominciando a
scemare.
Da quando si era confessato con Grace, il suo dolore stava cominciando
a
scemare.
Poteva tornare a casa.
Da Heather, da Will, Kayla e Austin.
“Sì, tragico effetto collaterale di questo
mondo” aveva detto Apollo,
prendendolo per un braccio per guidarlo via ancora.
Questa volta erano in una stanza, Carter non aveva ben idea di dove
fossero, a
guardarla sembrava una di quelle vecchie stanze nelle ville
seicentesche che si
vedevano sempre nei programmi storici, tipo le Stanze della Regina a
Versailles, anche se, be, aveva dubbi fossero davvero quelle.
La carta da parati era comunque datata e con una fantasia floreale
piuttosto
pacchiana.
“Oh quanti ospiti interessanti” aveva detto un
giovane uomo, “Ignorali Attis,
sono spettatori passivi” lo aveva zittito Joelle.
Carte aveva sentito un tremore nel vedere il viso della sua amica,
ancora tondo
e roseo, con i capelli scuri ondulati, ma poi si era accorto che
qualcosa
stonava, non aveva gli stessi occhi grandi tondi, ma anzi erano
più
assottigliati, allungati, come quelli di Carter. Anche il naso era
più stretto,
aveva un collo lungo elegante come quello di un cigno ed un fisico a
clessidra,
da donna, come Joelle non lo era mai divenuta.
Era una creatura ibrida tra sua madre e Joelle, realizzava.
“Pensavo che questo posto fosse un posto sicuro!”
aveva sentito strepitare
qualcuno, non lo conosceva ma era giovane, forse suo coetaneo forse
più
giovane, un ragazzetto dalla pelle cotta, i capelli rasati e
un’espressione
funerea in viso.
“Non posso tenere fuori gli Dei se uno degli ospiti li
invita. E questo dio qui
è stato invitato” si era difesa Joelle-Kim,
mettendo le mani sui fianchi,
“Anche se si è presentato un po’ in
ritardo” aveva detto guardando dritto
Apollo; sul viso della donna si era dipinta un’espressione
accigliata, che
Carter riconosceva perfettamente in quella di sua madre, quando lui
combinava
qualche marachella da bambino.
“Nessuno ha invitato Lilith” aveva insistito
quell’ultimo, “Si, giovane Trevor,
quello è stato una mia svista” si era difesa la
donna.
Doveva essere una dea, non poteva essere altrimenti. Si era voltata poi
verso
Attis, un uomo ancora giovane in viso, vestito con un maggiordomo,
congedandolo.
“Uhm, possiamo … possiamo concentrarci?”
per Carter sentire quella voce era
stato disorientate, ma l’aveva riconosciuta subito, era una
delle gemelle
LaFayette, non erano omozigote, ma aveva comunque impiegato
più del necessario
per riconoscere chi era delle due.
Bernie, oscura, brillante e pericolosa. E sebbene Carter come figlio
del sole
le avesse sempre percepite entrambe in quella maniera, non aveva mai
percepito
Bernie così tanto in quel modo, aveva
quasi l’impressione di percepire
un’oscura aurea attorno a lei, come se sulla giovane
mezzosangue ogni luce
finisse per spegnersi.
Una oscura macchia di buio, ebbe paura che anche lui, vicino a lei, si
sarebbe
affievolito.
Bernie
non
era da sola, accanto a lui c’era un'altra conoscenza di
Carter: capelli
biondino pallido, con la pelle chiara come la carta da zucchero, anche
lui
aveva fatto parte dell’esercito di Crono, era il ragazzo che
non parlava mai,
l’amico di Alabaster – non era sicuro di ricordare
il suo nome, o di averlo mai
saputo.
“Loro sono vivi” lo aveva sussurrato ad Apollo con
una gioia che non sapeva di
avere, era strano? Non ne era sicuro.
Non aveva pensato molto a loro, loro due nello specifico, ma era
felice,
felicissimo, nel vederli.
Ebbe quasi l’impressione che Bernie potesse vederlo,
nonostante Carter non
fosse davvero lì.
“Si, tu e i tuoi amici siete estremamente tenaci”
aveva concesso Apollo, ma la
sua espressione era inasprita, come se qualcosa lo infastidisse nel
profondo.
Perché erano i filo-titani.
“Purtroppo il nostro universo è deterministico”
aveva ripreso a
parlare Joelle-Kimi, solo che non aveva risposto a Bernie, stava ancora
parlando con Apollo, la sua voce era un morbido sussurro.
“Grande Madre Idea”
aveva provato il ragazzo dalla pelle scura, attirando nuovamente
l’attenzione
della dea. Carter non l’aveva mai sentita, ma percepiva
dovesse essere una
signora piuttosto potente.
Madre
Idea
con gli stessi occhi allungati di sua madre, del colore giallo delle
foglie
d’autunno, non aveva ancora dissoltolo lo sguardo da Apollo.
Era pregna di
afflizione “Però, possiamo barare un
po’” aveva concesso, prima di voltarsi
verso gli altri abitanti della stanza, aveva allungato una mano ed
aveva
accarezzato la testa rasata del giovane che le era più
vicino.
“Bene, Trevor, mio giovane stregone” aveva
cominciato Grande Madre Idea,
strizzando la guancia di quello che doveva essere appunto Trevor,
“Prendi quel
tuo simpatico reperto archeologico” aveva aggiunto,
“Non rischieremo di
liberare l’Aten, vero?” aveva chiesto quello
preoccupato.
“Allora il gioco varrebbe la candela” era
intervenuta Bernie con voce ferace.
“Esatto: sarà necessario che tu sia
così carica” aveva detto Grande Madre Idea,
“Perché il tuo potere dovrà contenere
quello di un Dio” aveva aggiunto
mortalmente seria.
“Invece tu, Jude, dovrai utilizzare i doni che ti sono
concessi da tua madre:
la rinascenza” aveva aggiunto, ammiccando all’amico
di Albastaer.
Non conosceva il nome di quel ragazzo fino a quel momento e non sapeva
neanche
di sua madre – era un pensiero stupido.
“Questo è colpa mia” aveva pronunciato
Jude, le prime parole che Carter gli
avesse mai sentito pronunciare, aveva una voce più adulta,
profonda – diversa
da come il figlio di Apollo l’aveva immaginata.
Il ragazzo si era avvicinato all’enorme letto matrimoniale,
dove Carter in quel
momento poteva scorgere fosse steso qualcuno, infagottato dalle coperte.
Bernie aveva rivolto uno sguardo di puro astio sul viso, verso Jude,
condividendo evidentemente l’opinione del ragazzo stesso.
“Non so se essere contenta o meno che Ethan non abbia usato
il vostro
veleno su Percy Jackson” aveva detto venefica.
Carter ebbe la certezza di sapere con vostro a chi si stesse riferendo,
Jude ed
il suo abituale comparo di merende: Alabaster C. Torrigton; Carter
ricordava
bene di aver visto i due cercare di creare un veleno che potesse
seccare l’eroe
Percy Jackson.
Lo avevano fatto, ma ricordava la titubanza che Ethan aveva avuto
davanti
quella mistura – proprio il giorno dopo, quella loro tesa
conversazione a cena
– ed alla fine aveva utilizzato altro.
Meno letale, meno efficiente.
Fallimentare.
Jude
aveva
chiuso gli occhi, c’era davvero dolore nel suo viso, si era
morso il labbro.
Una mano pallida come la neve, tormentata da macchie bluastre come una
muffa,
era emersa da sotto le lenzuola, posandosi sull’avambraccio
di Jude. “Bernie”
aveva sentito un sospiro, in quel momento, “Non
tormentarlo” si era
raccomandata la figura, che piano, piano, come un lombrico era
strisciata da
sotto le coperte.
Heather Shine, con la pelle squamata bianca come la neve, macchiata di
vene blu
come viticci, i capelli rossi cupi come sangue, spenta, era apparsa
davanti a
lui, come quando l’aveva vista alla fonte di Manto.
“No. Questo è sbagliato” aveva esclamato
Carter, “Dovevamo essere al Campo …”
aveva cominciato spaventato nel panico.
Dovevano essere al Campo, vicino al Pino, non c’era il vello,
Heather era
avvelenata come in quel momento, aveva chiesto di lui … si,
ed era con
Alabaster e … Bernie.
Dei immortali.
“Cominciamo! Heather, sfrutteremo il potere
dell’Aten per guarirti, almeno
parzialmente” aveva scherzato Grande Madre Idea.
“Mi raccomando Bernie … a te toccherà
la parte più dura” aveva strillato la dea
primordiale, “Cercherò di non disintegrarmi questa
volta” disse Bernie lugubre.
Questa volta?
Carter avrebbe voluto vedere ancora, ma la visione si era sciolta come
la neve
in una giornata di sole.
“No! Aspetta, non è finita!” aveva
strillato verso suo padre.
Apollo non aveva fatto una piega, “La salveranno, per
ora” lo aveva
rassicurato, c’era un fondo di dolcezza nella sua voce, ma la
sua espressione
rimaneva neutra, come se quella stesa sul letto di morte non fosse
figlia sua.
Dei.
Infami.
Dei.
“Cassandra ha predetto la morte di Heather” suo
padre aveva parlato con un tono
pregno di dolore, Carter aveva potuto scorgere proprio la sofferenza
quando
aveva pronunciato il nome di ambedue.
Gioca
pure
con la pestilenza
Regina
della
fraudolenza
il
tuo
destino è segnato
il
male acquattato
verdi
i suoi
occhi
Letali
i
suoi stocchi
L’averno
due
volte visiterai
ma
la
seconda volta resterai
Aveva
recitato suo padre, “Questo Cassandra ha detto”
aveva ammesso cupo. Carter
aveva ascoltato quella piccola profezia, “Morirà e
risorgerà” aveva sorriso per
un mero secondo, “Gli ultimi due versi, potrebbero
significare questo, no?”
aveva incalzato verso suo padre.
Apollo si era morso un labbro, il viso invece di essere bronzeo
sembrava
bianchiccio e malato, non condivideva lo stesso cieco ottimismo di
Carter,
evidentemente.
Però aveva senso no?
Aveva visto Heather stare male, nel futuro – che ancora non
era quello – ai
piedi del Campo Mezzosangue, dove qualcuno avrebbe potuto stenderle
addosso
anche il vello d’oro. Dove un figlio d’Apollo come
Will avrebbe potuto metterci
mano.
L’espressione di suo padre era rimasta marcia.
“Ma tu non lo pensi e tu sei il dio della profezia”
aveva sottolineato Carter,
“Perché me lo hai mostrato?” aveva
abbaiato poi, sentendo il sangue farsi amaro
nelle sue vene.
Suo padre aveva sospirato, stanco, come se avesse faticato fino a quel
momento,
“Hanno fatto una previsione a tua sorella molti, moltissimi,
secoli fa” aveva
ammesso, “Ti ho detto che hai due vie” aveva
aggiunto, “Casa” aveva ripreso
Apollo, aveva fatto un gesto con la mano, aveva mosso del fumo verde,
come
quello degli oracoli, che si era condensato nella figura di Lauren
Odalisque,
“O … morte” aveva mosso ancora la mano,
il fumo era mutato ed era divenuto
Heather Shine.
“Non ci sono mai solo due strade” aveva risposto
Carter, “Giano non
sarebbe d’accordo” aveva replicato suo padre,
“Ecate si” aveva sottolineato
lui, ripensando proprio al figlio di Ecate: Alabaster Torrigton con il
sorriso
storto e la malizia negli occhi … verdi.
“Al!” aveva strillato.
Apollo aveva aggrottato le sopracciglia bionde perfettamente
pinzettate, “Cos
…” aveva provato.
“Alabaster è uno spadaccino, oltre che uno
stregone, uno dei migliori
spadaccini che io abbia mai visto” aveva confidato,
“Ed ha gli occhi verdi”
aveva spiegato.
Verdi i suoi occhi,
letali i suoi stocchi.
“Il veleno che ha fabbricato Al è quello che la
sta uccidendo ed Al non farebbe
niente senza avere un rimediare” aveva chiarito.
Nella visione che aveva visto Heather era sorretta da Bernie ed
Alabaster, che
la stavano portando al campo mezzo-sangue, forse per chiedere aiuto,
forse per
recuperare degli ingredienti.
Heather non chiedeva di lui per una qualche connessione mistica, ma
perché si
erano probabilmente già incontrati …
Perché Carter le aveva portato la soluzione: Alabaster.
“Devo trovare Al, per Heather” aveva esclamato.
Eccola, la sua terza via.
Suo padre lo aveva guardato in tralice.
“No, Carter, non è qu-” ma il tentativo
di evasione di suo padre era stato
interrotto da Carter stesso, “Grazie, Padre”
aveva ammesso, “Certo come
dio della medicina, o padre del signore-supremo-della-guarigione,
potresti
comparire e sistemare Heather, fare un altro strappo alla
regola” aveva
aggiunto con una punta di cattiveria.
“Ma grazie” aveva aggiunto nuovamente.
Suo padre lo aveva guardato con un’espressione che Carter non
era in grado di
decifrare, leggeva un po’ di rassegnazione per non essere
riuscito a
dissuaderlo, ma anche soddisfazione, per lo stesso motivo. E
c’era dolore, per
lui, per Heather … perché la morte era la loro
ultima fermata, ma sarebbe stato
sempre così, che fosse avvenuto tra due giorni o
vent’anni.
E c’era amore, negli occhi, tanto amore, che fece quasi male.
Apollo allungò una mano per provare ad accarezzare il volto
di Carter, ma
quello si ritrasse immediatamente indietro, timoroso di finire bruciato.
Nonostante tutto, Carter non era disposto a perdonare Apollo.
“Permettimi di darti due consigli allora” aveva
cominciato suo padre.
“Due, addirittura: generoso” aveva scherzato
forzatamente Carter, ma si rendeva
conto che il sarcasmo che aveva voluto adoperare ne era uscito
piuttosto
fiacco. “Sangue chiama sangue, sempre. Non importa il
pantheon” aveva detto
lugubre Apollo.
Carter ebbe la sgradevole sensazione non stesse parlando di lui,
“Grace”
sospirò Carter, Apollo non confermò ne
smentì nulla e tanto basto a lui per
comprendere che aveva avuto ragione, “La tua amica ha fatto
un giuramento di
sangue all’amante di Loki” aveva spiegato suo padre.
L’amante di Loki?
Intendeva la Hag di Ironwood?
Prima che Carter potesse fare domanda, Apollo aveva ripreso a parlare:
“I
nordici prendono molto sul serio i giuramenti di sangue, ricordalo alla
tua
amica” aveva chiarito.
Carter aveva annuito – quello era un problema. Decisamente.
“La seconda questione riguarda l’Astrolabio di
Leone” aveva detto, “Non lo
potrai avere se permetterai ai sentimenti di aver ragione sulla
mente” aveva
spiegato suo padre.
“E tu, Carter, sei figlio mio. Sei molto
passionale” aveva ammesso Apollo.
L’odio che lo teneva in piedi poteva esserne un grande
esempio, “So essere
schifosamente razionale, o avrei bruciato mezzo mondo” aveva
ammesso Carter,
incerto delle sue stesse parole.
Apollo aveva sorriso, circospetto.
Non gli credeva, ma a Carter non importava.
“Quello che mi hai risposto è la prova di
ciò che ho detto, non mi hai chiesto
nulla, non hai cercato di strapparmi alcuna informazione utile,
preferendo
aggredirmi” lo aveva stuzzicato suo padre.
Carter si era morso il labro, lo odiava, quanto lo odiava.
“Ma come si dice infondo: Il cuore conosce ragioni che la
ragione non conosce”
aveva sussurrato Apollo, l’aria intorno a loro stava
cominciando a sfocarsi,
sbiadirsi, stava iniziando a svegliarsi.
“La hai scritta tu?” aveva chiesto, “No,
un tuo fratello” aveva risposto
Apollo, “Ora scusa devo andare: Artemide mi sta punzecchiando
con un ramo” si
era giustificato il dio.
Carter
si
era svegliato improvvisamente, ritrovandosi collassato sulla spalla
rigida ed
ossuta di Cenis. “Non ho più
percettibilità alla mia spalla, fanciullo” aveva
scherzato il guerriero, con un tono vagamente divertito, sempre in
greco.
“Scusa” aveva mormorato. “Era un bel
po’ che non dormivi sogni tranquilli, eh?”
lo aveva stuzzicato Eirik, ottenendo un grugnito da Carter,
“Direi non fossero
pacifici” aveva borbottato, quell’ammissione aveva
fatto scaturire a Grace
l’impulso di abbassare il volume della radio –
interrompendo una canzone di
Katy Perry e sì, Carter si sentiva come una ‘busta
di plastica mossa dal vento’
– e guardarlo dallo specchietto retrovisore.
“Vuoi parlarne?” aveva chiesto apprensiva.
Carter serrò le palpebre e si prese un secondo per
riflettere, “Sì” ammise.
Evitò di riportargli tutti i dettagli, come il permesso di
tornare a casa,
delle due scelte, preferendo concentrarsi sulla questione
‘Devo cercare
Alabaster, poi Heather’ e ‘L’Astrolabio
lo avremo solo se saremo lucidi e
logici’.
Drew si era girato verso di lui, rischiando quasi di strozzarsi con la
cintura,
“Tuo padre ti è apparso in sogno?” aveva
esclamato sconvolto, “Io … gli dei
maggiori non rispondono a nessuno da mesi ed io … io credevo
tu fossi … sai …
un esule” aveva borbottato poi, sgranando gli occhi.
“Sono sconvolto anche io” aveva rivelato Carter.
Non era il sentimento giusto, era anche quello, ma soprattutto era la
confusione.
Poteva tornare a casa.
Aveva rivisto Heather.
Poteva avere un futuro con Lauren – se sceglieva una via.
E suo padre non lo odiava.
“Comunque
siamo messi male, allora” aveva valutato Eirik, attirando
l’attenzione di
tutti, “Come?” aveva chiesto Grace confusa.
“Tu, Gratia, sei un cuore raggiante, sei tutta un cuore,
mossa da amore” aveva
cominciato a spiegare Eirik, “Io mi muovo
d’istinto, letteralmente due giorni
fa ero a farmi i cavoli miei al mio bel negozietto” aveva
sottolineato il lupo
di Ironwood.
Due punti a loro sfavore.
“Drew, senza offesa, ha la mente
avvelenata” aveva ripreso a parlare
Eirik, ammiccando a Drew, che si era limitato a dirgli qualcosa di poco
carino
in latino. “Magari Ceneo è equilibrato –
ma la sua condizione deve
destabilizzarlo un po’” aveva ripreso quello, di
rimando il guerriero lapita aveva
guardato le sue ginocchia trovandole incredibilmente interessanti.
“E io sono un figlio di Apollo” aveva commentato
acre Carter, tre volte in
un giorno.
“Ed io dovrei saperlo?” aveva chiesto retorico il
lupo, giustamente, “No, non
ti avrei dato comunque un centesimo perché tuo padre, che mi
pare di capire,
sia giusto sotto Gendo Ikari nella categoria dei
pessimi padri” aveva
detto Eirik.
“Tu conosci Neo Genesis Evangelion?”
aveva domandato confuso Carter,
“Sono un essere incredibilmente longevo Carter Gale, non ho
passato tutta
l’eternità a organizzare cene a base di giovani
mezzosangue” aveva scherzato
quello, “Trovo strano che tu, tra una titanomachia e
l’altra, abbia trovato il
tempo di vederlo” aveva scherzato.
Carter aveva sollevato un sopracciglio, “Oh, be, sulla
Principessa Andromeda
non dovevo preoccuparmi che i campi elettromagnetici – o quel
che è – attirasse
i mostri” aveva spiegato Carter, “Chris e Marvin
avevano messo su una
connessione wireless da urlo, prendeva nel mezzo anche in mezzo al
mare” aveva
raccontato con una punta di dolcezza, a quel ricordo.
Chris era ancora vivo, ma dopo il labirinto era uscito fuori testa
– e quando
aveva recuperato un principio di sanità mentale era rimasto
con i suoi
nuovi-vecchi amici, Carter non lo giudicava, era arrabbiato ma non lo
disprezzava per questo – mentre Marvin, figlio di Efesto, era
morto – e Carter
non riusciva a ricordare come. Questo lo faceva stare peggio,
perché si sentiva
come un dio incurante.
Non conosceva benissimo Marvin, lo ricordava come un ragazzino
sorridente con
le lentiggini sulle guance, gentile.
Ma Marvin era stato uno di loro, lo aveva visto centinaia di volte sul
pontile
della Principessa, se lo ricordava mentre armato di fibra, fili e
parabola
assieme a Chris Rodriguez, mentre rassicurava tutti che avrebbero avuto
una
bella tv in camera.
Luke aveva strillato loro che quello non era affatto una nave da
crociera, ma
sotto la scorza dura anche il loro generale sembrava ammorbidito
– a modo suo,
anche lui soffriva il campo. Marvin aveva replicato che lo faceva per
il
ragazzino umano con la vista, la loro speciale Mascotte.
Anche lui era morto, quando la Nave era bruciata.
Probabilmente
Grace lo aveva visto bianco come un lenzuolo, dallo specchietto
centrale, per
questo aveva parlato; “Apollo è stato comunque
insolitamente gentile” aveva
notato Grace, interrompendo qualsiasi conversazione che sarebbe potuta
nascere
su NGE o la valle di lacrime che sarebbe salita a Carter per quella
passeggiata
nel viale dei ricordi.
“Troppo” aveva considerato Carter, grattandosi
sotto il mento. Non sapeva se
fosse più turbato da quell’improvvisa pioggia di
pensieri che riguardavano la
sua vecchia vita, i suoi vecchi amici, o l’incontro con suo
padre.
Le sue due scelte: vita – Lauren – o morte
– Heather.
Tornare a casa.
Le parole di suo padre, la sua voce continuava a rimbombare nella sua
testa,
come un tenue veleno, all’inizio senza effetto, ma poi mano a
mano paralizzava
tutto il resto e lo consumava, come stava accadendo a sua sorella.
Poi, riflettendoci, Carter aveva realizzato di aver omesso
un’altra cosa,
inconsapevolmente quella volta, “Mi ha detto anche
un’altra cosa” aveva
mormorato Carter, “Sangue chiama Sangue, non importa il
Pantheon” aveva
riportato.
“Tetro” aveva commentato Drew cupo.
“Sventura” aveva sussurrato Cenis, in inglese
moderno.
“Oh … norne nefaste” aveva detto invece
Eirik, “Parlava di Gratia?” aveva
chiesto poi allarmato a Carter.
“Si, ha fatto riferimento al giuramento di sangue”
aveva mormorato Carter,
rivolgendosi direttamente a Grace le aveva detto:
“La Hag di Ironwood ha
detto che per giuramento di sangue tu appartenevi a quel
posto.”
Eirik aveva annuito.
Ceneo aveva parlato, “Tu … detto … non
giurato” aveva provato comunque il
guerriero Lapito, forse non era riuscito a seguire per bene tutto il
discorso.
“Non
è mai
stato necessario che io giurassi” aveva mormorato Grace,
colpevole, “Perché lo
ho fatto secoli fa, ho giurato con il sangue, secoli fa”
aveva detto
amareggiata, “Speravo fosse una piccolezza di cui la Hag non
tenesse conto”
aveva cercato di dissimulare.
Non ci aveva davvero pensato, Carter lo realizzava.
Grace era fallibile.
“Ignorala!” aveva gracchiato allora Drew,
“O ritarda il giuramento, o di che
porterai il cuore che vuole tu e lo trafughiamo da una camera
mortuaria” aveva
proposto il romano.
Audace il romano.
“Non … accordo?” aveva provato in
inglese Ceneo, prima di cedere a parlare in
greco, “Non vi era tra di voi un legame di parola? Una cosa
che tu farai per
lei in cambio di una che lei farà per te?” aveva
chiesto.
Ottimo punto.
Heather!
Carter aveva drizzato le orecchie, realizzandolo, fissando gli occhi di
Grace
dallo specchietto, “Anche questo è vero: non devo
fare la mia parte fino a che
Agrodoba non farà la sua” aveva esclamato Grace
con rinnovata – finta – gioia,
“Potrebbe non accadere mai, la Hag, come tutti ultimamente
è a caccia del
figlio di Freyr” aveva provato senza molte convinzione Eirik.
“Sì, abbiamo delle priorità:
Yellowstone!” aveva strillato Drew.
Carter non era d’accordo, ma aveva anche la vaga impressione
che se suo padre
avesse spostato il suo divino deretano da Delo, fino ai suoi sogni, per
avvertirlo, voleva dire una sola cosa: sarebbe successo.
E questo non aiutava la sua Ragione ad imbrigliare i suoi sentimenti,
proprio
per niente.