Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: BabaYagaIsBack    11/12/2020    0 recensioni
Vol. 2
In un corridoio d'ospedale, con il cuore incapace di placarsi, Jay si rende conto di come sia facile incasinare tutto. Mentre si aggrappa con ferocia alla speranza comprende che a Jace è bastato partire, a Seth confessarle il suo amore e a lei lasciare un messaggio in segreteria. Nulla più. I sensi di colpa allora iniziano a lambirle le caviglie, ancorandosi nella carne dei polpacci, e d'improvviso si scopre incapace d'affrontare ciò che le si prospetta davanti.
Impaurita e confusa, Jay arranca tra i rapporti logorati dalle sciocchezze tenute segrete. Fugge senza meta da coloro che fino a quel momento aveva creduto di non poter perdere, obbligandoli infine a levarsi le maschere - da quelle più sottili a quelle più pesanti.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Chapter One
§ Don't let me fall §

 

"It gets harder every time I gotta say goodbye
Tears are falling, that's why I can't say it eye-to-eye
Every time that I go, can't find a reason why
Maybe someday you'll know just how I feel inside

Can't hold on, don't let go, going down the same old road
Have it all, take my soul, praying that I'll make it home
And even if I pretend it'll be alright
I know I'll see you again in my other life"

 

Hollywood Undead, Coming Home


 

 

Da piccola pensavo che il dolore più grande che si potesse provare fosse quello di un ginocchio sbucciato o un braccio rotto. Poi da ragazzina è diventato lo schiaffo per un brutto voto, una mancanza di rispetto o un'azione sconsiderata. Fino a qualche tempo fa era il fatto che Jace mi avesse abbandonata per andare a Parigi.
Ora, invece, so che è questo.
So che è la consapevolezza che Charlie è a qualche porta di distanza intento a combattere tra la vita e la morte, mentre noi restiamo in attesa, incapaci di aiutarlo in alcun modo.

Siamo impotenti.
Fragili.
Funamboli che attraversano un precipizio - e se cadiamo, nulla ci salverà dallo sfacelo.
Ed io, personalmente, vorrei riuscire a provare qualcosa di più di questo terribile senso di soffocamento: magari paura, rabbia, nervosismo, disperazione - qualsiasi cosa - ma non c'è altro.


Guardo di sotto e vedo il pericolo, so che c'è, eppure non ho fatto nulla per evitarlo. Se vacillo, precipito. 
Avrei dovuto pensare prima a questa possibilità, agli effetti collaterali delle mie azioni, invece ho preferito saggiare l'ebrezza del volo ignorando i segnali di stop.

Mi sento un'idiota. 
Probabilmente lo sono. 


Tutto quello che mi limito a fare è restar sospesa su questa fune troppo sottile, una striscia di corda che al momento equivale allo star seduta a osservare il vuoto davanti a me. Il dolore che ho provato quando Jace mi ha chiamata si è trasformato in vuoto nel momento in cui sono scesa dal taxi e questo vuoto ha annullato ogni mio senso: udito, olfatto, sapore, tatto - l'unica cosa che mi resta è la consapevolezza di dover respirare, piano, in modo da non soccombere. C'è già abbastanza disperazione, qui.
Dopo aver varcato la soglia del Queen Charlotte and Chelsea e aver chiesto di lui all'infermiera alla reception, ho raggiunto il pronto soccorso e i presenti ritrovandomi improvvisamente succube di un'annichilente sensazione a metà tra l'inutilità e la colpa, dimenticandomi qualsiasi cosa. Come si parla? Quali sono le parole da pronunciare in circostanze come queste? Dovrei mettermi a piangere? Urlare? Cosa dovrei provare, esattamente? Perché al momento non sento niente, solo il nulla che divora, avanza. C'è la minaccia di qualcosa che si avvicina, che mi fa oscillare, ma io purtroppo non so far altro che restare in sua attesa, inerme. Persino le viscere che fino a qualche ora fa stavano andando a fuoco, adesso, non bruciano più: probabilmente sono già diventate cenere. Anche il cuore, che deve avermi battuto così forte nel petto, ha finito con il squarciare la carne e, tra una falcata e l'altra, cadere per strada. E' ruzzolato in terra, svuotandomi definitivamente - per questo sono conscia che basti una folata di vento per perdere l'equilibrio. E farà male, lo so. Il dolore mi dilanierà dall'interno, arrivando a uccidermi.

Mi mordo il labbro senza avvertire duolo, anche se i denti affondano. Il calore del sangue si irradia intorno agli incisivi, sulla curva di pelle, in punta di lingua e mi domando: da quanto tempo siamo qui
Sembra un'eternità.

Abbasso lo sguardo. Lo faccio correre dal soffitto lungo la parete, fino a lasciarlo cadere sulle sedute di fronte a me. 
All'altro lato del corridoio c'è Molly, ricurva. Piange come una bambina, la sua schiena si alza e si abbassa velocemente mentre si tiene la fronte e nasconde la faccia - era già così quando sono arrivata. Sedutole accanto c'è Jace. E' rimasto lì per tutto il tempo, scrutandomi di tanto in tanto come se volesse dirmi qualcosa che per qualche strano motivo gli è rimasto incastrato in gola. Così ha continuato a stringe la madre di Charlie al proprio fianco, accarezzandole la testa e le spalle in quel modo tipico delle persone che condividono o conoscono lo stesso dolore - ma stranamente né lui né Seth hanno ancora versato una lacrima. 
Sono tesi come corde di violino, questo è ovvio. Nei loro occhi si può scorgere la fatica del mantenersi lucidi, vigili, consapevoli - ma si stanno preparando. Per cosa non lo so, o forse non voglio saperlo.

Sposto ancora un poco lo sguardo, incontrando finalmente la sagoma di Morgenstern che, a differenza di mio fratello, si è seduto a terra, in disparte. Gli è vicino pur restando lontano e con le mani si copre parte del viso. 
Sembra esausto. 
Non lo biasimo. 
Negli spazi vuoti tra le sue dita riesco a vedergli le pupille ristrette: sono fisse sulla porta alla fine del corridoio, esattamente come quelle di un predatore. Vuole essere il primo a vedere la minaccia, a comprendere l'esito di questa battaglia di cui noi siamo solo comparse - ed io non capisco dove lui e Jace trovino la forza per restare saldi. Persino il signor Benton, dopo la prima mezz'ora di attesa, ha preferito uscire da qui per respirare aria diversa: aveva bisogno di lasciarsi andare alla paura, ma non si sarebbe mai permesso di farlo davanti agli occhi della moglie o i nostri.

Deglutisco l'amaro del sangue, ingoiando le mie colpe - le lascio depositare nello stomaco per conservarle e far sì che nessuno le veda; me le tengo dentro in modo che possano corrodermi, perché merito questo supplizio: Charlie non sarebbe qui se gli risparmiato quella chiamata all'apice del pianto.

D'un tratto il fischio della gomma sul pavimento mi fa sussultare. Sono suole che strisciano sul linoleum, sono gli anfibi di Seth. Il cuore mi si ferma nella trachea, mi mozza il respiro, così alzo lo sguardo e incontro la sua nuca, le sue spalle. Ha gli occhi fissi sul fondo del corridoio e nel comprendere cosa stiano guardando avverto la sensazione del soffocamento. Lentamente, forse in qualche modo terrorizzata da ciò che potrei scorgere, nell'attesa incontro quello che potrebbe essere il presagio di una tragedia. L'ombra di un medico si muove dietro alle porte chiuse dell'area riservata allo staff, viene verso di noi a passo spedito, come se avesse fretta di dirci l'esito di quelle ore d'operazione per potersene tornare a dormire. Il suo busto si fa sempre più vicino, oscura parte delle finestrelle sabbiate che si frappongono tra le due zone del pronto soccorso e, priva di controllo o razionalità, mi premo le unghie nella carne delle braccia, affondandole tanto da inciderla.

Stringendo i denti sulla lingua inizio a contare i secondi. Tra quanto sarà qui? 
Uno. Due. Tre. Quattro. Quanto tempo gli servirà per ucciderci o graziarci? Cinque. Sei. Sette. Vorrei non desiderare di saperlo, eppure bramo la risposta con ogni fibra del corpo. Otto. Nove. 

Jace si tira su, si accorge di cosa sta succedendo. Esitando giusto qualche istante prima di smettere di consolare Molly Benton, mio fratello si affianca a Seth. Improvvisamente da semplici comparse si trasformano in cavalieri che si preparano alla battaglia, che controllano con meticolosità la propria armatura, consci che un singolo laccio agganciato male potrebbe permettere alla lama del dolore di trafiggerli e ammazzarli. 
Sono spalla a spalla in mezzo a questo corridoio che puzza di disinfettante e plastica e, per la prima volta, nella preoccupazione che sono certa gli stia mangiando le budella, li vedo nuovamente uniti, amici, fratelli. Basta guardare il modo in cui si chinano sotto il peso della gravità della situazione, come le loro mani restino inermi in quell'ultimo alito d'attesa - si conoscono e si capiscono; si supportano come vorrei, ora, facessero con me. Ma la realtà dei fatti è che, per quanto io lo possa desiderare, nessuno di loro due potrebbe farlo. Non capirebbero realmente il mio cruccio. Non ce n'è modo. Dopotutto sono la sola a sapere che l'incidente è avvenuto per colpa mia. Solo io sono a conoscenza del fatto che il suo piede era pigiato a quel modo sull'acceleratore per venire da me. Soltanto io posso immaginare la preoccupazione che lo ha spinto a mettere da parte la cautela e... e...

La serratura della porta antipanico scatta e l'anta bluette si apre facendo comparire di fronte ai nostri occhi la sagoma minacciosa di un medico. Lo guardo con il cuore a mille, incapace di mantenermi calma, e provo in ogni modo a presagire quello che ci sta per dire - sul suo viso però trovo solo la stanchezza post intervento e qualche ruga d'espressione, nulla più. Non c'è un solo connotato che sappia tradire il suo silenzio, la compostezza che il suo lavoro lo obbliga a mantenere.
Mentre si sistema il camice l'uomo ci guarda. I suoi occhi nero pece si posano su ognuno di noi quasi stesse cercando di capire chi dei presenti stia per perdere di più. Si posa sui ragazzi che ha davanti, rigidi nei vestiti con cui li ho lasciati al The Elder and the Moon. Li indaga, prova a capire, poi passa a me. Restiamo zitti per istanti che mi paiono dilatarsi nel tempo, io supplichevole, lui indeciso, ma alla fine abbandona anche la sottoscritta per voltarsi verso Molly, atterrita. A quanto pare non ha scorto il mio peccato, la ruggine che mi sta divorando.

«Lei è la madre?»
La signora Benton annuisce.
«E' qui da sola?»
A questa domanda il mio cuore perde un battito e con la coda dell'occhio vedo Seth vacillare appena, ma Jace prontamente gli afferra il braccio e il suono della sua mano mi schiaffeggia con inaudita violenza.

Perché stanno reagendo così?

Mi alzo.

Molly risponde, avverto la sua voce seppur fatichi a riconoscere le parole. La mia testa si gonfia di pensieri, sono tutti così rumorosi che non riesco a pensare ad altro se non il peggio - e dalle labbra, involontariamente, mi scappa un sussurro.

«E'... è morto?»

Tremo, incontrollata, e quando gli occhi di tutti mi calano addosso come ghigliottine mi pare quasi di avvertire il freddo della lama sfiorare il collo. Ho detto ciò che non dovevo dire. Ho dato voce alla paura collettiva pugnalandoli dritti al petto. Sono orribile.

Sono terrorizzata.

Con la vista annebbiata mi rivolgo al dottore e le unghie, a quel punto, riescono a penetrare le difese della pelle. Il bruciore che ne segue è così lieve che quasi me ne dimentico.
A questo punto dovrei piangere, sì, ma ancora non ci riesco.

Sento lo sguardo di mio fratello posarmisi addosso. So per certo che in questo preciso istante mi sta osservando come si fa con le bestie che disubbidiscono: i suoi occhi devono essere sbarrati e il ribrezzo gli starà contraendo il viso. Nonostante ciò, Jace tace, forse incapace di spiegarsi come dalla mia bocca sia potuta uscire una simile bestemmia - ma non è il solo. Sono sicura che anche Morgenstern vorrebbe schiacciarmi al muro e gridarmi addosso quanto sia stupida, quanto io sia la più abominevole delle persone; eppure persino lui resta in silenzio. E' la prima volta che lo vedo rimanere fermo di fronte a una mancanza di rispetto così brutale, reprimendo il suo istinto e, a quanto pare, l'unica a non riuscire a controllarsi stasera sono io.

Il medico sbuffa, spezza la tensione e la mia impressione di essere il fulcro dell'interesse generale.
«No, signorina, Charles non è morto.»
E ogni cosa improvvisamente si dissolve.

Restiamo esterrefatti. Tutti, nessuno escluso. E' evidente che nessuno di noi sia in grado di riconoscere se si tratti della realtà o se sia solo un'allucinazione, così il dottore si porta le mani ai fianchi e scuote la testa: «Come ho detto, il ragazzo non è morto. Siamo intervenuti in tempo, grazie al cielo, però non si può certo dice che ne sia uscito illeso quindi, se non vi dispiace, ora vorrei parlare solo con i suoi genitori.»

Nel ricevere questa nuova conferma il cuore torna a farsi sentire, mi si gonfia tanto da far male. Oltre lo sterno lo percepisco lottare contro la costrizione della gabbia toracica e, finalmente, mi sembra di riuscire a respirare. Sento qualcosa. Gioia, forse. Mi pervade come una febbre, mi lascia intontita e trepidante e... E' vivo. Sì, sicuramente non starà bene, ma è comunque rimasto con noi. 
Non l'ho ucciso e questa consapevolezza sembra surreale dopo tutta l'attesa. 
Sapere di non averlo perso ha la stessa violenza di uno tsunami, il retrogusto della felicità allo stato puro. E' brutale e appagante, sderenante persino - e quando mi volto per cercare Jace, per trovare il suo supporto, incrocio per la prima volta dopo ore lo sguardo di Seth. Ci fissiamo a labbra schiuse, incapaci di reagire. Una parte di me vorrebbe stringersi a lui, bramosa del calore del suo corpo, della sua concretezza, eppure non riesco a riempire lo spazio che ci separa, qualcosa mi frena. Il precipizio in cui mi sono accorta di poter cadere si frappone tra noi, ai lati opposti di questa gola. Sono ancora sulla fune che oscilla nel vuoto, potrei tornare indietro o avanzare, ma andargli incontro sembra richiedere troppa fatica al momento - quindi lascio che sia Jace a gettargli le braccia al collo per sfogare tutte le emozioni che ci hanno soffocato fino ad adesso, interrompendo il nostro contatto visivo.
La schiena di Morgenstern diventa l'unica cosa che riesco a guardare. La pelle della sua giacca si tira sotto l'abbraccio di mio fratello, lo fa così tanto da permettermi d'immaginare ogni rilievo, ogni muscolo contratto, ogni sensazione che ha taciuto fino ad adesso - e capisco di non essere stata abbastanza per nessuno di loro.
Non ho dato supporto.
Non ho consolato.
Non mi sono comportata come la persona matura che blatero tanto di essere e men che meno ho valutato le conseguenze delle mie azioni, costringendoci tutti qui.
Così seppur tremante faccio un passo indietro e, tendendo un sorriso verso Molly, sussurro: «Vado a chiamare Thomas.» Lei annuisce, felice come mai prima d'ora. Non mi trattiene, forse intuendo il mio stato d'animo o semplicemente desiderando il suo compagno - quindi muovo un altro piede, fino a fuggire via.




 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: BabaYagaIsBack