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Autore: lightvmischief    18/12/2020    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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EPILOGO

 

«K, ssh. Tranquilla.» La stringo a me, dondolandola avanti e indietro, fregando la mano sulla sua schiena per farla calmare. Una volta più quieta, le lascio un caldo bacio sulla fronte, ammirandola con orgoglio. «È ora di andare a conoscere una persona.»

Usciamo dal retro, passando per il giardino di casa nostra che sta piano piano riprendendo forma e vita dopo aver passato l’inverno ricoperto di neve e ghiaccio. Il sole primaverile dell’inizio della seconda settimana di aprile è tiepido sulle mie gote e vorrei rimanere qui per ore, ma ho faccende più importanti da sbrigare. 

«Ehi, Calum! Avrei bisogno di-» Mi volto dalla parte opposta, con la faccia verso il giardino dei vicini, vedendo Elyse bloccarsi a metà strada tra l’erba e il percorso di ciottoli. «Stai lontano da me con quella… cosa.»

«Chi? Lei?» le chiedo, già ridendo e avvicinandomi sempre di più alla sua figura, facendola indietreggiare.

«Lo sai che io e i mocciosi non andiamo d’accordo» ribatte con una faccia disgustata, gli occhi fissi sulla neonata tra le mie braccia. Alza una minuscola manina e stringe il mio indice nel suo palmo. «Hai gli occhi a cuore. Potrei vomitare.» Ridacchio, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla creaturina. 

«Stavo andando-»

«Lo so. È oggi.» appura Elyse, rabbuiandosi in volto, ma l’espressione cambia così velocemente che mi chiedo se non me lo sia immaginato.

«Vuoi venire?» Annuisce dopo qualche istante, entra in casa a prendere dei fiori quasi appassiti e insieme usciamo sulla strada principale.

«Jacelyn?» domanda durante il tragitto, forse perchè non la vede assieme a noi.

«Scuola.» Annuisce, infilando le mani in tasca. Questo giorno porta sempre con sé brutti ricordi. «Passiamo da Wayne, magari viene con noi.»

«È impegnato al turno di guardia, assieme a Mali. Hanno detto che ci vanno non appena staccano.»

Mi guardo attorno, distraendomi con tutta la bellezza che esce da ogni casa, da ogni edificio; vasi di fiori, decorazioni, oggetti vintage e da collezione adornano porticati, scalini, giardini. Gli alberi creano un piacevole fruscio con le loro foglie smosse dal leggero venticello. Oltrepassiamo l’orto comune, facendo cenni di saluto alle persone che stanno raccogliendo gli ortaggi e a quelle che stanno seminando nuove piantine. Niente, però, batte il periodo estivo, quando il campo è inondato dai profumi dei fiori freschi sugli alberi.

«Eccoci qua.» La voce di Elyse mi fa ritornare al tempo presente. 

Ci siamo. 

«Sono già cinque anni» commento, osservando le croci di legno intagliate a mano ed incastonate nel terreno. Ci sono già dei mazzi di margherite e violette ad adornare le tombe.

Kayla.

Blaine.

Meredith.

John, Constance, Delilah, Jules e Riley.

Abbiamo tutti perso qualcosa quel giorno: io ed Elyse abbiamo perso le persone con cui avremmo voluto davvero passare il resto dei nostri giorni, oltre che a due cari amici; Tracey ha perso l’ultimo rimasuglio che potesse ricordarle suo marito, oltre che essere la sua spalla nella guida di questo posto; Wayne ha perso un braccio; mia sorella e mia madre hanno perso la loro casa… La lista va avanti.

Non diventa più facile ogni anno che passa.

Dopo aver passato i primi due giorni dopo la sua morte rinchiuso al buio in casa, in un costante stato di dormiveglia così da non dover pensare, affrontare i giorni, le settimane, i mesi successivi è stato ancora più difficile e doloroso. Mi sono fiondato nel lavoro pur di non dover passare un minuto di più nella nostra casa, il costante senso di soffocamento che mi raggiungeva non appena ci mettevo piede dentro. Almeno la recinzione del campo è venuta su prima del previsto, a discapito della mia salute mentale e fisica. 

Ho cominciato ad evitare tutti. Volevo stare da solo con il mio dolore. Con il mio ricordo di lei che mi muore tra le braccia inchiodato nella mente, senza traccia di voler andarsene una volta per tutte. Alla fine ho cambiato casa. Non potevo più sopportare di vivere tra le quattro mura che avevo condiviso per la prima volta con lei, non con tutti i bei momenti che venivano a urlarmi in faccia cosa avessi perso. Ho pagato molto caro l’errore di essere stato io ad aver accolto quel bastardo nel nostro gruppo la prima volta.

Sono stato al suo funerale, sì, ma non sono riuscito ad andare alla sua tomba per i primi due anni. La croce con il suo nome intagliato sopra mi rendeva la cosa troppo reale. Troppo dolorosa. 

Elyse non se l’è passata meglio di me. Uscire la faceva sentire meglio, diceva, ma lo faceva solo per accanirsi sui Morti, uccidendoli una volta per tutte senza pietà. Era furiosa con il mondo intero. Non le davo torto; mi sentivo così anche io. Abbiamo condiviso alcuni momenti del nostro lutto. Ci ha aiutato a reagire più in fretta.

Dopo tre mesi mi sono guardato attorno, accorgendomi di quanto tutti fossero provati dalle perdite. 

Niente era più come prima.

Ma abbiamo continuato a lottare, per far sì che le loro morti non fossero invano. Mai lo sarebbero state, non con tutto quello che avevano lasciato dietro di loro, dentro ai nostri cuori e nelle nostre menti. Ci siamo messi al lavoro per portare Camp Travis al suo massimo splendore; ci abbiamo messo tre anni, ma alla fine possiamo essere orgogliosi di averlo trasformato in una piccola cittadina autosufficiente in tutto e per tutto. I campi fruttano proprio come ci eravamo immaginati, regalandoci frutta, verdura e cereali necessari per il nostro sostentamento. Siamo riusciti a capire l’anno scorso come ricavare il latte dalla soia e dall’avena ed è stato un momento che ci ha cambiato la vita. In meglio, s'intende. Da due anni, festeggiamo ogni sabato con la proiezione di film all’aperto; abbiamo una scuola aperta a tutti; acqua potabile, corrente elettrica ricavata da turbine nel fiume appena fuori dal campo… Molto è migliorato. Non senza intoppi, ma in qualche modo ce l’abbiamo fatta.

Lo facciamo sempre.

E poi, tre anni dopo quel nefasto giorno, ho incontrato Jacelyn. 

Ero fuori con il Gruppo Spedizioni: ci siamo scontrati con cinque persone malmesse che vagavano nei campi da giorni. Sono stato molto scettico nel farle entrare al campo per curarle. Non volevo fare per la seconda volta lo stesso errore; li ho controllati, giorno e notte, non lasciandoli mai soli un istante. Se ci fosse stato sotto qualcosa di sospetto, lo avrei scoperto.

La buona notizia è che non c’era nulla. Erano soltanto dei poveri malcapitati, decisamente graziati dalla sfortuna di aver perso la strada principale per cambiare Stato. La loro destinazione finale doveva essere la Florida; alla fine hanno cambiato i loro piani e sono rimasti qui assieme a noi, apportando un quantitativo di capitale umano al nostro campo di cui avevamo decisamente bisogno, nonostante il mio negare iniziale. Volevo che se ne andassero al più presto, dicevo che non c’era posto per loro. Sarebbe un eufemismo dire che mi sono presto ricreduto. Anche perchè stavo mentendo per proteggere me stesso.

Jacelyn è diventata a suo tempo importante per me. La creaturina che porto tra le braccia è nostra. È stata piuttosto inaspettata. I momenti di panico durante la gravidanza sono stati molti. Eppure, eccoci qua. E quasi come se stessimo gridando al mondo di andare a fanculo, perchè una nuova vita è nata in un mondo circondato da morte.

«Ciao.» Mi piego sulle ginocchia, arrivando all’altezza della croce. «Ti avevo detto che te l’avrei portata.» 

Sollevo mia figlia dalle mie gambe dov’era appoggiata, girandola verso la tomba di Kayla, come se potesse davvero vederla. «Kayla, ti presento Kayla. Beh, in realtà Kayla è il suo secondo nome, il primo sarebbe Alesha, ma non ha molta importanza.» Alesha fissa con confusione la croce davanti a lei, tornando presto a guardare il mio viso. La appoggio sulla mia spalla, cullandola per farla rilassare di nuovo.

«Cinque anni, eh?» sospiro, annuendo tra me e me, perdendomi negli intagli del suo nome sul legno. «Ti sarebbe piaciuto. Avrei voluto che lo vedessi con i tuoi occhi, ma non si può avere tutto dalla vita, giusto?» Sorrido malinconico, allungando lo sguardo oltre l’orizzonte. 

Dopo essere rimasto per altri minuti alla tomba di Kayla, mi alzo e raggiungo Elyse sulla tomba di Blaine, a pochi passi dalla prima. Ha già appoggiato i fiori sulla terra smossa.

«Hai ancora dei momenti in cui ti manca terribilmente?» mi chiede con gli occhi lucidi, i capelli corti che ondeggiano ai lati della testa. Annuisco, appoggiandole una mano sulla spalla. «Mi manca anche lei. Non era poi così male» ammette, facendomi l’occhiolino.

Rido, chinando la testa e scuotendola poco dopo. «Sarebbero fieri di noi.»

«Già.» Ci perdiamo ognuno nei propri pensieri, entrambi a rendere memoria a Blaine. «Gli originali sono rimasti in quattro.» commenta, pensando agli inizi dello Scoppio, a Lynton, Wayne, Mali, io, lei e Blaine. 

Facciamo il giro delle croci, fermandoci più tempo sulle tombe di Travis e Meredith, ringraziandoli silenziosamente per tutto ciò che hanno fatto per tutti noi, per farci arrivare fino a qui. Non sanno nemmeno quanto qualsiasi cosa attorno a noi non sarebbe stata possibile senza di loro. Se non ci avessero accolti quel giorno nel loro bar… Sarebbe stata tutta un’altra storia.

«Già ve ne state andando?»

Ci voltiamo all’unisono, vedendo Wayne e Mali accorrere verso di noi. Hanno appena finito il turno, non sono nemmeno andati a cambiarsi. Mali mi circonda il bacino con un suo braccio protettore, mentre Wayne appoggia la sua mano sulla spalla di Elyse.

«Sono grato di essere ancora qui con voi» riflette Wayne ad alta voce, annuendo e lanciando uno sguardo rapido al suo braccio mancante. 

«“Pochi ma buoni!”» ribatte Elyse, citando una famosa frase che soleva dire il padre di Travis, quando quest’ultimo ci raccontava dei suoi genitori e della sua vita. 

Il sorriso si allarga sui nostri quattro - anzi cinque! - visi pervasi da tutte le emozioni - belle e brutte - che stiamo vivendo in questo momento, ricordando i vecchi, ma poi non così tanto, tempi.

Sarebbero davvero fieri di noi.

   
 
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