in ogni
volo spezzato
Una mano si muove nella penombra, dita
delicate che si aggrappano al tessuto morbido di una camicia bianca e tirano, esigendo.
Hubert si
volta ad osservarle. Il suo sguardo risale dalle dita affusolate alla mano che
vi è collegata, poi al braccio, alla tempesta di lentiggini che vi fiorisce
sopra. Il volto di Ferdinand affonda in un morbido cuscino di piume; i capelli
– li sta lasciando crescere, ora gli arrivano poco sotto le spalle – disfatti e
morbidi contro la federa coprono parzialmente il viso. Un unico occhio aperto
lo fissa e giudica, piccolo pozzo ambrato, carezzato da un tenue raggio di luce
mattutina.
« Quanta
fretta, comandante. Dove scappate? »
La sua voce è
arrocchita, forse a causa del sonno lieve in cui è scivolato, forse a causa dei
gemiti che ha consumato contro la sua pelle fino a poche ore prima. Hubert
torna a dargli le spalle, finisce di abbottonare la camicia frettolosamente,
dita nere di magia su asole bianche, bottoni candidi.
« Davo per
scontato che gradiste la mia compagnia solamente lontano dalla luce del sole.
», mormora. Raccoglie uno degli stivali e lo indossa, svelto, senza sprecare un
singolo gesto – un’abitudine da assassino che è diventata parte del suo
quotidiano. Avverte un movimento delicato di lenzuola alle sue spalle:
Ferdinand dev’essersi messo seduto. Commette il madornale errore di voltarsi a
controllare e lo intravede, il petto nudo e ampio che ha smesso da poco di
essere quello di un adolescente, l’espressione disinteressata, il lenzuolo che
copre dalla sua vista le cosce forti e toniche che conosce bene. Ferdinand solleva
le mani e posa i palmi aperti sulla sua schiena, lo spinge senza mettere nel
gesto alcuna forza.
« Allora
andatevene. », borbotta, melodrammatico. « E spero non facciate vedere il
vostro brutto muso in giro per il resto della giornata, viste le condizioni che
ponete. »
Non c’è al mondo una sola ragione per cui
debbano insultarsi, per cui debbano continuare a parlarsi mantenendo
un’apparenza di rigore, di galateo – se non che è divertente, estremamente
divertente. Hubert sorride; un tempo l’avrebbe trovato così irritante da
considerarlo alla stregua di un insetto fastidioso, ora ricerca il ronzio della
sua voce come un fiore che si tende all’ape, dipendente da qualcosa che lo
priva di se stesso. Si volta e afferra il suo volto, pollice ed indice che si
infilano nella sua bocca e la costringono aperta. Ferdinand tenta invano di
morderlo.
« Se
assecondassi il vostro capriccio e lasciassi tutto a voi vedremmo questo impero
andare in fiamme nel giro di un paio di giorni. », sibila; non è arrabbiato,
tutt’altro. Ferdinand solleva una gamba e tenta di scalciarlo via, ancora una
volta con scarso successo. « E permettetemi di dire che avreste salva la faccia
se la smetteste di parlare, in pubblico o in privato, del mio brutto muso. Non
deve sembrarvi poi tanto orrendo se continuate a scrivermi implorando di
venirvi a trovare, la notte. »
Lo lascia
andare e Ferdinand, lo sguardo carico d’odio, tossisce fino a riprendere fiato.
Lo guarda coi capelli che rovinano sul suo viso, nascondendo parzialmente quel
sentimento alla sua vista. E’ lo stesso sguardo che gli rivolge quando è dentro
di lui, quasi non potesse sopportare di provare che disgusto nei suoi confronti
– ma quello sguardo truce è l’ultimo avamposto di una difesa che Hubert ha
visto crollare più e più volte, una fortezza che si arrende alle sue dita con
disarmante facilità.
Gli piace
perdersi in quello sguardo, mentre fanno l’amore.
« Meschino.
», Ferdinand asciuga la saliva che è colata dalle sue labbra in quella maniera
così poco nobile a cui non è avvezzo, poi rincara la dose: « Sei un essere
spregevole, Hubert. »
Qualcosa
nelle sue parole riesce a fermare Hubert, a zittirlo ed ancorarlo a quel
materasso – e non è l’insulto, non è la pretesa di disprezzo. « Che avete
detto? », sussurra, in un filo di voce. Ferdinand si ricompone, mettendosi
seduto. Solleva le braccia per raccogliere i capelli in una coda, scostandoli
dal viso.
« Ho detto
che sei spregevole. »
« Non quello.
», l’uomo scuote appena il capo, senza smettere di guardarlo. E’ incantato
dalla fluidità dei suoi movimenti, tanto diversi dai suoi, meccanici e freddi.
Lo è sempre stato, anche quando fingeva di detestarlo. « Mi avete chiamato per
nome. »
Ferdinand
termina di legare i capelli, il nastro dorato al polso che diventa un fiocco
morbido nei capelli rossi, si perde tra le ciocche. Non sembra aver fatto caso
al suo stato d’animo. « Ma che dici? Ti chiamo sempre per... »
Un guizzo di
sorpresa nei suoi occhi. Lentamente, lo sguardo fisso in un punto anonimo nelle
lenzuola, abbassa le braccia. Le avvolge attorno al proprio corpo, un moto di
difesa nella realizzazione. Hubert attende che torni a guardarlo, affamato del
suo sguardo, famelico di una qualche spiegazione. Gli andrebbe anche bene che
Ferdinand ridesse in quella sua maniera scomposta, per nulla educata, a
dispetto di quanto desideri; vuole vedere la malizia scivolare dalle sue
labbra, sentirgli dire che si è trattato di un errore.
Non riesce,
per quanto si sforzi, a contemplare l’alternativa.
« Devo
andare. », sussurra, quando realizza che il suo desiderio silenzioso non verrà
esaudito. Ha l’impressione che Ferdinand stia tremando, seppure in maniera
impercettibile, che sia genuinamente scosso da quella strana e inaspettata
forma di confidenza. Si alza e lo libera del peso della propria presenza, della
costrizione del proprio sguardo. Ha indosso la camicia, i pantaloni e le
scarpe, niente di più. È così che lo raggiunge quasi ogni notte, più
vulnerabile di lui, che comunque lo aspetta con indosso molto meno. A ognuno la
propria dose di terrore del prossimo.
« Aspetta...
»
Ferdinand non
mormora più di una parola, ed è abbastanza. Odia con ogni fibra del proprio
essere per la debolezza che dimostra nel voltarsi, nell’aspettare, come
Ferdinand richiede – come Ferdinand comanda. Si volta giusto in tempo
per accoglierlo contro il proprio petto; è un’onda contro il suo corpo, una
cascata di luce – etereo e pesante assieme, salvezza e condanna. Non lo bacia
neppure, no: come il bambino che è, si aggrappa alle sue spalle e posa la
guancia in prossimità del suo cuore.
Hubert
aspetta, e aspetta, e aspetta. Quel silenzio e quella presa sul suo corpo
dovrebbero disturbarlo, e invece scivola sollevato in quella calma apparente,
come scivola nell’abbraccio. Le sue mani tremano contro la pelle nuda della
nuca di Ferdinand. Potrebbe soffocarlo, sa come fare, quanta forza esercitare
per impedirgli di opporre resistenza; potrebbe liberarsi per sempre di quel
tarlo nel suo cervello, potrebbe...
« Scusate. »,
lo sente sussurrare. Il suo fiato è caldo, scivola sotto il tessuto sottile
della camicia. « Non accadrà più. Potete andare. »
Lo libera,
esattamente come Hubert desidera. La sua espressione è ferma e risoluta, priva
d’odio o della paura che ha sentito nella sua richiesta, prima che gli
crollasse addosso. Per qualche ragione quel contenimento nobile lo urta molto
più di qualsiasi palese dimostrazione d’astio.
« ...sì. »,
risponde. Un mormorio triste, suo malgrado. Sa contenere le sue emozioni meno
di Ferdinand, a quanto pare. « Sì, sarà meglio che non ricapiti. »
Ferdinand
annuisce. « Ve lo prometto. », giura, nel suo stesso tono di voce. China lo
sguardo e gli da le spalle, il corpo efebico nella penombra mattutina. Hubert
lo imita senza aggiungere altro; il suono della porta che si chiude alle sue
spalle chiarisce il suo intento meglio di quanto le parole potrebbero fare.
Poggia la schiena contro il legno grezzo e prende fiato, gli occhi pieni di
lui, la mente occupata dalla sua voce e dai suoi capelli. Come ogni giovane
nobile Ferdinand pretende e pretende e Hubert, debole, gli concede gli spazi
che per anni ha riservato alla sua signora, ai loro comuni intenti,
all’oscurità che fa parte di lui.
Non conosce
più il confine tra giusto e sbagliato. Porta le mani ai capelli e si china,
scivola contro la porta, si accascia – un’immagine patetica, un sapore amaro
nella sua bocca. Ha accettato senza problemi di diventare l’ombra spregevole
che scivola tra le gambe di Ferdinand, la macchia di inchiostro su quella
lettera pura e vergine. L’idea che Ferdinand lo veda solamente come Hubert,
però, lo terrorizza al punto da paralizzarlo.
Questa
storia è stata scritta su commissione. I più sentiti ringraziamenti al
committente, Enrica!
Le
commissioni sono aperte fino a fine Dicembre, se interessati vi prego di dare
un'occhiata al mio post coi dettagli (lo trovate qui). Ricordo che potete anche
contattarmi su EFP!
Vi
ringrazio per l’attenzione, alla prossima!
-Joice