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Autore: Doux_Ange    20/12/2020    1 recensioni
Viste le numerose incongruenze della dodicesima stagione (particolarmente negli ultimi tre episodi), insieme al disastroso finale, io e la mia partner in crime Martina abbiamo pensavo di sviluppare quella che, secondo noi, avrebbe potuto essere l'edizione numero dodici della celebre fiction.
Speriamo vi piaccia!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un Natale da ricordare
 
“Mamma, quando arriva papà?”
“Presto, tesoro. Tuo padre è ancora in fabbrica. Lo sai che in questo periodo dell’anno ha sempre molto da fare...”
La piccola Anna è in ginocchio su una sedia accanto alla finestra, intenta a osservare la neve che cade lenta, in una fredda e tarda sera di inizio dicembre. Sono passate le 20, eppure suo padre Carlo non è ancora rientrato a casa dal lavoro.
Anna sa che quando il Natale si avvicina, lui è sempre molto impegnato e ha tanto da fare, come le ha appena detto la mamma, ma lei vorrebbe tanto che papà fosse lì a casa con lei, sua sorella Chiara e sua madre Elisa, a preparare l’albero e appendere le decorazioni natalizie in giro per casa. È un pensiero un po’ egoistico ma è solo una bambina, dopotutto, e il broncio non abbandona il suo viso, gli occhi verdi ridotti a due fessure mentre fissa ostinatamente la strada, tirandosi il maglioncino colorato sulle mani per riscaldarle, in attesa che lui torni.
Ogni anno è così: suo padre non c’è mai, con loro, quando è il momento di tirar fuori gli scatoloni con gli addobbi rossi e dorati.
Anzi, addirittura certe volte manca anche per Natale...
 
Anna’s pov
 
Mi sveglio di soprassalto, il cuore che batte più rapido.
Perché questo sogno? Perché ora?
È l’inizio di dicembre, esattamente come negli istanti che stavo rivivendo nel sonno.
Oddio, sonno... ero riuscita ad appisolarmi da poco, perché lo scricciolo che porto in grembo ultimamente è agitato, quasi fremesse di venire al mondo.
Anche perché, manca poco. Due settimane all’incirca, e ci siamo.
E noi non vediamo l’ora!
“Noi” chi, Vocina?
Ehm... noi, io e te! E Marco, ovviamente! A chi vuoi che mi riferisca, non conosco nessun Grillo con cui condividere l’entusiasmo. Sono la tua coscienza, ricordi? Solo tu puoi sentirmi...
Hai ragione, sarà la mancanza di sonno a farmi fare strani pensieri.
Figurati, Anna. È normale, essere un po’ in ansia!
Ma io non sono in ansia. Non più di tanto, in realtà. La gravidanza è andata benissimo, dopo la nausea dei primi mesi, e tutto è tranquillo. Quanto può esserlo con i biscottini che non vedono l’ora di diventare nonni e una sorella che ha svaligiato Spoleto e dintorni per preparare i regali per la nipotina in arrivo (sì, continua a dire che sarà femmina con assoluta convinzione).
Tutto perfetto.
C’è solo il sogno che ho appena fatto che mi inquieta.
Capisco che non mi riaddormenterò tanto presto, per cui decido di andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua.
Cerco di essere il più silenziosa possibile - mica facile, incinta di nove mesi... un’impresa titanica - per non svegliare Marco, che dorme accanto a me.
Il fremito che gli attraversa il viso mi fa temere che mi abbia sentita, ma per fortuna sembra stato solo un riflesso involontario perché si sistema meglio, riprendendo a russare piano.
 
Il bicchiere d’acqua è servito a poco, per cui mi sono seduta sul divano dopo uno sguardo di sfuggita all’orologio appeso al muro.
Segna le 3.32, è notte fonda e dalle fessure delle persiane si intravede la luce dei lampioni che illuminano la strada deserta.
Sono sola con i miei pensieri più confusi che mai.
Erano anni che non sognavo mio padre, soprattutto facendo emergere così dal nulla un ricordo legato alla mia infanzia.
Per essere precisi, papà non era presente, ma si parlava di lui... e si parlava di Natale.
Chissà perché un episodio così lontano mi è tornato alla mente proprio adesso...
Che senso ha?
 
Marco’s pov
 
Un rumore in cucina mi fa svegliare.
Allungo istintivamente la mano verso l’altra parte del letto, trovandola vuota anche se il lenzuolo è tiepido.
Non è una novità, è già da una settimana che mi capita di ridestarmi nel cuore della notte e non trovare Anna. Il nostro baby Nardi è inquieto, non lascia dormire la sua mamma concedendole il riposo che meriterebbe. Ma forse, quando si dice che per i figli si fa qualsiasi cosa e ogni sacrificio possibile, si intendono anche i nove mesi che precedono la loro nascita. E Anna è una che non si risparmia affatto.
Aspetto qualche istante, perché di solito lei si alza per fare due passi per poi tornare a letto, ma quando mi rendo conto che stavolta sta tardando decido di alzarmi anch’io e raggiungerla, preoccupato.
La trovo seduta sul divano, intenta a mormorare a Patatino di non far rumore per non svegliarmi. Intuisco che dev’essere stato lui, prima, a urtare qualcosa.
Sorrido, battendo piano il pugno sullo stipite della porta per rendere nota la mia presenza senza spaventarli, ottenendo così l’attenzione di entrambi.
La mia fidanzata alza gli occhi al cielo, tornando a rivolgersi al nostro cagnolone.
“Niente, abbiamo fallito, Patatino. Marco si è svegliato lo stesso!” esclama in tono sconsolato, facendomi ridacchiare.
La raggiungo, sedendomi accanto a lei.
“Tutto bene?” chiedo, sistemandole i capelli dietro l’orecchio.
Anna si rilassa sotto al mio tocco premuroso rivolgendomi un sorriso assonnato.
“Sì... al solito, il nostro piccolino non mi lascia dormire.”
Uhm, lo sai che non ti sta dicendo tutta la verità, vero?
Certo, Grillo, ma devo andarci piano.
La osservo meglio, notando gli occhi lucidi alla luce dell’abat-jour accesa sul tavolino nell’angolo. Non credo abbia pianto, però, e lei comunque non sembra voglia dire di più.
Per il momento lascio correre, fingendo di accettare la sua scusa.
Le accarezzo dolcemente il pancione, avvertendo con chiarezza i calcetti del bambino.
In ogni caso, è vero che non le dà tregua.
“Dovrai avere un altro pochino di pazienza, anche se so benissimo che non sei esattamente miss relax...”
Il mio tentativo di farla ridere per fortuna funziona.
Anna mi rivolge uno sguardo affettuoso.
“Grazie.”
Okay, questa ammetto di non averla capita. Perché mi sta ringraziando?
Lei sembra quasi leggermi nel pensiero - e ti stupisci pure, ora? - perché la sua spiegazione non tarda ad arrivare.
“Avevo proprio bisogno di una risata.”
Sposto la mano dal pancione alla sua guancia calda.
“Sono qui per questo, io, no? La mia missione nella vita è farti ridere, è una delle poche cose in cui sono veramente bravo,” replico, orgoglioso.
La mia fidanzata scuote la testa, divertita, prima di portare le dita dietro la mia nuca, avvicinandomi a sé per un bacio.
Devo dire che questi momenti di veglia notturna non mi dispiacciono affatto.
Non avevo dubbi. Però siete tanto carini quando fate così! Anche un po’ smielati a dire il vero, ma ci passiamo sopra, per adesso...
 
Anna’s pov
 
Dopo una lotta impari con baby Nardi, la scorsa notte sono riuscita ad addormentarmi intorno alle 5. Peccato che la sveglia di Marco abbia iniziato a suonare alle 7.30, ridestandomi completamente. Lui mi avrà chiesto scusa un milione di volte, perché sperava di svegliarsi in tempo per staccarla in anticipo, ma non sono mica arrabbiata con lui. Deve andare al lavoro, ed è già abbastanza complicato per via delle notti in bianco che anche lui spesso trascorre, senza il trillare del suo cellulare non riuscirebbe ad alzarsi.
 
Il mio fidanzato è uscito per andare al tribunale da un paio d’ore quando mi metto a cercare nella libreria un album di foto che non apro da tempo.
Lo tiro fuori non appena lo trovo, incastrato tra altri volumi, e sulla copertina c’è scritto “I primi ricordi di Anna” nell’inconfondibile calligrafia elegante di mia madre.
All’interno sono raccolte molte immagini della mia infanzia, risalenti a prima che mio padre morisse.
Conosco tutte le foto a memoria, nonostante non apra queste pagine ingiallite da parecchi anni.
È la prima cosa che metto negli scatoloni ogni volta che mi capita di dover traslocare, eppure non ho provato il desiderio di sbirciare all’interno per un sacco di tempo. Perché dovrei farlo adesso?
In realtà non lo so neanche io. C’entra il sogno, sicuro, ma so bene che non è qui dentro che troverò le risposte ai miei dubbi.
Faccio per sollevare la copertina, quando qualcuno bussa alla porta di casa.
Ripongo l’album sul tavolino in salotto con un sospiro, per andare a vedere chi è.
Naturalmente è mia sorella Chiara, con l’ennesima serie di borse in mano dopo una mattinata di shopping.
Se si tratta di università o lavoro ritiene sia un crimine contro l’umanità svegliarsi presto, ma per fare spese evidentemente no.
Ignorando la mia occhiata esasperata, lei entra in casa con fare disinvolto, spiegandomi nel mentre che Marco l’ha chiamata, chiedendole di passare da me per via della nottata agitata.
“... ero a prendere un cornetto al bar giù in piazza quando mi ha telefonato, e nel tragitto verso casa tua ho visto questo vestito in vetrina, c’era pure lo sconto! Non potevo non comprarlo! Naturalmente dovevo abbinare borsa e scarpe, se no che senso avrebbe avuto? E così... ho perso tempo,” si giustifica, senza però mostrare ombra di rimpianto.
Si è comprata il negozio, secondo me. Lo sconto era sul negozio, non sul vestito e il resto.
Rido alla battuta della mia Vocina, facendo inarcare un sopracciglio a mia sorella.
“Che c’è da ridere? Era un’occasione u-n-i-c-a!”
“Immagino...! Non ci fare caso, comunque, non era per te che ridevo.”
Chiara mi scruta con espressione di colpo dubbiosa.
“Tutto bene? Marco mi è sembrato preoccupato al cellulare, anche se ha detto che non fosse successo nulla di grave... però ha ragione, tu non me la conti giusta.”
Beh, era normale che se ne accorgesse. Ci conosce troppo bene, difficile le sfugga qualcosa. Però non so spiegarle quale sia il problema perché non è chiaro nemmeno a me, e per il momento preferisco non condividere l’inquietudine per quel sogno.
Chiara per fortuna accetta la mia scusa sul fatto che sia io che Marco siamo un po’ scombussolati per via del sonno perso, così mi propone di fare una passeggiata e portare con noi Patatino, in attesa che si faccia l’ora di andare a prendere Ines a scuola.
Natalina mi ha chiamata stamattina chiedendomi se potevo andarci io, perché la bambina ha chiesto di poter passare un po’ di tempo con me.
A me, a volte, non sembra neanche vero. Adoro Ines, e adoro spendere i pomeriggi in sua compagnia. È davvero un tesoro.
Non ho esitato neanche un istante ad accettare la richiesta della perpetua.
Così eccomi qui con mia sorella, davanti all’ingresso della scuola.
Al suono della campanella Patatino scatta in piedi, iniziando a scodinzolare come un matto.
Ines ci nota subito, correndo allegramente verso di noi: la sua attenzione si concentra prima su Patatino, che ricambia festante il suo saluto. Non mi aspettavo però che la bambina, dopo essersi dedicata al cagnolone, venisse da me lasciando un delicato bacino sul pancione, sussurrando un “Ciao, baby Nardi!” che mi scioglie all’istante.
Saranno gli ormoni sballati, probabilmente, ma avverto gli occhi inumidirsi. Una risatina da parte di mia sorella mi porta a voltarmi nella sua direzione.
“Chi l’avrebbe mai detto, Anna che si lascia commuovere per così poco!”
Poche parole che vanno a colpire dritto il mio orgoglio, facendomi tornare in mente tutte le volte in cui la stessa cosa mi è stata detta sul lavoro, per sminuire le mie capacità.
“Io non mi lascio commuovere,” ribatto piccata.
Quanto sei permalosa, mamma mia.
Zitta, Vocina, io non sono permalosa!
Certo, certo. Tu valuti la situazione, naturalmente. E questa ti diceva di commuoverti. Non fa una piega.
Ci mancava la mia coscienza che mi fa il verso!
 
Abbiamo terminato di pranzare da un’oretta, quando Chiara va via. Marco non è rientrato, ma lo sapevo già, e adesso sono seduta con Ines appoggiata alla mia spalla, a guardare i cartoni alla tv prima che si metta a fare i compiti.
Un buon allenamento per il futuro, non trovi?
Vocina, sei una tortura oggi. Vuoi stare zitta?!
Ancora offesa per prima? Ma daaaai!
Sbatto le palpebre più volte, ridestandomi dai miei pensieri quando noto una manina sventolare davanti agli occhi.
“Stai bene, Anna? È da un pochino che ti chiamavo, ma non mi rispondevi...”
Io le accarezzo la testolina riccioluta con un sorriso.
“Non ti preoccupare, sono solo un po’ stanca, tutto qui.”
“Allora puoi fare un pisolino mentre io faccio i compiti, così ti riposi e possiamo giocare insieme, più tardi!” propone, saltando in piedi. Rido alla sua affermazione, mentre lei inizia a tirar fuori i quaderni dallo zaino.
 
Marco’s pov
 
Visto che non ho altro lavoro da fare per oggi, riesco a rientrare a casa un po’ prima del previsto. Sono passate da poco le 17 quando varco la soglia di casa, immersa nel silenzio a parte lo scorrere delle matite su un foglio: c’è infatti Ines, seduta al tavolo e intenta a colorare, che mi fa segno col ditino di non fare rumore, indicando il divano.
Solo adesso noto la mia fidanzata, appisolata contro i cuscini.
Sorrido, avvicinandomi alla bimba che adoro, posandole un bacio sulla testolina.
“Ciao!” mi saluta, abbracciandomi forte. “Anna si è addormentata poco fa, prima non ci riusciva. Ogni volta che sembrava dormire si svegliava dicendo qualcosa che però non ho capito,” mi spiega con espressione seria.
“Mh,” commento, pensieroso. “Non ti preoccupare per Anna. Per ora riesce a dormire poco, è normale. Tu stai tranquilla. Fammi vedere cosa hai disegnato!” provo allora a distarla.
La tattica funziona e così mi mostra la sua opera d’arte: ci sono lei e Patatino che giocano in un prato.
Si è affezionata un sacco al mio cagnolone, oltre che a me.
D’altronde, tale cane tale padrone.
Bel complimento, Grillo, molto gentile.
Oh, quanto sei permaloso pure tu! Io intendevo in positivo!
‘Pure’ io? Chi altro c’è di permaloso, sentiamo?
Ehm, nessuno. Lo dicevo così, per dire. Cosa vuoi che ne sappia, chi altro è permaloso, che parlo solo con te, io... Mica ci sono Vocine permalose...
“Marco...?”
Una voce assonnata mi riporta alla realtà.
Anna si è svegliata, e si sta stropicciando gli occhi.
La raggiungo, salutandola con un lieve bacio sulle labbra per poi sedermi sul bracciolo del divano, accanto a lei. “Ciao, amore... Puoi dormire ancora un po’ se vuoi, a Ines ci penso io.”
Lei scuote appena la testa, alzandosi con non poca fatica.
“Preferisco andare a fare un bagno... mi sa che ne ho più bisogno.”
Annuisco. “Se ti serve qualcosa, chiamami e arrivo di corsa.”
Anna ridacchia prima di sparire oltre la porta.   
 
Sono ancora seduto nello stesso punto quando Ines mi affianca, indicando un album di foto sul tavolino.
“Che cos’è quello?” mi chiede, ma io sinceramente non so risponderle.
Allungo un braccio, recuperando il libro rivestito di pelle blu, e il titolo impresso sopra mi sembra abbastanza eloquente. Rivolgo uno sguardo verso la porta del bagno, cercando di fare ordine tra le domande che mi frullano in testa su cos’abbia Anna in questi giorni. Prima che possa impedirglielo, distratto com’ero, Ines mi sfila l’album dalle mani e inizia a sfogliarlo, curiosa, sedendosi comodamente sul divano.
Dalla mia posizione, riesco a vedere le foto all’interno: sono tutte immagini che ritraggono Anna da piccola, insieme alla madre e alla sorella, ma anche insieme al padre Carlo.
In realtà le foto con lui non sono moltissime, stranamente, però in ognuna di esse lei sorride con uno di quei sorrisi enormi che raramente mi capita di vedere, ma che anch’io sono riuscito a strapparle qualche volta.
Doveva amarlo moltissimo.
Già, Grillo. Non solo: queste foto raccontano più di quanto a parole Anna sia mai riuscita a dirmi su di lui.
“Chi è il signore nelle foto?” Mi chiede Ines, indicandolo. Giustamente lei non l’aveva mai visto prima, Anna è molto gelosa di tutto ciò che conserva di lui, tiene tutto ‘sotto chiave’, in un certo senso.
“Questo ‘signore nelle foto’ si chiama Carlo Olivieri, ed è il papà di Anna. Come sai anche tu, è morto quando lei era piccola...” le spiego, cauto. Non voglio rischiare di provocarle ricordi tristi, ma lei non sembra turbata.
“Come la mia mamma... è in cielo come lei,” commenta infatti, serena, prima di riprendere a sfogliare quelle pagine ingiallite dal tempo.
Torno con lo sguardo alla porta del bagno.
Perché Anna ha tirato fuori dalla libreria quest’album?
 
Anna’s pov
 
Ero finalmente riuscita ad addormentarmi senza rifare quello strano sogno, quando il mio baby Nardi ha iniziato a dare pugnetti, svegliandomi. E il bagno non è così rilassante come speravo che fosse.
Quelle immagini continuano a frullarmi in testa, riproponendomi i momenti in cui da bambina stavo ore attaccata al vetro della finestra in attesa che mio padre rientrasse. Facendomi ricordare come lui, a Natale, non ci fosse quasi mai. Quello che non capisco è perché, tra tutti gli anni, questa memoria debba riemergere proprio adesso che sto per diventare mamma.
Se l’acqua calda ha tranquillizzato la mia creatura, a me sono invece aumentati i pensieri. Quando raggiungo Ines e Marco, in cucina, scopro che nel frattempo la bambina ha chiesto di poter restare per cena, e il mio fidanzato ovviamente non si è fatto pregare. Adesso sono entrambi ai fornelli, mentre lui dà sfogo al suo estro da chef e lei gli passa gli ingredienti o lo ascolta rapita mentre le spiega tutte le fasi di preparazione.
Il profumino che si alza dalle pentole sul fuoco è decisamente invitante.
Dopo qualche istante, Ines rivolge la sua attenzione su di me.
“Anna, ma ormai manca poco prima dell’arrivo del bimbo, vero?” mi chiede, arricciando le labbra in un’espressione concentrata.
“Sì, due settimane, più o meno.”
Lei annuisce con fare pensieroso.
“Allora forse è meglio che iniziate a mettere le decorazioni per Natale ora... così se vuole nascere prima, troverà tutto pronto! Arriverà che è già festa per tutti, e sarà più bello!” esclama, sollevando le braccia a indicare l’ambiente circostante.
È il 5 dicembre, non ha tutti i torti...
Però non riesco a rispondere alla sua proposta, le parole che si impigliano in gola. Non perché non sappia come replicare, ma perché mi ha ricordato una frase che io stessa, da piccola, ripetevo a mia madre in continuazione, anche se la spiegazione in quel caso era diversa.
... Mamma, perché non cominciamo a decorare casa? È dicembre...! Così, se papà rientra prima, vedrà che ci siamo date da fare! Sarà contento, e magari ci aiuterà pure lui a mettere le lucine sull’albero...
Sento gli occhi pizzicare e il dolore ricominciare a espandersi, come se quel ricordo avesse riaperto una ferita che non si era mai cicatrizzata del tutto.
“... Anna...? Ti senti male?” domanda Marco, preoccupato, riportandomi alla realtà.
Scuoto la testa. “No no, tutto bene... è solo che non mi va tanto di mangiare, stasera... E sono stanca... Scusate...” mormoro.
Raggiungo la nostra camera da letto in fretta quanto il mio pancione consente, mentre gli occhi lucidi hanno ormai lasciato spazio a lacrime vere, che tento di asciugare col dorso della mano prima di cambiarmi e mettermi a letto. So già che non riuscirò a prendere sonno tanto presto.
 
Marco’s pov
 
Dopo aver cenato e aver rassicurato Ines spiegandole che dobbiamo avere un po’ di pazienza con Anna, l’ho riaccompagnata in canonica approfittandone per far fare a Patatino la sua consueta passeggiata, seppur più breve del solito.
L’aria fredda non dà comunque l’impressione che possa nevicare, anche se non mi stupirebbe se succedesse.
Quando rientro a casa, ripenso per l’ennesima volta a ciò che è successo meno di due ore fa, ad Anna e alla sua reazione.
Adesso sono davvero preoccupato, perché okay gli sbalzi d’umore, gli ormoni alterati, la gravidanza e tutto, ma sono sicuro che ci sia altro sotto. La mia fidanzata però evita il discorso e, peggio ancora, non lascia nemmeno parlare i suoi occhi. Sono sempre stati una porta attraverso cui sono sempre riuscito a leggere il suo cuore. Ma se me lo impedisce, cosa posso fare? Voglio aiutarla, voglio capire, ma non so come.
Rivolgo l’attenzione verso quell’album ancora poggiato sul tavolino del soggiorno: forse la risposta potrebbe essere lì dentro, così mi metto a sfogliarlo ancora una volta, dedicando alle foto tutta la mia concentrazione.
Un’ora dopo chiudo stancamente le pagine ingiallite, rimettendo l’album nella sua postazione temporanea.
Non ho trovato nessuna risposta ai miei dubbi, non c’è nulla lì dentro che mi possa aiutare a comprendere lo strano comportamento di Anna. Non c’è traccia del periodo natalizio che potrei associare ad ora.
La raggiungo in camera, notando che è ancora sveglia.
“Ehi... come va?” tento.
Ricevo solo un mormorio incomprensibile in risposta, che mi fa capire non abbia tanta voglia di parlare.
Non la voglio forzare, così le sfioro i capelli prima di fare una doccia veloce e mettermi anch’io a letto senza dire nulla.
 
Sono le 3.28 quando una voce mi sveglia.
Anna.
Mi alzo di scatto, temendo stia male o che il bambino voglia nascere con decisamente troppo anticipo, ma mi blocco un attimo prima di toccarla, ascoltando più attentamente.
Non sta chiamando me, né altro.
Sta parlando nel sonno.
“... papà farà tardi anche stasera, vero?... Ma perché è sempre a lavoro?! Non c’è mai...”
Capisco stia sognando di parlare con sua madre, in un momento della sua infanzia.
Dal tono e dall’inquietudine che la scuote, non è certamente un bel sogno, quello che sta facendo.
Forse è questo il problema che non la fa dormire, che le distrugge l’umore... forse si tratta di un sogno ricorrente su qualche evento del suo passato che è tornato a tormentarla.
Ma come posso aiutarla se non mi dice cosa le passa per la testa?
Mi avvicino cercando di non svegliarla: mi sta dando le spalle, l’espressione nervosa che le distorce i lineamenti del viso, la mano serrata attorno alla federa del cuscino.
Con tutta la delicatezza che riesco a mettere insieme, la cingo in un abbraccio, accarezzando quel punto del suo grembo contro cui sento la pressione dei piedini della nostra creatura, agitata quanto la sua mamma.
Le poso un bacio sui capelli, facendo aderire la sua schiena al mio petto, nella speranza di riuscire a tranquillizzarla e placare quella rabbia che sembra provare per via del sogno.
Per fortuna pare funzionare, perché dopo qualche istante il respiro di Anna si fa più lento e regolare e la smorfia contrariata si rilassa in un’espressione serena.
Il mio intento è andato a buon fine.
Solo così riesco a riprendere sonno anch’io.
 
La mattina seguente, sono in cucina a preparare la colazione quando Anna mi raggiunge.
A parte il brutto sogno, è riuscita a dormire tutta la notte e il suo umore ne ha giovato, perché è molto più sorridente rispetto ai giorni scorsi.
Quel suo “Buongiorno!” accompagnato da un bacio e una risatina quando rischio di versare a terra il latte, mancando il bersaglio della tazza, fanno partire la giornata nel modo migliore.
Dopo aver sbocconcellato qualcosa insieme, seppur a malincuore la lascio per andare al lavoro.
Ci sarà Patatino a farle compagnia in mia assenza.
 
Anna’s pov
 
Sono da poco passate le 14 quando il campanello di casa suona, allertando Patatino che inizia a scodinzolare, segno che, chiunque sia, è qualcuno di noto a entrambi.
Dall’altra parte della porta, infatti, ci sono mia madre, Chiara e la piccola Ines.
Oltre a loro, una quantità indefinita di scatole, borse e pacchetti è stata portata sul pianerottolo, evidentemente in attesa di essere trasferita in casa mia. Basta un’occhiata per capire che contengono decorazioni natalizie.
“Buongiorno, sorellina! Adesso che hai aperto, possiamo finalmente dare il via all’operazione ‘Decoriamo casa per Natale e per accogliere baby Nardi’!”
Tua sorella ha una pessima capacità di inventiva, per i nomi  delle sue missioni.
Le accolgo con un sorriso, aiutandole per quanto riesco a portare dentro tutto.
Pochi minuti dopo, però, mentre stiamo iniziando a tirar fuori gli addobbi dalle scatole, mi blocco osservando le donne in casa con me.
Una strana sensazione alla gola.
“Anna, che hai?”
Chiara ha alzato lo sguardo, beccandomi a fissare il vuoto.
“Niente, niente... stavo solo cercando di capire cosa appendere per primo.” replico.
Perché continui a mentire a tutti, Anna? Perché non dici la verità?
Quale verità, Vocina? Non so di cosa tu stia parlando...
Sì, certo, e io sono scema come Grillo e ti credo! Ma per favore!
Non so chi sia questo ‘grillo’ di cui parli spesso, ma io sto benissimo.
Ah, sì? E allora perché invece di aiutare tua madre, tua sorella e la bimba a preparare la casa per Natale, sei qui alla finestra, intenta a fissare la strada sperando che arrivi qualcuno?
... ha senso, continuare a mentire a me stessa?
Forse ho capito cosa significhino quei sogni. Perché ricordo ogni Natale passato senza papà, quando era ancora vivo e avrebbe potuto esserci? Perché era ancora con noi, perché Lisi non aveva ancora attuato la sua truffa, perché noi eravamo lì e lui era sempre al lavoro.
E se sono alla finestra, è perché sto desiderando con tutto il cuore di veder arrivare la moto del mio fidanzato. Di sentirlo salire le scale di corsa, aprire la porta e aiutarmi con le decorazioni. Sto sperando che lui sia diverso, che la creatura che porto in grembo non debba mai affrontare ciò che io ho vissuto.
Solo adesso capisco davvero.
E sono convinta che questi pensieri sono molto simili a quelli che deve aver fatto mia madre quand’ero piccola e lei restava in casa da sola, con me e Chiara.
Sto per allontanarmi e tornare da mia sorella quando il rumore di una moto attira la mia attenzione. Non è il solo, però: c’è anche quello di un’auto.
Il mio cuore inizia a battere più in fretta.
Passano pochi istanti, poi la porta di casa si spalanca, e Marco e Cecchini fanno il loro ingresso, portando a loro volta decorazioni natalizie da aggiungere alle altre.
Il maresciallo raggiunge mamma, mentre Marco riesce appena  a salutare perché Ines gli si lancia addosso e lui non esita a prenderla al volo.
La scena è davvero troppo per me.
Non riesco più a trattenermi e scoppio a piangere in mezzo al salone, sotto lo sguardo stupito dei presenti.
Mi rifugio in fretta in camera da letto, chiudendo la porta per lasciare che quel pianto liberatorio che trattenevo da giorni possa aver sfogo.
 
Marco’s pov
 
Nella stanza, in mezzo agli addobbi natalizi, sono tutti stupiti dal comportamento di Anna.
Tutti, tranne la mia futura suocera, che mi osserva mentre tengo ancora in braccio Ines.
Marco, io sono scemo, ma credo che in tutta questa storia, sia suo padre che tu abbiate un ruolo determinante.
Metto a terra la bambina, lasciandola insieme agli altri mentre io mi dirigo con un sospiro verso la camera da letto.
Busso piano contro il legno della porta, ma in risposta ricevo solo i singhiozzi di Anna.
Lascio passare qualche istante in attesa di un segno che non arriva, così decido di provare in un altro modo.
“Anna... sono qui, lasciami entrare.”
E non solo in senso letterale, nella camera, ma anche e soprattutto nel mondo che si porta dentro, per poter capire cosa abbia e cosa posso fare per alleviare quel dolore.
Come ho fatto in passato e come vorrei poter fare per il resto della mia vita.
La maniglia si abbassa, lasciando uno spiraglio: il lasciapassare.
Una volta dentro, trovo la mia fidanzata seduta sul letto, la testa china, una mano che tenta di asciugare le ennesime lacrime cadute.
Io mi siedo a terra davanti a lei, in silenzio. Sono qui per ascoltarla, se vorrà parlare, perché forzarla non servirebbe a nulla.
Lei fa scorrere la mano libera sul suo pancione, soffermandosi sui punti in cui probabilmente avverte poggiato il bambino, per poi sollevare lo sguardo e puntarlo dritto nel mio.
Eccoli, finalmente, quegli occhi verdi che da giorni cerco e bramo.
La porta sul suo cuore, su quel mondo più complesso del Paese delle Meraviglie di Alice.
“Scusa.”
Corrugo le sopracciglia. Non capisco, di cosa dovrebbe scusarsi? Avrà anche avuto uno strano comportamento, ultimamente, ma...
Passano alcuni instanti in cui lei non dice nulla, e io non so se rompere il silenzio e chiederle il perché di quelle scuse, se azzardare una mossa, o attendere.
Ma la regina della scacchiera è lei, ed è a lei che tocca la prossima mossa.
Un lungo sospiro, poi inizia a parlare.
“Il fatto è che... vederti con Ines, vederti accoglierla in quel modo, ha fatto sanguinare una ferita che c’è sempre stata ma non si era mai riaperta, perché fino ad oggi non c’era stato motivo che succedesse. Mentre ora... ora c’è.”
La mia confusione aumenta e lei sembra accorgersene, perché continua la spiegazione.
“Ho sognato spesso mio padre, negli ultimi giorni. O, per meglio dire, la sua assenza. Capitava spesso che non ci fosse, a casa, nemmeno per Natale. Per i suoi viaggi di lavoro, o perché era in fabbrica. Papà era un uomo meraviglioso, ma anche un lavoratore instancabile, e durante le feste, le scarpe che produceva erano regali natalizi molto apprezzati... A dicembre, era più il tempo che passava in fabbrica, che a casa. Non c’era mai quando decoravamo l’albero... spesso, mancava anche la vigilia di Natale, e la mattina stessa, se arrivavano ordini dell’ultimo minuto. Ma non perché non volesse stare con noi... era sempre in fabbrica perché voleva che i suoi dipendenti avessero tempo per stare con la famiglia, così lo sottraeva alla sua per far sì che gli altri potessero godersi la propria. Come se volesse far capire a tutti quanto fosse importante stare con le persone che amiamo...”
Inizio a capire dove il discorso stia andando a parare, così le stringo le mani, per incitarla a continuare.
Solo liberando i suoi pensieri si sentirà meglio.
 
Anna’s pov
 
La carezza delle dita di Marco attorno alle mie è sufficiente a far proseguire la mia ‘confessione’.
Fino ad ora non ci avevo mai ripensato a quei momenti in particolare, perché non sapevo che mio padre avesse tradito mia madre. E le giornate che passava al lavoro gli servivano per non pensare ai suoi sentimenti. E io lo so cosa vuol dire, perché io stessa l’ho sempre fatto. Adesso, quel suo buttarsi a lavorare senza sosta assume sempre più i tratti di un atto di espiazione per quel tradimento... Evidentemente ha capito solo col tempo quanto fosse importante avere accanto persone che ti amano e ti perdonano anche quando sbagli. E magari non voleva che qualcuno dei suoi dipendenti trascurasse la famiglia come aveva fatto lui, e commettesse l’errore di dimenticare chi avesse accanto.
Marco, nel frattempo, si è seduto accanto a me sul letto.
“A pensarci adesso sembravo un’egoista, però da piccola avrei tanto voluto avere papà tutto per me. Ero convinta che sì, ci volesse bene, ma che preferisse il lavoro a noi...”
Il mio fidanzato asciuga le mie lacrime con dolcezza, prima di accarezzarmi una guancia, comprensivo.
“Non c’è nulla di male, in questo... eri solo una bambina, sono pensieri che si fanno, non potevi sapere-”
“Io non voglio che al nostro bambino succeda quello che è successo a me,” lo interrompo improvvisamente, ammettendo ciò che mi spaventa di più in assoluto. “Lo so che è una cosa stupida, che tu mi ami e non sei come mio padre, ma con il parto che si avvicina, proprio a ridosso del Natale, non riesco a non pensarci. E quando ho visto mia madre e mia sorella impegnate a decorare e tu non c’eri, ho iniziato a immaginare il nostro futuro, con me o te impegnati col lavoro, che non siamo a casa con nostro figlio a preparare biscotti e decorare la casa. Ma quando tu sei arrivato, e Ines ti è corsa incontro... mi sono sentita una sciocca. Perché ho pensato che potessi essere come lui, ma non è così, e... e-”
Il flusso dei miei pensieri sembra inarrestabile come le lacrime che Marco sta tentando inutilmente di asciugare.
È di nuovo lui a salvarmi dalla mia mente, posandomi un dito sulle labbra, obbligandomi poi a guardarlo.
“Anna... calmati. Spegni per un attimo la testa, perché tutti questi pensieri ti fanno più male dei ricordi che sono giustamente affiorati negli ultimi tempi.”
Prima che possa chiedergli cosa intenda con ‘giustamente’, lui continua.
“Io ho sempre sperato di poter essere per nostro figlio ciò che tuo padre è stato per te... Ma vorrei essere quello dei bei ricordi, quello che tu hai sempre amato perché ne conoscevi i pregi, più che i difetti. Un figlio vede i suoi genitori con gli occhi del cuore e non con il cervello... a volte ci facciamo condizionare dall’immagine ideale che abbiamo di loro, però è vero che tutti possiamo sbagliare. L’importante è imparare dagli errori, e tuo padre lo ha fatto. Certo, ha sottratto tempo a sua moglie e alle sue figlie, ma non poteva sapere che quelli erano gli unici Natali che gli restavano, che avreste potuto passare insieme. Sperava di poterne vivere molti altri con voi, con più serenità, e se avesse saputo come sarebbe andata, si sarebbe comportato in modo diverso. Ma il passato è passato, non si può cambiare. Possiamo però scegliere quali ricordi conservare, come quelli che hai nell’album di foto che hai tirato fuori dalla libreria qualche giorno fa. Non ci sono foto del Natale lì dentro, perché il tuo papà non c’era. Ce ne sono altre, però, in cui eravate felici... Non erano nemmeno eventi speciali, ma lo sono diventati col tempo. Anche noi due commetteremo errori, e magari capiterà di non essere sempre presenti per il nostro scricciolo perché saremo al lavoro fino a tardi, o avremo turni nei giorni festivi... ma nostro figlio non sarà meno amato, per questo, così come tuo padre non amava di meno te e Chiara quando era in fabbrica e non a casa con voi a decorare l’albero.”
Bacio Marco di slancio non appena termina il suo discorso, perché non c’è nulla da aggiungere a quello che ha detto. Ha ragione su tutto, e sono felice che mi abbia aiutata a trovare e risolvere il problema.
Solo lui, come sempre.
Perché Marco c’è sempre.
È un bacio lungo, intenso e colmo di sentimenti: c’è tristezza per i ricordi evocati, paura per il futuro che ci attende, e c’è la voglia di avere già il nostro baby Nardi tra le braccia per potergli dire quanto lo amiamo, che ci saremo, che non siamo perfetti e mai lo saremo, ma possiamo provare ad essere la versione migliore di noi stessi.
La cosa certa è che io, Marco e lo scricciolo che sta per arrivare saremo una famiglia, come tante altre, dove ci sarà gioia, amore, e qualche volta anche rabbia e tristezza. Ma non importa, fa parte del gioco. Quello che conta siamo noi, e i ricordi che creeremo insieme.
“Vuoi riposarti un po’? Visto lo sfogo...” mi suggerisce il mio fidanzato quando ci separiamo, ma io ho un’idea migliore.
“Torniamo di là,” affermo, “c’è la casa da decorare.”
 
Marco’s pov
 
La giornata di ieri è stata colma di emozioni ed eventi, ma per fortuna tutto sembra essere andato per il meglio.
Oggi, una volta finito di lavorare, mi sono recato al vivaio più grande di Spoleto, quello dove qualche anno fa avevo cercato di trovare un abete in pieno agosto insieme a Cecchini, per il piccolo Cosimo. Stavolta, visto che siamo a dicembre, non ho avuto problemi a recuperarne uno.
Anche perché, detto tra noi, il bambino aveva ragione: sarà anche la tradizione, ma la palma, come albero natalizio, fa schifo.
Quando rientro a casa, non appena apro la porta, trovo Anna e Ines alle prese con la preparazione dei biscotti, in cucina. C’è farina ovunque, sul viso della bimba (e i vestiti non sono da meno), ma soprattutto ci sono risate.
Hanno bisogno di qualche minuto, concentrate come sono, per notare che oltre a me, c’è anche un abete.
“L’alberoooo!” esclama Ines, mettendosi a saltellare, felice. Anna ha sulle labbra un sorriso molto, molto simile a quello sulle foto nell’album.
La bambina è estasiata all’idea di decorare un altro albero, oltre a quello che ha addobbato in canonica con Natalina e Pippo, e sta già commentando quanto sembrerà bello con le lucine colorate, quando la mia fidanzata mi si avvicina, gli occhi lucidi.
“Per favore, non metterti di nuovo a piangere!” esclamo, allarmato. “Stavolta cosa ho sbagliato?”
La mia voce lascia trasparire solo panico.
Ma Anna sorride di nuovo.
“Non hai sbagliato niente, anzi... Stai facendo tutto nel modo giusto... più che giusto. Sei qui.”
La sua risposta mi tranquillizza quasi quanto il bacio che ci scambiamo.
“Allora, Ines, dove lo mettiamo quest’albero?” le chiedo, per coinvolgerla. Lei non perde neanche un secondo a darmi direttive, facendomi ridere.
Con la coda dell’occhio, noto Anna dirigersi verso il tavolino dov’è poggiato l’album di foto della sua infanzia: lo osserva per un attimo, prima di riporlo al suo posto nella libreria.
Lascio Ines a scegliere le prime palline da appendere, per recuperare una piccola borsa dall’ingresso e porgerla alla mia fidanzata.
“Non è ancora presto, per scambiarci i regali di Natale?” fa lei, inarcando le sopracciglia.
“Non farti troppe domande, amore. Aprilo e basta.”
Fa come le dico, tirando fuori dalla busta un album per le foto.
Bianco, per non far torto a nessuno, visto che non sappiamo ancora se il nostro baby Nardi sarà un maschietto o una femminuccia.
Scritto sulla copertina, con la mia calligrafia, c’è impressa la frase “I ricordi di...”, incompleta perché manca il nome, che aggiungeremo tra qualche giorno.
Anna mi regala un sorriso splendido, posando la mano sulla mia guancia e accarezzandola.
Ha capito.
“Penso di sapere quale sarà la prima foto che incolleremo, su quest’album.”
Annuisco.
“Sarà certamente un Natale da ricordare.”
 
Psst! Psst! Grillo!
 
Che c’è, Vocina?
 
Stiamo veramente lasciando andare i nostri amici così, senza dire quella cosa?
 
Quale cosa?
 
Come, quale cosa? Grillo, mancano appena cinque giorni!
 
Ahhhh, hai ragione, è vero! Lascio a te l’onore.
 
Va bene. Amici, ci siamo! No, non c’entrano niente le storie, le favole... È quasi Natale. Non esattamente quello che ci aspettavamo, ma non per questo sarà meno Natale del solito.
 
Bella spiegazione! Poi sono io, quello che dice le cose a metà!
 
Zitto, Grillo!
 
Vocina, dai, è Natale! Non dovresti essere più buona anche tu?
 
E va bene! Scusa, Grillo. E a voi, amici, auguriamo tutti un Buon Natale! E visto che dobbiamo essere più buoni, lo auguriamo pure a chi non fa il tifo per i nostri Anna e Marco. Ma solo per stavolta!
 
Ben detto! Tanti auguri!
 
 
   
 
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