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Autore: H u m a n o i d    23/08/2009    1 recensioni
Josephine è una ragazza di diciotto anni, il cui unico sogno è sfondare nel mondo della musica. Canta nella sua band The Without head. I suoi genitori, non approvano il suo sogno di fare la cantante, e cercano di ostacolarla in tutti i modi, al contrario dello zio, che la incoraggia semopre i più, ma lei riuscirà ugualmente a realizzare il suo sogno. Come? Grazie ad un'audizione molto importante...
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
Un sogno...
Il MIO sogno!
Fare il dottore? L'avvocato?
Avete toppato alla grande!

CAPITOLO 1

Avevo diciotto anni e una sola cosa per la testa: la musica. Per i miei genitori ero la figlia peggiore del mondo, me lo dicevano proprio in faccia che non andavo loro a genio. Ma che ci potevo fare? Ognuno è fatto a modo suo! I miei genitori, appartenevano al ramo della civiltà in cui io, non mi sarei mai trovata bene. A quel ramo della società di avvocati, dottori, con figli o avvocati o dottori. Quel ramo della società dove tutto sembra perfetto; perchè perfetto non lo è.
Volevano che diventassi un avvocato come loro. Volevano farmi frequentare il liceo classico a forza, ed io odio, quando mi impongono le cose. Però, non riuscii a dissuadere i miei genitori. Io avevo la musica nell'anima. Volevo fare il conservatorio. Ma loro dissero categoricamente di no. Nemmeno mio zio riuscì a dissuaderli. Si mio zio, fratello di mio padre.  A volte, mi chiedo come facessero ad essere fratelli! Mio zio era... come me! Odiava quel mondo così finto. Era uno spirito  ribelle, proprio come me. Adorava la musica; fu lui che me la mise in testa, a sei anni. Facevo danza, o meglio, ero obbligata. Odiavo tutto quello che i miei genitori mi imponevano di fare già all'età di sei anni. Odiavo ballare! E mio zio lo sapeva bene. Così un giorno venne a trovarmi, e mi mise la chitarra in mano, e da quel giorno, la musica è diventato tutto per me. Mano a mano che crescevo, passavo sempre più ora a suonare la chitarra. A tredici anni, ho formato il mio gruppo, con tre miei compagni di classe. Eravamo in quattro: Marc alla batteria, Stefan al basso, Kalus alla chitarra ed io, josephine, meglio conosciuta come jo, vocalist. Il gruppo si chiamava The Without Head. Anche i miei amici non andavano per niente a genio ai miei genitori. Tatuati e con percing da ogni parte, proprio come me, e questo li rendeva ancora più simpatici.
Tornando al discorso del liceo. Non credete che io mi sia arresa. Mai! Non l'ho mai fatto nella mia vita. Per farmi mandare al conservatorio, mi feci espellere dal liceo classico, combinando i peggio casini. Rompevo vetri, spaccavo sedie, uscivo di nascosto dalla scuola, facevo scherzi ai professori.... e dopo pochi mesi, ero già fuori.
“Ma perchè non sei come i vigli dei vicini? Ordinati, educati, senza tatuaggi e pezzi di ferro nel viso e vestiti schifosi?”
Mi dicevano sempre le stesse cose. Quando ero più piccola, a tredici anni circa, cominciarono a dirmi queste cose, Io all'inizio rimanevo ora a piangere sul mio letto, e non parlavo loro per giorni. Non riuscivo a capire perchè non mi accettassero per come ero.; poi ebbi l'illuminazione...erano delle teste di cazzo come poche al mondo. Erano diversi da i genitori dei miei amici; nemmeno a loro andavano a genio percing e tatuaggi, pure loro avrebbero preferito che frequentassero un liceo come il classico, invece di un conservatorio. Però sapevano ch eil sogno dei loro figli era quello di fare musica, e li incoraggiavano a seguire i loro sogni, come ci si aspetta che facciano dei genitori normali. Ma i miei non erano normali. Loro, non mi spingevano a seguire il mio sogno; loro, il mio sogno lo volevano distruggere. Volevano che mi rammollissi, come i loro adorati figli dei vicini.
“Perchè io ho un cervello e lo uso per pensare! Io non sarò mai come volete voi!!”
La mia tipica risposta. Quella che ormai davo ogni volta. Ormai non piangevo più. Erano cinque lunghi anni che non piangevo più. Avevo forgiato il mio cuore. Lo avevo reso di ghiaccio, anzi no...di acciaio inossidabile, perchè il ghiaccio, si scoglie appena le temperatura si alza un pochino. Per sciogliere l'acciaio inossidabile, ci vuole ben altro. Ed io ero come l'acciaio inossidabile. Forte. Le loro parole mi entravano da un orecchio e uscivano dall'altro.
Quando i miei  genitori vennero a sapere dell'espulsione, fu subito tragedia. Ma alla fine, la meglio la ebbi io.
“Che cosa vuoi, per darti una calmata??”
Era proprio qui che volevo arrivare.
“Andare al conservatorio!”
“E conservatorio sia...” Disse rassegnato quella testa di cazzo di mio padre. Avevo ottenuto quello che volevo, come sempre, quando usavo le maniere forti...
Dopo pochi giorni entrai al conservatorio. Io e il mio gruppo da due anni ormai eravamo in crisi. Avevamo mandato demo a produttori di mezza Germania, avevamo creato il nostro my space. Ad Amburgo eravamo piuttosto conosciuti, suonavamo in pub e bar, sparsi per tutta la città, però  produttori, quelli che veramente contano, non ci filavano nemmeno di striscio. Erano due anni che facevamo il possibile per ottenere un contratto discografico, ma di esso, non vedevamo neanche l'ombra.
Oltra a questo problema, si aggiunse, l' ennesima lagna dei miei genitori. Il liceo era finito da qualche settimana. Loro ovviamente volevano che frequentassi l'università; adesso si erano fissati che io dovevo a tutti costi diventare maestra di musica.
“Io all'università non ci vado! È inutile!”
All'inizio tutto cominciò come sempre, credevo che fosse la solita lite, che avrei vinto. Ma mio padre non demordeva.
“Tetto mio, regole mie signorina! Te farai l'università!”
“Ah si? Tetto tue regole tue? Quindi se io vado via di casa, regole mie!”
Lo dissi quasi scherzando, credevo che quella anche quella volta, avrei vinto io. Ma mi sbagliavo.
Mio padre alzò il braccio e mi tirò uno schiaffo, facendomi girare completamente il volto. Non mi aveva mai sfiorato con un dito.. fino ad allora. Così decisi. Non avrei mai passato un minuto di più in quella casa. Restituii il gesto a mio padre, e salii in camera mia, chiudendo la porta a chiave. Aprii l'armadio in fretta, e tirai fuori da esso due valige. Misi dentro di esse i miei vestiti; poi presi la mia borsa dell'eastpack e dentro infilai i miei quaderni dove avevo scritto le canzoni e  gli spartiti per la musica.
Mi misi la chitarra nella sua custodia, presi il telefono e chiamai mio zio.
“Piccola dimmi tutto!”
“Basta, io vado via da questo covo di matti!”
“Brava piccola! Era l'ora! Vieni da me, la porta per la mia nipotina è sempre aperta lo sai!”
“Grazie zio, sei il meglio!”
“Modestamente!”
Chiusi la chiamata. Sapevo che mio zio sarebbe stato dalla mia parte. Mi caricai la chitarra in spalla e uscii di casa correndo, con mio padre sulla porta che mi mandava tutti gli accidenti di questo mondo.
Finalmente ero libera. Camminai ancora per un po' e poi arrivai a casa di mio zio. Lo trovai sulla porta ad aspettarmi. Vestito come un ragazzo di 18 anni, anche se ne aveva più di 30. Mi abbracciò e poi mi fece entrare.
“Quei due l'hanno presa nel culo! Io e te, non siamo tipi da università, noi siamo fatti per fare musica!”
Disse trionfante, allargando le braccia. Non era il campione mondiale di finezza, questo era poco ma sicuro.
“Mah..veramente, te sei un fotografo a quanto ne so io!”
“Si va bè, ma perchè sono vecchio XD Non posso mica girare per il mondo!”
Aveva frequentato il liceo artistico, una cosa che adorava oltre alla musica era la fotografia. Non avendo avuto fortuna nel mondo della musica, aprì uno studio fotografico.
“Ma io dove dormo?”
“Ma che credi, che io non sia preparato? C'è la stanza degli ospiti!”
Presi le valige,e le trascinai a fatica sulle lunghe scale di legno, fino ad arrivare alla mia nuova camera. Non era proprio nel mio stile, però, in poco tempo, avrebbe avuto l'aspetto della mia vecchia camera. Mancavano qualche poster, un po' di vestiti sparsi qua e la, e poi era perfetta.
Buttai le valige sul letto, insieme allo zaino e alla chitarra mi misi sa sedere e decisi di chiamare Klaus, per avvertirlo del mio trasferimento.
“Jo, bella! Dimmi!”
“Klau! Senti, io sono andata via da casa mia..”
“Come?”
“Si, ho litigato con mi pa', mi ha tirato un ceffone e io ho preso e sono venuta da mio zio!”
“Brava! Grande lei!”
“Eh, loso! Avverti anche gli altri magari!”
“Okok! Don't worry baby!”
“Vai! Ciao! Magari ci si sente dopo!”
“Bona ciao!”
Gettai il cellulare su letto insieme a tutta la mia roba, e scesi giù da mio zio.
“Zio, ti devo parlare!”
“Dimmi...”
Gli dissi, che presto mi sarei trovata un lavoro e che avrei contribuito a pagare le Bollette; ma lui non volle sentire ragioni, voleva che mi concentrassi solo sulla mia carriera, se potevamo chiamarla così, di musicista. Sapevo che non mi conveniva discutere con lui, così, lasciai perdere. Tornai in camera, e cominciai a mettere tutto in ordine, quando mi accorsi di aver dimenticato il mio pc a casa.
“Merda!” Urlai.
Mio zio arrivò in camera chiedendomi, anche un po' impaurito, cosa mi fosse successo. Gli dissi del portatile e che dovevo andarlo a prendere. Mio zio mi fermò.
“Te non ci metti più piede in quella casa! Ti serve il portatile, te lo vado a prendere io!”
“Dai zio, non fare il cretino!”
“Vado io, non è un problema e comunque, non chiamarmi zio...mi fa sentire vecchio, chiamami per nome!”
“Ok Johan!” Odiavo quel nome, però se così voleva mio zio, così avrei fatto...
Uscì di casa  ed io tornai a mettere in ordine la mia roba.
....
Johan camminava per strada per arrivare alla casa del fratello tanto odiato, per come si comportava con lui, e con la nipote. Passasse che gli dicesse che era un fallito, che anche lui avrebbe dovuto entrare all'università e frequentare la facoltà di giurisprudenza ecc... Ma non poteva trattare in modo Josepihne! Era sua figlia, doveva incoraggiala a fare quello per cui era nata, e non distruggere i suoi sogni. Secondo lui, la ragazza fece molto bene ad andarsene di casa.
Arrivò davanti la porta d'ingresso, e suonò il campanello. Il fratello aprì la porta, e subito cominciò a fare la predica.
“Senti, rompi poco i coglioni eh! Sono venuto a prendere il portatile di Jo, prima la prendo, prima me ne vado e prima non mi vedi più!”
“Come sarebbe a dire non mi vedi più?”
“Sarebbe a dire, che questa è l'ultima volta che io o tua figlia mettiamo piede in questa casa!”
“Bene! Meglio così! Due problemi in meno!”
Johan prese il portatile in camera della nipote e poi uscì da quella casa, che, a dirla tutta, più che una casa, sembrava un manicomio.
Arrivò a casa velocemente, e trovò la nipote, ancora in camera a sistemare le sue cose.
Sorrideva, era felice di essere finalmente uscita da quel manicomio, da quella prigione. Sorrideva, come non faceva da molto tempo. Era bellissima quando rideva,e  per johan, vederla sorridere era la cosa, più bella del mondo.

  
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