The undiscovered land
Now my hand have been chained to the wheel for so long
I have seen all my fellows drown
But I cannot forget what they have done to me
I am breaking my cage and run
To the sun, to the oceans
To a land I have never discovered
There I will go, there is my hope
To find some peace someday…
(“The Undiscovered Land” –
Xandria)
Ubbe si era finalmente ripreso quel tanto che
bastava per alzarsi dal letto e così, un bel giorno, Alfred decise di
accompagnare i suoi amici vichinghi a visitare la colonia che stava nascendo
nelle terre dell’Anglia Orientale, nella quale adesso si sarebbero stabiliti
anche i Danesi che avevano stretto l’accordo. Quella sarebbe stata una terra
pacifica, in cui i vichinghi avrebbero convissuto tra loro e con i Sassoni,
senza più bisogno di razziare, combattere e depredare.
Il sogno di Ragnar si era finalmente
realizzato e una grande soddisfazione risplendeva sui volti di tutti i
presenti.
“Ecco” disse Alfred, rivolgendosi ai Re
Danesi e anche agli altri amici vichinghi, “in questa terra voi potrete vivere
in pace con le vostre famiglie. I vostri dei e il mio Dio benedicano questa
colonia e tutti coloro che vi abiteranno!”
“Saremo felici di stabilirci qui” replicò
sorridendo uno dei due sovrani. “In realtà noi siamo un popolo pacifico e
laborioso, abbiamo iniziato a razziare solo per poter avere più terra per la
nostra gente, e adesso ce l’abbiamo. Insomma, non siamo i selvaggi che
pensate!”
Molti risero alla battuta, altri erano così
felici e commossi per ciò che stava accadendo in quel momento che sarebbe
passato alla storia da non riuscire a dire niente.
Ubbe e Torvi si presero per mano e si
scambiarono uno sguardo d’intesa. Erano contenti che Alfred avesse nominato sia
il suo Dio che i loro dei, perché Ubbe aveva capito di non poter più fingere di essere un cristiano: aveva
rivelato alla moglie che, durante il duello contro il re danese ribelle, aveva
invocato Odino e Thor e tutti i suoi dei e che erano stati loro a farlo
vincere. Non era giusto né per lui né per Alfred che continuasse a portare la
croce al collo, lui era un vichingo e credeva negli dei del suo popolo.
Ma Alfred sembrava averlo accettato e non
aveva chiesto ai nuovi coloni di convertirsi.
“Mio fratello sta dimostrando sempre di più
di essere il Re migliore per il Wessex” disse Aethelred a Hvitserk. “Mi
dispiace doverlo ammettere, ma la Regina Judith aveva scelto bene. Sassoni e
vichinghi vivranno in pace, lavorando insieme, collaborando e ognuno potrà
seguire Dio o gli dei norreni, come desidererà. Penso che questo luogo diverrà
il primo di molti, ma sarà stato tutto merito di Alfred se questo processo è
potuto iniziare.”
Hvitserk gli circondò le spalle con un
braccio e lo strinse a sé.
“Sono sicuro che avresti saputo fare lo
stesso, ma sono contento che non sia tu il Re del Wessex, perché adesso,
finalmente, posso portarti con me a Kattegat!” disse con un sorriso. Si sentiva
molto, molto felice. Sarebbero partiti per Kattegat a giorni e avrebbero
lasciato un Wessex molto diverso da quello che avevano trovato: una terra di pace,
in cui Sassoni e vichinghi sarebbero pian piano diventati un unico popolo.
Quello era stato il sogno di suo padre Ragnar
e adesso anche lui lo comprendeva. Anche quello era uno dei motivi per cui si
rimproverava di aver seguito Ivar, Ivar che non aveva mai voluto la pace e che,
anzi, voleva tornare in Inghilterra per razziare ancora e conquistare York. E
lui era stato tanto sciocco da ascoltarlo… ma ora avrebbe rimediato.
Pochi giorni dopo tutto era pronto per la
partenza, i vichinghi stavano caricando le navi, i soldati si addestravano,
c’era un clima di grande fermento e aspettativa. Del resto, Bjorn e i suoi
avevano tutte le ragioni per essere ottimisti: la primavera si avvicinava e,
quindi, la traversata non sarebbe stata ostacolata da tempeste e uragani; il
loro esercito era forte e ben armato e, in aggiunta, potevano contare sugli
uomini di Re Harald, sulle truppe Sassoni concesse da Re Alfred e addirittura
anche su un contingente di Danesi che avevano deciso di combattere al loro
fianco per ricambiare così il dono fatto alla loro gente da Ubbe, la
possibilità di convivere pacificamente nelle terre dell’Anglia Orientale.
Insomma, pareva proprio che Ivar si sarebbe trovato ad affrontare un’armata
senza precedenti e la sua sconfitta era certa… nonostante lui fosse convinto di
essere un dio!
La partenza era stata fissata per il mattino
successivo e quell’ultimo giorno Aethelred lo trascorse andando a salutare il
fratello e la sua sposa e camminando senza una meta per le vie della città e i
boschi e i campi circostanti. Non riusciva a capire esattamente come si
sentisse. Sapeva che non avrebbe avuto nostalgia del Wessex, in fondo non era
mai stato veramente felice in quei luoghi e in quella reggia. Avrebbe sentito
la mancanza di Alfred, certo, così come ogni giorno la sentiva di suo padre… ma
non aveva nessun ricordo davvero positivo della sua infanzia o della sua
adolescenza. In quel momento più che in qualsiasi altro si rese conto di non
aver costruito niente in tutta la sua vita, forse per colpa sua, della sua
inettitudine, o forse perché nessuno gli aveva mai dato veramente fiducia e,
anzi, era stato ostacolato in ogni modo da una madre fredda e anaffettiva. In
realtà si era sempre sentito fuori posto, come se la sua presenza fosse
tollerata a stento soltanto perché era il figlio e il nipote del Re.
Era quasi buffo… ripensandoci adesso, a mente
fredda e dopo tutto ciò che era accaduto, capiva che la sua vita non era stata normale nel senso più comune del
termine, ma lui non lo comprendeva e, anzi, pensava che fosse giusto così, che
lui meritava di subire quelle che, solo adesso lo riconosceva, erano
mortificazioni e umiliazioni che di certo un Principe non avrebbe mai dovuto
accettare. Era ancora un bambino quando si era accorto che sua madre Judith non
lo amava. Non lo stringeva mai tra le braccia, non lo baciava, non era mai
affettuosa con lui, mentre il piccolo Alfred aveva tutte le sue attenzioni e le
sue coccole. Aethelred credeva che fosse normale, in fondo Alfred era più
piccino, era fragile e spesso malato ed era giusto che la madre si dedicasse a
lui e a lui soltanto. Suo padre Aethelwulf gli voleva bene, certo, ma non c’era
quasi mai, era sempre impegnato in qualche battaglia e Aethelred ricordava
giorni tristi che non passavano mai, lunghi pomeriggi in cui rimaneva solo, in
cui si sentiva vuoto e allora trascorreva ore ad addestrarsi con la spada e la
lancia per mostrare al padre, quando fosse finalmente tornato, che il suo piccolo guerriero aveva imparato
qualcosa di nuovo.
Ricordava che suo nonno, Re Ecbert, gli
rivolgeva a malapena la parola, mentre chiedeva sempre ad Alfred di seguirlo
nella sua biblioteca e là gli mostrava i manoscritti più preziosi che possedeva
e gli raccontava tantissime cose, gli parlava come se, fin da allora, avesse
già deciso che il futuro Re sarebbe stato lui. Rammentò la delusione fortissima
provata il giorno in cui Re Ecbert mandò Alfred a Roma a conoscere il Papa. Non
riusciva a capire perché non potesse andare anche lui con Alfred, in fondo era
lui il primogenito e Alfred era debole e avrebbe potuto ammalarsi durante il
viaggio e… ma il nonno era stato irremovibile e, anzi, aveva detto qualcosa a
proposito del fatto che Sua Santità avrebbe benedetto Alfred perché era
speciale e destinato a grandi cose.
Sì, probabilmente fin da allora suo nonno e
sua madre avevano deciso che Alfred sarebbe stato Re. Chissà, forse avevano
addirittura sperato che suo padre perdesse la vita in qualcuna delle sue
innumerevoli battaglie! Già, perché Aethelred aveva capito ben presto che, così
come Judith e Ecbert non amavano lui, non amavano nemmeno suo padre Aethelwulf.
Ecbert non perdeva occasione per rimproverarlo o per sminuire ciò che diceva e
faceva; Judith, poi, gli era apertamente ostile e cercava di evitarlo il più
possibile. Solo quando era già adolescente Aethelred aveva scoperto la verità:
Ecbert non aveva mai amato suo figlio e Judith nemmeno. Il Re aveva un giovane
amico, un monaco di nome Athelstan, che ammirava moltissimo e che avrebbe
voluto fosse il suo vero figlio; dal canto suo, Judith aveva avuto una storia
con il monaco e Alfred era nato proprio da quell’adulterio. Ma, invece di
condannare l’atto peccaminoso e ciò che ne era il frutto, sia Ecbert che Judith
lo avevano visto come una risposta alle loro preghiere: Alfred rappresentava
una parte di Athelstan e per questo era divenuto da subito il prediletto di
entrambi. Tutto quello che era accaduto dopo era semplicemente una conseguenza
di questa predilezione.
Ovviamente Alfred non aveva colpa alcuna, non
aveva fatto niente per farsi amare di più e di certo non era stato lui a
chiedere una nascita illegittima, per questo Aethelred non era mai stato geloso
o invidioso di lui, aveva accettato di venire ignorato o umiliato pensando in
fondo di meritarselo, perché non aveva saputo farsi amare nemmeno da chi lo
aveva messo al mondo.
Le riflessioni malinconiche di Aethelred vennero
interrotte da una voce allegra.
“Ehi, finalmente ti ho trovato, ho girato
dappertutto!” fece Hvitserk, scherzoso. “Ti sei nascosto per non dover
partecipare ai preparativi per la partenza?”
Aethelred si volse verso il giovane vichingo
e sorrise. Ogni pensiero triste, come per magia, spariva quando Hvitserk era
con lui, quel ragazzo gli illuminava veramente la vita.
“No, non mi stavo nascondendo, stavo dicendo
addio ai luoghi della mia infanzia e adolescenza. In fondo io sono vissuto
sempre qui, non ho mai viaggiato e per me sarà un grande cambiamento” spiegò il
Principe.
Hvitserk si rabbuiò.
“Ti sei pentito della tua scelta? Guarda che
lo capisco, questa è la tua terra e la tua gente e…”
“Nemmeno per sogno” replicò deciso Aethelred,
interrompendo il vichingo. “Anzi, mi stavo rendendo conto del fatto che io non
ho ricordi belli di questi luoghi, o perlomeno pochissimi: qualche
addestramento con mio padre, la prima battaglia a York… tutto qui. Non sono
stato un bambino felice, ero sempre da solo. Mia madre teneva sempre Alfred con
sé e così io non potevo nemmeno giocare con lui. Se non era mia madre era mio
nonno, entrambi tutti presi a vezzeggiare, coccolare e guidare Alfred… e io non
esistevo. Mio padre era l’unico che si interessasse a me, ma non c’era mai, era
sempre a combattere da qualche parte.”
Hvitserk si avvicinò al suo Principe. Adesso
capiva perché, fin dal primo istante in cui l’aveva conosciuto, era rimasto
colpito dal suo sguardo azzurro e profondamente triste. Riusciva a malapena ad
immaginare cosa significasse crescere tutto solo in una reggia ostile. Era
vero, anche sua madre Aslaug era totalmente assorbita da Ivar e aveva
trascurato lui e i suoi fratelli, e il padre Ragnar era sempre via per qualche
conquista o razzia… ma lui aveva avuto Ubbe e Sigurd e anche gli altri ragazzi
del villaggio, era cresciuto giocando con i suoi fratelli e facendo a botte con
i monelli di Kattegat. Tutto sommato la sua era stata comunque un’infanzia
spensierata, mentre Aethelred…
“Quindi no, non ho nessun rimpianto e il
Wessex non mi mancherà. Probabilmente ci saranno dei momenti in cui mi sentirò
a disagio con le tradizioni di Kattegat, ma spero di potermi sentire,
finalmente, parte di una vera famiglia” disse il Principe. “Non so se sarò in
grado di farmi accettare, spesso ho pensato che fosse colpa mia se mia madre e
mio nonno non mi volevano bene, ma…”
“Tu sei già parte della nostra famiglia e lo
sarai sempre, e soprattutto farai parte della mia vita!” esclamò Hvitserk, abbracciandolo
pieno di entusiasmo. “E non devi nemmeno pensare che possa essere colpa tua se
quella Regina pazza e quel Re ipocrita non ti hanno amato! Tutti ti vorranno
bene a Kattegat e ti rispetteranno perché sei un grande guerriero e io… beh, io
ti amo e voglio stare sempre con te.”
La dichiarazione spontanea e semplice di
Hvitserk fece arrossire Aethelred fino alla radice dei capelli, ma non ebbe
tempo di dire niente perché il giovane vichingo lo strinse ancora di più a sé e
lo baciò per un tempo infinito.
Quando si staccarono da quel bacio, i due
amanti si misero seduti sul prato a guardare la città davanti a loro.
“Io riesco a capire i tuoi dubbi, sai?”
ammise Hvitserk, anche lui diventato improvvisamente pensieroso. “Nemmeno io
sono del tutto sicuro di essere accettato a Kattegat. Là mi ricordano come
quello che ha tradito i suoi fratelli e si è schierato con Ivar, e che poi ha
cambiato di nuovo idea. Probabilmente molti mi considerano un traditore e anch’io,
per tanto tempo, mi sono sentito così. Non importa che Ubbe e Bjorn mi abbiano
perdonato e accolto tra loro come se niente fosse, io non dimentico di averli
abbandonati nel momento del bisogno…”
Anche Hvitserk, nonostante apparisse sempre
allegro e schietto, aveva delle preoccupazioni e dei sensi di colpa che non lo
lasciavano in pace. Aethelred si sentì molto triste per lui, ma pensò di
lasciarlo parlare, che gli avrebbe fatto bene sfogarsi.
“Per molto tempo ho pensato a cosa gli dei
volessero da me. Questo non per sfuggire alle mie responsabilità, sarebbe troppo
facile dire che ho tradito Ubbe perché lo volevano gli dei, ma io cercavo di
capire, di scoprire il mio ruolo in tutta questa faccenda” riprese il vichingo.
“Ivar mi ha maltrattato, mi ha umiliato, insultato e mortificato anche
pubblicamente, eppure io non reagivo e credo che non avrei mai preso la
decisione di voltargli le spalle se lui non avesse fatto uccidere Margrethe e
non avesse minacciato di uccidere anche me. Sono scappato perché ero ormai
disgustato da Ivar, ma non posso dimenticare che per tanto tempo gli sono stato
accanto…”
Era doloroso, per Aethelred, vedere Hvitserk
tanto tormentato. Istintivamente, il Principe si avvicinò a lui e gli circondò
le spalle con un braccio per fargli sentire che lui era lì, che non lo
giudicava, che gli sarebbe stato vicino qualsiasi cosa avesse scelto di fare.
“Adesso ho capito che posso rimediare al male
che ho fatto seguendo Ivar e forse questo era il mio destino fin dal principio.
So che dovrò essere io a uccidere Ivar, sarò io a farlo e sarà così che
riparerò ai danni e agli sbagli che ho commesso” concluse Hvitserk, deciso.
Aethelred rimase sbigottito.
“Ma… ma come puoi dire questo? Perché devi
prenderti tu una responsabilità così importante? Non è giusto, non devi esporti
ad un pericolo simile” protestò. “Combatterai contro Ivar e i suoi uomini,
certo, e magari potrai essere tu a dare il colpo di spada decisivo, ma non devi
rischiare. Se è veramente destino che tu lo uccida te lo troverai davanti in
battaglia, altrimenti sarà qualcun altro a eliminarlo.”
“No, dovrò essere io, comunque vada” ribadì
Hvitserk, convinto. “Dovrò uccidere Ivar a qualsiasi costo, altrimenti non
riuscirò mai a perdonare me stesso.”
“E allora tutto quello che mi dicevi, che
avremmo vissuto in pace a Kattegat, che mi avresti portato a vedere il
Mediterraneo? Tutti i progetti che avevi non contano più niente? Vuoi rischiare
di lasciarmi da solo in una terra straniera?” Aethelred era invaso da un gelido
terrore alla prospettiva di perdere Hvitserk.
“Non ho cambiato idea, faremo esattamente
tutte le cose che ho detto” sorrise il giovane, “ma prima dovrò uccidere Ivar.”
Aethelred sapeva benissimo che la sua vita
dipendeva da quella di Hvitserk, che ormai i loro destini erano legati per
sempre e che non avrebbe avuto più alcuna ragione di andare avanti se lo avesse
perduto. La disperazione del Principe si trasformò in determinazione, fissò lo
sguardo in quello del vichingo e avvicinò il volto a quello di lui.
“Allora lo faremo insieme” dichiarò. “Tu mi
sei stato vicino, mi hai aiutato e incoraggiato, sei stato la mia forza e mi
hai salvato la vita. Adesso tocca a me. Non sarai solo in questa impresa. Se il
tuo destino è uccidere Ivar, io sarò al tuo fianco. Lo faremo insieme.”
Hvitserk rimaneva sempre piacevolmente
stupito quando Aethelred riusciva ad ammettere i suoi sentimenti e gli faceva
sentire la sua vicinanza e il suo amore. Gli si illuminò lo sguardo e sorrise
di nuovo.
“Va bene” disse, “lo faremo insieme. E poi
potremo iniziare la nostra nuova vita uniti per sempre.”
Suggellando ancora una volta quell’unione, il
giovane vichingo baciò Aethelred, stringendolo in un abbraccio caldo e
affettuoso. Entrambi riversarono in quel bacio i dolori passati e le preoccupazioni
e le speranze per il futuro, cercando l’uno nell’altro la forza per andare
incontro a ciò che li attendeva. I loro destini erano intrecciati come i loro
corpi e le loro anime e insieme avrebbero affrontato qualsiasi avversità.
FINE