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Autore: Shaara_2    27/12/2020    4 recensioni
Clementina è cresciuta con un lontano parente in un piccolo paese della Sardegna. A ventidue anni, finiti gli studi, sogna di rendersi indipendente e trovare finalmente la sua strada, ma la cattiva sorte che ha rovinato e ucciso sua madre e suo nonno sembra perseguitarla e lei sa di non potersi lasciare andare liberamente ai suoi sogni...
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

 

 

Passarono mesi da quella telefonata. Per un po’ di tempo sperai che zio Antonio cambiasse idea, ma quando arrivò l’estate capii che sarei rimasta a Muravera, circondata dalla noia e un caldo infernale. Ad ogni modo, nessuno aveva notato i miei annunci e le aziende dovevano aver fatto carta straccia del mio curriculum. Le uniche offerte di lavoro che ricevevo erano quelle che Antonio trovava attraverso la parrocchia e devo ammettere che non fossero proprio le offerte che speravo. La signora Luisa che cercava una domestica, il signor Mansueto che chiedeva una segretaria per l'azienda avicola a Villaputzu e infine Stella, una lontana parente di Antonio, sempre in cerca di una badante per sua cognata. Forse avrei dovuto dare retta al mio istinto e mandare il curriculum in continente, ma Antonio era diffidente. Diceva che dopo aver perso mio nonno e mia madre, in quel modo orribile, avrei dovuto fare attenzione a quello che facevo e soprattutto all’altro sesso così, terrorizzata fin da piccola da quella che lui chiamava la “nostra maledizione”, avevo evitato ogni possibile contatto. In pratica, nonostante fossi laureata e conoscessi fino al più piccolo meccanismo che regolava l’universo, l’altro sesso era per me un grande mistero. Non che non avessi mai avuto una cotta o non avessi mai dato un bacio a nessuno, ma non ero mai arrivata a concludere niente, sempre sorvegliata da Antonio e stretta tra le mie paure.

Comunque, tra un ripensamento e l’altro, nonostante fosse Giugno e Muravera fosse diventato una desolata terra di conquista di sterminati eserciti di zanzare, non avendo niente da fare e non volendo gettarmi nelle fauci dei grandi alberghi sempre in cerca di personale per intrattenere i turisti, decisi di lavorare per Stella e fare da badante a sua cognata.

 

Donna Elita Osorio, cognata di Stella, era una signora anziana di nobile origine. La sua stirpe discendeva da un ramo cadetto della famiglia Carroz, un’antica casata valenciana che aveva dominato il giudicato di Cagliari in un’epoca dimenticata o meglio dimenticata da tutti tranne da lei che, con un garbo aristocratico, continuava a guardare ogni essere vivente con grande disprezzo. E probabilmente era per quella sua incontenibile superbia che aveva fatto scappare milioni di badanti di ogni età ed etnia, nonostante il notevole salario. Io, però, le piacqui subito e dopo un solo colloquio mi ritrovai a lavorare per lei in quella sua incredibile villa di montagna. Beh,  insomma, non proprio di montagna… La vedova, infatti, in estate si trasferiva in una fantastica abitazione di lusso che dal promontorio più alto del golfo affacciava sulla bellissima spiaggia di Costa Rey. Un paesaggio mozzafiato, sul mare cristallino della costa sudorientale della Sardegna. I monti dei Sette Fratelli degradavano quasi fino al mare ricolmi di vegetazione, profumi mediterranei e frutti selvatici. E stavo lì, a bocca aperta, circondata da ulivi, alberi di corbezzoli, mirto e ginepri millenari. Assorta nel frusciare delle foglie e il cinguettio di piccole rondini. In lontananza la lunghissima spiaggia splendeva di bagliori dorati e il mare, azzurro e trasparente, con una brezza leggera, portava il profumo del sale e i primi richiami dell’estate. Ero quasi in estasi nel guardare quel panorama. Ricordo che rimasi per ore a fissarlo senza parlare, fino a che, verso l’ora di pranzo, fu la stessa Elita a venirmi a cercare.

“Signorina, non la pago per stare ferma sul terrazzo!”

La guardai come se fosse la prima volta che la vedevo. Donna Elita era di bassa statura, magra, con i capelli grigi raccolti in una crocchia bassa e profondi segni del tempo sul viso. La sua salute era precaria quanto le sue fragili gambe che sporgevano dalle gonne nere merlate di un finissimo pizzo sangallo. La dama, con il suo volto austero e una voce distante, si avvicinò a me mentre ancora fissavo il mare.

“Mi perdoni, Donna Elita” dissi in un soffio. “Sono rimasta incantata e poi questo profumo…”

Lei tolse gli occhiali, lasciandoli cadere nella cordicella dorata appesa al collo.

“È l’odore della Sardegna, mia cara. È sempre stato intorno a te, ma qui, nella solitudine di questa vetta, immersi in questa grande meraviglia, sembra sempre di sentirlo per la prima volta.” Donna Elita aggrottò le rughe che aveva sulla fronte. “Dimmi, bambina, hai più avuto notizie di tuo padre?”

Sussultai, come se qualcuno mi avesse scosso. 

“Mio-mio padre?”

“Sei la figlia di Don Mauro, non è vero?”

Arrossii, sentendomi mancare le parole.

Donna Elita si accigliò, battendo due volte il bastone per terra. 

“Tuo zio ritiene che tuo padre e tua madre fossero sposati al momento del suo abbandono e questo fa di te una giovane nobile, Clementina, non lo dimenticare.”

“Io, io” balbettai con timidezza. “Mio padre non mi ha riconosciuta…” Le mie mani cominciarono a tremare.

“Ah!” disse Elita, muovendo nervosamente le dita sul pomo levigato del bastone. “Tuo zio non è uno stupido e adesso ci sono dei nuovi mezzi per dimostrare la paternità dei figli. Io credo che Antonio si sia già mosso in questa direzione. Forse, non te lo vuole far sapere…”

Spalancai gli occhi, ripensando alle parole che avevo captato dalle conversazioni tra zio e la signora Greta. “Quell’uomo, dovrà pagare il suo debito… Se pensa di scampare così alle sue responsabilità…” Il cuore cominciò a battermi veloce. Possibile che fossi così ingenua? Zio non aveva mai smesso di cercare di farmi riconoscere da mio padre. 

“Lei dice che…”

“Dico che tuo zio ha ragione e penso che prima o poi lo si dovrà obbligare a riconoscerti, bambina. Del resto, se vuoi fare delle nozze degne del tuo nome, si dovrà pure far presto… Quanti anni hai ragazza? Direi diciotto a vederti...”

“Ventidue, Donna Elita, ma io…  nozze?” Lì mi venne da ridere. Trattenendomi a stento, guardai la dama, valutando tutti gli anni che l’anziana signora poteva avere sul groppone. Supergiù doveva avere l’età di zio Antonio e, probabilmente, ragionava come lui. Solo che zio mi voleva per sempre pura e illibata, chiusa dentro una casa, mentre Elita mi immaginava sposata con un damerino di qualche illustre famiglia. Strinsi le labbra, fingendomi seria.

“Perché ridi, bambina? Non vuoi sposarti? Vuoi restare come quelle donne moderne che si spacciano per femministe? Vedi, con il passare del tempo le cose cambiano nome e vestito. Le donne che si sposano con il lavoro e odiano gli uomini sono sempre esistite, solo che prima si chiamavano zitelle… adesso hanno un nome diverso, ma la sostanza è sempre la stessa e tu non vorrai restare una vergine inacidita fino alla fine dei tuoi giorni, dico bene?”

“Mio dio, signora!” Arrossii violentemente “Come fate a sapere… voglio dire… possibile che zio…”.

Donna Elita guardò lontano, sollevando la bocca da un lato in un ghigno enigmatico.

“Bene, Clementina, vedo che siamo della stessa opinione... Vedrò cosa potrò fare... Adesso vieni dentro che faccio portare il pranzo.”

 

Rimasi con Donna Elita fino alla fine di agosto. La signora non aveva realmente bisogno di una badante, essendo sempre circondata da personale specializzato per ogni cosa, ma aveva bisogno di compagnia e non voleva passare il suo tempo con persone che non riteneva alla sua altezza. Il fatto che mio padre, anche se scomparso e indifferente alla mia sorte, fosse un nobile mi rendeva degna del suo tempo e si comportò con me come una sorta di madrina. I giorni in sua compagnia passarono in fretta. Nonostante fosse anziana aveva sempre un sacco di richieste che mi tenevano impegnata. La mattina voleva andare in spiaggia, il pomeriggio le piaceva giocare a carte e la sera voleva sempre che leggessi un buon libro a voce alta. A fine agosto, però, decise che avevo perso troppo tempo e - mi disse - era ora di fare qualcosa.

“Vedi, mia cara, hai già ventidue anni e per quanto, dopo questi mesi, tu mi sia già così cara è proprio necessario che ci si dia da fare.”

“Donna Elita, mi sta mandando via? Come le ho detto, anche io sogno di trovare un lavoro adatto alla mia specializzazione, però, non è facile trovarlo e restare vicino ad Antonio. Se lei mi volesse potrei ancora farle compagnia...”

“Clementina, Antonio è anziano e ha goduto della tua compagnia per troppo tempo.”

“Ma, Donna Elita, e la maledizione? Le ho detto tutto sulla storia di mio nonno e mia madre… zio Antonio pensa che…”

“Basta! Ho già parlato con un mio lontano cugino: Alfonso Amat.”

Quando sentii quel cognome subito strizzai gli occhi. Non ricordavo benissimo dove l’avessi sentito. Era il nome di una strada? Un palazzo vicino al castello di Cagliari? Però rammentavo che era un’antichissima famiglia nobile della Sardegna. Ma cosa potesse fare quest’amico di Donna Elita per me era un mistero.

“Clementina!” Disse Elita in tono imperioso. “Perché fai quella faccia? Ebbene, Amat ha da poco acquisito un’interessante quota di azioni di una grossa azienda di telecomunicazioni. Ad ogni modo l’ho già sentito e ti aspettano per un colloquio.”

“Cosa?” Scossi la testa un po’ confusa. “Mi aspettano? Quanti sono questi Amat?” Ero decisamente confusa.

“Che sciocchezza. Ti aspettano in azienda per un colloquio. Gli porterai il tuo curriculum di persona e questa lettera.”

Donna Elita piegò un foglio scritto a mano davanti ai miei occhi. Poi, lo mise in una busta che girò, scrivendoci sopra una dedica.

“All’attenzione dell’Onorevole. Alfonso Amat, Marchese di San Filippo, marchese di San Maurizio, ecc.”

“Tieni, mia cara, ti aspettano tra tre giorni. Ho già avvisato Antonio.”

“Tre giorni? Ma-ma, devo preparare la valigia e zio Antonio è d’accordo?”

“Ovviamente non era d’accordo. Ha accettato solo quando gli ho detto che avresti alloggiato a casa della cara Greta.”

“La signora Ruda? Ma-ma, vive a Bracciano? Il lavoro sarà a Bracciano?”

“Ma no, bambina, il lavoro è a Roma! E non alloggerai nella sua villa di Bracciano, ma a casa della figlia: la signora Mancini. Lei dovrebbe avere una figlia della tua età. Magari ti accompagnerà con la ragazza al colloquio.”

“Ma-ma…”

“Coraggio, bambina, è arrivato il momento che il pulcino spieghi le sue ali e… Mi raccomando, sebbene io non creda alla storia della maledizione… cerca di stare attenta… nella vita non si può mai sapere…”

 
   
 
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