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Autore: Kimando714    30/12/2020    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 64 - THE BITTER END


 
Reminds me of the summer time
On this winter's day
See you at the bitter end
See you at the bitter end
 

La pioggia continuava a ticchettare contro i vetri chiusi delle finestre senza interruzioni ormai da ore, accompagnata da tuoni e lampi che giungevano violenti a squarciare il cielo plumbeo.
Nicola lasciò scivolare il capo ancor più in basso, arrivando ad appoggiarlo alla superficie fredda e liscia del tavolo in legno lucido. Chiuse per qualche secondo gli occhi, troppo stanchi ed infastiditi dall’odiosa luce artificiale dell’aula studio per poterli tenere aperti ancora a lungo.
Non riusciva ancora a capire come avessero fatto Alessio e Pietro a convincerlo a venire fino a lì, alla sede dell’università a Mestre, per studiare insieme in vista degli esami. Cominciava a dubitare che sarebbe seriamente riuscito a sostenere un’intera sessione: il primo esame, quello di programmazione, avrebbe preso luogo pochi giorni dopo. E lui, nonostante fosse già il 7 di gennaio, non era neanch’ora lontanamente pronto per affrontarlo. L’unica cosa che poteva consolarlo era che così, in qualsiasi caso, non sarebbe potuta andare peggio: si trovava già impreparato alla prima sessione d’esami della sua vita, si sentiva apatico come mai prima, e Caterina lo aveva lasciato da poco più di una settimana.
Quello era stato il momento in cui tutto era andato definitivamente a catafascio.
Non era nemmeno riuscito a tenerlo nascosto ai suoi amici per più di qualche giorno: la sua espressione disastrata parlava da sé, e sebbene Alessio, Filippo e Pietro non avessero insistito molto per farlo parlare, alla fine era crollato comunque, in un bisogno di sfogarsi che raramente aveva provato prima di quel momento.
Parlarne non aveva fatto altro che rendere il tutto più concreto. Più reale.
Era tornato a Venezia subito dopo Capodanno, bisognoso di ritrovare una routine che lo distanziasse da Torre San Donato e dai ricordi che lo avevano soffocato per giorni. Aveva ricominciato tutto come prima di quelle vacanze natalizie, dormendo poco e alzandosi poco dopo l’alba, andando in quella stessa aula studio dove si trovava in quel momento in disperati tentativi di trovare la giusta concentrazione, e la sera andandosene a lavorare nella solita pizzeria dove aveva trovato un lavoro part time a metà dicembre.
Tutto come prima, tranne il fatto che si ritrovava in molti momenti a fissare lo schermo del cellulare, aspettando di trovarsi un messaggio da Caterina o una sua telefonata, e rimanendo ogni volta con l’amaro in bocca nel ricordare che ora non aveva alcun motivo per riceverne.
Si guardava ogni giorno allo specchio, e non si riconosceva: non rivedeva lo stesso Nicola freddo e con il controllo in mano di qualche tempo prima, non rivedeva la stessa persona calma e serena. Quelle occhiaie che invece ora si ritrovava erano il chiaro segno che qualcosa era cambiato.
Non si era mai sentito così a terra, e non aveva mai immaginato che l’amore potesse far stare così dannatamente male.
-Oh, Nicola? Ci sei con la testa o ti abbiamo perso?-.
Sobbalzò come se gli avessero appena urlato nelle orecchie, anche se la voce di Alessio gli era giunta ovattata e lontana, nonostante gli fosse seduto di fronte dall’altra parte del tavolo che avevano occupato. Nicola si riscosse a fatica dal torpore in cui era caduto senza nemmeno accorgersene, ritrovandosi davanti gli occhi limpidi dell’amico, sportosi in avanti verso di lui da sopra il tavolo. Si guardò attorno, vagamente spaesato: la massa di studenti seduti agli altri tavoli era diminuita, probabilmente per l’approssimarsi dell’ora di pranzo; all’esterno, invece, lo stesso temporale continuava ad imperversare violento. Doveva essere rimasto così concentrato nei propri pensieri da non aver sentito nemmeno la voce di Alessio chiamarlo diverse volte.
-Forse non è stata una buona idea costringerlo a venire fin qui- commentò Pietro, seduto accanto ad Alessio e rivolgendo uno sguardo confuso e preoccupato a Nicola – Sembri davvero uno zombie, Tessera-.
-Non è che sembro, lo sono- borbottò Nicola, abbassando lo sguardo, ma potendo distinguere comunque le imprecazioni sussurrate di Alessio rivolte a Pietro – Comunque non credo che se me ne fossi rimasto a casa sarebbe stato tanto diverso-.
-Invece sì che sarebbe stato diverso- lo rimbrottò Alessio, sbattendo sulla superficie del tavolo, con una certa veemenza, il libro che stavano cercando inutilmente di ripassare – Te ne saresti rimasto tutto il giorno a casa da solo, senza nemmeno provare a studiare, e magari senza nemmeno alzarti dal letto. Bello passare la giornata a guardare fuori dalla finestra questo cazzo di temporale, eh?-.
Erano parole che facevano male, ma Nicola non provò nemmeno a negare: era piuttosto sicuro che sarebbe andata esattamente così, se non si fosse trascinato lì. Il fatto che Filippo non fosse ancora rientrato a Venezia, al contrario loro, acuiva solo il silenzio e la sua solitudine nel loro piccolo appartamento.
-Permettimi solo un appunto al tuo discorso strappalacrime- intervenne Pietro, voltandosi verso Alessio e ignorando bellamente lo sguardo omicida che l’altro gli rivolse all’istante – Non che qui stia andando tanto meglio. L’unica differenza è che invece che starsene sdraiato su un letto, è seduto su una comodissima sedia dell’università, a rimuginare su quanto sfortunato e incompreso è con noi due presenti-.
Nicola sarebbe scoppiato a ridere all’istante di fronte ad una scena simile, con Alessio già evidentemente pronto a saltare al collo dell’altro, se solo fosse successo in un qualsiasi altro momento. In quell’occasione, invece, l’unica cosa che avrebbe voluto fare sarebbe stata quella di andarsene da lì, e starsene perennemente da solo.
-Potete, per favore, evitare di scannarvi per me?- Nicola prese voce con fare piuttosto stanco – Lo so che mi avete portato con voi solo per distrarmi e non lasciarmi solo, e vi ringrazio. Ma forse avrei fatto davvero meglio a rimanere a casa-.
Si sentiva gli sguardi di tutti e due puntati addosso, e dovette aspettare svariati secondi per prendere abbastanza coraggio per sostenere le iridi azzurre di Alessio e quelle nere di Pietro; si sentiva fin troppo indifeso davanti agli sguardi dei suoi amici.
-Lo sai che chiuderti in casa e rimanertene da solo per giorni interi non migliorerà le cose-.
Era stato Alessio il primo a parlare, addolcendo il tono e cercando di non far trasparire troppa apprensione.
-Non fare lo stesso errore che avevo fatto io a mio tempo- proseguì ancora, abbassando per qualche secondo gli occhi – Dentro casa mi piangevo addosso, avevo allontanato tutti per rimanere solo con me stesso … E cos’ho risolto? Nulla. Isolarti ora non è l’atteggiamento giusto. Stare da soli per riflettere fa bene, ma non dovresti esagerare-.
-Anche se sembra strano, Lentiggini ha detto una cosa sensata- convenne Pietro, con tono stavolta più conciliante – Non ti stiamo dicendo di non starci male, ma dopo aver sbattuto la testa contro il muro devi reagire un po’. E non startene da solo ad ogni costo-.
Nicola non disse nulla, evitando di replicare. Capiva bene quali erano le intenzioni dei suoi amici, e sapeva che erano intenzioni buone, ma sapeva anche che un po’ di solitudine per riflettere – e superare il colpo- era ciò che gli sarebbe servito.
Si chiese, per un attimo, come dovesse passarsela Caterina. Stava soffrendo anche lei, come stava facendo lui? O era il sollievo la sensazione che prevaleva in lei?
Non ne aveva idea, perché per quanto avesse deciso di parlare con Pietro, Alessio e Filippo, non aveva fatto lo stesso con Giulia. Era sicuro che lei sapesse meglio di tutti loro come Caterina la stesse vivendo, ma non aveva davvero il coraggio di chiederglielo.
E ancor meno aveva il coraggio di parlare direttamente a lei.
-Avete parlato con Caterina?- chiese in un attimo d’impulsività. La festa di Capodanno che avevano organizzato tutti insieme era stata annullata dopo gli ultimi eventi; non aveva idea se ci fossero state altre occasioni, almeno per Alessio, di vederla.
-In realtà no- rispose subito Pietro.
Alessio scosse il capo, ancor prima di rispondere a voce:
-Non l’ho praticamente sentita durante le vacanze- spiegò, con voce vagamente tesa – Forse ha parlato con Giulia-.
Le ultime parole di Alessio passarono quasi ignorate, l’attenzione di Nicola concentrata sull’affermazione precedente:
-Quindi il 27 non era con te?-.
Alessio lo guardò confuso:
-Il 27?-.
-Sì, di pomeriggio-.
Nicola lo osservò scuotere ancora una volta il capo:
-No, avevo un impegno. Stavo cercando un regalo per mia nonna-.
Prima che Nicola potesse dire altro, Pietro scoppiò a ridere piuttosto sonoramente.
-Dopo Natale lo cercavi?- lo prese in giro, ricevendo da Alessio l’ennesima occhiataccia della giornata.
-Ho perso quello che le avevo comprato, e me ne sono accorto troppo tardi per comprargliele uno entro Natale, va bene?- Alessio sbottò con fare scocciato – Quindi gliene ho preso un altro in ritardo-.
-E tu non sai nulla su dove Caterina fosse quel giorno?- Nicola tagliò corto, puntando gli occhi su Pietro. Anche lui fece segno di diniego:
-No, e di certo non era con me. Ho passato tutto il pomeriggio a studiare a casa-.
Stavolta fu il turno di Alessio di sbuffare con tono canzonatorio:
-Tu che studi? Strano non sia nevicato il giorno dopo-.
Prima che Pietro potesse replicare qualcosa e distogliere definitivamente il focus dall’argomento per cui aveva iniziato quella conversazione, Nicola tornò a riflettere ad alta voce:
-E non era nemmeno con Giulia, perché so che quel giorno era da Filippo-.
Alessio lo guardò con fare pensieroso, come se gli stesse sfuggendo qualcosa, senza però dirlo esplicitamente:
-Ma perché ti interessa tanto dove fosse quel giorno?- gli chiese invece, la fronte aggrottata – Magari era in giro con i suoi genitori-.
-Non esattamente- Nicola si morse il labbro inferiore, riportando alla mente il suo incontro con Lorenzo. Lo raccontò ad Alessio e Pietro cercando di riportare le parole esatte che gli aveva rivolto, e disse anche quello che Caterina gli aveva detto in merito a quell’uscita di cui non aveva mai accennato.
Incrociò almeno un paio di volte ancora lo sguardo sempre più incerto di Alessio, come se i dubbi stessero cogliendo anche lui allo stesso modo; forse era solo una sua impressione, il suo giudizio troppo influenzato dai suoi stessi interrogativi.
-Non è che sia una cosa importante, era solo un mio dubbio- concluse infine con voce esitante, dopo il suo breve racconto – Nulla di che-.
-Magari era con Valerio- suggerì Pietro.
Qualcosa nel silenzio di Alessio, e nel suo sguardo fisso in un punto non ben definito, fecero presupporre a Nicola che lui, invece, non credesse affatto a quella possibilità. E sapeva che, in fondo, valeva anche per se stesso. Non si era più posto domande su chi fosse l’altra persona con cui Caterina era uscita quel giorno, tenendolo nascosto a tutti, e le sue incertezze stavano nascendo solo in quel momento, nel rendersi conto che ogni sua congettura era stata appena spazzata via.
C’era qualcosa di strano, ma non riusciva a capire cosa.
-Poteva dirlo direttamente se era con lui- fece notare, sospirando a fondo.
“In fondo non fa più alcuna differenza”.
Si prese il viso tra le mani, il mal di testa che aveva avuto spesso nei giorni passati che stava lentamente tornando a torturarlo.
-Lasciate stare, non ha importanza- mormorò dopo alcuni secondi di silenzio – Non più-.
In quel momento sperava solamente che il temporale all’esterno dell’università facesse scivolare via almeno un po’ del sapore amaro che tutta quella storia aveva.
 
*
 
Pietro aveva avuto la brillante idea di trascinarli a mangiare qualcosa, prima che morissero tutti di fame. Era l’una, e la mensa universitaria era il luogo quanto più affollato che avessero mai visto. Alessio sbuffò amareggiato, fermandosi sulla soglia del salone per alcuni secondi, notando come tutti i tavoli fossero già occupati almeno per metà dei posti disponibili.
L’ennesimo segnale che quella non fosse proprio la loro giornata fortunata.
Lanciò uno sguardo a Nicola, di sottecchi, un retrogusto di colpevolezza a scivolargli lungo la schiena accompagnato dalla sensazione di aver taciuto troppo.
“Non sarebbe comunque cambiato nulla” si ritrovò a pensare tra sé e sé.
Si morse il labbro inferiore, scostando lo sguardo ed abbassandolo.
Quando Nicola aveva raccontato, qualche giorno prima, di come Caterina lo aveva lasciato, non si era affatto sorpreso della cosa. Non era certo qualcosa che l’aveva fatto sentire soddisfatto, sapere che due dei suoi più cari amici si erano lasciati, ma non poteva nemmeno dire di non esserselo aspettato. C’erano tutti i segnali, tutto ciò che poteva indicare un finale simile. Era stata solo questione di tempo prima che arrivasse quel momento – ed era sicuro che, in fondo, anche Nicola lo sapesse. Certe cose erano inevitabili.
Era sicuro che Giulia si sarebbe ritrovata in disaccordo su un’affermazione simile, ma nemmeno lei e le sue cosiddette buone intenzioni – mescolate ad accuse che avrebbero ferito anche la più distaccata delle persone- avrebbero mai potuto cambiare una situazione così pessima.
Forse, pensò ancora, non sarebbe cambiato nulla nemmeno se non ci fosse stato nessun Giovanni di mezzo. Non credeva che Caterina potesse essere stata influenzata da lui, non così tanto e non tanto da arrivare a quel punto.
“Doveva essere con lui il giorno in cui Nicola non l’ha trovata a casa”.
C’era stato un momento, quando poco prima in aula studio Nicola aveva parlato di quel che era accaduto, in cui aveva percepito la sensazione di tradimento. Anche se non era sicuro che Caterina fosse davvero in compagnia di Giovanni quel giorno, c’era una buona probabilità che fosse così. Tacerlo a Nicola era stato un po’ come tacergli qualcosa di estrema importanza, ma c’erano altrettanti motivi validi per tenere la bocca chiusa.
E in ogni caso, come si era ripetuto diverse volte nell’ultima settimana, ormai non avrebbe fatto alcuna differenza. Non stava a lui farla: erano Caterina e Nicola a dover decidere della loro relazione, non lui e nessun altro.
La sincerità aveva sempre un prezzo. Non era del tutto sicuro di volerlo pagare, non in quel momento, anche se si chiese se sarebbe riuscito a guardare in faccia Nicola dopo quel giorno. L’unica cosa che poteva fare per loro ora era dargli una spalla su cui piangere, esserci per loro nel caso avessero voluto parlare – o avere solo qualcuno da cui poter essere consolati.
Muovere i passi che lo dividevano dal tavolo in cui Nicola e Pietro avevano appena trovato alcuni posti liberi, fu però un po’ più doloroso di quel che si sarebbe aspettato. 
Alessio mosse qualche passo, con poca convinzione: mancavano pochi metri per raggiungere quel tavolo, e poi avrebbe dovuto cercare con tutte le sue forze di fare finta di nulla, fingere che andasse tutto bene. Avvertì la testa che cominciava a girargli, un abbassamento di pressione che lo costrinse a rallentare il passo, e ad accostarsi un po’ a lato per lasciar passare un ragazzo con un vassoio in mano; non si accorse di essersi spostato fin troppo, andando a sbattere contro una bottiglietta appoggiata alla superficie di un tavolo, che immancabilmente cadde rovesciando gran parte del suo contenuto sui suoi jeans.
-Oh God!-.
“Non è proprio giornata”.
Alessio si trattenne a stento dall’imprecare; per centrare così facilmente l’unica bottiglietta semi aperta nelle vicinanze doveva avere il karma contro, senza alcun dubbio. Abbassò gli occhi, dando un’occhiata sconfitta ai suoi jeans: la macchia – probabilmente di coca-cola, a giudicare dal colore scuro- sulla stoffa del lato sinistro era fin troppo grande e visibile per essere nascosta facilmente, e smacchiarla sarebbe stato un altrettanto dispendio di energie.
-Scusami, scusami davvero-.
La voce femminile dalla cadenza inglese che aveva parlato anche qualche secondo prima doveva appartenere alla proprietaria della bottiglietta incriminata; Alessio alzò lo sguardo più velocemente di quanto avrebbe voluto, già pronto ad inventarsi una scusa qualsiasi per scappare il più lontano possibile e non farsi più vedere lì per un po’ di giorni.
Rimase sorpreso, e piuttosto sconcertato dalla coincidenza, quando dopo aver alzato il viso si ritrovò ad incrociare le iridi verdi della cameriera del locale dove Giulia aveva festeggiato il suo compleanno.
Alessio si sentì morire d’imbarazzo alla sola idea che anche lei potesse riconoscerlo con la stessa velocità con cui l’aveva fatto lui. Sperò che non si ricordasse affatto della sua faccia.
-Tranquilla, non importa- scosse appena il capo,  gesticolando freneticamente.
Abbassò subito lo sguardo, sentendosi però quello di lei su di sé. Quando alzò gli occhi esitante, ancora senza essersi fatto venire in mente una scusa decente per defilarsi, notò che aveva la fronte aggrottata come se fosse incerta – o stesse cercando di ricordare- su qualcosa. Ebbe la spiacevole sensazione che anche lei l’avesse riconosciuto, come era stato per lui. Non c’erano dubbi che fosse la stessa cameriera di quella sera, non quando aveva lo stesso identico accento ed anche gli stessi tratti gentili del volto che Alessio stava ricordando sempre più precisamente ogni secondo che passava.
-Sembra che sia destino che ci incontriamo spandendoci qualcosa addosso- disse infine lei, arrossendo appena e con un sorriso timido.
Alessio preferì non soffermarsi troppo sulle sue speranze di non essere riconosciuto appena andate in fumo.
-Sei la cameriera di quella sera- replicò, sussurrando. Non era stata nemmeno una domanda, la sua: non ce n’era bisogno, quando lei stessa gli aveva appena fornito la conferma ai suoi sospetti. Non sembrava comunque in qualche modo infastidita di rivederlo in quella maniera; era una magra consolazione, ma che perlomeno gli aveva evitato l’ennesima brutta figura. Si sentiva comunque in imbarazzo, lì in mezzo alla sala e con pantaloni mezzi bagnati ed appiccicosi, ma cominciava già a sentirsi più a suo agio nel parlare con lei.
-Mi sembrava di conoscerti, ma non ero del tutto sicura fossi lo stesso di un mese fa- ammise di nuovo lei, scuotendo appena il capo mentre si alzava a sua volta di fronte ad Alessio, l’accento inglese reso più evidente per la velocità con cui aveva parlato – Mi dispiace ancora di più a pensarci. Avrei dovuto chiudere meglio quella bottiglia-.
-In realtà credo che sia colpa mia anche stavolta- ammise Alessio, sospirando a fondo. Cercò con lo sguardo Nicola e Pietro, puntando gli occhi oltre le spalle di lei e ritrovandoli al tavolo dove si erano seduti prima di lui, fermi ed intenti ad osservarli incuriositi. Probabilmente se si fosse avviato verso il bagno per darsi una ripulita almeno uno di loro avrebbe tentato di inseguirlo, almeno per capire cos’era successo e per dargli una mano. Per quanto dispiacevole fosse quella situazione per i suoi jeans, quel contrattempo era però esattamente ciò che stava cercando: qualcosa per rimandare almeno per un po’ il dover stare insieme a Nicola, sedersi allo stesso tavolo e guardarlo negli occhi consapevole di non avergli detto tutto quel che sapeva sulla sua situazione con Caterina.
Tornò a puntare gli occhi sulla ragazza, ancora in silenzio ed in attesa. Sembrava ancora indecisa se offrirsi lei stessa per aiutarlo, o lasciarlo andare con qualche parola di commiato. Alessio si umettò le labbra, cercando di sorriderle gentilmente:
-Provo ad andare a darmi una ripulita in bagno- mormorò, prima di abbassare gli occhi sulla macchia e pensare che sarebbe stato piuttosto inutile – Anche se non credo cambierà molto.
 Fece per andarsene subito dopo un ultimo cenno di saluto, ripercorrendo i metri che aveva percorso giusto poco prima, del tutto intenzionato a non mettere piede l’ dentro ancora per molto; fu solo perché qualcuno lo afferrò per un polso, rallentandolo, che si fermò ancora una volta. Si sentì sollevato nel constatare che non era né Nicola e nemmeno Pietro ad averlo fermato, ma la stessa ragazza di prima.
-Non credo che quella macchia se ne andrà via tanto facilmente con della semplice acqua- gli disse, mentre lasciava andare la presa – Avrei un’altra idea, per scusarmi e per risolverti il guaio. Sempre se hai tempo-.
Alessio si sforzò di sorriderle, facendola arrossire ancor di più: sì, di tempo ne aveva.
Di tempo per scappare ne aveva anche troppo.
 
*
 
Essersene andato così, senza nemmeno avvisare Pietro - e tantomeno Nicola -, lo stava rendendo ancor più nervoso e colpevole di quanto non si sentisse già. Si sentiva un fuggitivo – un codardo sarebbe stata la parola più adatta, ne era consapevole, ma non era riuscito a dirla nemmeno nel sicuro dei suoi stessi pensieri-, uno che si era fatto prendere fin troppo dal peso delle proprie azioni senza tuttavia riuscire ad affrontarlo a dovere.
Forse quel momento sarebbe giunto, ma non quel giorno, non quando aveva preferito allontanarsi ed andarsene direttamente dall’università senza nemmeno un briciolo di spiegazione. Alla fine l’idea di Alice – le presentazioni erano avvenute non appena si erano ritrovati fuori dalla mensa universitaria- si era rivelata migliore a livello pratico di quanto Alessio non si aspettasse, senza contare che era anche la possibilità migliore per rimandare ancora un po’ l’incontro con il suo stesso pentimento.
L’appartamento che Alice condivideva con alcune compagne di corso era davvero poco distante dalla sede universitaria, e l’idea di prestargli un paio di jeans puliti, che suo fratello Andy aveva dimenticato lì una settimana prima , quando era ripartito alla volta di Londra, era stata una manna dal cielo.
Il tragitto era durato poco, ma quel breve lasso di tempo era bastato per farlo sentire strano. Si era sentito così non solo per aver lasciato i suoi amici all’università senza dir loro nulla di dove fosse diretto, ma anche perché era una situazione totalmente insolita – ed imprevista- ritrovarsi a camminare in compagnia da solo di una sconosciuta, diretti all’appartamento di lei. Continuava a ripetersi che non era comunque una situazione fraintendile, di quelle in cui l’unico vero fine era finire a letto insieme per qualche ora, e poi tornare ad essere gli stessi sconosciuti di prima: non era un sabato sera, non era ubriaco, non aveva intenzione di abbordare nessuno, e Alice sembrava molto più timida di quanto si sarebbe aspettato. Avevano messo dei paletti sin da subito, ancor prima di conoscere i rispettivi nomi.
Avevano parlato per un po’, nel breve tragitto tra l’università e l’appartamento, per cercare di spezzare il ghiaccio: Alice gli aveva spiegato di essere venuta in Italia per la prima volta due anni prima, e di essere rimasta per un anno con il progetto Erasmus. L’Italia le era piaciuta così tanto, e si era trovata così bene, da commettere la pazzia di trasferirsi in pianta stabile proprio lì a Venezia: era tornata a vivere stabilmente lì da settembre, giusto in tempo per iniziare il suo terzo anno.
Ora, in quel momento, chiuso nel bagno del piccolo appartamento di Alice ed intento a cambiarsi i jeans che gli aveva allungato poco dopo essere arrivati, non riusciva a non ripensare a quella loro conversazione avvenuta poco prima: se Alice aveva avuto il coraggio di cambiare completamente vita, lui si ritrovava invece a non aver nemmeno la forza di parlare chiaramente a quello che poteva definire il suo migliore amico. Si sentiva in parte complice di quella fine amara per Nicola, complice di qualcosa che nemmeno lui comprendeva appieno.
Talmente codardo da preferire andarsene.
Finì di infilarsi i jeans mordendosi il labbro inferiore, in un moto di rabbia verso se stesso. Aprì la porta con una certa stizza, sospirando rumorosamente e cercando di ricordarsi quale fosse la camera di Alice, la stessa in cui era entrato pochi minuti prima. Camminando lentamente lungo il corridoio dell’appartamento, cercando di orientarsi, si ritrovò a pensare che almeno i jeans sembravano andargli bene, e che forse avrebbe fatto meglio ad avvisare almeno Pietro che avrebbe tardato ancora un po’: l’ultima cosa che voleva era far preoccupare anche lui, o indurlo a cercarlo per tutte le strade vicine all’università.
Fu mentre digitava velocemente le parole per il messaggio da inviare a Pietro che, sovrappensiero, aprì la porta che gli sembrava essere quella giusta; fu solo quando alzò lo sguardo, dopo aver rintascato il cellulare, che si accorse che sì, quella era la camera giusta.
-Cazzo, scusami!-.
Alessio arrossì nell’immediato, ancora prima di compiere qualche passo indietro e voltarsi istintivamente: pessimo tempismo entrare nella stanza proprio mentre Alice si stava cambiando d’abiti. Sembrava che la loro intera conoscenza fosse basata sui tempi sbagliati.
Tenne la testa abbassata, l’immagine fugace di lei girata di schiena, ma coperta solo dai jeans e da un reggiseno, che continuava a farlo sentire in imbarazzo.
-Mi passeresti quella felpa laggiù?-.
La voce di Alice lo raggiunse prima che Alessio decidesse definitivamente di andarsene.
-Avevo freddo con il maglione di prima- aggiunse subito dopo, con voce tranquilla. Non sembrava a disagio, o era molto brava a non darlo a vedere in alcun modo.
Alessio annuì, nonostante Alice non potesse vederlo dritto in faccia: si avvicinò cauto alla scrivania sul lato sinistro della stanza, sopra la cui superficie c’era la felpa indicatagli da lei. Solo avvicinandosi ad Alice, pochi secondi dopo, notò che in realtà c’era un velo di rossore a coprirle le guance.
Il “thanks” che gli mormorò in risposta, non appena Alessio le ebbe passato la felpa, apparve molto più timido di quando gli si era rivolta pochi attimi prima; sperò non si sentisse spaventata dalla sua presenza, e decise di allontanarsi di nuovo, portandosi sulla soglia della stanza.
Si girò di nuovo, guardando altrove: la stanza di Alice appariva piuttosto ordinata, forse ancor di più di quella di Pietro. C’erano diversi quadri appesi al muro, foto e riproduzioni di dipinti famosi allo stesso modo. Era un ambiente in cui non mancava il colore, e che in qualsiasi altra occasione gli avrebbe persino trasmesso una certa allegria.
-Ti vanno bene i jeans?-.
Alessio quasi sussultò nel percepire la voce di Alice improvvisamente molto più vicina. Si girò verso di lei, trovandola effettivamente a poco più di un metro da lui, finalmente vestita di nuovo completamente.
-Sono perfetti. Grazie ancora- le rispose, sorridendole con gentilezza – Appena arrivo a casa stasera li metto in lavatrice, così poi te li posso riportare-.
Le aveva detto la prima cosa che gli era venuta in mente, senza nemmeno starci troppo a pensare. Sperava solo di non fare casini con la lavatrice quando avrebbe dovuto lavare i jeans prestati, e soprattutto di non farne quando avrebbe dovuto tentare di ripulire i suoi, in un ultimo tentativo di recuperarli.
Alice annuì, schiarendosi la gola:
-About that- si fece avanti di pochi passi, in evidente imbarazzo – Posso chiedere il tuo numero?-.
Per un attimo Alessio credette di non capire, ma poi si riprese subito: doveva riportarle i jeans, era ovvio che si sarebbero pur dovuti scambiare un contatto.
Fece per risponderle, ma Alice lo precedette di poco, mordendosi il labbro inferiore e arrossendo ancor di più:
-Per i jeans e … - si interruppe di nuovo, e in quell’attesa Alessio ebbe l’impressione che, in realtà, la sua supposizione si sarebbe rivelata vera solo a metà – Pensavo che per sdebitarmi potrei offrirti un caffè un giorno dei prossimi-.
Stavolta fu Alessio ad arrossire lievemente:
-Un caffè?- ripeté, gli occhi leggermente sgranati.
-O qualcos’altro- Alice rise appena, forse divertita dalla sua espressione di sorpresa – Voi italiani dite sempre così per invitare qualcuno fuori-.
L’accento inglese si era fatto decisamente più evidente, un’abitudine che Alessio aveva notato prendere piede solo quando era più nervosa. Poteva capirne il perché: l’aveva appena invitato ad uscire con lei, d’altro canto.
-Già, è vero- ammise, sorridendo imbarazzato.
Non aveva idea di cosa dire. Di certo non l’aveva seguita lì con l’intento di sedurla, e preso com’era da ben altri pensieri nemmeno si era soffermato ad immaginare uno scenario in cui potevano vedersi ancora, al di fuori di quell’incidente. Ma Alice sembrava gentile e piacevole, e gli dava l’impressione di essere una brava persona: nella peggiore delle ipotesi avrebbe potuto conoscere un’amica. Avrebbero anche potuto scoprire che non avevano null’altro da dirsi.
-È che … - la osservò gesticolare appena con occhi pensierosi, come se stesse cercando di spiegarsi il meglio possibile senza ricorrere all’inglese – Non invito spesso ragazzi sconosciuti qui in casa, non pensare male. E non conosco neanche molte persone qui, e tu mi sembri outgoing … Simpatico. Mi andrebbe di vederti ancora-.
Alessio rimase in silenzio qualche secondo, ancora esitante. Non era esattamente ciò che cercava, non in quel periodo della sua vita, ma un’ora fuori per un caffè non lo avrebbe certo ammazzato, né avrebbe fatto grande differenza.
-Va bene-.
Alice strabuzzò gli occhi, sorpresa:
-Really?-.
La poca fiducia che sembrava aver riservato ad una risposta positiva da parte sua fece ridere Alessio di nuovo. Era sicuro di non aver colto quella timidezza la sera della festa di Giulia, e per qualche motivo non l’avrebbe associata a lei nemmeno prima in mensa. Ora, invece, era piuttosto evidente che l’intraprendenza di Alice fosse perfettamente bilanciata anche con una certa introversione.
-Sì, davvero- le ripeté, allungando una mano nella tasca della felpa che indossava – Ecco-.
Le allungò il cellulare, aspettando che digitasse il suo numero. Nel rimetterlo in tasca si soffermò a controllare l’ora: era tardi, davvero tardi se non voleva perdere ancora tempo prezioso per ripassare.
Era ora di andarsene.
-Ora forse dovremmo tornare in università- mormorò a mezza voce. Alice annuì, probabilmente consapevole anche lei del tempo che era passato.
Non aveva idea di cosa avrebbe raccontato a Nicola e Pietro quando sarebbe ricomparso, ma quello era solo un problema secondario, nulla di preoccupante. E forse era quella la chiave per affrontare quella giornata: andare avanti senza farsi troppi programmi, accettare quel che gli stava succedendo – in ogni sua sfumatura inaspettata-, senza farsi domande prima del tempo.
 
*
 
Continuò a far girare il cucchiaino imperterrito, nonostante la consapevolezza che quel caffè, ormai, più che tiepido doveva essere gelido. Quel gesto sembrava essere l’unica valvola di sfogo a sua disposizione in quel momento, ma la frustrazione non sembrava volersene andare. Pietro proseguì quel gesto nervoso, non riuscendo a fermarsi nemmeno dopo dieci minuti interi passati a quel modo.
Quando poco prima gli era arrivato quel messaggio da Alessio aveva avuto voglia di scagliare il telefono il più distante possibile, per non dover avere quelle parole stampate davanti agli occhi. E invece si era sforzato di mantenere un’apparenza di calma e indifferenza che, in realtà, non esisteva per niente.
Alessio non aveva specificato quale imprevisto lo aveva portato lontano da lui e Nicola, né aveva specificato quando sarebbe tornato. Sostanzialmente non aveva detto nulla, ed era proprio quello che lo faceva arrabbiare così tanto. Era come se Alessio avesse preso al volo la prima occasione per allontanarsi, come se niente fosse, lasciandolo lì a sbrigarsela da solo e a cercare di consolare Nicola.
Ed invece, in quel momento, Pietro si ritrovava ancora seduto al tavolo della mensa, di fronte a Nicola, intento a mescolare il caffè ormai freddo, e a maledire tutto il resto del mondo. A maledire Alessio, quella situazione assurda che si era creata tra Nicola e Caterina, e che inglobava anche il resto del gruppo, e a maledire anche se stesso.
Si malediceva per essere riuscito a rimanersene lì, come incantato e completamente inerte di fronte alla realtà che gli scivolava via dalle mani; si malediceva per essere perfino riuscito a rispondere al messaggio di Alessio – a cui l’altro non aveva nemmeno risposto- chiedendogli cosa fosse successo e dove si fosse cacciato. Aveva sorvolato sul chiedergli con chi fosse, perché non aveva certezza che fosse ancora con la ragazza con cui l’aveva visto prima – doveva essere successo qualcosa, che però non aveva ben capito.
Si malediceva per tutta quella situazione.
Riusciva ad essere arrabbiato con se stesso perfino per il fatto di non riuscire a sollevare l’umore di Nicola, o per aver fallito nel tentativo di risollevare almeno il suo.
Perché doveva andare sempre tutto a rotoli?
Chi di loro si meritava davvero quella fine?
Pietro scosse il capo, amareggiato ed adirato in egual misura.
-C’è qualcosa che non va?-.
Nicola lo distolse dai suoi pensieri, e Pietro quasi trovò buffo il fatto che fosse proprio lui a chiedergli se ci fosse qualcosa che non andasse. L’ironia amara riservata a chi sta crollando sempre più.
Pietro prese finalmente un sorso di caffè, aspettandosi già di non trovarlo più caldo. Mandò giù un sorso veloce, prima di fermarsi di nuovo, strizzando gli occhi per il gusto pessimo che la bevanda gli aveva lasciato in bocca:
-Il caffè è troppo amaro-.
O forse era la fine che stavano facendo tutti loro ad essere amara.
 
Slow and sad, going sadder
Arise a sitting mine
See you at the bitter end
(Placebo - "The Bitter End")*



 
*il copyright della canzone appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori
NOTE DELLE AUTRICI
Un titolo molto promettente ed estremamente ottimista per concludere l’anno, eh? Non importa: siamo comunque di nuovo qui per proseguire con il capitolo 64!
Come avete passato il Natale? 🎅🏻 Si spera meglio di quanto non lo abbiamo passato i tre protagonisti di questo nuovo aggiornamento: come avrete intuito durante la lettura di queste prima pagine, le cose non stanno andando per il meglio per il nostro Nicola, che non riesce a non pensare a quanto successo di recente con Caterina. Inutili sembrano quindi i tentativi di distrazione di Pietro e Alessio che, come spesso accade, finiscono per stuzzicarsi a vicenda (chissà cosa direbbe la nostra Giulia!).
E parlando proprio con loro, Alessio sembra aver intuito qualcosa, che però ha preferito tenere per sé di nuovo nonostante i sensi di colpa sempre più presenti (chissà se deciderà di fare qualcosa in merito!)…  Ed è piuttosto fortuito l'incidente avuto che gli fa guadagnare tempo per decidere sul da farsi. Vi sareste aspettati di rivedere la cameriera del capitolo 61? Di certo non Alessio!
Alice (immaginatevela a parlare con l’accento più british possibile) si è rivelata una new entry sicuramente gentile e decisamente intraprendente. Lo avevate intuito? Ma soprattutto... come finirà il loro primo incontro programmato? Avrà un tempismo più favorevole? Nel frattempo l'anima di Pietro sembra essere tutt'altro che tranquilla, anzi... appare amara come il caffè che sta bevendo, come il titolo di questo capitolo (e come questo 2020, a dirla tutta).
Insomma, numerosi sono gli interrogativi che aleggiano attorno ai nostri amati protagonisti. Troveranno risposta nei prossimi capitoli che ci attendono nel 2021? Non ci resta che attendere per scoprirlo: a mercoledì 13 gennaio con il capitolo 65!
Nel frattempo vi auguriamo buon anno in anticipo, e vogliamo inoltre ringraziare tutti voi che avete letto, recensito, salvato la nostra storia tra le preferite e le seguite ☺️🎊 Nel 2021 ci attende il finale della prima parte di questa lunga avventura, e non vediamo l’ora di condividerla con voi!
 
Kiara & Greyjoy
 


 
   
 
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