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Autore: Moriko_    31/12/2020    1 recensioni
[Cells at Work! BLACK] [J-1178, DA4901]
"In realtà, i globuli rossi - come lui - e quelli bianchi - come lei - non erano tanto diversi tra loro. Erano diversi per il loro aspetto fisico e per i rispettivi lavori che svolgevano; potevano esserlo per il loro carattere, ma di certo non lo erano mai stati riguardo il loro vissuto, le loro emozioni e sensazioni di fronte a determinati eventi."
A volte basta davvero poco per accorgersi che, nonostante le differenze, si è più simili agli altri di quel che si pensa.
[Spoiler! capitolo 39 del manga di Cells at Work! BLACK | pre-capitolo 40] [Missing moment, What if?]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'A tale of a warrior'
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Fanfiction

Sommario. 
“In realtà, i globuli rossi - come lui - e quelli bianchi - come lei - non erano tanto diversi tra loro. Erano diversi per il loro aspetto fisico e per i rispettivi lavori che svolgevano; potevano esserlo per il loro carattere, ma di certo non lo erano mai stati riguardo il loro vissuto, le loro emozioni e sensazioni di fronte a determinati eventi.”

A volte basta davvero poco per accorgersi che, nonostante le differenze, si è più simili agli altri di quel che si pensa.

[Spoiler! capitolo 39 del manga di Cells at Work! BLACK | pre-capitolo 40] [Missing moment]

 

 

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Totsuzen.

「突然」

 

 

BGM: Avril Lavigne - How Does It Feel (cover by Melissa Kathleen)

 

 

 

“Differenze di abitudini e linguaggi non contano se i nostri intenti sono identici e i nostri cuori aperti.”

(J.K. Rowling)

 

 

Con un rapido movimento, il granulocita neutrofilo J-1178 ripose la spada nel fodero e rivolse un soddisfatto sorriso alle sue due compagne di lavoro. Un altro estenuante combattimento era appena giunto al termine: l’area nella quale si trovavano i tre globuli bianchi era cosparsa di cadaveri di batteri, l’ultimo dei quali era stato appena squarciato a metà dalla piccola guerriera dai corti codini, cadendo al suolo con un sonoro tonfo.

Nessuno di quei tre globuli bianchi sembrava essere scosso dalla battaglia appena conclusa: combattimenti del genere erano il loro pane quotidiano, qualcosa del quale non potevano fare a meno nemmeno se un giorno avessero chiesto di congedarsi da quello che, agli occhi delle altre cellule non immunitarie, sembrava essere un crudele lavoro. Per la maggior parte delle cellule i globuli bianchi erano solo dei feroci assassini, che non esitavano a eliminare qualsiasi anomalia presente nel corpo umano.

«E con questo, abbiamo finito.»

Una delle sue compagne, dai capelli a caschetto dalle sfumature dorate, si portò un ciuffo dietro l’orecchio e con un rapido gesto afferrò il walkie-talkie che portava sulla cintura. «Missione compiuta» comunicò all’apparecchio con impassibilità. «L’annientamento dei batteri è avvenuto con successo.»

Diversamente fu l’atteggiamento della terza leucocita, dai capelli verdi, che subito approfittò di quel momento di quiete per lamentarsi... com’era solita fare al termine di qualsiasi battaglia. «Finalmente, non ne potevo più!» disse, portandosi entrambe le mani dietro la nuca. «Stavo iniziando a chiedermi quando sarebbe finita: questi erano degli ossi duri, non volevano saperne di arrendersi!»

«Su, non lamentarti» intervenne la bionda, «Questi erano niente in confronto a ciò che abbiamo passato.»

«Preferisco non ricordarlo, grazie» ribatté la sua compagna, e appoggiò le mani sui fianchi. «Ogni volta che penso al macello che è avvenuto nei polmoni mi vengono i brividi. Speriamo che non si ripeta più, mai più: il pensiero che quell’essere orripilante possa tornare mi fa venire la nausea!»

J-1178 ascoltava il discorso delle sue compagne in silenzio, e si guardò intorno con occhi colmi di orgoglio. Nonostante l’enorme scia di sangue che lei e le sue agguerrite compagne avevano lasciato in quella zona, per fortuna quei batteri non avevano danneggiato le abitazioni circostanti, dimore di centinaia di cellule comuni, né fatto del male ai poveri malcapitati che in quel momento si erano trovati di passaggio, tra i quali i globuli rossi che ogni giorno correvano da un punto all’altro del corpo per consegnare l’ossigeno a ogni cellula e portare l’anidride carbonica ai polmoni.

Ci sono riuscita... ancora una volta sono riuscita a proteggere tutti!

Finalmente quell’agognata pace e stabilità che chiunque - compresa lei - stava cercando da tempo stava regnando nei vasi sanguigni, ed era questo ciò che più contava per la giovane leucocita.

 

Dopo un rapido cambio d’abito a causa della lotta che aveva lasciato indelebili tracce di sangue su di loro, le tre guerriere avevano pensato che l’ideale per concludere quella lunga giornata di intenso lavoro sarebbe stata una tranquilla passeggiata. Approfittando della ronda che tutti i giorni svolgevano quando non erano direttamente coinvolte in feroci battaglie, quel momento di serenità le aiutava a rigenerare le energie perse nel loro turno di lavoro e, allo stesso tempo, entrare meglio in contatto con alcune zone dell’organismo che preferivano come le cavità nasali, dove potevano rilassarsi in ambienti termali mentre bevevano dell’ottimo tè nero.

«Comunque sono felice che sei tornata. Senza di te, non è la stessa cosa.»

La leucocita dai capelli a caschetto si era affiancata a J-1178, alla quale brillarono gli occhi per la gioia. Quelle parole della sua compagna le scaldarono il cuore, facendola sorridere: era felice di essere tornata al loro fianco, di lottare con loro e di proteggere da qualsiasi assalto anche quelle valorose guerriere che nemmeno per un istante avevano smesso di avere fiducia in lei.

Tutto questo le era mancato molto, e in quel momento la piccola leucocita si chiese come avesse fatto a mettere da parte il suo lavoro, intrappolata in quel turbinio di negative emozioni che l’avevano avvolta come un uragano e dalle quali aveva fatto fatica a uscire. Nei suoi occhi non c’era più alcuna traccia di paura o timore per il suo lavoro: le vesti che indossava, candide come la neve, erano diventate non solo il simbolo della giustizia che perseguivano i globuli bianchi, ma anche del limpido coraggio del quale era riuscita a fare il suo cavallo di battaglia.

E doveva tutto questo a lui.

«Beh, direi che sei tornata in grande stile!» esclamò la compagna dai capelli verdi, ponendosi di fronte a lei. «Sei diventata più forte e determinata! Qual è il tuo segreto?»

«Già...» puntualizzò la bionda, «ora che mi ci fai pensare, sembra quasi come se qualcuno le avesse urlato “Sveglia, a lavoro!” con tanto di megafono nelle sue orecchie.»

«Dimmi, ti hanno dato qualche intruglio mentre eri ancora all’ospedale?»

«Per sconfiggere quei terribili stafilococchi aurei direi proprio di sì: deve essere stato merito di qualche misterioso medicinale...»

«... o forse merito proprio dell’ossigeno. Di recente questo corpo sta assumendo cose davvero strane: può darsi che all’ospedale qualche globulo rosso le abbia portato qualche bombola speciale e lei... bam! Energica come non mai!»

La piccola leucocita abbassò leggermente la tesa del suo cappello, nascondendo il volto dagli sguardi delle sue compagne. In un certo senso, la sua amica aveva ragione: l’ossigeno che aveva ricevuto prima di riprendersi non era speciale a causa di qualche nuova sostanza, ma lo era perché era stato accompagnato da parole di conforto e di speranza, di quella speranza della quale aveva un disperato bisogno in quel momento drammatico della sua esistenza.

«Ma guarda, è diventata rossa! Non dirmi che è successo qualcosa di interessante mentre noi eravamo fuori a rischiare la vita...»

«C-Come?!»

J-1178 si sentì mancare l’aria. L’affermazione della compagna dai capelli verdi aveva colto nel segno: l’albina pensò subito di dover dire qualcosa, altrimenti il silenzio imbarazzante che sarebbe seguito a quella domanda avrebbe dato di per sé una risposta del tutto eloquente. Continuando a tenere ben stretta la visiera del suo cappello, la piccola leucocita superò l’amica di qualche passo e disse con tono fermo: «Non è successo niente di particolare. Mi hanno portato dell’ossigeno e così mi sono ripresa, fine.»

L’altra diede uno sbuffo di disapprovazione. «Tutto qui? Che racconto deludente: sinceramente mi aspettavo molto di più, a giudicare dal modo in cui hai affrontato tutti quei batteri...»

«Sì, direi proprio che è successo qualcosa in quell’ospedale» osservò la compagna dai capelli biondi, che subito la raggiunse e proseguì il cammino al suo fianco. «Ti conosco da molto tempo, ed è la prima volta che hai affrontato una così dura battaglia con la stessa determinazione di quando siamo uscite dal midollo osseo rosso. Cosa ti è successo di bello?»

«Niente di che...» mormorò J-1178.

«Mah, sarà... ma io ci credo poco. Ma sono davvero felice che sei tornata tra noi» disse la bionda, ponendole una mano sulla spalla. «Il tuo sguardo colmo di coraggio dà forza anche a noi, sappilo!»

«Ha ragione!» aggiunse la guerriera dai capelli verdi. «Siamo molto orgogliosi di te, come leucocita... e come amica! Sapevo che non ci avresti mai lasciato nei guai!»

J-1178 sorrise di cuore alle sue compagne, e nel profondo della sua anima si sentì più sicura delle proprie capacità. Annuì e in silenzio constatò che aveva avuto una grande fortuna ad aver incontrato quell’eritrocita: le aveva dato una nuova energia che era riuscita a custodire dentro di sé e trasformare in un’arma da battaglia, pronta ad aiutarla nel momento del bisogno.

 

La piccola guerriera lanciò un’occhiata ai lunghi schermi che fiancheggiavano quella via, che all’improvviso si illuminarono con un conto alla rovescia.

[A tutte le cellule: a breve è previsto l’inizio della fase notturna. Si prega di concludere i rispettivi turni per permettere agli altri di iniziare con la massima puntualità.]

La leucocita dai capelli verdi diede un profondo sbadiglio, e stiracchiò le braccia verso l’alto. «Evviva! Ora sì che possiamo rilassarci di più... anche se ho già sonno!»

«È vero» rispose la bionda. «Se non ci convocano all’improvviso, questa sera possiamo svagarci un po’. In quale parte del corpo vogliamo andare?»

«Ho sentito che questa sera nel night club del fegato si esibirà quell’affascinante epatocita che adoro tanto!» replicò l’altra con occhi sognanti. «Farà una breve esibizione live e subito dopo un incontro con i fan: ah, spero di essere così fortunata da non essere interrotta con qualche urgenza e così potergli stringere la mano!»

«Per me va bene, anzi: così possiamo fare un salto anche al konbini che si trova da quelle parti. Ho bisogno di quella speciale zuppa di germi: è da tanto che non la mangio, mi manca così tanto!»

«E tu? Vieni con noi, vero?»

J-1178 scosse la testa. «E-Ecco... veramente no. Mi dispiace, ma oggi preferisco riposarmi in qualche angolo di questo vaso sanguigno...»

«Sempre la solita!» la stuzzicò la compagna dai capelli verdi. «Vabbè, non sai cosa ti perdi!»

La bionda invece le si rivolse con tono sereno. «Dai, oggi ti lasciamo in pace. Però preparati: la prossima volta verrai con noi, e non si accettano scuse!»

«Bye bye, ci vediamo domani all’alba... se non ci convocano prima!» esclamò la leucocita dai capelli verdi con entusiasmo, prima di allontanarsi insieme alla sua amica bionda a passo svelto.

J-1178 sorrise mentre le seguiva con lo sguardo, le sue orecchie ben attente a percepire gli allegri scambi di battute tra le sue compagne.

«Awww, mi vedo già lì, in prima fila solo per lui!»

«Ma prima andiamo al konbini: ho un disperato bisogno di quella zuppa...»

«Non ci pensare nemmeno: non conosci l’espressione “Chi prima arriva, meglio alloggia?” Se non ci muoviamo, rischio di vedere quell’epatocita con il binocolo!»

«Tanto lo vedresti comunque col binocolo: a quest’ora il night club è sempre affollato.»

«Ti prego, ti prego! Il konbini è sempre aperto: che differenza fa se andiamo adesso oppure tra qualche ora?»

Non appena le due sparirono dalla sua visuale, la piccola guerriera si lasciò sfuggire una risata divertita. Aveva ragione la sua compagna d’armi: era da tempo che non vivevano una fase felice e così colma di speranza delle loro vite, e tutto proprio grazie a quell’organismo che era la loro dimora: quel corpo si era finalmente reso conto degli sbagli che aveva commesso, e che avevano portato lei e le altre cellule ad affrontare dei veri e propri incubi che sembravano non avere mai fine.

Ora, dobbiamo solo sperare che la situazione non smetta mai di migliorare...

Con le mani nella tasca della giacca, J-1178 si incamminò nella parte opposta. I suoi occhi si misero alla ricerca di un angolo dove poter riposarsi: l’ideale sarebbe stato un accumulo marginale, sulla parete di un vaso sanguigno, nel quale avrebbe potuto chiudere gli occhi e godere dell’atmosfera pressoché pacifica - salvo qualche batterio che voleva fare di quel luogo la sua base - della fase notturna dell’organismo.

Con gli occhi ancora alzati verso l’alto, stette per svoltare un angolo quando, ad un tratto, urtò qualcuno che stava venendo dalla parte opposta.

«Le chiedo scusa, non l’avevo vista...» mormorò, abbassando la tesa del cappello e chinando leggermente la schiena in segno di educazione.

«Nessun problema» rispose l’altro, «sono io a dover chiederti scusa...»

Ma... questa voce...

J-1178 alzò lentamente lo sguardo e a poco a poco focalizzò la figura che le stava dinanzi. Gli stivali, il pantalone e persino la giacca... particolari che stavano dando conferma ai suoi sospetti: quella cellula stava indossando la tipica divisa di un eritrocita.

La piccola guerriera arretrò di un passo non appena incrociò lo sguardo dell’altro: a quel punto tutti i suoi dubbi erano svaniti, ritrovandosi di fronte proprio quel globulo rosso che l’aveva aiutata. Stessi capelli neri con un ciuffo che copriva parte della sua fronte, stessi occhi corvini e anche quello stesso piccolo sorriso di fiducia che le aveva donato quando si era allontanato da lei.

«C-Ciao...» sussurrò J-1178 con un timido sorriso. «Che buffo, ci siamo incontrati di nuovo...»

Il fattorino mostrò nel volto un’espressione serena. «Devo ammettere che non hai tutti i torti. Siamo milioni di cellule: quante possibilità c’erano che ci saremmo incontrati in giro per l’organismo?»

«Quasi nulle» puntualizzò l’altra. «Come ti vanno le cose?»

«Finora abbastanza bene. Solita vita... ma a differenza di prima, c’è una novità: ora corriamo solo per trasportare ossigeno e anidride carbonica, mentre fino a poco tempo fa abbiamo sempre avuto il pensiero di rischiare la vita. Mi sembra di vivere un sogno...»

«Anch’io lo penso. Quando chiudo gli occhi, non appena li riapro il primo pensiero che ho è che questa che stiamo vivendo non è la nostra realtà. Eppure, lo è... lo è davvero...»

Lo sguardo della leucocita si riempì di commozione per ciò che aveva appena detto. Se fosse stata da sola, forse sarebbe scoppiata a piangere di gioia: ciascuno di loro era nato in un ambiente di lavoro difficile, a volte impossibile e quasi ostile, senza mai avere la possibilità di riposarsi, perdendo i loro stessi compagni e continuando ad aggrapparsi alla speranza di un futuro migliore che era diventata sempre più flebile a ogni ora che passava.

Eppure... alla fine ci erano riusciti. Erano riusciti, davvero, a raggiungere quel futuro che sembrava avere tutte le premesse per diventare sempre più radioso, giorno dopo giorno. Ci voleva ancora del tempo affinché quell’organismo si sarebbe ripreso del tutto, ma la situazione che le cellule stavano vivendo era molto più tranquilla e pacifica rispetto ai primi tempi, soprattutto grazie agli aiuti che arrivavano dall’esterno.

Sperare di vivere il resto della loro esistenza in serenità sarebbe stato ancora possibile.

J-1178 era ancora immersa in quei pensieri quando gli schermi che campeggiavano sui lati della strada si illuminarono di nuovo, con un altro messaggio.

[Attenzione. A tutte le cellule: il corpo è entrato nella fase notturna. Auguriamo buon riposo a chi ha appena concluso il turno.]

Il countdown era stato sostituito dall’immagine in primo piano del direttore d’orchestra del sistema nervoso parasimpatico, il quale stava dirigendo l’esecuzione di una dolce e rilassante melodia che si propagava per le abitazioni, gli uffici e le strade dell’intero organismo.

«Mi sa che è ora di andare» disse la piccola guerriera.

«Per oggi hai finito?»

«Sì. Il tempo di cercare un accumulo marginale libero, e mi riposerò un po’.»

«Un accumulo marginale?»

«Esatto... come quello laggiù, per esempio.»

La leucocita indicò in alto, verso un angolo del vaso sanguigno dove si trovavano: tra le ampie tubature che collegavano un lato all’altro delle pareti, c’era un globulo bianco che si stava rilassando in uno spazio molto ristretto, con le gambe accavallate ed entrambe le mani dietro la nuca.

L’eritrocita inarcò le sopracciglia. «Immagino che sarà molto scomodo...»

«Un po’ sì, ma non posso lamentarmi. Col fatto che ultimamente non riuscivo nemmeno a fare una pausa, quell’angolo è sempre meglio di niente.»

Tra loro calò il silenzio, interrotto solo dalla dolce melodia di sottofondo che continuava a risuonare nell’aria. Non era un silenzio imbarazzato, né colmo di turbamento: era un semplice silenzio, durante il quale i due continuarono a fissare quell’angolo in modo imperturbabile.

Poi, fu l’eritrocita a riprendere la parola: «Quindi voi globuli bianchi, tutti i giorni...»

«Esattamente. È quello il nostro posto quando vogliamo riposarci.»

«E il vostro quartier generale?»

«Dubito che l’armadietto personale sia più comodo di un qualsiasi accumulo marginale. Ad ogni modo no, non abbiamo delle stanze o qualcosa del genere.»

«Perciò, in un certo senso dormite per strada. Ci sta: voi avete il compito di pattugliare i vasi sanguigni, per cui è abbastanza comprensibile.»

Di nuovo silenzio. Dopo qualche secondo, il fattorino disse: «Anch’io ho finito il turno. Se vuoi, per questa sera puoi dormire nel mio appartamento.»

Il tono apparentemente impassibile con il quale aveva pronunciato quelle parole colse di sorpresa la piccola leucocita. Forse non l’aveva detto perché ci stava pensando seriamente... o forse...

J-1178 sentì il bisogno di accertarsi della vera natura di quell’affermazione, ma all’inizio cercò di sviare il discorso: non voleva darci troppo peso. «Hai finito il turno?»

L’altro annuì. «Riprendo domani... se il corpo non decide di svegliarsi all’improvviso. Lo sai meglio di me: mai abbassare la guardia, nemmeno in tempo di pace.»

«Perciò... ora stai tornando a casa...»

«Sì, è per questo che il mio invito è valido: entrambi riprendiamo domani e, se devo essere sincero, è sempre meglio riposarsi al caldo. Però... in effetti lo sto dicendo da globulo rosso; forse tu che sei un globulo bianco preferisci il freddo della notte... non so. Dimmi tu, a me farebbe piacere avere la tua compagnia.»

L’albina non nascose a se stessa che quella proposta stesse stuzzicando la sua curiosità. Stava avendo la possibilità di vedere come fosse fatto l’appartamento di un eritrocita. Inoltre in questo modo avrebbe potuto sorvegliare proprio quel globulo rosso e proteggerlo in caso di guai, perché anche per lei era lo stesso: sarebbe stato bello godere della sua compagnia.

In fondo, quante altre possibilità del genere le sarebbero capitate nel corso della sua esistenza? Era proprio come aveva affermato qualche minuto prima: le probabilità che si sarebbe nuovamente incontrata con lui erano pressoché vicine allo zero.

Tutto sommato, come idea non era niente male.

Con un sorriso che lasciava trapelare la sua serenità, J-1178 chiuse gli occhi e si portò al fianco del fattorino. «Va bene, ti seguo.»

 

 

 

L’appartamento che si intravedeva dall’ingresso era molto ristretto, ma sicuramente più spazioso di qualsiasi accumulo marginale nel quale la leucocita aveva riposato. Gli occhi di J-1178 si stavano posando su ogni singolo dettaglio: il semplice tatami che faceva da pavimentazione, l’ampia finestra con le tende che la coprivano e al suo fianco una porticina scorrevole che probabilmente portava in un piccolo bagno, la modesta cucina che fiancheggiava l’ingresso, un piccolo frigorifero e un fornetto posto su una robusta mensola, al di sotto della quale vi erano due ceste colme di frutta e verdura, un comò in legno con quattro cassetti, una piccola scrivania con un telefono cordless sulla superficie, un letto da una piazza e mezza, e un comodino sul quale vi era una fotografia racchiusa da una semplice cornice.

«Prego.» Con un caloroso sorriso l’eritrocita invitò la leucocita a entrare in quell’appartamento. «Benvenuta a casa mia. Scusa il disordine, non ho ancora avuto il tempo di mettere a posto questa stanza...»

Quale disordine? osservò in pensiero J-1178. Per lei, infatti, quell’appartamento rispecchiava alla perfezione il suo proprietario: sì, c’era una divisa di ricambio che si trovava sul letto e che non era stata ancora messa al suo posto, ma per il resto quel locale era pulito e ben ordinato. La stanza era dominata da un ordine impeccabile, così come lo era quell’eritrocita.

«Tranquillo» commentò la leucocita. «Hai un bell’appartamento.»

L’altro la guardò con un leggero imbarazzo che colorò le sue guance. «Ora che ci penso, hai ragione. Forse dovevo aspettarmi un commento del genere: fino a poco fa i vasi sanguigni erano messi peggio di questa stanza...»

«Fidati: si vede che ci tieni molto. Ti confesso che a me piace così.»

J-1178 chiuse la porta alle sue spalle e subito si tolse le scarpe che lasciò all’ingresso. Nel frattempo l’eritrocita, che a sua volta si era già tolto gli stivali, aveva posato la sua borsa sulla sedia di fronte alla scrivania; poi si levò il cappello e si sfilò la giacca, e li mise entrambi sull’appendiabiti a muro che si trovava alla destra dell’ingresso.

Infine tornò dalla piccola guerriera. «Beh... non posso dirti “Fai come se fossi a casa tua” visto che non hai una dimora fissa, ma sentiti libera di sistemarti come ti è più comodo. Intanto puoi posare la giacca e il cappello su quell’appendiabiti...»

La giovane annuì e si avvicinò all’oggetto che le era appena stato indicato. Quel suppellettile era piuttosto semplice, e aveva solo una tripla sporgenza: la prima era stata occupata dalla giacca e dal cappello del globulo rosso, le altre due erano libere.

Lei si tolse la giacca e con un lento movimento la appese nella sporgenza laterale, stando ben attenta a mantenere la distanza da quella dell’eritrocita.

Andrà... andrà bene qui?

Accertatasi attraverso le sue orecchie che da parte dell’inquilino non ci fosse stato un alcun cenno di disapprovazione, pose il cappello al di sopra della sua giacca e infine si voltò. Dopo averle sorriso il globulo rosso si era recato in direzione del bagno, e lei approfittò di quel momento per trovare in quell’appartamento un angolo dove poter sistemarsi per la notte.

 

Supponendo che lui userà il letto per dormire, forse quell’angolo di fronte a me può essere l’ideale. In questo modo sorveglierò sia lui che l’ingresso e la finestra, senza lasciarmi cogliere impreparata dall’eventuale arrivo di batteri...

 

Di fronte al letto, dalla parte opposta della porta del bagno vi era un angolo sgombro da qualsiasi oggetto presente in quella stanza, e che sembrava accogliere la piccola guerriera a braccia aperte. Nonostante fosse diverso e privo di qualsiasi dettaglio, quell’angolo gli ricordava uno degli accumuli marginali dove era solita riposarsi, con la differenza che si trovava all’interno dell’appartamento di una persona che lei rispettava profondamente: anche per questo particolare, l’albina stava imparando ad apprezzarlo sempre più.

Dal marsupio che portava con sé prese un piccolo cuscino pieghevole che sistemò sul tatami; poi si appoggiò con la schiena contro la parete e chiuse gli occhi, cullandosi al suono di quella dolce melodia che proveniva dalla finestra semiaperta della stanza. Si immaginò di passeggiare in una larga strada circondata da alberi che protendevano verso il cielo, contro un leggero vento che le soffiava con dolcezza sul volto; nella sua mano reggeva una lattina di tè nero, che di tanto in tanto sorseggiava.

«Perché ti sei seduta a terra?»

Quell’improvvisa voce fuori campo la riportò da quel tranquillo sogno alla realtà. Aprì di scatto gli occhi, ritrovandosi a pochi centimetri di distanza dall’eritrocita: quest’ultimo si era inginocchiato di fronte a lei, e la stava fissando con il suo solito sguardo apparentemente imperturbabile.

Da quanto tempo è qui?!

«Mi... mi hai chiesto tu di sistemarmi come volevo» balbettò la leucocita, con il rossore che colorò le sue candide guance.

«È vero, ma non intendevo a terra» replicò lui. «Non è sporco, però non è il luogo ideale per sedersi. Per quello c’è la sedia vicino alla scrivania: là sarai anche più comoda.»

«Veramente non mi ero seduta... questo angolo mi è sembrato perfetto per riposarmi...»

A quella rivelazione l’espressione del fattorino cambiò: i suoi occhi si spalancarono di più per la sorpresa, le sopracciglia leggermente rialzate. «Stavi pensando di riposarti qui?»

«Sì.»

L’altro si levò da terra e le offrì una mano per alzarsi. «Assolutamente no. Questo non è il posto ideale per trascorrere la notte. Anzi: stavo pensando che puoi usare il mio letto, ma a terra no, non ti lascio.»

Questa volta fu la leucocita a essere colma di stupore. Lei... nel suo letto? Il letto non le sembrava abbastanza grande per entrambi: lui dove avrebbe dormito, a quel punto?

L’albina scosse la testa con un sorriso. «Preferisco restare qui. Sono comoda, davvero.»

«Dai, alzati.»

L’eritrocita non si mosse di un millimetro, con la mano ancora protesa verso di lei. I due si fissarono negli occhi, cercando di far valere le loro posizioni in silenzio: lui, con un’espressione determinata che tentava di convincere a levarsi da terra - invano - l’altra che lo stava osservando con altrettanta irremovibilità.

«Per me possiamo restare così per tutta la notte» puntualizzò il fattorino dopo qualche minuto. «Piuttosto, ti faccio compagnia e anch’io mi metto a dormire per terra.»

Ma questo è matto! «N-Non ci pensare nemmeno» esclamò la guerriera. «Il letto è tuo, hai il diritto di dormire comodo a casa tua!»

«E anche tu lo avresti, dato che sei mia ospite per questa notte.»

Il giovane cacciò un profondo sospiro, portandosi le mani sui fianchi. «Mi è appena venuta un’idea. Ho capito che entrambi vogliamo che l’altro dorma in quel letto» e con il pollice indicò l’oggetto della discordia che in quel momento si trovava alle sue spalle, «quindi cosa ne diresti se noi due ora ci sistemassimo lì? Non è molto spazioso... ma in questo modo entrambi saremo più tranquilli. Dai, vieni.»

Nel giro di pochi secondi il colorito delle guance della leucocita passò dal rosa chiaro allo stesso rosso della divisa che l’eritrocita indossava durante il suo lavoro; quest’ultimo non l’aveva vista - per sua fortuna - perché lei aveva subito abbassato la testa non appena si era accorta che il suo volto stesse andando a fuoco. Come reazione le era un po’ strana, perché non era un globulo rosso e non aveva subito un processo di glicazione, ma aveva iniziato a capire la ragione della sua improvvisa reazione.

 

N-No... devo aver sentito male. Non può avermi invitato a dormire... con lui al mio fianco! E ha ragione: quel letto non è enorme, finiremo appiccicati l’uno con l’altra!

 

Di scatto si alzò in piedi, con la testa ancora china. Gli voltò le spalle e si chinò sul tatami per riprendere il cuscino che nel frattempo era caduto a terra; a quel punto prese un profondo respiro e cercò di ricomporsi nel minor tempo possibile per non destare sospetti su ciò che aveva appena pensato. Anche se non lo conosceva bene, sentì che poteva fidarsi di lui: dalla tranquilla espressione sul suo volto, pensò che quell’eritrocita doveva avere un piano di riserva. Forse quel letto si poteva aprire rivelando così dello spazio in più, o forse aveva trovato un modo per convincerla a dormire in quel letto mentre lui avrebbe finito per addormentarsi sulla sedia della vicina scrivania o - peggio! - sul tatami...

I globuli rossi e quelli bianchi erano molto diversi tra loro; sapeva molto bene che gli eritrociti avevano un punto di vista diverso dai leucociti su ogni aspetto della loro esistenza, dunque con lui in particolare non doveva avere nulla di che preoccuparsi. Quel fattorino era una cellula con la testa a posto, e in fondo le stava offrendo solo un luogo dove avrebbe potuto riposare comoda, senza secondi fini.

Almeno, l’albina si stava augurando che fosse davvero così e, allo stesso tempo, stava sperando di aver sbagliato ad aver frainteso poco prima.

J-1178 si voltò nuovamente verso di lui e finalmente riuscì a guardarlo negli occhi, con un timido sorriso. «Mi sta bene» disse e, precedendolo, si sedette sul bordo del letto che era vicino alla finestra. Spostò il lenzuolo e passò una mano sul materasso, sorprendendosi di quanto fosse molto più morbido e caldo di quel che immaginava: tutto l’opposto degli accumuli sanguigni, fatti di freddi pareti e rigidi pavimenti.

Forse è questo il segreto dei globuli rossi, del fatto che sono... così calmi rispetto a noi. Un letto così caldo... e morbido...

La piccola leucocita decise infine di coricarsi, continuando a dare le spalle al fattorino. «Buonanotte, a domani.»

In quel momento non sentì il bisogno di tirare le lenzuola fino alla nuca: abituata alle temperature dell’esterno delle abitazioni, non sentiva freddo.

Si rannicchiò, socchiudendo gli occhi... e fu proprio in quel momento che sentì che la temperatura della stanza aumentò vertiginosamente, dovuto al fatto che anche l’eritrocita si era sdraiato al suo fianco. Come aveva previsto, quel letto era comunque troppo stretto per entrambi: ad un tratto, la leucocita potè giurare di percepire addirittura il suo respiro calmo e regolare sul collo. Non le dispiaceva, però in qualche modo quella vicinanza le stava dando una strana sensazione che correva lungo la schiena: una sensazione che non riusciva a spiegare bene ma che, di sicuro, non era fastidiosa né edenica.

La guerriera resistette alla tentazione di aprire gli occhi e alzarsi da quel letto, ma non evitò di dare un piccolo urlo strozzato quando sentì le braccia dell’altro cingerle la vita.

«Non preoccuparti... il letto è stretto» la rassicurò, come se le avesse letto nel pensiero. «È l’unico modo per riposare comodi, senza il rischio che uno dei due finisca a terra. A meno che tu non voglia svegliarti con un bernoccolo in testa...»

Come cavolo riesce a far finta di niente?! È perché è un globulo rosso? È perché loro sono abituati a rompere le distanze con gli altri, e noi invece no?

«N-No. Va... va bene così...» balbettò. Le sue guance bruciarono nuovamente di imbarazzo, e ringraziò se stessa per aver avuto l’accortezza di essersi messa di spalle a lui. Almeno, in questo modo non avrebbe dovuto dargli spiegazioni sul perché il suo volto avesse assunto quello strano colore rosso, insolito per un globulo bianco come lei.

«Allora ti auguro buon riposo. Spero che tu sia comoda...»

«Sì, grazie. Buon... buon riposo anche a te...»

E il silenzio calò di nuovo, lasciando lo spazio al riposo assoluto delle cellule.

Nonostante ciò, la piccola guerriera tenne gli occhi ben spalancati. Era capitata in una situazione per lei ai limiti dell’assurdo: non aveva mai sentito parlare di un globulo rosso e di uno bianco che dormivano nello stesso letto e, per giunta, l’uno stretto all’altro. Pensò che, se qualcuno li avesse visti, avrebbe dato adito a pettegolezzi dei quali si sarebbe parlato fino alla fine della vita in quell’organismo; in quel momento pregò che dalla finestra non si affacciasse proprio qualche cellula dendritica, le più pericolose tra le cellule quando si trattava di queste cose...

 

[... dai, ammettilo. A te piace questa situazione, altrimenti non avresti pensato due volte a scaraventare quell’eritrocita contro il muro non appena ti ha sfiorata!]

 

La leucocita sussultò. Quella voce, così simile alla sua, non proveniva dall’eritrocita - che probabilmente si era già appisolato a giudicare dal profondo respiro che giungeva alle sue orecchie: era la voce della sua coscienza, che si faceva sentire con gran clamore solo quando si trovava da sola, come in un momento di riposo quale era quello che stava vivendo. Sempre se avrebbe potuto definirlo riposo, visto che non riusciva a prendere più sonno, e quella voce così vicina alla sua eppure così fastidiosa non la stava aiutando con ciò che le stava segretamente confidando.

 

[Sei talmente orgogliosa e cocciuta che non vuoi ammettere che spesso hai invidiato il modo in cui la tua “sorellona” ha fatto amicizia con quel globulo rosso?]

 

E ora cosa c’entra? le rispose in pensiero, emettendo un piccolo sbuffo. Io le voglio bene, e poi cosa mi importa del modo in cui lei si rapporta con altre cellule? Può fare quello che vuole, non vedo cosa ci sia di male...

 

[Appunto, appunto! Non vorresti cogliere questa bella opportunità che ti hanno appena offerto?]

 

J-1178 arricciò le sopracciglia. In che senso? Continuo a non capire...

 

[Non fare la finta tonta! Se qualcuno con un sorriso si abbassa la visiera del cappello e ti dice «Avresti bisogno di più ossigeno quando tornerai a lavoro...» secondo te cosa vuol dire?]

 

Lo stupore misto a rabbia iniziò a crescere dentro di lei. Che dato che sono una cellula tecnicamente avrei bisogno di ossigeno per lavorare, che scoperta!

 

[Ahahah! Povera, piccola ingenua! E secondo te perché questo bell’eritrocita ti ha detto quelle parole? Non ti sembra un po’ strano?]

 

La piccola guerriera roteò gli occhi, dando un altro piccolo sbuffo prima di urlare mentalmente.

... perché è un globulo rosso, scema! Quello di portare l’ossigeno è il suo lavoro, altrimenti cosa dovrebbe fare? Non credo che sappia maneggiare una spada per uccidere qualche batterio, è nato per ben altri scopi!

 

[A giudicare dalla presenza di quel coltello ben tenuto sul lavabo, mi sembra molto più esperto con le armi di quel che sembra... e credo anche nel saper prendersi cura di te, eheheh...]

 

Tu... J-1178 cercò di trattenere la sua rabbia il più possibile: l’ultima cosa che avrebbe voluto era di passare per matta agli occhi di quell’eritrocita, dando un sonoro urlo che sarebbe riecheggiato per l’intero organismo.

Sospirò. Va bene, te lo dico con le buone. Saresti cortesemente pregata di tapparti quella boccaccia, prima che arrivi a fagocitarti!

 

[Ah, sì? Non sapevo che fossi così masochista dal voler autofagocitarti!]

 

... per favore, stai zitta.

 

[Che bel caratterino~ Chissà se a lui piacciono le guerriere grintose come te, uhuhuh...]

 

Ok, adesso basta! Buonanotte!

La guerriera chiuse gli occhi, decisa a chiudere quella snervante conversazione mentale e così a riposarsi del tutto. La voce della sua coscienza svanì nel nulla, lasciando spazio alla dolce melodia che continuava a diffondersi nella stanza.

A poco a poco l’albina si rilassò. La melodia del sistema parasimpatico stava facendo il suo effetto, ma non solo: quel morbido materasso la stava aiutando a sentirsi meglio, accogliendola come se fosse stata ancora tra le braccia della senpai nel midollo osseo rosso quando si sentiva stanca per giocare e non tra quelle di un suo collega di lavoro...

... ah.

Nel profondo della sua anima, J-1178 pensò che le faceva piacere essere al fianco di quell’eritrocita. Cosa ci sarebbe stato di male in questo? Nulla, se entrambi non avessero fatto qualcosa contro la loro natura, col rischio di mandare l’organismo sull’orlo di un disastro: per loro fortuna e per quella dei loro colleghi, il riposarsi non rientrava tra quelle possibilità. Erano sdraiati l’uno accanto all’altra, senza farsi del male e senza farlo ai loro vicini, con un unico comune obiettivo: recuperare le forze per tornare al lavoro, più forti e determinati rispetto al giorno prima.

In fondo... in fondo non è così male stare qui...

Avvolta da quelle pacifiche sensazioni, i sensi della leucocita si assopirono e dopo un po’ lei riuscì, finalmente, ad addormentarsi.

 

 

 

L’albina riaprì lentamente gli occhi e, ancora immersa nel sonno, in un primo momento le sembrò che tutto quello che aveva vissuto fosse solo un sogno o il frutto di qualche strana fantasia. Sbattè più volte le palpebre per riprendersi, prima di capire che si trovava ancora su quel morbido e caldo materasso dell’eritrocita, e che la tenda che copriva la finestra era la stessa che aveva visto prima di appisolarsi.

Allora... allora non è stato un sogno...

Sebbene fosse ancora mezza assonnata, J-1178 si rese conto che c’era qualcosa che non le stava tornando. Una delle sue mani, che aveva lasciato appoggiata sul materasso accanto alla sua gamba prima di addormentarsi, era ancora in quella posizione ma si era stranamente intrecciata in qualcosa di caldo, diverso dal tepore del letto sul quale si trovava.

Era un calore avvolgente, che le stava infondendo quiete e serenità attraverso quel contatto. Apparentemente l’albina non riusciva a liberare la mano, per quanto stesse provando a staccare le dita da quella presa che sembrava essere molto salda, ma non soffocante. Provò così a portarla di fronte a sé, scoprendo che ciò che si era intrecciato con la sua mano non era altro che un’altra mano: non le fu difficile capire di chi fosse, dato che quella persona era l’unica che si era addormentata al suo fianco solo qualche ora prima.

J-1178 aprì ancora di più gli occhi colmi di stupore, osservando con minuziosità ogni dettaglio di quella mano. Era così diversa dalla sua: leggermente più grande della sua e dal colore rosa più scuro del suo, colma di uno strano calore che lei era certa di non aver mai avvertito nel corso della sua vita.

Eppure di mani ne aveva afferrate tante, soprattutto quelle delle sue compagne che aiutava a rialzarsi dopo gli estenuanti combattimenti contro i batteri; tuttavia era la prima volta che lei aveva avuto la possibilità di stringere la mano a un globulo rosso, e così a lungo. In realtà, le era capitato una cosa simile tempo addietro, con quel simpatico eritrocita che non era riuscito a salvare dal feroce attacco di quei streptococcus pyogenes, per ben due volte e percependo due sensazioni differenti: un calore solidale quando l’aveva salvato per la prima volta dall’assalto di un pneumococco, molto simile a quella nei confronti delle sue compagne, e la morsa gelida della morte quando era stata costretta a lasciarlo tra le braccia della macrofago, sapendo bene che fine avrebbe fatto il suo corpo ormai inerme. Ma nessuna di quelle due sensazioni era così vicina a quella che stava provando: era d’una intensità maggiore, accogliente e confortante allo stesso tempo, una sensazione nella quale sentì la sua anima svuotarsi di ogni pensiero negativo e avvolta da un sentimento di profonda tranquillità che, in realtà, non era mai riuscita a provare fino a quel momento.

Questo era ciò che J-1178 stava provando mentre sfiorava con i polpastrelli delle dita libere il dorso della mano dell’altro. Quella mano era lo specchio dell’esistenza di quel giovane eritrocita dai modi gentili e che, allo stesso tempo, sembrava essere molto più maturo di qualsiasi altra cellula esistente in quell’organismo. Le stava infondendo forza e coraggio anche attraverso quel semplice contatto, riportandole alla memoria le parole che egli le aveva detto per spronarla: in quel drammatico momento lei si era sentita così piccola - proprio lei, che odiava essere definita “piccola” per via della sua statura - in un mondo immenso che, all’improvviso, era diventato un impervio labirinto pieno di situazioni che si erano evolute con un ritmo incalzante, di fronte al quale lei era stata costretta a fermarsi.

Aveva perso ogni cosa, la determinazione e anche il senso della sua vita, del lavoro che aveva iniziato con grinta perché non aveva paura di niente, perché le sarebbe bastato respirare e sopravvivere imbracciando la sua spada e gettandosi a capofitto nelle battaglie. Tuttavia, in quell’ambiente di lavoro non le era bastato avere una buona dose di grinta: ogni giorno e ogni ora, l’essere circondata da migliaia e migliaia di cadaveri di cellule che lei avrebbe dovuto proteggere aveva solo contribuito a far affievolire l’entusiasmo che provava per il suo lavoro. A cosa sarebbe servito continuare a combattere se la situazione non avrebbe fatto altro che peggiorare? Comunque sarebbe andata a finire una battaglia, ci sarebbe sempre stato qualcuno dei suoi simili che avrebbe perso la vita, mentre aveva imbracciato una spada per difendersi o aveva tentato la fuga in preda al terrore. La sconfitta della sua sorellona era stata la molla che aveva intensificato quei pensieri, dandole il colpo di grazia alla sempre più flebile speranza che quell’infausto ambiente di lavoro sarebbe potuto migliorare se ogni cellula avesse continuato a svolgere i suoi doveri.

Se non ci fosse stato quell’eritrocita, probabilmente lei non si sarebbe più risvegliata da quel profondo torpore nel quale era caduta, e che le aveva tolto tutte le energie per riuscire a vivere. Così, all’improvviso, i suoi occhi avevano ripreso vigore e le forze le erano tornate al punto da riuscire nuovamente a rialzarsi, stringere il manico della sua spada e affondare la lama nel corpo di un nemico per fermare la strage che aveva intenzione di compiere.

All’improvviso, J-1178 era tornata a essere se stessa. Si era sentita più sicura delle proprie capacità, soprattutto perché sapeva che - nonostante i suoi errori e le sue fragilità - c’era qualcuno che la stava osservando e che non aveva mai smesso di riporre fiducia in lei. Mai, in tutta la sua vita, aveva creduto che avrebbe avuto bisogno delle parole di qualcuno per andare avanti, e anche della sua vicinanza come stava avvenendo in quel momento...

... da quando la situazione si era capovolta? In teoria doveva essere lei un punto di riferimento per gli altri, impavida e sempre in grado di proteggere tutti, senza mai pensare che un giorno proprio lei si sarebbe mostrata vulnerabile e bisognosa d’aiuto, proprio lei che era una valorosa guerriera sulla quale tutti potevano fare affidamento quando erano in pericolo.

Tutto era cambiato, all’improvviso. Anzi... tutto stava ancora cambiando nella sua vita, perché così come non aveva mai pensato di sentirsi debole, allo stesso modo non aveva mai immaginato di incontrare lungo il suo cammino un globulo rosso che - paradossalmente - le sembrava più forte di qualsiasi altra cellula, perfino dei suoi stessi simili. Era bastato uno scambio di sguardi, vedere il suo dolce sorriso per capire che quell’eritrocita fosse diverso da tutti gli altri: dentro di sé celava un’incredibile forza, della quale era stato proprio lui a confidarle il come l’aveva ottenuta.

Una terribile e tormentata angoscia, che più volte lo aveva portato sul bordo del precipizio.

A quel pensiero l’albina staccò gli occhi dalla mano che stava stringendo tra le sue, senza lasciarla, e li puntò sulla cornice che si trovava sul comodino di fianco al letto, proprio dal lato dove stava riposando. Lì era racchiusa una fotografia che raffigurava quel globulo rosso con altri due compagni, che J-1178 non aveva mai visto con lui: a giudicare dalle espressioni felici che si stavano scambiando, probabilmente quei due erano suoi amici, o comunque colleghi di lavoro con i quali egli aveva avuto il piacere di lavorare; eppure, quando si era incontrata con lui, nulla di tutto ciò era emerso dal suo volto che sembrava nascondere un profondo turbamento dovuto a un grave evento. La piccola guerriera conosceva molto bene quel genere di espressione, perché era la stessa che anche lei aveva avuto quando aveva visto perdere la vita tutte quelle persone alle quali si era affezionata.

Nell’osservare quella fotografia, J-1178 sentì che il suo cuore saltò un battito.

E se anche lui...

In un attimo, l’albina aveva avuto la conferma delle parole che le aveva detto. “Sentirsi deboli e inutili, come se il mondo intero ti stesse rifiutando per le tue azioni”, “fallire e arrivare al punto di crollare psicologicamente”. Frasi che, ora che lei ci stava riflettendo meglio, lasciavano intuire che anche lui, probabilmente, aveva vissuto il suo stesso inferno. “Guardare impotenti tutto ciò che stava accadendo”, senza avere la forza di reagire perché qualsiasi altro passo poteva diventare pericoloso per l’intero organismo; trovarsi in mezzo a una scia di cadaveri di persone un tempo amiche e sentirsi crollare il mondo addosso perché non si era stati in grado di salvarle, arrivando a rifiutare di trovare un senso ai propri doveri lavorativi perché, all’apparenza, che tu esistessi o meno, che tu lavorassi o meno, la tua esistenza è futile per questo organismo. Quante volte lei aveva pensato questa frase mentre si trovava in quell’ospedale, rannicchiata in un angolo del corridoio con la testa sulle ginocchia strette al petto, senza più pregare per l’arrivo di un miracolo o solo chiedersi la ragione della sua esistenza...

In quel momento J-1178 si rese conto che anche lui, probabilmente... forse sicuramente, aveva perso qualcuno di molto importante, come lei aveva perso quel simpatico eritrocita che aveva conosciuto all’inizio della sua attività, aveva perso molte delle sue compagne ed era stata a un passo dal perdere anche la sua adorata sorellona. Immaginò che la vita di quel fattorino non doveva essere stata molto diversa dalla sua: viaggiare in un mondo devastato fin dal primo giorno di lavoro, con l’entusiasmo che era calato di giorno in giorno fino quasi ad azzerarsi, perdendo colleghi e amici in modo crudele e improvviso...

E, all’improvviso, si rese conto del grande insegnamento che quei pensieri le stavano dando. In realtà, i globuli rossi - come lui - e quelli bianchi - come lei - non erano tanto diversi tra loro. Erano diversi per il loro aspetto fisico e per i rispettivi lavori che svolgevano; potevano esserlo per il loro carattere, ma di certo non lo erano mai stati riguardo il loro vissuto, le loro emozioni e sensazioni di fronte a determinati eventi.

Quel giorno, quell’eritrocita non le aveva detto quelle parole per caso. Non le aveva dette solo per spronarla, ma perché sapeva meglio di chiunque altro il peso che quelle parole avrebbero avuto su di lei: le era bastato guardarla dritto negli occhi per comprendere la grande sofferenza che stava portando nel suo cuore... perché anche lui ci era passato, e per questo ci teneva a darle una mano per risollevarla. Forse lo aveva fatto anche per cercare di redimersi per i suoi errori, ma le sue intenzioni erano sincere: lo aveva fatto per aiutarla, perché aveva riconosciuto il suo valore e le sue capacità, ma soprattutto perché non voleva vederla in quello stato.

“Non devi avere paura, perché tutti commettono degli errori: nessuno è perfetto, e nessuno è invincibile”. Era questo ciò che lei aveva percepito da quelle parole di conforto: lui non l’aveva mai guardata con giudizio ma proprio come un suo pari, senza prenderla in giro o maledirla per le sue debolezze e le azioni sbagliate.

J-1178 aveva sentito di poter fidarsi di lui, perché in fondo erano molto più simili di quel che credevano. Con lui al suo fianco, era certa che non avrebbe avuto più paura di nulla: il mondo sarebbe stato sempre sterminato, dai mille e complessi labirinti, ma ci sarebbe sempre stato qualcuno che avrebbe creduto in lei, nonostante tutto.

L’albina tornò a guardare quella mano forte e calda e con un sorriso la avvicinò al suo petto; solo allora chiuse nuovamente gli occhi. Aveva avuto la tentazione di voltarsi verso di lui per vedere la sua espressione, se fosse stata serena o triste, ma non l’aveva fatto: per come era stretto quel letto, aveva timore che qualsiasi movimento all’indietro lo avrebbe involontariamente scaraventato a terra.

Nonostante ciò, quando chiuse gli occhi strinse ancora di più quella mano che era intrecciata alla sua. Questa volta, sarebbe stata lei a ricambiare quel gesto forse involontario e avvenuto in pieno sonno, ma che attraverso il quale voleva restituire quella vicinanza e affetto che le stava trasmettendo.

In fondo, se era vero che erano così simili... a sua volta, anche lui avrebbe avuto bisogno di qualcuno con il quale poter confidarsi, ed essere confortato ogni volta che la disperazione avrebbe preso il sopravvento.

 

Sono qui... e se vuoi, posso continuare a restare accanto a te, così quando vorrai piangere... io ci sarò.

 

 

 

Quando riaprì lentamente gli occhi, la prima cosa che le orecchie di J-1178 udirono fu un messaggio proveniente dall'esterno dell'abitazione, mentre in sottofondo c’era una rilassante melodia, diversa da quella con la quale si era addormentata.

[Buongiorno a tutte le cellule che stanno per terminare il loro riposo: ci auguriamo che il vostro riposo sia stato soddisfacente. A breve entreremo nella fase diurna, per questo preghiamo chi sta per finire il turno di...]

Ma la leucocita non se ne curò più di tanto. Era un messaggio che ormai aveva imparato a memoria e sapeva che era giunto il momento di alzarsi dal letto, ma in quell’attimo non aveva voglia di farlo. Il calore di quel giaciglio e della mano che era ancora intrecciata alla sua, unita alla vicinanza del globulo rosso che, con un braccio che cingeva ancora la sua vita, aveva finito per appoggiare la testa sulla sua spalla, tutte queste cose stavano suscitando in lei una piacevole sensazione che voleva interrompere il più tardi possibile.

In quel letto, accanto a lui, l’albina si stava sentendo bene. Chissà se anche lui sta provando lo stesso, si chiese con un piccolo sorriso che era affiorato tra le sue labbra.

J-1178 girò leggermente la testa verso l’eritrocita e, riprendendo ad accarezzare la sua mano, gli sussurrò con tenerezza: «Credo che dobbiamo iniziare ad alzarci...» anche se non mi dispiace restare qui ancora per un po’, aggiunse in pensiero.

Rimise la testa sul cuscino, senza smettere di sorridere. Aveva ragione: il pavimento non avrebbe fatto lo stesso effetto...

E, proprio in quel momento, sentì un mormorio provenire dalle sue spalle, seguito da alcuni movimenti che iniziarono a muovere i cuscinetti del materasso: segnali che le fecero subito capire che anche quell’eritrocita si stava svegliando. La piccola guerriera non era certa se fossero state le sue parole a ridestarlo da quel torpore, ma fu lieta che anche lui si stesse svegliando: almeno, in questo modo avrebbe potuto lasciare la sua mano con serenità...

«Dormito bene?»

La dolce voce con la quale il fattorino le si era appena rivolto rasserenò ancora di più l’albina. «C’è solo un problema.»

«Quale problema?»

«Come fate voi globuli rossi ad alzarvi dal letto dopo un riposo del genere? È fin troppo rilassante... mi sembra di aver dormito un’eternità.»

Una leggera risata sfuggì dalla bocca dell’eritrocita, che subito replicò: «Sono davvero contento che tu abbia apprezzato. Però hai ragione, ora è davvero un bel problema: se non ci alziamo subito, rischiamo di fare tardi al lavoro.»

«Quindi anche tu, in realtà...»

«Se devo essere sincero, oggi non ho voglia di alzarmi dal letto. È strano, di solito sono un tipo mattiniero, ma oggi anch’io mi sento fin troppo rilassato...»

«Che poltrone!» esclamò lei divertita. «Se non ti muovi ad alzarti dal letto entro cinque secondi, lo farò io per te. Ma suppongo che tu non vorresti andare a lavoro con un bernoccolo in testa a causa di una caduta assolutamente accidentale dal materasso, corretto?»

Entrambi scoppiarono a ridere, e l’eritrocita si decise a lasciare la mano della piccola guerriera che, però, gliela strinse con più forza.

«Solo un momento, per favore» sussurrò l’albina, le sue guance leggermente rosse. «Possiamo alzarci nello stesso momento, e poi lasciarci la mano?»

Dopo qualche secondo di silenzio, arrivò la risposta. «Va bene... hai paura di cadere dal letto mentre mi alzo?»

Lei scosse la testa. Non ebbe più paura di confidare ciò che stesse provando all’eritrocita, anche se l’imbarazzo per ciò che stava per dire continuava a impossessarsi di lei e a colorire ancora di più le sue guance. «Diciamo che qualcuno di mia conoscenza mi sta ancora trasmettendo l’energia necessaria per svolgere bene il mio lavoro... e non voglio che si interrompa di colpo. Ne ho ancora bisogno... perché so che non sarà mai abbastanza» e penso che sia lo stesso anche per te...

Come aveva previsto - e sperato - il globulo rosso acconsentì alla sua richiesta senza dire una parola. Quando J-1178 si voltò verso di lui prima di lasciargli la mano, il suo volto raggiante di serenità fu per lei un’ulteriore conferma del fatto di trovarsi di fronte a una persona straordinaria, una cellula pronta a darle nuova forza per sostenere la ragione per la quale stesse lottando ogni giorno.

Grazie a lui, aveva ritrovato la gioia di vivere.

 

 

 

«Allora io vado. È stato un piacere essere tua ospite.»

Dopo essersi vestita, prima di aprire la porta dell’appartamento per uscire, J-1178 ringraziò con un piccolo inchino l’eritrocita; quest’ultimo, che nel frattempo aveva fatto la stessa cosa, ricambiò con un dolce sorriso.

«Quando vuoi: adesso sai dove abito...» disse lui.

«Non preoccuparti, non voglio disturbarti ancora.»

«Nessun disturbo, davvero.»

«Sai... col senno di poi, forse è meglio così: meglio se non approfitto della tua gentilezza...» La leucocita abbassò la testa e si guardò la punta delle scarpe. Si sentì nuovamente in imbarazzo per quel discorso che stavano facendo: già il solo parlarne la stava mettendo a disagio, nonostante sapeva che in realtà nessuno dei due aveva fatto qualcosa di male.

«Ti stai preoccupando del fatto che qualche cellula dendritica potrebbe averci visto?»

La piccola guerriera si sforzò di annuire. Ancora una volta, l’eritrocita era riuscito a leggerle nel pensiero, capendo cosa la stesse turbando in quel momento.

«Concordo» continuò lui, «le dendritiche sono imprevedibili quando si tratta di queste cose. Danno così tanto di quelle noie in tempo di pace, con la scusa delle fotografie che servono in caso di guerra... ma tu non devi preoccuparti di loro. Da cellula dell’immunità dovresti sapere meglio di me quali sono i loro punti deboli, in modo tale da avere un’arma in più per difenderti dalle loro malelingue. Inoltre sei molto più forte di loro: secondo me basterà solo il tuo sguardo minaccioso per intimorirli!»

Le ultime parole colpirono la piccola guerriera nel suo animo: era la prima volta che qualcuno, che non fosse una sua compagna di lavoro o una sua amica, la stesse valutando per la forza che celava dentro di sé. «D-Dici?» chiese con enorme sorpresa. «Sono davvero così forte... per te?»

«Lo sei. Mi è bastato guardarti negli occhi per capire che sei molto in gamba. Non pensare che gli altri lo siano più di te per via della loro altezza: quella non conta affatto, conta il coraggio e la determinazione che dobbiamo mettere nel lavoro che svolgiamo ogni giorno.»

Alla leucocita mancò la voce, e poche lacrime avevano iniziato a rigare il suo volto: erano lacrime di gioia, un’emozione che stava scaldando il suo cuore e stava facendo fuoriuscire le sue emozioni da esso. J-1178 fece una gran fatica a combattere contro la tentazione di gettarsi nel petto del globulo rosso e con un abbraccio ringraziarlo per ciò che aveva appena detto: era una guerriera, e per lei non sarebbe stato opportuno uno sfogo del genere; doveva mantenere un comportamento il più possibile equilibrato, perché andava ancora bene l’essersi aperta di più con lui, ma manifestare nei suoi confronti un cedimento emotivo di tale portata... no, non era adatto a un globulo bianco qual era.

Tuttavia il volto dell’albina continuava a tradire le sue emozioni e l’eritrocita si accorse delle sue lacrime, così egli ridusse le distanze e le strinse la mano con dolcezza. «Scusami, non volevo farti piangere...»

La piccola guerriera chiuse gli occhi di scatto e con un sorriso ritrasse la mano. «N-No... ti sbagli: io non stavo affatto piangendo! Mi è entrata della polvere negli occhi, e...»

«Polvere negli occhi: un grande classico. Capisco, in effetti ogni tanto capita anche a me, specie se mi succede qualcosa di bello...»

«Ecco, appunto: quando succede qualcosa di bel–» L’albina troncò la frase, rendendosi conto che quel globulo rosso le stava reggendo il gioco senza prenderla in giro: ancora una volta, egli era riuscito a capire cosa stesse provando. Si asciugò gli occhi e, con lo sguardo fisso su di lui, riprese a parlare con maggiore sicurezza: «Comunque, tornando al discorso di prima, se... se un giorno volessi venire a casa tua, ma non ti trovo? Di certo non posso entrare dalla finestra...»

«Certo che sì: sei un globulo bianco, hai il diritto di farlo.»

«Sì, ma non per dormire... di sicuro mi becco una strigliata dal quartier generale se entro in casa d’altri senza autorizzazione!»

«Puoi adottare la stessa strategia di noi globuli rossi, quando vogliamo staccare un po’ dal lavoro. Vedi, quando noi–»

Il suo discorso venne interrotto dal rumore del walkie-talkie di J-1178, che stava trasmettendo un messaggio di aiuto da parte delle sue compagne. «Mi sa che devo andare» sussurrò lei, riponendo l’oggetto nella custodia legata alla sua cintura. «E non importa: mi racconterai della vostra strategia la prossima volta che ci incontriamo... così avrò un pretesto per presentarmi a casa tua senza destare sospetti!»

«Non avevo dubbi che avresti risposto così.»

Il fattorino la precedette e le aprì la porta dell’appartamento, invitandola a uscire prima di lui; dopodiché i due si ritrovarono nuovamente dove si erano incontrati la sera precedente, e prima di separarsi si strinsero la mano in segno d’amicizia.

«Stammi bene» disse l’eritrocita con sguardo fiducioso.

«Anche tu» rispose J-1178. Con le mani nella tasca della giacca gli voltò le spalle e si allontanò da lui a passo svelto, nella direzione indicata dalle sue compagne poco prima. Non appena svoltò l’angolo della strada, con grande sorpresa l’albina si scontrò inavvertitamente proprio con loro, che la stavano aspettando in quel punto con le braccia conserte e uno sguardo malizioso.

«E così...» iniziò la leucocita dai capelli verdi, «era quello il motivo per il quale non potevi venire ieri sera, eh?»

«Che furbetta» continuò la bionda, «e pensare che c’eravamo quasi cascate!»

L’albina alzò un sopracciglio, piuttosto sorpresa. «Voi due... non mi avete appena chiamato per un’emergenza?»

Le sue compagne scoppiarono a ridere, e iniziarono a punzecchiarla. «La cosiddetta “emergenza” è che tu ci stessi mettendo fin troppo tempo per venire qui!» rispose la bionda.

«E, dato che ci stavamo annoiando, abbiamo pensato di fare un giro in questo quartiere per capire dove fossi finita» aggiunse l’altra che, dopo aver socchiuso gli occhi e portato una mano sulla bocca per trattenere le risate, proseguì: «Sbaglio, o sei appena uscita da un appartamento con un eritrocita?»

«Non è da te» commentò la bionda. «Qui gatta ci cova...»

«Allora? Credo che dovresti darci delle spiegazioni.»

«Spiegazioni molto dettagliate dato che probabilmente ci sei rimasta per tutta la notte, a giudicare dall’orario mattutino.»

«E questa volta non si accettano scuse! Di tempo ne abbiamo a volontà: staremo insieme per tutto il giorno!»

Per un attimo cadde il silenzio, durante il quale J-1178 restò con lo sguardo assente e immobile, quasi pietrificata; dentro di sé cercò di contare fino a cinque prima di uscire da quello stato di apparente calma nel quale era caduta.

Mi hanno vista... mi hanno vista... queste due mi hanno vista! Non dovevo preoccuparmi delle cellule dendritiche, ma di loro! Giuro che se spargono la voce al quartier generale, io...

Prese un profondo respiro, come se avesse voluto distendersi e liberarsi dal nervosismo che la stava assalendo sempre più, impugnò il manico della spada e con un sorriso apparentemente gioioso mormorò: «Facciamo finta che, per ora, voi due non avete visto niente. Ok?»

Infine si girò di scatto e tagliò l’aria con la lama, in direzione di un cassonetto che subito si divise in due con estrema precisione. Il colpo fu talmente potente che le due amiche non le dissero più nulla e si guardarono negli occhi con sempre più crescente preoccupazione.

Il messaggio che la loro compagna aveva appena lanciato era stato molto chiaro: forse, quella non sarebbe stata la giornata ideale per farle altre domande sull’argomento altrimenti sarebbero finite esattamente come quell’innocente cassonetto, la cui unica colpa era stata quella di trovarsi nel luogo e nel momento sbagliato.

Le due si avvicinarono a J-1178, e insieme continuarono la giornata senza riprendere l’argomento: la conoscevano molto bene ed entrambe erano certe che, prima o poi, la loro amica si sarebbe confidata con loro... oppure che sarebbero stati i fatti a parlare al suo posto.

Sarebbe bastato attendere.

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Prima di iniziare, un ringraziamento particolare va a Sailor che, oltre a essere una fan dei protagonisti di questa storia, è l'autrice di questo splendido disegno che, in realtà, è stata la goccia di energia che ha generato il testo che avete letto. Senza quel disegno, forse il cuore di Totsuzen non sarebbe mai nato, per cui grazie davvero. :')

In realtà la fic in sé ha molte differenze con il disegno (ho fatto riposare i due protagonisti su un letto, molto più comodo del tatami! :3), però alla fine il significato è lo stesso. E qui passiamo al titolo della storia: “Totsuzen” 「突然」in giapponese vuol dire “all’improvviso”, e fa riferimento a questa frase 「でも突然、不意に…」(“Ma all’improvviso...”) che altro non è che la traduzione in giapponese di una parte del testo di How Does It Feel di Avril Lavigne, canzone intorno alla quale ruota la parte centrale di questo mio scritto. Per questo motivo, a inizio storia vi ho inserito il link di una cover molto bella di questa splendida canzone che ancora oggi ascolto con piacere. :3

Per una volta ci tenevo a scrivere qualcosa di più allegro con la nostra J-1178 come protagonista. Idiots never survive e Il peso di una vita sono state fin troppo piene di angst; purtroppo il contesto nel quale questo personaggio si trova non ispira molte idee allegre, dunque questa volta ho cercato di scrivere qualcosa di più leggero per dare una gioia al fandom dopo la precedente batosta. (E ci sono riuscita, non ci credo! XD)

Per il resto, chi conosce la serie ed è in pari con le uscite giapponesi sa già a cosa ho fatto riferimento in questo testo. Capitolo 39: avevamo lasciato la piccola leucocita che era corsa in soccorso dei suoi amici, dopo l'incontro che aveva avuto con il globulo rosso DA4901 che era riuscita a incoraggiarla a rialzarsi e sfoderare di nuovo la sua spada. E poi tutto è bene quel che finisce bene, fine. Cioè... fino al capitolo 40, ma fortunatamente questa storia si colloca prima del capitolo 40; così tutti vivono ancora felici e contenti, e anche noi lo siamo insieme ai sopravvissuti. ;D

Insomma: metti ciò che è successo in quel capitolo, mescolalo con alcune fanart che ho visto in giro - tra le quali quella che vi ho indicato all'inizio delle note... e questo è il risultato. Dite che forse ho spinto leggermente sul pedale della ship, questa volta? Forse, ma non me ne pento anzi: a me loro due piacciono insieme, che siano colleghi, semplici amici o potenziali partners in love. :3

Un paio di note su questa storia: la prima riguarda le compagne della protagonista. Per chi non lo sapesse, sono le stesse che compaiono sulla copertina del volume 4 del manga: nella serie compaiono in diverse occasioni al suo fianco - per cui ho pensato che fossero sue compagne - e in quella copertina sono ben visibili i colori dei loro capelli, mentre riguardo il loro carattere... beh, quello è completamente di mia invenzione, dato che parlano poco e niente. :3

La seconda nota riguarda il dove dormono (o, meglio, si riposano) i leucociti. Ci sono delle differenze tra uno spinoff e un altro di Cells At Work, a dire il vero: nel BLACK non viene specificato però, essendo una serie molto simile a quella principale, ho preso ispirazione direttamente da quella; in una scheda di approfondimento collocata alla fine del capitolo 22 di CaW, si vede il protagonista (U-1146) riposarsi in uno degli accumuli marginali, con le gambe accavallate e le mani dietro la nuca. A quanto sembra quell'angolo è davvero così comodo per un globulo bianco, dato che in quell'immagine di riferimento U-1146 sembra essere molto rilassato... :D

Viceversa, gli appartamenti dei globuli rossi esistono davvero nel BLACK. In diversi capitoli del manga (07, 08 e 44) ci viene mostrato qualche esempio delle loro abitazioni: sono semplici monolocali, simili a quelli delle cellule comuni, con tanto di angolo cucina, scrivania con telefono fisso, e un bel letto abbastanza comodo per riposarsi! Nel capitolo 44 in particolare il letto è davvero a una piazza e mezza... e l'aspetto buffo di questa faccenda è che io ho scritto la parte del letto prima dell'uscita del capitolo (il 10 dicembre): molto curiosa come coincidenza, non trovate? XDD

Detto questo, non ho nient'altro da aggiungere... se non che questa è la mia ultima storia dell'anno, e per questo volevo dedicarla a tutte quelle persone che ho incontrato grazie alla comune passione per questa serie: a loro, a coloro che stanno seguendo questa serie da molto o poco tempo, e a tutti quelli che si addentreranno in essa con l'anime che uscirà tra qualche giorno, auguro tanto coraggio e forza per affrontare l'anno che verrà, proprio come farebbero i vari protagonisti.

Alla prossima, nella speranza che il finale della serie (il cui ultimo volume è stato annunciato per il mese di febbraio del 2021 ;___;) possa regalarci molte soddisfazioni, e altrettante lacrime - quelle ormai non mancano, LOL!

--- Moriko

 

 

   
 
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