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Autore: Rowan Fox    01/01/2021    0 recensioni
La loro esistenza poteva essere descritta come galassie lontane costellate da miliardi di stelle e destinate a non incontrarsi mai. Eppure, per qualche motivo, in uno scontro così casuale, due universi paralleli s’incrociarono per la prima volta.
Da un lato, Jessica alla ricerca di un nuovo inizio con l’ottimismo e la voglia di ricominciare, indifferente delle brutte cadute, delle lacrime e del dolore e col sorriso pronto ad illuminarle il volto. Dall’altro, come il riflesso di uno specchio, Rachele con il suo inferno fatto di rabbia e fragilità, con il terrore di perdere tutto ciò che le copre le spalle come un mantello pesante, sempre col suo sguardo gelido e la battuta pronta.
Opposto alla loro normalità si stagliava un mondo fatto di riflettori e l’asfissiante calore del palcoscenico, l’incessante bisogno di indossare una maschera, rinchiusi in una gabbia dorata alla quale, con le proprie mani, è stata gettata via la chiave. Alla disperata ricerca dei propri sogni e nello struggente desiderio di costruire il proprio futuro, con le lacrime ad offuscare gli occhi ed il sudore ad imperlare la pelle per vivere quegli attimi di pura euforia.
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jeon Jeongguk/ Jungkook, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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I

DeSantis Jessica
 
 
 
Una volta ebbe la possibilità di incontrare una giovane professoressa che le lasciò un marchio indelebile nel cuore. Questa donna rappresentava per Jessica un punto di arrivo, il risultato di un lungo viaggio. Quest’insegnante non era né giovane né vecchia, era fresca e, nonostante i pochi anni, aveva il suo bel bagaglio di esperienze che si potevano leggere nelle piccole rughe d’espressione intorno agli occhi e alle labbra e nei fili argentati, che s’intrecciavano con quelli rosso fuoco della sua chioma riccia. 
«La vita è come un viaggio in treno.» disse quel giorno d’inverno la supplente del loro insegnante di letteratura. La sua voce cristallina comandava attenzione ed aveva ammutolito tutti con il suo luminoso sguardo nascoso dietro a, grandi quanto delicati, occhiali. «Questo è un modo per poterla spiegare: ogni stazione rappresenta un punto cruciale della propria vita, un crocevia, dove ogni fermata simboleggia una decisione importante.». Il sorriso che arricciava le labbra della professoressa era malinconico quanto dolce, sembrava assorta nei ricordi con gli occhi persi nel vuoto e velati da una patina di lacrime che non avrebbe mai versato davanti a loro.
«Penserete che questo paragone sia limitativo, banale o fin troppo semplice per definire la complessità, ma un giorno vi accorgerete. Vi garantisco, non è poi così sbagliato. Pensate! Se scendete alla fermata sbagliata, vi ritroverete in un posto sconosciuto… girerete in lungo ed in largo per quella stazione alla ricerca di qualcosa che sembri famigliare, solo per rendervi conto che non è il posto giusto. Oppure, i vagoni passeggero possono essere vuoti o stracolmi, a seconda del tipo di persona che siete; questi possono rappresentare coloro a voi cari o sconosciuti che costellano la vostra vita come le stelle abbelliscono il cielo.». Quelle parole sembravano aver catturato l’attenzione degli studenti, un evento alquanto strano per una classe scalmanata come quella di Jessica, ma nessuno poteva negare la verità che quella donna stava condividendo con loro. L’emozione, che si poteva leggere tra le righe, faceva vibrare delle corde nel suo cuore ancora infantile, sembrava toccare certi tasti dolenti della sua anima ed il bisogno di piangere si fece notare, con la ferocia di un incendio estivo. Le lacrime salate premevano contro le palpebre alla ricerca della libertà, volevano rigarle il volto e lasciare, dietro di loro, solchi sulla pelle arrossata dai sentimenti.
«La carrozza ristorante è un luogo dove fare nuovi incontri e riposare, godersi un buon caffè e, magari, uno di qui tramezzini troppo costosi e per niente buoni; magari incontrerete l’amore della vostra vita, il migliore amico, il vostro peggior nemico… Lì avrete la possibilità di fermarvi e chiarire tutte le vostre incomprensioni, dove potrete litigare, iniziare o finire un’amicizia, sapendo bene che una volta usciti, vi lascerete alle spalle un paragrafo della vostra vita.» 
Jessica non riusciva a ricordare il nome di quella professoressa, solo che insegnasse storia, che fosse fresca di laurea e che si avvicinasse alla trentina in modo pericoloso. Guardandola, però, si rese conto che quella lezione, iniziata lasciandosi dietro una scia di annoiate affermazioni sui capitoli studiati, non era un modo per stroncare la monotonia ed alleviare quei pochi minuti prima delle vacanze. No… era più un messaggio, che pochi avrebbero colto ed ancor meno sarebbero stati quelli a ricordarlo anni più tardi quando, dopo decine di fermate sbagliate, alcuni avrebbero ripreso quel travagliato viaggio che era la vita, diretti alla destinazione finale; altri invece, avrebbero continuato a bazzicare le fredde banchine di stazioni sconosciute alla continua e disperata ricerca del binario giusto.
«Ognuno di noi ha cominciato il proprio viaggio nello stesso momento in cui ha preso la prima boccata d’aria, riempiendosi i polmoni d’ossigeno e gridando al mondo la propria presenza. Ogni deragliamento, causato dai più grandi, verrà riportato sulla giusta via, perché tutti abbiamo un obiettivo da raggiungere, nel bene e nel male, però sta a noi decidere se siamo disposti ad arrivarci. Con ciò, non dico che sarà facile perché fare quelle scelte sbagliate lascia cicatrici sulla nostra anima, indelebili quanto profonde, ma rendono unico il nostro percorso, nonostante questo sta a noi scegliere se le vuote promesse di una terra che non c’è siano migliori rispetto al nostro vero scopo. Chissà… forse, lasciandosi trasportare, si potranno ammirare dei panorami mozzafiato.» Quelle ultime parole della rossa, che sapevano di finalità, donavano una sorta di speranza che, in un futuro incerto, i giorni bui potranno giungere al termine, che certe volte restare ad aspettare non era poi così sbagliato e, forse, avrebbe portato i suoi frutti.



 
***



Quel ricordo di qualche anno prima le frullava per la testa, riportandole alla memoria emozioni ormai dimenticate; chissà… forse quella scelta non era poi così sbagliata, forse non se ne sarebbe pentita, forse il suo viaggio iniziava davvero solo in quel momento. “Troppi forse” pensò la giovane ragazza storcendo leggermente il naso.
Jessica aprì, finalmente, i suoi grandi occhi scuri e fissò un punto indefinito davanti a sé. La vista, ancora appannata dalla stanchezza, si schiarì lentamente e mise a fuoco una fila di sedili vuoti. Un sole morente infuocava il cielo all’orizzonte, mentre sfumature di arancio e rosso combattevano una battaglia ormai persa contro gli azzurri ed i violetti della sera ed era così bagnata da quei colori, quasi ultraterreni, che si svegliò dal suo stato di dormiveglia nel quale si era immersa dal momento stesso in cui si impossessò di quella panchina. La musica la isolava dal mondo esterno, ma, ne era più che certa, non era ancora giunta la sua ora, non quando poteva vedere con la coda dell’occhio sua madre discutere di questo o di quell’altro con Lorenzo. Sprofondò ancor di più nella sua amata giacca di pelle e prese il telefono. Sospirando notò l’orario prima di andare a sfogliare la bacheca dei suoi vari social; pochi messaggi e nessuno veramente importante, ad esclusione del fai un buon viaggio da parte di suo padre e un mi raccomando! Voglio tante foto non appena arrivi da parte di sua sorella.
Le dolci note di Demons degli Imagine Dragons si intrufolarono nei suoi pensieri, rallentandoli e facendola respirare per un momento e, lì seduta su quella scomodissima sedia con il sedere intorpidito e con gli occhi che le bruciavano dal sonno, comprese che ne valeva la pena. Una pagina pulita pronta per essere usata, sporcata dalle parole che avrebbero composto quel nuovo capitolo della sua vita, lasciandosi alle spalle quelle bozze piene di rosso in cambio di quella ventata d’aria fresca che sapeva di possibilità.
«Ma’, io vado a prendere qualcosa alle macchinette.» disse Jessica alzandosi a fatica da quel nido che si era creata tra valigie, vestiti e borse varie, col telefono in una mano mentre con l’altra si massaggiava le natiche indolenzite. In risposta ricevette un leggero calcetto al polpaccio da parte della madre, a segnalarle il suo consenso, mentre Lorenzo, il compagno della donna, le lanciò un assonnato stai attenta. Le note finali della canzone la accompagnarono durante quei primi lenti passi, lasciandosi dietro quel bozzolo di sicurezza, con le mani nelle tasche, le spalle tese ed il viso che, pallido come un cencio, annunciava al mondo con un grido silenzioso il suo malessere. 
Non era abituata ai lunghi viaggi, men che meno all’aereo, di conseguenza quella sua prima esperienza l’aveva portata a provare sulla propria pelle i vuoi d’aria e le forti turbolenze facendole avere il cuore in gola e lo stomaco sotto al sedile per gran parte del tragitto, ed ora quella lunga attesa per il secondo imbarco. Ricordava ancora con imbarazzo come, durante il ritiro dei bagagli, si fosse inginocchiata davanti al nastro trasportatore e avesse ringraziato Gesù e la Madonna per averla fatta sopravvivere; sarebbe andata oltre, enunciando i nomi di svariati santi, se non fosse stato per sua madre che, con insistenza, l’aveva fatta rialzare pregandola di smetterla di rendersi ridicola. Jessica sospirò portandosi una mano al volto, sentiva come le guance le andavano a fuoco e solo il brutto rossore era assente all’appello per completare il quadro della disagiata.
“Solo quello ci manca”, pensò la ragazza mentre si metteva in fila davanti ai distributori. Spostava il peso da una gamba all’altra come scusa per adocchiare sin da subito la sua preda, non che ci fosse una grande offerta, sembrava che tutto fosse finito. Persa nei meandri oscuri della sua mente, canticchiando sottovoce una delle tante canzoni che pullulavano la sua playlist, non si rese conto di come la fila di fronte a sé fosse pian piano diminuita fino ad arrivare al punto che nessuno occupava più la sua visuale su quell’aggeggio capriccioso che avrebbe posto fine ai lamenti disumani del suo stomaco. Non si era nemmeno accorta di quanto il numero di persone dietro di sé fosse aumentato a dismisura e andò avanti così per pochi attimi ancora, finché non si sentì picchiettare sulla spalla ed il suo cuore iniziò a galoppare come uno di quei cowboy che rincorrevano l’orizzonte alla ricerca del loro destino. “Il mio destino sarà una tomba, ne sono certa” quel pensiero le spuntò come un’insegna al neon nel bel mezzo della notte, mentre con occhi sgranati fissava il dio dietro le sue spalle. 
«Are you going to…?» l’inglese di Jessica non era il più fluente però, dopo anni che le avevano fatto sorbire finte madrelingua e ore di ascolto dove non si capiva nulla, riusciva a comprendere perfettamente quando aveva fatto l’ennesima figuraccia. Dopotutto come poteva definirsi quel momento in cui lei aveva le cuffiette tra le dita, gli occhi sgranati ed il viso rosso pomodoro? 
Il ragazzo, o uomo?, che aveva infranto la sua cupola ed invaso il suo mondo, era alto coi capelli scuri e ricci, gli occhi scuri e trasudava sex appeal peggio di un modello di Dolce e Gabbana; un essere al quale la ragazzina dentro di lei stava già erigendo un altare sul quale sacrificare i suoi neuroni nel vano tentativo di venerazione. Il suo nuovo marito, El l’avrebbe invidiata a lungo per quella sua scoperta, ma… con orrore si rese conto che le sue fantasie erano fin troppo in tempo reale e se prima stesse andando a fuoco, ora avrebbe voluto solo trovare un posto dove sotterrarsi e morire serena. 
“Oh. Mio. DIO.”
Come si faceva a sopravvivere ad un’alzata di sopracciglio così perfetta? C’era da qualche parte un manuale su come ricomprare la propria anima? Perché era sicura di averla appena venduta per quel ghigno. “Ok, no, la mia vita finisce oggi. Sono sicura che i titoli in prima pagina saranno uno spasso”Jessica si affrettò a compiere quelle tre o quattro falcate che la separavano dalla macchinetta, le buttò dentro quei pochi euro che aveva nella tasca riuscendo persino a perdere qualche centesimo sotto di essa, e, tra lo spazientita e l’imbarazzata, sbuffò in attesa del suo succo e dei suoi biscotti. Prese il tutto, facendosi pure male al polso, e scappò con l’immaginaria coda fra le gambe. In poco tempo era già davanti a sua madre e al suo fidanzato, fiatone compreso. Ancora mortificata, si buttò sulla sua sedia e sgranocchiando i suoi biscotti alla vaniglia ritornò col pensiero alla divinità che aveva appena abbandonato, naturalmente solo dopo avergli regalato un indimenticabile ricordo, chiedendosi quale fosse la sua meta.



 
***



Si era addormentata con un biscotto in mano ed ora sua madre aveva materiale a sufficienza per prenderla in giro per i prossimi cinque anni. Lorenzo aveva avuto pietà di lei ed era riuscito ad impedire a quella donna di farle anche un video, evitando così di mostrare al mondo intero quanto ridicola potesse diventare certe volte. In verità non le dispiaceva poi così tanto, in una foto era persino uscita carina ed aveva deciso di postarla appena avesse avuto una connessione decente.
Quel secondo imbarco fu meno traumatico del precedente, più lungo ed altrettanto stressante. Il suo posto era sul lato finestrino, almeno questa volta poteva guardare fuori e vedere qualcosa, ma chi voleva ingannare… sarebbe morta soltanto fissando quel buco coperto di vetro con la coda dell’occhio. “Le vertigini, una brutta bestia.”
Se da un lato tutto era andato liscio come l’olio, escludendo quel momento sugli scalini dove ci mancava poco e diventava un tutt’uno con la pista, dall’altro andava tutto male per svariati motivi: uno, era stata separata dai suoi finendo con l’avere un posto in fondo rispetto a quelli richiesti durante la prenotazione; due, i suoi vicini erano una coppia sul piede di guerra, se non si vogliono prendere in considerazione i bambini che schiamazzavano sui sedili di fronte a lei. Lorenzo le aveva timidamente suggerito di guardare il lato positivo; lei, zombie ambulante qual era, lo aveva fissato con lo sguardo più vuoto che riuscisse a tirar fuori dicendogli che non esisteva, non poteva esistere.



 
***


 
Forse era stato il succo che aveva bevuto tutto d’un fiato o quella pillola alla valeriana che le aveva passato sua madre ad aver reso quelle otto ore di volo praticamente inesistenti. Si era svegliata di soprassalto soltanto quando l’aereo aveva toccato terra, il cuore a batterle nel palmo della mano mentre, con sguardo assottigliato, fissava le hostess poco più avanti che, con quel loro sorriso da copertina, ringraziavano i passeggeri di aver usufruito della loro compagnia. Il suo telefono era morto chissà quante ore prima e, solo grazie a quella pecca, riuscì a sentire gli ultimi applausi ed il vociare della gente. Doveva affrettarsi a scendere? Certamente no, avrebbe dovuto attendere la discesa di almeno un centinaio di persone, con i suoi bagagli a mano e sua madre ancora tra le braccia di Morfeo. Il volume e la confusione erano andati crescendo nei successivi minuti, ma lentamente la folla stava diminuendo.
Aveva incrociato lo sguardo assonnato di Lorenzo mentre si aggiustava lo zainetto sulle spalle e, cercando di evitare inutili e brutte decorazioni sulle sue anche, si era fatta strada sul lungo e stretto corridoio ed aveva raggiunto i due in testa all’aereo. Un altro sorriso da pubblicità della Colgate ed un buon viaggio dopo, si chiese per quale miracolo fosse capace di reggersi in piedi. Sembrava quasi che stesse fluttuando. Il sole da quella parte del mondo aveva già deciso di odiarla, nonostante le avesse già incenerito gli occhi, aveva deciso di abbrustolirla per bene da tutte le angolazioni: da sopra, con i suoi potenti raggi di mezzogiorno, e da sotto, con tutto quel calore emanato dall’asfalto. “Per non parlare di questo meraviglioso profumino di catrame!” il suo io interiore aveva smesso di sventolare la bandiera bianca, decidendo che impugnare il sarcasmo era l’arma migliore per quelle situazioni drastiche.  
La navetta che li avrebbe portati in aeroporto poteva passare benissimo per una di quelle metro dei film giapponesi, dove i controllori spingevano i passeggeri per riuscire a chiudere le porte. La sua situazione era tragica con pugnalate al costato da parte di un gomito sconosciuto e al quanto ossuto, aveva detto ciao alle dita del piede sinistro, mentre la caviglia destra veniva dilaniata da un trolley errante, per non parlare del tanfo delizioso dell’ascella sopra la sua testa che le aveva fatto perdere i peli del naso e l’abilità di sentire gli odori. “Un quadro spettacolare, davvero. Disagiata, parte due.”
Il passaggio da Sahara ad Antartide le aveva procurato non pochi brividi e fatto sparire le ultime tracce di sonno; ora, seduta su uno dei loro pochi bagagli a mano, attendeva paziente la restante parte di vita che si erano portati dietro. Sua madre era sparita nel bagno dal momento stesso in cui avevano messo piede lì e Lorenzo fissava come un avvoltoio il nastro, braccia conserte al petto, i capelli chiari sparati in tutte le direzioni e, non dimentichiamo, un bonus fatto di bellissime occhiaie bluastre.
«Sai che fine ha fatto ma’?» gli chiese Jessica con un filo di voce. Era ancora intenta a cercare un briciolo di calore, ma il fatto che indossasse un paio di pantaloncini corti non aiutava molto.
«Starà cercando di mettere bene la maschera» disse lui in tutta serietà, ma lo sguardo che le lanciò con la coda dell’occhio faceva intendere che il suo era un commento più scherzoso che sarcastico. 
Lorenzo, per quanto molto più giovane rispetto a sua madre, l’amava molto, avevano i loro momenti brutti, quasi a toccare profondità oceaniche, ma alla fin dei conti avevano sempre orbitato l’uno intorno all’altro, come due stelle binarie. Jessica fissò attentamente l’uomo e ripensò a quella sorta di amore che univa i due… era strano e difficile, ma poteva dire, in tutta onestà, che erano felici. Qualche volta le era capitato di pensare che quei sette anni di differenza portavano solo problemi, ma le bastava ricordare quelle sere autunnali in cui vedeva i due mangiare pizza davanti ad una bruttissima soap opera spagnola, o quei cioccolatini che lei comprava come pegno di pace, o i mazzi di tulipani che lui le regalava ad ogni compleanno. Era grazie a quei momenti che si rendeva conto che non era l’età a fare l’amore, ma erano i due pezzi di puzzle che combaciavano perfettamente, per quanto stropicciati, a creare quella magia più unica che rara. Ora, un pochino più grande, comprendeva come quella pazza di sua madre, sempre pronta a lanciarsi dal precipizio della sicurezza per vivere una vita avventurosa, riuscisse a vivere con lui, più calmo e razionale, che le teneva la mano prima di buttarsi insieme a lei nelle novità. “Quello sembra un sentimento degno di essere vissuto” pensò Jessica con un piccolo sorriso, certa che al loro primo litigio si sarebbe rimangiata tutto.
«Sai… pensavo che la vostra storia sarebbe finita.» Le allusioni di Jessica non avevano bisogno di ulteriori spiegazioni. Lorenzo era più che cosciente di quanto quella fosse stata una decisione difficile per entrambe, era grato che Sara avesse scelto nuovamente di iniziare l’ennesima avventura insieme a lui, di ricominciare tutto da zero o quasi. Se da un lato sapeva che, la donna che aveva al suo fianco, era pronta ad affrontare ogni avversità che le si parava davanti, non era così certo di quella ragazzina che era diventata come una figlia. Jessica, con la sua timidezza, la sua eccentricità e le sue piccole quanto nascoste insicurezze, faceva fatica a creare legami forti e duraturi, era lì con loro perché voleva iniziare a vivere qualcosa di nuovo, di lasciarsi alle spalle quegli anni di fallita adolescenza e buttare giù le prime note del suo futuro.
«Spero che, con questo nuovo inizio, tu ci lasci far parte della tua vita e non chiuda le porte del tuo cuore» fu la risposta dell’uomo che, finalmente, intravide la prima valigia e lanciandole un sorriso d’incoraggiamento le arruffò i capelli, invitandola ad aiutarlo con un cenno della testa.



 
***



Kim So-Young fu il primo coreano che conobbe, o meglio il primo di una lunga lista, e non gli prestò manco tanta attenzione, sapeva solo che era un collega di Lorenzo ed i due sembravano conoscersi da una vita per quanto amichevolmente si stessero trattando. Il tizio, magro e d’un palmo più alto di lei, li aveva accolti con un cartello con scritto “Bianchi” a caratteri cubitali, tirato a lucido con quel suo stile tra l’elegante e il casual, un sorriso da divo del piccolo schermo e l’odore di sigaretta a contrastare energicamente con l’acqua di colonia che usava. Nella transizione da aeroporto a macchina, il signor Kim aveva tenuto a precisare su quanto avesse insistito di venir loro incontro continuando ad inondare sua madre di pettegolezzi e fatti al quale la povera donna aveva smesso di provare a rispondere, limitandosi ad annuire al momento opportuno. L’inglese sembrava fare da protagonista in questi giorni e quello di Mr. uomo-d’affari era migliore di quello di Jessica, pesantemente accentato ma comprensibile, nonostante fosse un mistero per lei il fatto che sua madre capisse quello che l’uomo le stesse dicendo.
In macchina o minivan, come aveva tenuto a precisare il signor Kim, aveva abbandonato ogni decoro e ignorato bellamente i “grandi” in favore dell’opera d’arte che con impegno cercava di portare a termine: impronta di viso su finestrino. Jessica non sapeva nemmeno di cosa si stesse farneticando sui sedili anteriori, ma ora che le si parava davanti il panorama di una Seul sotto i raggi cocenti di mezzogiorno, pensò “beh… quale pazzo non l’avrebbe ammirata?”
Lungo l’autostrada aveva raggiunto la massima beatitudine, almeno i suoi stanchi occhi l’avevano fatto, grazie alla meravigliosa vista degli imponenti e scuri grattacieli che, brillando come diamanti neri, decoravano l’orizzonte come una raffinata pelliccia riesce ad abbellire una dama. Più si avvicinava alla città e più questi diventavano grandi e, paragonandola a quella Roma, che negli ultimi tempi le era diventata come un cappio stretto intorno al collo, Seul sembrava essere un miraggio. Addentrandosi nelle zone più urbane, con le strade più strette e le centinaia di pedoni, con quella moltitudine di cartelloni pubblicitari sporcati da accecanti colori, fu come un pugno nello stomaco. “Shock culturale” fu l’utile informazione buttata dal suo cervello e, in tutta sincerità, avrebbe anche voluto lanciargli il dito medio se fosse stata una persona in carne ed ossa. “Grazie al cavolo… questo lo sapevo anch’io,” ribatté Jessica in un momento di sarcasmo, perché litigare con la propria coscienza era del tutto normale... 
Se sua madre le fece una foto e successivamente la pubblicò sui suoi social, la giovane fece finta di non sapere, fin troppo presa dalla spettacolare novità che le si parava dinanzi agli occhi.
Seul rappresentava un nuovo inizio, non importava quali problemi avesse dovuto affrontare da quel giorno in poi; da quel momento Jessica avrebbe fatto di tutto pur di essere onesta con il suo cuore, voleva smettere di nascondersi per essere accettata dagli altri, costi quel che costi avrebbe fatto in modo di essere sempre la versione unica ed inimitabile di sé stessa.



 



Angolo autore.

Questa è una storia puramente inventata, è una fanfiction.
Nomi di persone, luoghi o cose sono pura coincidenza o usati per arricchire l’opera.
Non ha alcuno scopo di lucro, è scritta per mettere alla prova l’immaginazione della sottoscritta, la testardaggine di portare a termine qualcosa e la pazienza di trovare le soluzioni ai blocchi.


È scritta come regalo alla mia migliore amica, la sorella che non ho mai avuto, alla ragazza che ha atteso due anni perché io trovassi l’ispirazione ed il coraggio di buttar giù gli sprazzi di immagini che affollavano la mia mente.


Ringrazio Viky Berry per il suo lavoro come mia prima editrice, per essere sempre lì a rispondere ai miei messaggi anche se le rompo l’anima, a correggere quei campi da guerra che sono i miei capitoli e a spronarmi a continuare perché il suo sorriso e il vederla così esaltata mi scalda sempre il cuore.
Ringrazio anche mia madre che, essendo l’ultima a visionare ciò che scrivo, col suo aiuto e con i suoi consigli spero di dare il meglio di me.

 
Gli Exo ed i BTS non mi appartengono, sono due delle band che arricchiscono la mia playlist e portano un sorriso sulle mie labbra, permettendomi di fangirlare con la mia migliore amica.
Gli aggiornamenti non hanno una data o un giorno, sono sporadici e basati sui miei impegni quotidiani da studentessa universitaria e dalla mia musa, ma tenterò di aggiornare il più spesso possibile.

 
   
 
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