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Autore: D a k o t a    01/01/2021    1 recensioni
Di Dean che ha problemi ad addormentarsi da quando ha dovuto affrontare Baba Yaga da solo, insieme a Sam.
[coda flashback 15x16 - 14!Dean - John&Dean&Bobby]
""Avresti dovuto fare più attenzione. Sei fortunato che sia solo un graffio” lo riprende John.
La durezza del tono che utilizza è smentita solamente dalla premura di John nel passare il disinfettante sul suo avambraccio, mentre suo figlio si morde il labbro inferiore. Anni e anni di allenamenti e ordini avevano avuto il suo effetto, e la lama del suo coltello aveva appena trapassato la pelle. Non una grande consolazione, però - non quando sarebbe potuto succedere in una caccia reale con un mostro vero, che non si sarebbe fermato solo per averlo graffiato. "
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Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Jo, John Winchester
Note: Kidfic | Avvertimenti: Tematiche delicate
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It's (not) about Dean

“Avresti dovuto fare più attenzione. Sei fortunato che sia solo un graffio” lo riprende John.

La durezza del tono che utilizza è smentita solamente dalla premura di John nel passare il disinfettante sul suo avambraccio, mentre suo figlio si morde il labbro inferiore. Anni e anni di allenamenti e ordini avevano avuto il suo effetto, e la lama del suo coltello aveva appena trapassato la pelle. Non una grande consolazione, però - non quando sarebbe potuto succedere in una caccia reale con un mostro vero, che non si sarebbe fermato solo per averlo graffiato.

Dean si muove a disagio sulla sedia della cucina di Bobby e sopporta in silenzio quel rimprovero. E’ un po’ imbarazzato dal fatto che papà lo stia letteralmente sgridando come se fosse un bambino che si è sbucciato le ginocchia correndo, ed è ancora più imbarazzato dal fatto che Bobby stia ascoltando quella conversazione.

“Non ti puoi permettere di essere lento e lo sai. Hai recuperato quel sonno che ti avevo detto di recuperare ieri?”

Dean esita sotto il suo sguardo, che sembra trapassarlo. Nelle ultime notti che aveva avuto modo di passare a casa, John si era accorto di quella tendenza che stava sviluppando nel non rispettare gli orari che gli aveva dato per andare a dormire.

Bobby nel frattempo si limita a mettere a posto la cassetta di primo soccorso; ha un’espressione scura in volto e John è sicuro che glie ne dirà quattro non appena liquiderà suo figlio. Ma per il momento può almeno approfittare del fatto che, sebbene Singer simpatizzi per il ragazzino, sappia che questa volta si tratta della sua sicurezza.

Dean risponde con una scrollata di spalle.

“Sì, signore. Mi hai visto andare a dormire” dice alla fine.

John gli rivolge un’altra occhiata eloquente, che Dean non riesce a reggere. E’ sempre stato bravo a fornire la versione di routine con i presidi e gli insegnanti – Papà viaggia per lavoro, ecco perché cambiamo sempre scuola – ma quel talento nel essere evasivo e nel inventarsi bugie veloci non ha mai funzionato con lui. Mai.

Lo sguardo di John diventa più affilato, nel notare le occhiaie sotto i suoi occhi.

“A che ora ti sei addormentato?” insiste suo padre.

Ecco, se il tono da sergente di John è capace di intimidirlo, quello da papà preoccupato riesce a metterlo tremendamente a disagio, perché non è abituato ed è difficile girarci intorno, e…

“Non me lo ricordo, papà” risponde alla fine. “Non è come se controllassi l’orologio ogni volta in cui...”

Basta un’altra occhiataccia di John a rimettere a posto quel tentativo di giustificarsi. Dannazione, non è da Dean disobbedire per il puro gusto di disobbedire.

“Se pensi che aver gestito da solo una stupida caccia ti esoneri dall’obbedire agli ordini, ti sbagli di grosso, ragazzino.”

Suo padre ha un’aria lievemente delusa e il tono eccessivamente tagliente nel pronunciare quella frase, e Dean sente qualcosa nello stomaco contorcersi e soffocarlo e ucciderlo un po’. Cosa importa, ormai? Qualsiasi cosa faccia non sarà mai abbastanza, non è stato abbastanza per salvare quei bambini da Baba Yaga, è stato a malapena abbastanza per salvare Sammy.

“Papà, con tutto il rispetto...” incomincia, indeciso su come proseguire.

John alza un sopracciglio, stupito che stia ancora ribattendo a riguardo.

“Sì?” lo incita a continuare, ma l’avvertimento è sotteso nel tono della voce.

Bobby, guardandoli, si direbbe che è come assistere ad una maledetta partita a scacchi. Troppo vicini, così lontani. Le dita sui pezzi e gli occhi negli occhi dell’altro. Bianco su bianco, dove il solo nero possibile è quello creato dalla rete di quadrati sulla tavola.

Giocano e si guardano. Ognuno sa cosa sta pensando l’altro oppure, maledizione, crede di saperlo. A chi tocca? Senza più muovere nulla, se non gli occhi negli occhi, hanno perso la nozione del tempo. La partita si è confusa, perché dannazione, come si fa? Come diavolo si fa a giocare contro qualcuno che ami? Stupidi idioti.

“Sto bene, papà. Se anche mi facessi male, Bobby o Rufus potrebbero sostituirmi” afferma alla fine, confermando il sospetto di Bobby su quelle maledette tendenze da martire che non riusciva proprio a scrollarsi di dosso.

John sta quasi per rispondere e dirgliene quattro, ma improvvisamente l’attenzione di entrambi viene catturata dal rumore del fiaschetto che il cacciatore più anziano appoggia rudemente sulla cucina, in un moto di stizza.

“Tu, stupido idiota!” esplode alla fine, rivolgendosi al ragazzino – Bobby non sa se John sia compiaciuto di quel suo venirgli in soccorso, ma ad ogni modo spera quell’idiota non lo sia abbastanza da credere che non abbia comunque voglia di dirne quattro anche a lui.

“Cosa succede se tuo fratello non pensa che tu possa essere sostituito, eh? Se io non penso che tu possa essere sostituito?”

Dean esita, un bagliore di sorpresa nei suoi occhi a quelle parole. Cercare lo sguardo di papà in modo che le confermi o le avalli forse è un’idea fottutamente stupida, ma ciò non significa che per un attimo non sbirci comunque nella sua direzione, speranzoso, per trovarlo scuro in volto. Bobby si trova a sperare che John posi gli occhi su di lui davvero, anche solo per un maledetto singolo secondo, per incontrare quelli di suo figlio e dargli tutte quelle conferme di cui sembra avere un disperato bisogno.

“Zio Bobby, io...” inizia, ma non sa bene come continuare.

E comunque sia non importa, perché ci pensa suo padre a farlo.

“Questa discussione è finita. Non abbiamo nulla di così urgente perché tu debba svenire dal sonno durante un allenamento, credevo di avertelo già detto ieri. Ti voglio nella tua stanza. Ti porto la cena più tardi e poi voglio che tu dorma” lo inchioda con lo sguardo, prima che possa protestare.

Gli occhi di Dean si illuminano per un momento in un moto di sdegno all’idea di essere mandato a letto come un moccioso disubbidiente, ma poi ha abbastanza spirito di conservazione da filare via, dopo un soffuso “Sì, signore”. John lancia un’occhiata al cacciatore più anziano rimasto nella stanza. Si lascia andare ad un sospiro stanco, perché non è difficile comprendere che, dopo quella ramanzina a suo figlio, sembra essere arrivato il momento di sorbirne una.

 

 

***

“Posso parlare onestamente con te?”

Mentre prende parola, Bobby gli offre una birra e John si trova a chiedersi – non per la prima volta, nel corso degli anni – se quell’uomo sia stata la sua più grande maledizione o la sua più grande benedizione.

“Posso fermarti, Singer?” ribatte John, immediatamente sulla difensiva.

Il cacciatore più anziano borbotta un’imprecazione, prima di sedersi al tavolo di fronte a lui e prendere parola.

“Ascolta, non sono affari miei, ma...” inizia, ma John lo interrompe bruscamente.

“Infatti non lo sono” ribadisce John.

Lo ribadisce con convinzione e fermezza, davvero. Peccato che quell’interruzione non faccia altro che far venire al cacciatore più anziano una tremenda voglia di lasciare perdere i toni più dolci e passare all’attacco.

“Davvero impressionante. Ma chi credi che io sia, idiota? Dean?” afferma alla fine, con una smorfia, mentre l’altro cacciatore lo guarda in cagnesco e i muscoli della sua mascella si irrigidiscono, sotto i suoi occhi. “Non sono affari miei, ma amo quei ragazzi come se fossero i miei figli. Tua moglie è morta, quel demone è ancora là fuori e magari non possiamo fare niente a riguardo in questo momento. Ma dannazione, quei ragazzi sono ancora qui. Dean è ancora qui”

John è seduto di fronte a lui e ha le spalle curve. Si passa la mano sul volto in un moto di stanchezza, sebbene la linea della sua mascella resti rigida.

“Di cosa diavolo stai parlando, adesso?” chiede alla fine freddamente, scoccandogli uno sguardo impaziente.

Le mani di Bobby si agitano, gli rispondono in quel movimento di stizza ancora prima delle sue parole.

“Sto parlando di te che non ti sei scomodato nemmeno di muovere il culo per capire cosa c’è che non va con quel ragazzino, dannazione!” esplode alla fine, per poi prendere un respiro e continuare. “Non hai notato tutte le volte in cui si sveglia o gira per casa durante la notte? Le ore piccole che sta facendo?”

Davvero, Bobby si dice che se non ci fossero di mezzo i bambini, avrebbe già caricato John Winchester sulla sua Impala per una lunga corsa verso il tramonto tempo fa, grazie tante.

“Dean sta bene” risponde l’uomo, stancamente.

Un accenno di colpa sembra però penetrare la sua coscienza. Pensa per un momento a suo figlio quattordicenne: ultimamente sembrava più silenzioso del solito, meno attitudine di facciata, meno ironia. Era stato così da settimane, da quando aveva fronteggiato Baba Yaga da solo. Gli era venuto qualche volta il dubbio che fosse successo qualcosa, che gli stesse nascondendo qualcosa, ma aveva evitato l’argomento perché dannazione, non erano certo il tipo di famiglia che si siede a tavolo per una sana chiacchierata familiare – non potevano essere quel tipo di famiglia.

Non è che non gli importi o che abbia paura di affrontarlo, è che non ha la più pallida idea di come comportarsi. Così aveva fatto quello che gli era venuto in mente: aveva chiamato Bobby, perché, maledizione, per una ragione o per un’altra, Singer sapeva sempre cosa fare quando si trattava dei suoi figli – una consapevolezza che gli era costata più di quanto volesse ammettere.

Dall’altro lato, Singer lo guarda, impaziente: John Winchester poteva essere un maggiore inflessibile e fottutamente testardo, ma sicuramente non era uno stupido.

“Certo. Tuo figlio di quattordici anni si è occupato di un demone che uccideva bambini da solo, l’hai lasciato completamente da solo da quel momento, ma sta bene. Non ha nessuna ragione di stare male o di non dormire la notte. Ovviamente, sta bene” risponde, espellendo quelle parole con una smorfia.

Il cacciatore di fronte a lui si rabbuia ulteriormente. Bobby può notare la pressione delle nocche sul suo bicchiere aumentare, la mascella irrigidirsi ulteriormente.

“Dean non è da solo” chiarisce poi, sforzandosi di tenere neutro il tono della voce, come se stesse parlando delle previsioni atmosferiche e non di suo figlio.

Bobby sbuffa, appellandosi al suo migliore autocontrollo.

“Lui sa di non essere da solo, John?” insiste ancora.

Dal cacciatore arriva un’altra occhiata cupa. Poi si alza in piedi e fa per andarsene fuori.

“Ti ho sentito, Singer” mormora a denti stretti prima di andarsene. Bobby scuote la testa, mastica un “fottuto testardo” fra i denti, ma mentirebbe se non dicesse che è esattamente la reazione che si aspettava.

 

 

***

Dopo cena, mentre John si chiude nella sua stanza, Bobby sale le scale, deciso ad andare a controllare i due piccoli idioti e a scoprire cosa passi per la testa del maggiore dei Winchester. Non è una sorpresa trovarlo sveglio, mentre mette a posto il Monopoly che usano a volte, quando sono a casa sua.

Dean si morde appena un labbro, quando la porta si apre ed il cacciatore lo guarda di sbieco, nel trovarlo in piedi.

“Sammy voleva giocare, ma adesso sto andando a dormire” si giustifica immediatamente.

Bobby lancia un rapido sguardo al ragazzino in dormiveglia sul letto di fronte, per poi alzare un sopracciglio e rivolgergli un’occhiata curiosa ma ironica. Lo stupisce e non in positivo il fatto che Dean, dopo anni, pensi ancora che sia lì per fare il poliziotto e non per occuparsi di lui.

“Non ti ho chiesto niente, idiota. Non sono qui per sgridarti” dice, afferrando la scatola del Monopoly che ha in mano per poi aprire l’armadio ed infilarlo al suo posto.

Dean, alle sue spalle, si siede sul letto, aspettando che si volti. Il cacciatore lancia un’ultima occhiata a Sammy, spaparanzato sulla pancia: è quasi un sollievo che almeno uno dei due riesca a dormire.

“Cosa aspetti a sdraiarti e ad andare sotto le coperte?” dice piano, per non svegliare il più piccolo dei Winchester.

Dean si morde il labbro inferiore. Il ragazzino ha ormai quattordici anni, dovrebbe essere nel pieno della sua ribellione adolescenziale, ma il massimo della sua ribellione era non andare a letto quando gli veniva chiesto. Da chi aveva preso? Dannazione.

Dean obbedisce finalmente, mentre Bobby si siede accanto a lui sul suo letto; il benedetto ragazzino ovviamente azzarda una flebile protesta sul fatto che non sia necessario. Il cacciatore risponde con una scrollata di spalle, per poi restare un attimo in silenzio. Osserva Dean nella penombra, illuminata solo dall’abat-jour, prima che il maggiore dei Winchester trovi il coraggio di prendere parola.

“Tu e papà... siete ancora arrabbiati?”chiede alla fine.

Dean finalmente posa gli occhi nei suoi, con uno sguardo che vuole essere indifferente, ma è in realtà così coinvolto. Bobby scuote la testa.

“Non posso parlare per tuo padre, ragazzino, ma mi fai incazzare quando fai così, Dean. Non fare finta di non saperlo.” gli risponde alla fine, lanciandogli uno sguardo di ammonimento.

Il maggiore dei Winchester distoglie lo sguardo, per posarlo cautamente su Sam, mentre si muove nel sonno. Per un attimo, ha paura che suo fratello possa sentire quell’ennesimo rimprovero – perché davvero un grande modello, Dean, complimenti.

“So che gli ordini di papà sono importanti, Bobby. E’ solo...”

Il cacciatore lo interrompe bruscamente, scoccandogli un’occhiataccia.

“Non sto parlando degli ordini di tuo padre, idiota.” borbotta, scuotendo il capo in un gesto di dissenso. “Sto parlando di quando ti comporti come se non ti importasse nulla di quello che ti succede, Dean”

Dean distoglie nuovamente lo sguardo, incapace di sostenere la premura incredibilmente ruvida ma sincera nella voce dell’uomo. Bobby si sporge verso di lui, per fargli una carezza fra i capelli ramati. Il ragazzino accenna una smorfia, ma non si ritrae.

“Come stai, piccolo idiota?” gli chiede alla fine, per poi interrompere Dean quando apre la bocca per rispondere. “Se stai per dire che stai bene, sappi che ho un divano in cantina dove potresti dormire stanotte.”

Dean scuote la testa, abbozza un sorriso e accenna una smorfia. Poi sembra rifletterci, in silenzio. Pensa a Baba Yaga, a quei bambini, ma è solo un attimo prima che si schiarisca la voce.

“Sto bene, Bobby, te l’ho detto” afferma alla fine, attento a non guardarlo negli occhi. “Mi dispiace averti spaventato”

Il cacciatore annuisce, come a soppesare quelle parole. Non sa se sentirsi inutile o contemplare tutta quell’ermetica testardaggine che sembrava andare di generazione in generazione. Poi si accorge che Dean sembra restare ancora in ansia, in tensione. Dannazione.

“Vieni qui” borbotta alla fine, con un sospiro, allargando un braccio, sperando che Dean gli permetta perlomeno quella forma di conforto.

Prima che Dean se ne accorga, lo attira in un abbraccio. Non pensa molto, non pensa al fatto che quell’idiota si senta troppo più grande per quel tipo di manifestazione di affetto: mostrare un po’ di tenerezza a quel ragazzino non è essere deboli. A proposito di ciò, gli viene in mente l’altro imbecille che sta facendo ricerche su un Wraith, in sala. Sospira, tenendo Dean ancora un po’, fino a quando, molto presto, la sopportazione del ragazzino viene meno e si allontana.

“Tuo padre era più preoccupato che arrabbiato, Dean. Semplicemente quello stupido testardo non sa come dirtelo. Mi ricorda qualcuno, oltretutto” ammette alla fine con riluttanza, mentre giura di aver visto il ragazzino arrossire appena.

Poi gli dà un buffetto sulla spalla, aggiustandogli le coperte perché non prendesse freddo durante la notte.

“Vai a dormire o dovremo parlare di quel divano, ragazzo” borbotta alla fine, rassegnandosi almeno momentaneamente al fatto che Dean non gli avrebbe permesso di confortarlo ulteriormente.

 

 

***

Dean si sveglia di soprassalto, disturbato dal suo stesso battito cardiaco. Ha la pelle madida di sudore e lacrime negli occhi e non è come un incubo che ha avuto dopo la morte della mamma; quando si sveglia, ha l’impulso di cercare la pistola sotto il suo cuscino, solo per accorgersi che l’unico rumore nella stanza è il respiro lieve di Sam, che dorme. Si guarda intorno nell’oscurità, alla ricerca di un pericolo che non sembra esserci. Da fuori filtra solo la luce della luna e deve essere ancora presto per andare in cucina a fare colazione, eppure -

L’immagine di quei corpi lo colpisce nuovamente. Dannazione. Nessun riposo vale la pena di dovere rivedere ciò, quindi fa per alzarsi. Dal corridoio non sente alcun rumore e deduce che gli altri stiano tutti dormendo. Soddisfatto dal fatto che i suoi passi non sarebbero stati sentiti, Dean scende le scale e si avvia verso la cucina, con l’intento di recuperare in cucina uno dei libri di mitologia di suo padre; magari se riuscisse a trovare una pista per aiutare papà con il nuovo caso, riuscirebbe anche a cancellare dalla sua testa l’espressione arrabbiata e delusa che aveva avuto quella sera, nello sgridarlo.

Quella piccola fuga dura però il tempo di arrivare, furtivo, fino alla fine delle scale, sulla porta della cucina.

“Cosa fai in giro a quest’ora, ragazzino?” inizia suo padre, che è seduto alla tavola della cucina, con una tazza di caffè fra le mani. “Ti avevo detto di andare a dormire”

Quattordici anni ed essere beccati in giro per casa all’una, dopo l’orario in gli era stato ordinato di andare a letto. Fottutamente fantastico, Dean. Potrebbe obiettare qualcosa sul fatto che stesse andando in bagno, se non fossero dall’altro lato della casa e se non sapesse che la tolleranza di suo padre per le bugie è pari a quella per la disobbedienza. Deglutisce, mentre suo padre si alza in piedi.

“Non riuscivo a dormire, papà. Ho pensato che avrei potuto fare qualcosa di utile e aiutarti con le ricerche” osa alla fine dire.

Lo sguardo di suo padre si indurisce appena, a quelle parole.

“E’ quello che ti ho detto di fare?” inizia, con tono tagliente, senza dare la possibilità a Dean di rispondere. “Farai qualcosa di utile domani mattina quando ti allenerai all’alba, visto che ti ostini a disobbedirmi, ragazzino”

Suo figlio distoglie lo sguardo per un attimo prima che John lo strattoni via verso le scale, camminando a lunghe falcate verso la sua stanza, quasi correndo. Maledizione.

“Papà” tenta alla fine suo figlio, quando la presa sul suo braccio diventa troppo forte.

John lo guarda e non può non accorgersi di starlo più semplicemente spingendolo. Non è che volesse fargli male, è che era stato troppo arrabbiato per l’ennesima disobbedienza in una sola serata per rendersi conto del fatto che lo stesse stringendo forte. Lo lascia andare, lanciandogli un’occhiata indecifrabile, prima di fargli cenno di seguirlo attraverso i corridoi ed arrivare fino alla stanza che Bobby gli aveva messo a disposizione, non lontano da quella dei ragazzi.

Dean aveva notato quell’occhiata, prima che papà riprendesse a camminare. Aveva capito che non voleva fargli del male. Ora però non può non chiedersi perché lo abbia trascinato fino alla sua stanza. Esita, davanti alla porta.

“Entra” gli ordina solamente suo padre, con un sospiro.

Dean obbedisce, seppur tentennante. Un po’ lo rassicura il fatto che papà sembri improvvisamente più stanco che arrabbiato, ma non può non avercela con sé stesso per aver creato quella situazione in primo luogo.

“Qui” gli ordina, indicando il letto. “Starò sveglio per fare delle ricerche. Tu dormirai qui, visto che a quanto pare non posso fidarmi di lasciarti un attimo da solo.”

Il maggiore dei Winchester non può non essere assalito da un moto di profonda vergogna e colpa a quelle parole. Un soldato migliore non si sarebbe trovato in quella situazione, non avrebbe mai lasciato che uno stupido incubo lo trattenesse dal seguire gli ordini. Non c’erano dubbi sul perché papà fosse deluso.

“Sì, signore”risponde alla fine.

John annuisce, congedandolo per poi sedersi alla scrivania, spegnere la luce e accendere la lampada da tavolo. Alle sue spalle può sentire Dean infilarsi nel letto. C’è appena un piccolo sospiro nel suo obbedire, e l’uomo non sa se sentirsi orgoglioso o triste. Vuole – no, non vuole: necessita – che i suoi figli siano forti e non chiederà certo scusa per quel rimprovero. Ma essere autosufficienti non è la stessa cosa che essere soli e si chiede se Singer abbia ragione, se avrebbe dovuto fare quella distinzione. Qualunque sia la verità, è solo un attimo: è solo un pensiero che lo coglie mentre guarda lo schizzo di un Wraith, sulla sua agenda.

 

***

E’ come riemergere, mentre Dean sussulta nel sonno, emettendo un rantolo soffocato. Trema, sbatte le palpebre e sta per urlare qualcosa, quando una mano lo scuote lievemente.

“La mia pistola...” mormora distrattamente, ancora in uno stato di dormiveglia.

John lo osserva, seduto a bordo del suo letto. L’angoscia di Dean lo aveva distratto dalle sue ricerche. Non è che è la prima volta che uno dei ragazzi ha un incubo, sebbene Sam sembri sempre essere stato più suscettibile alla cosa. Non è che non si ricordi gli incubi che Dean aveva avuto dalla morte di Mary. Non è che non si sia chiesto se dorma sulla pancia per paura di trovare qualcuno sul soffitto.

E’ solo che è passato del tempo e non si ricorda come comportarsi in quelle circostanze e -

“L’hai lasciata nella tua stanza, ma non ne hai bisogno. Va tutto bene” gli dice, a bassa voce, mentre suo figlio sembra prendere coscienza del luogo in cui si trova. “E anche se tu ne avessi bisogno, ti salverei e poi ti prenderei a calci per essertela dimenticata”

Dean si avvicina ulteriormente verso di lui, muovendosi a disagio sul letto matrimoniale. Risponde con un piccolo sorriso, nel vederlo seduto accanto al suo letto. E’ ancora scosso da quell’incubo e improvvisamente non sa cosa dire, nel ricordarsi la conversazione di prima e l’allenamento che gli aveva promesso all’alba per punizione.

“Che ore sono, papà?” dice alla fine.

John alza un sopracciglio. Non sarà mai stato un grande chiacchierone, ma riconosce un tentativo di evadere la discussione quando ne vede uno.

“Sono le due e mezza” mormora, per poi tornare a riflettere sul modo in cui suo figlio si era svegliato, di soprassalto. “Hai già fatto questo sogno?”

Dean esita. Non si aspettava che il cacciatore glielo chiedesse e si sente improvvisamente nervoso. Si sarebbe arrabbiato di nuovo?

“A volte. Non troppo spesso però” ammette a metà, per poi chiudere gli occhi, non volendo affrontare direttamente la reazione di suo padre, nello scoprire che gli aveva disobbedito solo per qualche stupido incubo.

Viene sorpreso, quando suo padre allunga una mano per asciugare le tracce di una lacrima che gli aveva rigato una guancia, nel sonno. Non sa perché, ma quel movimento gli fa venire per un attimo il desiderio di piangere ancora più forte. Poi prende coraggio, apre gli occhi e viene sorpreso dalla curva indulgente che assume per un attimo la bocca del cacciatore.

“Da quella caccia a Wadsworth, forse?” John lo guarda in attesa, ma Dean non lo nega. John sospira, in un moto di esasperazione e rimorsi. Quindi è per quello che non stava dormendo. “Quando cominci ad avere sogni troppo ricorrenti, me lo devi dire, Dean. Sai che può essere pericoloso, ragazzino.”

Suo figlio evita il suo sguardo nuovamente, trovando le coperte in cui è avvolto immensamente interessanti. Cerca per un attimo il coraggio di dirgli quello che vuole dirgli, senza alzare la testa.

“Oh, non è niente di importante, papà. Soltanto un idiota si spaventerebbe per un incubo, lo sanno tutti” afferma poi, con impostata nonchalance.

C’è un binomio in Dean, c’è sempre stato. C’è il ragazzino smarrito che, spaventato da un incubo, sembra persino più piccolo dei suoi quattordici anni, perso fra le coperte. E poi c’è il cacciatore coraggioso che si è imposto di essere, perché tutti dobbiamo raccontarci delle storie, per sopravvivere. John scuote la testa, esalando un sospiro pesante.

“Un idiota? Questo è quello che pensi?” gli chiede il cacciatore, sollevandogli appena il mento, per costringerlo a guardarlo negli occhi e non lasciare spazio a fraintendimenti.

Dean si muove leggermente a disagio, sotto quello sguardo penetrante.

“Oh, andiamo. Come chiami una persona che ha paura dei suoi stessi sogni?” risponde alla fine, prendendo coraggio.

John passa una mano - quella che non era sotto il mento di suo figlio - tra i capelli ramati del ragazzino, prima di lasciarsi andare ad un moto di dissenso.

“I cacciatori hanno incubi, Dean. Lo sai. Nessuno vede le cose che vediamo noi e dorme bene la notte” esala alla fine, lasciandogli andare il mento.

Per una volta, la sua voce sembra scivolare addosso a Dean come balsamo sulle ferite, non più come un coltello. Il ragazzino rilascia un sospiro che non si era reso conto di aver trattenuto e che si traduce poi in una smorfia.

“Non è quel tipo di sogno, papà.” afferma casualmente, stringendo il lenzuolo in un pugno. “E’ solo una stupida produzione mentale da bambino”

John si ferma, osservando attentamente gli occhi di suo figlio.

“Ti sto ascoltando” afferma alla fine, anche se la sua voce non può non tradire una punta di irritazione.

Quella punta è a malapena percepibile, ma è abbastanza per far esitare Dean e per farlo sentire in colpa per aver distratto suo padre dalle sue ricerche nel mezzo della notte, solo per uno stupidissimo incubo. Per un attimo desidera di essere in qualsiasi altro posto che non sia lì.

C’è qualcos’altro di sotteso nel suo tono di voce però, oltre una lieve irritazione: è sotteso il fatto che sia un ordine.

“E’ una stupidaggine, papà” temporeggia ancora, prima di sbuffare lievemente e incominciare il racconto. “Siamo nella periferia di Cleveland. Ti ricordi dove siamo rimasti perché io finissi la quinta elementare? Io e Sam stiamo giocando a nascondino, accanto a quella casa abbandonata”

Dean gli lancia un’occhiata, cercando di capire se suo padre si ricordasse di quel luogo proibito durante la loro infanzia, in quel periodo in Ohio, non troppo lontano da dove erano stati di recente, da dove aveva cacciato Baba Yaga.

“Mi ricordo, Dean. Vai avanti” acconsente alla fine, cercando di suonare più gentile.

John ricorda davvero quella casa, ricorda come tutte le punizioni del mondo non fossero bastate a tenere Sam e Dean lontani da là. Dean dall’altra parte prende un altro respiro, con una scrollata di spalle.

“E’ dannatamente buio ed è il mio turno per cercare Sam, ma quando lo cerco, non lo trovo. Lo chiamo, ma non risponde. E’ scomparso e quando vado a cercarlo dentro la casa, al suo posto trovo...” si interrompe, mordendosi le labbra, come ad allontanare da sé quell’immagine di bambini morti ancora vivida nella sua mente. “E’ questo, essenzialmente. E’ buio, è tardi e Sam è scomparso”

Dean sente improvvisamente un nodo chiudergli forte la gola, quasi soffocandolo. Per riflesso, stringe più forte la coperta, sotto le sue dita. Suo padre per un attimo gli rivolge uno sguardo criptico, come se stesse ripercorrendo tutti gli avvenimenti della serata. Poi, mentre Dean ha ancora la testa bassa, si costringe a coprire la mano che suo figlio ha stretto a pugno intorno alla coperta con il peso della sua.

“Sam è al sicuro nel suo letto. Stranamente è lui quello che sta obbedendo agli ordini, stasera” lo rassicura per un attimo, smorzando l’inevitabile rimprovero con un mezzo sorriso. Poi torna improvvisamente serio. “Non gli accadrà nulla fino a quando ci sarai tu”

Un’ombra incredula sembra attraversare gli occhi di suo figlio.

“Lo credi davvero?” osa chiedere alla fine, trovando finalmente il coraggio di incontrare i suoi occhi, che non sembrano più arrabbiati come li ricordava.

“Mi stai accusando di mentire?” risponde di rimando, stringendogli il dorso della mano leggermente, in un gesto di vago conforto, prima di lasciarlo andare.

John non gli dice che deve crederci – deve credere che Sam sia al sicuro con Dean. Non gli dice che deve farlo anche solo per mettere a tacere la sua coscienza.

“Non pensi che sia ora di provare ad andare a dormire ancora un po’ adesso? Hai comunque la sveglia per l’allenamento, domani mattina” borbotta burberamente, allontanandosi un po’ da suo figlio.

Si aspetta che Dean ribatta che è tardi e che ha la sveglia fra due ore e potrebbero risparmiare sul tempo e cominciare subito, ma non lo fa. Il ragazzino non oppone resistenza e si sistema meglio sotto le coperte. John annuisce appena, in un moto di approvazione. L’intero corpo di suo figlio sembra rilassarsi un po’ a quel gesto, il suo volto si illumina di riflesso. Era abbastanza approvazione, per il momento. Non vuole esagerare con i complimenti, non quando gli aveva disobbedito più volte durante la giornata. Eppure…

“Vuoi giocare a Monopoly prima di andare a dormire?” gli dice poi, e il tono della sua voce è ancora ruvido.

Suo figlio gli lancia un’occhiata prima curiosa, ma che ben presto diventa allarmata. Dannazione. Come diavolo faceva suo padre a saperlo?!

Spinge la testa leggermente indietro sul cuscino, sperando di non avergli dato un nuovo motivo per arrabbiarsi.

“Oh, maledizione. Bobby te l’ha detto”conclude alla fine.

John scuote il capo, in un moto di esasperazione. Il ragazzino era davvero bravissimo a impiccarsi da solo.

“Non l’ha fatto. Singer vi coprirebbe anche se voi due commetteste un omicidio. Forse brucerebbe il cadavere” borbotta alla fine, in un moto di dissenso. Come spesso si è trovato a pensare, non sa se essergli riconoscente o soffocarlo nel sonno per questo. “Ho solo sentito Sammy per le scale dire che te l’avrebbe chiesto e ho tratto le mie conclusioni. A quanto pare non sono errate, ragazzino.”

L’occhiata che John gli rivolge dopo è più che eloquente, ma se Dean non fosse troppo impegnato a desiderare di sprofondare nel letto, forse si accorgerebbe che è meno tagliente di quello che si aspettava. Fra di loro si crea un lungo silenzio, tanto che per un po’ Dean dubita che suo padre riprenda parola.

“Sai cos’è una carta “Esci di prigione gratis”?” gli chiede poi.

Dean potrebbe facilmente rispondere che è qualcosa che rifilava a Sammy quando era più piccolo e faceva i capricci perché voleva vincere a Monopoly ed era troppo impaziente per restare fermo un turno. Guarda suo padre con aria confusa, perché il solo fatto che conosca quel gioco è alquanto strano e -

“Significa che puoi uscire di prigione anche se ci finisci dentro. Papà, va tutto bene?” risponde alla fine, confuso.

Suo figlio ha un’espressione corrucciata in volto e John sembra soppesare quella risposta per qualche minuto, come a rigirarsela nella testa, a considerare se fosse soddisfacente. Poi prende parola.

“Non sono così vecchio da non aver giocato mai a Monopoly, grazie, Dean. Ad ogni modo, domani mattina non ti alleni. Ma, giusto per essere chiari: questa non è una carta “Esci di prigione gratis”” stabilisce alla fine, non lasciandosi sfuggire il modo in cui Dean si irrigidisce per un attimo. Prosegue, facendosi più serio. “Voglio che recuperi quel sonno, Dean, quindi andrai a dormire alle nove per tutta la prossima settimana. Avere incubi è normale per un cacciatore, ma andare nel panico ed evitare di dormire ti rende stanco e lento. Se fossimo stati in una vera caccia, ti saresti fatto ammazzare. Hai cercato di dimostrarmi di essere abbastanza grande per venire con me anche nei lavori più importanti, ma facendo così hai dimostrato solo di essere troppo immaturo per gestirli. Quindi resterai con Bobby per i prossimi due lavori. Non accetto obiezioni a riguardo.”

Dean non può fare a meno di sentirsi in colpa per aver portato papà a pensare di non fidarsi più di lui, a pensare che non fosse abbastanza adulto. Non avevano necessitato la supervisione di un adulto mentre John era a caccia da molto tempo. Eppure, anche se sa che quella di avere un baby sitter doveva essere una punizione, non sarebbe stato poi così male lasciare il comando a qualcun altro per un po’. Bobby avrebbe preparato loro uova e bacon per colazione e costolette per cena, e Dean non avrebbe dovuto preoccuparsi di razionare i soldi o di cosa sarebbe successo se l’assenza di papà si fosse prolungata troppo a lungo. Odia il fatto di aver perso la fiducia di suo padre, ma per quanto lo facesse sentire male quell’idea, non avrebbe odiato qualcuno a prendersi cura di lui e di Sammy, almeno per un pochino.

“Sì, signore” conviene alla fine.

Stanco, John si passa una mano sul viso, nell’osservare l’espressione contrita di suo figlio. Aveva sperato di riuscire a dormire un po’ dopo aver individuato una pista per il Wraith, ma non era successo. Nessun uomo deve mai vedere un mostro che uccide bambini al lavoro. Nessun uomo deve scoprire il corpo non di uno ma di due bambini in un solo giorno, tanto meno suo figlio adolescente. Ma la verità è che ci sono mostri che uccidono bambini là fuori, e qualcuno deve combatterli, e loro sono quelle persone. Sapere di star facendo la cosa giusta però non avrebbe reso più facile il dormire, né avrebbe tolto quelle immagini devastanti dalla testa di Dean.

John guarda distrattamente l’orologio. Erano quasi le tre. Lo avrebbe lasciato dormire più a lungo come aveva promesso. Osserva per un attimo Dean rigirarsi nuovamente sulla pancia, mentre cerca di addormentarsi. Guardandolo in quel modo, con l’alone di vulnerabilità di quella sera, non è difficile capire che ha solamente quattordici anni. Dean gestisce con coraggio qualsiasi responsabilità gli viene affidata, ma è ancora un ragazzino e forse per un momento avrebbero bisogno di ricordarsene entrambi, se solo potessero permetterselo.

“Vai più in là” gli ordina alla fine. “Sei nel mio letto, è tardi ed ho bisogno di dormire anche io, ragazzino. I bravi cacciatori non credono di essere Superman, in genere.”

Dean gli scocca un’occhiata confusa, prima di arrossire tanto da essere evidente nella penombra illuminata solo dall’abat-jour. Obbedisce, spostandosi più in là, e facendogli spazio nel letto, anche se dannazione, è imbarazzante perché è da quando aveva quattro anni ed era appena morta sua madre che non dormivano nello stesso letto. Sta attento a non toccarlo, seppur restando con la testa rivolta verso di lui. Chiude gli occhi, restando teso.

“Me ne vado domani sera. Prima di andare via, mi aiuti a cambiare l’olio all’Impala.” dice poi suo padre, girandosi nella sua direzione.

No, non è una domanda, ma non è nemmeno un ordine.

E’ l’unica cosa che ha insegnato a suo figlio perché era normale.

E’ l’unica cosa che ha insegnato a suo figlio che gli piaceva davvero.

Dean apre gli occhi, abbozzando un piccolo sorriso. E’ una magra consolazione che almeno papà si fidi ancora di fargli mettere le mani in Baby. Rimangono entrambi in silenzio per qualche minuto, prima che Dean prenda coraggio.

“Papà, quella cosa della fiducia….” inizia, deglutendo nervosamente, indeciso su come continuare. “E’ per caso recuperabile?”

John si lascia andare ad un sospiro irritato. Perfetto: prima non riusciva a dormire per gli incubi, ora perché avrebbe passato la notte a girarsi su sé stesso e ad ossessionarsi con una frase. Si impone di recuperare l’inflessibilità di prima.

“Se la vuoi indietro, devi lavorare per riaverla, ragazzino.” comincia, per poi stemperare la durezza di quella frase con la successiva, davanti all’espressione mortificata di Dean. “Potresti provare con il cominciare a dormire un po’ e smetterla con le chiacchiere, d’accordo?”

Dean annuisce appena, riflettendo su quelle parole. John non gli dice niente, ma quando suo figlio apre la bocca, sa che lo sta facendo per correggersi. Si morde il labbro inferiore, prima di iniziare.

“Sì, sign-”inizia, ma John lo interrompe con una smorfia, accompagnata da una carezza fra i capelli, mentre i muscoli delle sue spalle si rilassano un po’.

“Chiudi gli occhi, Dean” gli dice solamente in maniera più delicata, evitando di sottolineare come per quella sera andasse bene anche quell’annuire della prima volta.

Dean obbedisce. John attende che il suo respiro diventi regolare, prima di permettersi di prendere sonno a sua volta. Lo osserva ancora un po’, fino a quando mezz’ora dopo è sicuro che si sia addormentato. Al di là di tutto quello che era successo nell’ultimo periodo, delle bugie del ragazzo sul sonno, Dean adesso avrebbe fatto meglio, John ne è sicuro. Non è veramente necessario lasciarlo da Bobby per le prossime due cacce, potrebbe lasciare lui e Sammy in un qualsiasi motel e Dean se la caverebbe davvero alla grande. Ma una parte di lui è convinto che, fra coprifuoco alle nove e Singer come baby-sitter, trattarlo come un ragazzino indisciplinato gli avrebbe insegnato ulteriormente una lezione.

Si rifiuta di riconoscere la vera ragione che stava alla base di quella decisione. Non ha nulla a che vedere con il suo bisogno di dargli del tempo per riprendersi, né con quello stupido discorso di Singer su come suo figlio si sentisse solo. Non avrebbe dovuto guidare ore per riprendersi i ragazzi solo perché fossero protetti e perché, per una volta, li sapesse al sicuro – dai servizi sociali e dai mostri che uccidevano bambini, come quelli che aveva visto suo figlio. No, quello sarebbe stato auto-indulgente ed egoistico, soprattutto quando ci sono i figli di altre persone che stanno morendo, specialmente quando sono loro gli unici a poterli aiutare. No, si dice, guardando il ragazzino agitarsi leggermente nel sonno: al diavolo Singer, (non) si tratta di Dean.

NDA. 
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