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Autore: Chocolate_senpai    01/01/2021    1 recensioni
A dieci anni di distanza dall'ultimo, famoso campionato, la ruota della storia gira di nuovo, di nuovo il perno di tutto è qualcosa che il Monaco stava tramando.
Volenti o meno, Kai, Takao, Rei, Max, e tutta l'allegra combriccola verrà buttata nel mezzo dell'azione, tra i commenti acidi di Yuriy, gli sguardi poco rassicuranti di Boris, i cavi dei computer di Ivan e la traballante diplomazia di Sergej.
Da un viaggio in Thailandia parte una catena di eventi; per inseguire un ricordo Boris darà innesco a un meccanismo che porterà i protagonisti a combattere un nemico conosciuto.
Sarà guerra e pianto, amicizia e altro ancora, tra una tazza di te, dei codici nascosti, una chiazza di sangue sulla camicia e il mistero di un nome: Bambina.
Starete al loro fianco fino alla fine?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prologo


Si vestì più leggero che poteva quella mattina. Ancora intontito dal viaggio e dal cambio  di fuso orario, afferrò dalla valigia sfatta una maglietta e un paio di pantaloni corti, assaporando già l’afa che lo avrebbe accolto fuori dall’hotel. Uscì dalla camera in fretta, in tasca solo la chiave e gli occhiali da sole; voleva sbrigare quella faccenda il più in fretta possibile. Premette il pulsante dell’ascensore, un elegante marchingegno trasparente che lo faceva sentire in un albergo più costoso di quello che era in realtà; attraversò l’enorme hall corredata di cantante dal vivo, superò la guardia all’ingresso e fu fuori. Un’intensa ondata di luce, caldo e polvere lo investirono. 

Era in Thailandia, per qualche motivo. Si era spinto fino a Bangkok per vedere un vecchio amico; lui glielo aveva chiesto e gli aveva persino inviato i biglietti aerei, e Boris si disse che sarebbe stato uno spreco rifiutarli. Ma il clima del luogo non era proprio il suo, e tutta quella gentilezza, quei ringraziamenti infiniti dei camerieri, dei negozianti, gli parevano fasulli. La gente del posto, all’apparenza dei simpatici cinesi abbronzati, lo indisponeva; la costante afa lo opprimeva. 

Non sembrava esserci un luogo silenzioso, calmo, tutto si muoveva costantemente con la pesantezza e la lentezza degli ingorghi di motorini sulle enormi strade. Sull’asfalto reso lucido dal sole riflettevano le bancarelle degli ambulanti che proponevano cibi e frutti insoliti, che lui non aveva avuto il coraggio di provare. L’atmosfera lo opprimeva, lo stordiva, lui che era abituato al silenzioso e freddo impatto ovattato della neve sul terreno.

Ci mise venticinque interminabili minuti a trovare la casa. Maledisse Igor e le sue fantasie esotiche; ai tempi del monastero non faceva che ripetere di quanto desiderasse andarsene da quel luogo freddo e inospitale, e alla prima occasione aveva realizzato i suoi sogni rifugiandosi nella parte di mondo esattamente opposta alla Russia. Lo aveva chiamato tre settimane prima, spedendogli via mail quei biglietti. Aveva bisogno di parlargli, a quanto pare voleva togliersi un peso dal cuore; un’affermazione ridicola. Non contava nulla quella purificazione tardiva per gente come loro. Avevano fatto di tutto, troppo. Nessuno poteva davvero immaginare.


- è passato molto tempo –

- Mh –

La casa era piccola e ben arredata. Un bel tappeto, un divano e una poltroncina in pelle un po’ datati, un tavolino in legno sormontato da un piatto ricolmo di quello strano frutto del drago che i locali vendevano ad ogni angolo della strada. Igor gli versò un tè incredibilmente caldo nonostante la temperatura esterna, che superava di gran lunga le aspettative di Boris.

- Come state? Vi ho visti all’ultimo campionato –

- Ma guarda un po’-

- Vedi ancora Yuriy?-

- Ogni tanto – 

- Bene –

Non avevano mai avuto chissà quale rapporto da giovani, altro motivo per il quale Boris si era stupito non poco di quell’invito.

Igor bevve con calma il suo te. Era cambiato parecchio; la pelle chiara aveva assunto un tono color caramello, i capelli erano più lunghi, i modi di fare più cordiali. Lui aveva trovato la sua strada dopo il monastero. 

- Tu come stai?- 

Forse era il suo modo di muovere le mani, o quel suo sguardo languidamente benevolo che gli scivolava addosso, o era tutto il contesto, poco importava; Boris non si sentiva a suo agio. Non prese neanche in mano la tazza di tè, che sarebbe rimasta a freddarsi sul tavolino per quella mattina. Si sistemò sul divano, sporgendosi verso Igor.

- Che vuoi?- Fu la domanda secca. 

L’altro ridacchiò. Ricordava bene il comportamento di quello che una volta era stato un compagno di allenamento.

- Vedo che non sei cambiato –

- Diciamo che non ho molto tempo da perdere –

Igor poggiò con estrema calma la tazzina sul tavolo. Boris prese a ticchettare il dito sul ginocchio sempre più velocemente; se l’altro ci avesse messo un secondo in più a cominciare a parlare, gli avrebbe tirato un pugno.

- Devo parlarti di una cosa importante. Prestami molta attenzione –

Il ragazzo si sporse anch’egli in avanti, con fare un po’ troppo cospiratorio.

Lui si è messo a cercare qualcuno –

Aveva detto una frase e non si capiva già nulla; Boris decise che lo avrebbe preso a botte proprio in quel momento, ma Igor pronunciò una parola magica che fermò per un po’ l’istinto omicida.

Vorkov –

Boris non si scompose. L’unica cosa che gli venne in mente fu che stava parlando con uno fuori di testa, e i malati mentali non vanno picchiati.

- Igor, lui non è più in circolazione da anni –

- Ma questo non è collegato ad un atto recente –

- Non credo di seguirti –

- è qualcosa che è successo quando ancora eravamo al monastero –

Boris stava per perdere la pazienza. Chiuse un secondo gli occhi, respirando profondamente.

- Igor, soggetto, verbo e complemento. Di cosa cazzo stai parlando?-

- Della Bambina dannazione! Non hai letto la mia mail?-

L’aveva letta? No, probabilmente no. Non che gli importasse delle fantasie di una persona che non vedeva da una vita; per lui quei biglietti erano stata solo una buona occasione per sfuggire dalla monotonia.

E ora quel pazzoide gli parlava di Vorkov che cerca una bambina.

Boris sogghignò, sotto gli occhi meno divertiti del padrone di casa.

- Dimmi la verità Igor, hai cominciato a drogarti?-

Le iridi azzurrissime dell’altro, così tanto in risalto sul color caramello del volto affilato, si assottigliarono con la severità di un professore pronto a segnare a tutta la classe una nota sul registro. Tutta l’enfasi che metteva nei suoi movimenti dipinse la situazione ancora più irrealistica e montata agli occhi di Boris.

- Stammi a sentire: ne avevo già sentito parlare al monastero, ma solo ora la storia è venuta di nuovo a galla–

- E dimmi, chi ti avrebbe raccontato questa incredibile e misteriosa faccenda?-

- Ho avuto contatti con una persona che lavorava negli archivi –

Questa volta la risata proruppe dalla bocca di Boris. Sospirò, un sorriso tra il divertito e l’irritato sulle labbra. Portò una mano a tirarsi indietro i capelli grigi, facendo saettare veloci gli occhi per la stanza alla ricerca di un qualche bong, o di cocaina tagliata male.

- Tu ... hai contatti con quelli che erano vicini alla direzione del monastero?-

Negli archivi ci poteva andare solo chi aveva la fiducia del monaco. Come era arrivato lui a quelle persone? 

Igor, serio in volto come quella mattina non lo era ancora stato, annuì.

- Qualcuno mi ha detto che lo ha visto muoversi. La sta cercando, me lo ha confermato–

- Chi? Chi te lo avrebbe confermato?-

- Il mio contatto-

- E, dimmi, lui da chi lo avrebbe saputo?-

- da Vorkov –

Bum, era fatta. Igor era ufficialmente pazzo. 

-  Fammi capire bene ... Vorkov si sarebbe messo alla ricerca di una bambina, e ne avrebbe parlato con un qualcuno che lavorava agli archivi del  monastero, che a sua volta lo avrebbe detto a te?-

Suonava decisamente come una barzelletta alle orecchie di Boris. Evidentemente non a quelle del padrone di casa. Igor, con un gesto secco della mano, cercò di deviare sul centro della questione.

– Pressappoco, ma non è questo il punto –

- No, certo, il punto è che ti sei ammattito –

- Tu non capisci! Può significare la fine di tutto!-

- Di tutto cosa? Vorkov non si muove da più di dieci anni, e tutta questa storia mi sembra un’enorme stronzata –

Boris si alzò di scatto, inforcò gli occhiali da sole e si diresse verso la porta.

- Boris!-

- Non c’è bisogno che mi riaccompagni – 

Il ragazzo afferrò con foga la maniglia, scoprendosi in corpo una strana fretta di uscire da quella casa. 

Accolse l’ondata di afa con un sospiro di sollievo. La porta si richiuse dietro di lui; dall’uscio scivolò l’eco delle ultime parole di Igor che subito si dispersero nel suono del traffico di metà mattina.

- La bambina! Cerca la bambina!-


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Capitolo 1



- Te lo ricordi? Sul serio?-

- Come potrei dimenticarlo, eri stato grande –

Takao si portò una mano al capo, passandosela tra i capelli blu più corti del solito. Rise imbarazzato. Era tutta la sera di quel calmo sabato che Rei gli richiamava alla mente ricordi che pensava avessero dimenticato tutti tranne lui; ma il cinese sembrava avere una memoria elefantesca per le brutte figure che la squadra aveva collezionato nel primo campionato.

Rei alzò gli occhi al cielo. Dal dojo si vedevano un sacco di stelle. 

- Ricordo quando sono tornato con voi in Cina, cavolo, Lai mi avrebbe strangolato con le sue mani –

- Ma hai riconquistato la loro fiducia. Cioè, quella di Mao l’avevi sempre avuta –

L’ex compagno di squadra arrossì. Non aveva ancora aggiustato le cose con Mao, che si era dichiarata più di una volta con lui. Lai forse avrebbe anche accettato la coppia, ma Rei non ne era totalmente sicuro. Quello che lo portava sempre a procrastinare la decisione era la sua perenne insicurezza. Mao meritava di essere felice, e lui non era certo di potersene prendere cura.

- E Hilary? L’hai più sentita?- Il cinese cambiò discorso con noncuranza. Non aveva intenzione di passare la sera a rimuginare sui suoi dubbi amorosi.

- Certo che la sento – Takao allungò uno spiedino di mitarashi dango all’amico, prendendone uno per se – Con lei e Kenny ci si vede tutti i giorni –

- Stanno bene?-

Il giapponese annuì – Pensa che Hila è anche migliorata con il beyblade –

- Grande!-

- Già ... –

Rimasero in silenzio per qualche momento. Si creava un momento di intensa nostalgia a ricordare i bei tempi andati. Non che ora la loro vita fosse noiosa; però si vedevano più di rado, ognuno aveva trovato qualcosa da fare che lo allontanava un po’ alla volta dal mondo del bey, che rimaneva comunque il loro centro di gravità. Max tornava solo una settimana al mese per stare con il padre, il resto del tempo lo passava con la madre in America. Rei era quasi sempre in Cina, e Kai era stato incastrato dal nonno in una specie di scuola di economia; sbuffando e pestando i piedi, aveva accettato l’idea del parente con il quale aveva ripreso i contatti solo pochi anni prima. Daichi appariva e scompariva senza preavviso, ma negli ultimi mesi doveva essere partito per una specie di pellegrinaggio spirituale con dei suoi vecchi compagni d’infanzia, in un luogo sperduto tra le montagne e non meglio identificato. Molto nel suo stile.

- Sarebbe bello trovarsi di nuovo –

- Sì ... – Rei rigirò tra le dita lo spiedino privato dai dango – Siamo stati tutti un po’ occupati ultimamente –

Ad un tratto, l’idea geniale dell’ex capitano.

- E se chiamassimo anche Kai?-

- Kai?-

- Ma sì! Tanto è a casa di suo nonno e sono sicuro che non sta facendo niente di interessante –

Il giapponese era così entusiasta del suo colpo di genio che Rei venne contagiato dal suo sorriso. Prese un altro spiedino di dango, masticandone uno dopo l’altro. Sì, gli sarebbe davvero piaciuto trovarsi con Kai, era quasi un anno che non lo vedeva. Già se lo immaginava sbuffare e inveire al telefono, per poi accettare tacitamente fingendo noia e disappunto per la rimpatriata. Un vecchio scorbutico, come era sempre stato. Un vecchio scorbutico che gli mancava.

Takao tirò fuori il cellulare dalla tasca.

- Aspetta Takao ... non vorrai chiamarlo ora?-

Neanche a dirlo il giapponese stava già componendo il numero – Certo! Così ce lo prenotiamo subito e non può inventare scuse per non venire –

- Ma è mezzanotte passata ... non credi sarebbe meglio aspettare?- Non credi che ci ucciderebbe dalla sua villa con un fucile da cecchino se lo chiamassimo a quest’ora? avrebbe voluto commentare Rei, mentre una gocciolina di sudore gli scendeva lungo la fronte.

Ma Takao aveva deciso. E quando il capitano dei Bladebreakers prendeva una decisione, fosse questa la peggiore della sua vita, cascasse il mondo l’avrebbe portata a termine.

- Nhaaa – Commentò, compiendo infine l’insano gesto di pigiare sul touch screen del cellulare il simbolo della chiamata, quell’allegro telefono verde ora presagio infausto di morte.

Rei rise nervoso. La sua blanda diplomazia non era bastata a fermarlo.

Il telefono squillò una, due, tre volte. Il giapponese rimase in impaziente attesa, tamburellando con lo stecchino vuoto dei dango sul pavimento di legno del dojo.

- Non risponde ... – sospirò Takao sconsolato. Rei riprese a respirare solo in quel momento.

- Dai, andiamo da lui- 

Il cinese perse un paio di battiti. Afferrò Takao per un braccio cercando di frenarlo nella sua fretta di uscire di casa per andare incontro ad un Kai molto assonnato e molto nervoso.

- Aspetta aspetta aspetta! Potremmo andarci domani mattina, forse ora sta dormendo ... –

Takao non lo ascoltò neppure. Con un ma va là frantumò i dubbi dell’amico, infilò giacca rossa e scarpe e lanciò a Rei la maglia che il cinese si era tolto per dare un effetto da post allenamento ai suoi muscoli molto scolpiti; sicuramente più scolpiti di quelli di Takao. 

Rei doveva ammettere di essere diventato un po’ vanesio da quando Mao gli aveva fatto notare quanto fosse palestrato. La ragazza passava il dito negli incavi dei suoi perfetti e squadrati addominali, facendolo sentire per un po’ una specie di agente 007, un fusto accalappia donne.

- Rei muoviti! Passiamo a prendere anche Kenny! –

Takao era già fuori dal portone. La gioia all’idea di rivedere il prof. K era soppressa dal timore della morte imminente. Il cinese ripassò mentalmente la sua vita, nel caso arrivati faccia a faccia con il fucile di Kai non avesse avuto il tempo di vedersela scorrere davanti.



..........



L’unica cosa che gli piaceva dell’Inghilterra era il clima. D’inverno. Solo d’inverno. Il resto delle stagioni le avrebbe volentieri passate chiuso in casa a maledire ogni singola goccia di pioggia perché pioveva, pioveva e pioveva. E basta.

Stupida estate. Stupido autunno. Stupido tutto.

Il morale migliorò subito quando qualcuno fece sfilare sotto il suo naso un bicchierino ricolmo di alcool, non gli importava tanto sapere quale tipo di alcool fosse. Lo prese e lo trangugiò senza pensarci troppo.

- Cosa stai cercando di dimenticare?-

Yuriy alzò le spalle con noncuranza. Ce n’erano tante di cose da dimenticare nella sua vita, ma in quel momento specifico niente di particolare. 

Ribaltò la domanda all’amico – Tu?-

Boris bevve, guardando pensieroso il muro davanti a lui. 

Era uno di quegli squallidi bar a tema giapponese, l’interno lugubre coronato da una cortina di fumo di sigarette e oppio. Donne lascive in kimono accoglievano gli ospiti; il proprietario, cinese, invitava con uno sguardo malizioso a seguirlo nel retro per un divertimento più fisico e intimo. Lui era sempre lì, davanti al bancone con una bottiglia del sakè migliore che quella topaia potesse permettersi. Ogni tanto la bottiglia diventava di vodka; ogni tanto di qualcos’altro.

- Ho visto Igor di recente –

- Chi?- Con tutti gli Igor che aveva conosciuto in Russia non poteva certo ricordarsi di una specifica persona.

- Il ragazzo del monastero che ... –

- Aaaah, quel Igor –

Boris avrebbe potuto prenderlo a pugni in faccia ma non lo fece. Sapeva bene quanto all’amico piacesse mostrarsi indifferente verso il mondo; se poi si trattava dei problemi degli altri, estraniarsene diventava per lui una priorità. Era lì, seduto accanto a lui al bancone, guardando svogliatamente il bicchierino ormai vuoto. A suo modo lo stava ascoltando.

- Mi ha raccontato una cosa strana, forse il caldo lo ha fatto ammattire – 

Boris si portò il bicchiere alle labbra e bevve, lasciando il discorso in sospeso. Gli occhi erano sempre fissi al muro ma non gli serviva vederlo per sapere che Yuriy si stava irritando secondo dopo secondo. Forse fingeva disinteresse per il mondo, ma non poteva negare di essere sempre stato curioso.

Quando dalla bocca del capitano uscì un e quindi? un po’ biascicato, Boris si autoproclamò vincitore. Avrebbe potuto spingersi oltre con un se non ti interessa ... e lasciare il discorso in sospeso ancora per un po’, giusto per vedere quanto ci avrebbe messo l’altro a regalargli uno dei suoi sguardi gelidi; avrebbe sancito il trionfo della sua opinione: Yuriy Ivanov era una vecchia pettegola. 

Ma non lo fece. Per quella sera si sarebbe accontentato.

- Hai mai sentito parlare di una bambina al monastero?-

- Una bambina? Di chi?-

- Non lo so, Igor ha insistito su questa bambina ma non ci ho capito molto –

- Uhm ... – Pausa di silenzio – Nient’altro?-

- Ha detto che dei vecchi contatti del monastero gli avrebbero detto che Vorkov li aveva reclutati per mettersi in cerca di questa bambina –

Disse la frase tutto d’un fiato, senza particolare enfasi. Più la ripeteva più gli sembrava perdere di senso. Yuriy non si scompose, nemmeno al sentir pronunciare il nome del monaco dopo così tanto tempo. Erano passati ormai dieci anni dall’ultima volta che avevano avuto a che fare con lui. Non aveva intenzione di ripetere l’esperienza.

- Tutto qui?-

Boris alzò le spalle. Gli occhi saettarono di sfuggita su una di quelle donne in kimono che mimavano, molto blandamente, movenze da geisha. 

- Tutto qui. Ma Igor è un po’ squilibrato –

- Però me lo stai raccontando –

Ecco, ecco il fiuto di Yuriy che scovava quello che l’apparenza cercava di nascondere; aveva trovato il sospetto, il sottile filo di inquietudine che la storiella fantasiosa di Igor aveva insinuato nella testa di Boris. Lui buttò il capo all’indietro, lasciando le ciocche grigie scivolargli via dalla fronte; chiuse gli occhi e inspirò a fondo il forte odore di fumo. Per un attimo ne rimase stordito; ma non bastò a fargli dimenticare tutto.

Non sapeva esattamente perché lo aveva raccontato a Yuriy. Forse sperava in un commento distaccato che gli desse la conferma che tutta quella storiella era un’enorme stronzata. 

Fu l’amico a rompere il silenzio.

- è curioso –

Boris riaprì gli occhi.

- Cosa?-

- Prima di tutto che lo abbia detto a te –

- Forse non aveva altri contatti ... –

- Mmh ... – La frase rimase sospesa. Si versò dell’altro sake dalla bottiglia lasciata sul banco - ... mah, saranno un mucchio di stronzate –

Ecco quello che voleva sentirsi dire. Con questo, Boris considerò chiuso il discorso.

- Notizie degli altri del branco?-

Una domanda a caso, giusto per essere sicuro che avrebbero cambiato il topic della discussione.

- Sergej è a fare qualcosa che ... boh, non ricordo, l’ultima volta che ci siamo sentiti parlava di libri –

- Il nano malefico?-

- Ivan è rimasto in Russia, lo sai no?-

- A fare che?-

Yuriy buttò giù l’ultimo sorso di alcool, fermandosi un momento per gustare la sensazione di bruciore lungo la gola.

- Non ne ho idea –



......................



- Stai bene?-

Erano passati per un saluto, solo per un saluto. E magari due chiacchiere. Una battuta sarcastica sull’odierno mondo del beyblade. E una capatina al frigo fornito di casa Hiwatari.

- Si, ho detto che sto meglio –

Il cancello, grande abbastanza da farti sentire intimidito e povero, era aperto, così come l’enorme portone in legno scuro. Erano entrati e con sgomento si erano resi conto che le botte che risuonavano dal piano di sopra non potevano essere quelle di una battaglia di cuscini. Salendo di corsa le scale avevano chiamato a gran voce il padrone di casa, e un intruso, allarmato dagli schiamazzi, gli era sfrecciato di fianco in un outfit total black che faceva molto agente dell’MI6. Kai era in uno dei salotti, circondato da un caos di fogli volanti e mobili rovesciati; brandiva un attizzatoio e si premeva la mano sul fianco destro.

Takao chiese subito: - Miodio Kai chi hai ucciso?-

Kenny fu più diplomatico.



- Ahia – commentò laconico il nippo-russo. 

- Scusa –

Il fianco destro scoperto, in volto un’espressione sconsolata e senza speranza, Kai aveva accettato di farsi medicare con le mistiche arti cinesi. Rei lo avrebbe fatto anche senza il suo permesso; non appena aveva fiutato la ferita si era trasformato in un efficientissima crocerossina. Il cinese finì di spalmare un intruglio che aveva creato sul momento, una pappetta fatta di erbe aromatiche selvaggiamente raziate dalla dispensa della cucina. Si era anche lamentato che non erano fresche, coronando il discorso sull’importanza di coltivare in casa il basilico, piuttosto che comprarlo già pronto, con un “per adesso mi accontenterò”.

Kai si era dimostrato incredibilmente cedevole. Forse perché era ancora mezzo addormentato. Lo aveva svegliato l’allarme; era scattato giù dal letto, conscio che la tregua con il nonno sarebbe finita se un ladro gli avesse svaligiato casa. Aveva inforcato tutta la sua rabbia repressa per sfogarla sul ladro; quando si era trovato davanti un Man In Black armato aveva vacillato un po’; almeno fino al momento in cui aveva afferrato un attizzatoio, senza sapere bene come ci era finito a tenere in mano il lussuoso utensile da caminetto. Poi 007 aveva sparato, e dalle scale era arrivata la voce di Takao. Non avrebbe saputo dire quale delle due cose lo infastidì di più.

- Per fortuna siamo arrivati noi –

- Già, per fortuna-

- Hai avuto culo amico, pensa se per caso avessimo rimandato a domani!-

- Proprio un gran culo –

- E tu Rei che non volevi disturbare, se non fosse stato per me ora qualcuno sarebbe morto –

Takao non specificò chi; non era sicuro che il ladro si sarebbe salvato.

Rei fece un ultimo nodo alla fasciatura, guardando la sua opera soddisfatto –

- Ho finito. Va meglio?-

Kai biascicò un grazie molto assonnato, passandosi una mano sugli occhi.

- Dove hai trovato le garze?- fu la prima cosa che gli venne da chiedere, visto che il cinese ne aveva usati chilometri, e in casa loro non ne avevano, ma la sua voce stanca e lugubre venne sorpassata dallo squillare delle domande di Takao, ancora allarmato. 

- Ma scusa, vivi qui da solo? Se me lo dicevi ti venivo a fare compagnia più spesso! –

Kai gli avrebbe volentieri spiegato che se non lo aveva mai chiamato c’era il suo valido, validissimo motivo, ma avrebbe rimandato la discussione al momento in cui il suo cervello fosse stato abbastanza sveglio.

- Non sono solo Takao, ci vivo con mio nonno –

Capì che avrebbe dovuto stare zitto quando gli occhi dei presenti si sgranarono sbigottiti. Kenny si aggiustò addirittura gli occhiali sul naso, come se vederci poco avesse influito sull’udire quella rivelazione.

- Come ... con tuo nonno? Sei sicuro?-

- Abbastanza –

- Ma quindi lui è ... ehm ... buono?-

- Normale – Rispose laconico il padrone di casa, reprimendo uno sbadiglio.

- Lui?- Gli occhi di Tako erano sempre più sgranati.

- Aha- 

Passò un momento di silenzio. Takao e Kenny ne approfittarono per pensare se l’amico non si fosse bevuto il cervello, o peggio, non fosse di nuovo passato dalla parte dei piani malvagi del parente. Kai ne approfittò per pensare a come far finta di riaddormentarsi, per poi potersi addormentare davvero.

- E quindi il ladro cosa cercava qui?- La voce di Rei risuonò lungo le lussuose pareti, mentre dal lussuoso bagno si sciacquava le mani nell’altrettanto lussuoso lavandino, per eliminare la sostanza appiccicaticcia che aveva spalmato sulla ferita dell’amico. Il basilico gli avrebbe donato un gustoso profumo di pizza per tutta la settimana.

Kai si alzò dalla poltrona, lussuosamente ricoperta di broccato color avorio, rassicurando i due amici iperprotettivi, che stavano per rimproverarlo di non muoversi troppo, con un mezzo sorriso un po’ sghembo. Si guardò attorno; i cassetti aperti, i cuscini del divano rovesciati a terra, i cocci in frantumi di quello che rimaneva del preziosissimo vaso cinese che il nonno gli avrebbe depennato dall’eredità.

Kai sospirò. Poteva andare peggio, anche se non sapeva in che modo. 

- Ho pescato James Bond a frugare tra i documenti in cassaforte ... –

- C’è qualcosa di importante?-

Kai alzò le spalle – Non ho idea di cosa ci tenga mio nonno –

- E chi gli ha dato la chiave per entrare?-

- Babbo Natale Takao, Babbo Natale –


..............


- Chi parla?-

- Sono la zia-

C’erano davvero poche situazioni che lasciavano Yuriy Ivanov completamente a bocca aperta; pochi momenti in cui non sapeva cosa dire, come reagire. Era accaduto un numero di volte che si potevano contare sulle dita di una mano. Quella domenica mattina andava ad aggiungere un dito in più al conteggio.

Aggrottò le sopracciglia, drizzandosi meglio sulla sedia come se il telefono non avesse ricevuto bene il segnale quando aveva risposto, spalmato sul tavolo con la prima di innumerevoli tazzine di caffè davanti. Dormire poco la notte lo trasformava in un tappeto la mattina, molto poco efficiente e operativo. Ma il sonno arretrato acuiva il naturale odio per l’umanità, rendendo il suo sguardo un misto tra una lama affilata e una serranda che minacciava di chiudersi.

- Ha sbagliato numero – Sul momento fu la cosa più intelligente che si sentì di dire.

- Volevo avvisarvi che il suo compleanno si farà al solito posto, non mancate!- 

- Ma che cazzo ... –

L’interlocutore buttò giù, lasciando a metà l’imprecazione di Yuriy. Il ragazzo appoggiò il cellulare sul tavolino, accanto alla tazzina di caffè ormai freddo. Pensò che quello che aveva chiamato fosse un simpatico burlone che voleva solo fargli uno scherzo, e iniziò a progettare per lui una lenta e dolorosa agonia. Prese la tazzina e bevve d’un fiato il caffè, lasciando che una smorfia di disgusto gli si dipingesse sul volto. 

Ne beveva una mezza dozzina al giorno e nemmeno gli piacevano. Aveva cominciato così, controvoglia, dicendosi che forse lo avrebbe aiutato a stare sveglio dopo una di quelle tante notti insonni. Poi il sapore amaro che tanto lo disgustava aveva cominciato a diventare un rituale al mattino, tanto che se non ne prendeva per giorni si scopriva a sentirne la mancanza.

Si ricordò del caffè che preparava Ivan. Oh, lui era un esperto; aveva conosciuto un turco che gli aveva insegnato tutti i segreti per preparare un caffè perfetto, e nessuno lo faceva buono come il suo.

- Ivan ... – sussurrò tra sé e sé. Si ripetè il nome più volte in testa, finchè il suono perse di significato. E gli venne in mente qualcosa.

La zia di Ivan ... ma porca puttana –

Si alzò di scatto, afferrò cappotto e telefono e uscì rapido di casa, infilandosi in macchina. 

Erano divisi da diversi anni, ma il branco rimane sempre in contatto in qualche modo.

Pigiò il touch del telefono con precisione, portandolo all’orecchio. Accese la macchina e partì.

Dall’altra parte dell’apparecchio Boris si fece vivo.

- Yu?- 

- Fatti trovare pronto, sono da te fra cinque minuti –

Lo raggiunse al lavoro in quattro minuti e quarantadue secondi. Boris si inventò una scusa qualsiasi per assentarsi; mezz’ora dopo erano all’aeroporto.


...................


Era una notte buia e tempestosa. Sì, proprio così. In Inghilterra serate del genere non si fanno attendere troppo quando l’autunno bussa alle porte della Manica, portando un’atmosfera misteriosa che i profani dell’impero britannico riconoscono in quel mucchio di film gialli su Sherlock Holmes, o Poirot. Capolavori che Andrew non riusciva ad apprezzare potendo vivere, respirare appieno il mistero e la punta di inquietudine che la sua città secerneva come ossigeno. Olivier era molto più distaccato. Un mucchio di laboriose formiche che rincorrono la metro in una nuvola di gas tossici; questa era la sua descrizione più lusinghiera di Londra.

Eppure eccolo lì, il romantico francese, seduto su un elegante divano rosso di uno dei salotti di villa McGregor, lo sguardo accigliato rivolto al mazzo di carte davanti a lui. Sollevò una carta con cura, un tremolio di speranza gli percorse la mano. La girò, la valutò, e la posò sul tavolo con precisione sotto un’altra fila di carte.

Il gioco del solitario era un’arte che pochi potevano perfezionare. Una piccola mania che gli aveva lasciato il soggiorno in Italia di un paio di settimane prima.

I genitori dell’amico inglese erano a teatro, a presenziare alla prima di un’opera di Shakespeare, non ricordava quale, tenuta da un gruppo di giovani attori emergenti, e molto promettenti secondo la critica. La servitù si era dileguata nella propria ala della casa non appena le mansioni domestiche erano terminate, salutando i due giovani con un freddo “buonanotte”, che Olivier colse di striscio. Il solitario ormai lo aveva rapito, tanto che nemmeno si accorse che l’amico, nonchè padrone di casa, era ricomparso affannato nel salotto.

- Vier –

- Mh-

- C’è qualcuno ... in casa. C’è qualcuno- 

La voce dell’inglese, ridotta ad un sussurro, lo costrinse a distogliere l’attenzione dalle carte. Alzò gli occhi su Andrew, leggermente pallido in viso.

- Va tutto bene Drew?-

- No non va bene, in fondo alle scale ho visto la luce di una torcia – fece lui senza prendere fiato nemmeno una volta, facendo saettare gli occhi dietro di se come se lo avessero inseguito i fantasmi.

Il francese lo guardò con noncuranza, puntando un gomito sulle gambe elegantemente accavallate, il capo poggiato sul dorso della mano - Forse sono solo tornati i tuoi e non vedendo l’interruttore lo cercano con la torcia ... – 

- Ti prego di smetterla di fare battute sui decimi di vista dei miei genitori e di metterti a fare qualcosa, c’è qualcuno al piano di sotto –

- ... Oppure volevano rubare dalla casa dei Bethencourt quella loro splendida collezione di tazzine in ceramica di cui si sono vantati all’ultimo party ... –

- Vier –

- ... Ma non hanno letto bene il numero civico e si sono infilati in casa vostra –

- Olivier sei insopportabile –

Il francese sospirò; stuzzicare l’amico era un passatempo irresistibile. Ciò che più lo divertiva era la velocità di reazione dell’altro ad ogni minima parola; una bomba pronta ad esplodere. Erano gli ultimi giorni di novembre, per gli ultimi del britannico soggiorno, e si sarebbe goduto la compagnia dell’inglese più che poteva.

- Va bene – si alzò puntellando le mani sulle ginocchia; si stiracchiò con noncuranza e assunse la sua solita aria disinteressata e spensierata, spaventosamente simile a quella di Gianni. Passava troppo tempo  con quel soggetto.

- Andiamo a controllare –

- Ma sei scemo? E se sono davvero ladri?-

- Quindi hai tenuto in considerazione l’ipotesi che siano i tuoi accecati genitori?-

- Olivier!- Soffiò l'inglese irritato – Ti prego!-

L'amico alzò le braccia in segno di resa. Si era divertito abbastanza, e l’altro sembrava sull’orlo di una crisi isterica dalla quale non sarebbe uscito se non dopo svariate tazze di tè.

- Vuoi chiamare la servitù?-

- Sono dall’altra parte della casa, ora che arrivano mi avranno svaligiato!-

- ... la polizia?-

- Io ... –

Il fracasso di cocci rotti a terra fece sobbalzare i due. Andrew andò a piazzarsi vicino ad Olivier, dietro il tavolino in mogano. Il francese trattenne il fiato; fino a quel momento non ci aveva nemmeno creduto alla storia dei ladri, e invece Drew non aveva detto una sciocchezza.

Bon, bon ... – sussurrò per calmarsi, sentendo la presa ferrea della mano dell’altro sulla sua camicia di seta.

- Olivier ... –

- Cosa? –

Le loro voci erano appena sussurrate. Se le loro famiglie avessero visto i fieri eredi di una stirpe di guerrieri tremare come foglie davanti ad un intruso in casa, li avrebbero diseredati e depennati dall’albero genealogico.

Dobbiamo chiamare aiuto – Andrew sottolineò il verbo nella frase.

- Prendi il telefon ... –

Un secondo rumore li fece di nuovo sobbalzare. Era più vicino, sembrava arrivare dalle scale. Olivier pensò che sarebbe stata davvero una fine indegna, morire in suolo inglese. Ovunque, ma non lì, in quella città di smog, piogge, umidità e persone sgradevoli.

- Ora prendo quella e lo affetto – Andrew indicò con gli occhi una delle spade da collezione che il padre teneva orgogliosamente in mostra in una vetrinetta.

- Certo, così sarà tuo padre a farti fuori quando tornerà –

Un suono di passi. Questa volta erano sicuri, provenivano dalla saletta accanto. 

- Ora entra e ci rapisce ... –

- O peggio, svuota la cassaforte e i miei mi diseredano –


...................


Era un piccolo edificio quello dell’asilo a Croydon. Una bella cittadina poco lontano da Londra; gli piaceva stare lì. D’altra parte aveva studiato parecchio per arrivare in quella piccola isola di calma e pace, circondato da piccoli e felici bambini. 

Sergej si appoggiò meglio alla panchina. Nuvole nere si addensavano oltre la tettoia rossa; avrebbe piovuto, e addio attività all’aperto. Poco male; potevano giocare ad altro anche dentro. Un due tre stella era uno dei giochi preferiti dei bambini.

- Sergej –

Il ragazzo alzò gli occhi. Una donna paffutella dal volto gentile gli stava porgendo il suo cellulare con un sorriso.

- Qualcuno ti cerca al telefono. Stava squillando da un po’, mi sono permessa di rispondere –

Lui accennò un rassicurante sorriso - Hai fatto bene, hai fatto bene. Chi è?-

La donna scosse il capo. Gli lasciò l’apparecchio, tornando dentro l’edificio di un color giallo un po’ sbiadito.

Sergej rispose incuriosito.

- Pronto?-

- Sono Yuriy. fatti trovare all’aeroporto di Londra ora, andiamo dalla zia-

La prima cosa che pensò Sergej fu che era successo qualcosa di grosso. La seconda cosa, che avrebbe dovuto chiedere almeno tre, no, quattro giorni di ferie.



  
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