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Autore: rahide    07/01/2021    3 recensioni
Mi hai tradito?
Mi tradisci ancora?
Dovrei chiederti anche io l'assoluzione
(FF parallela a "Il perdono che non ti chiederò")
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
- Questa storia fa parte della serie 'Le luci, le ombre'
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Parallela ai pensieri di Hanamichi in "Il perdono che non ti chiederò".
La voce di Kaede.
Avevo già in mente di scrivere entrambe le voci, ma ho deciso di farlo dopo alcuni suggerimenti in merito.
Come per la prima storia, essa mi appartiene, i personaggi no.

Buona lettura.

Rahide

_________________________



Mi sembra sempre più piccolo questo divano.

Non so, non c’è insolitamente caldo in questa stanza?
Dio… Ma è necessario stare così vicini?
È vero che siamo alti, molto alti, e da sdraiati è difficile mantenere le distanze, però cazzo, mi sembra di soffocare.
 
Ho vicino a me la tua gamba eternamente abbronzata.
In realtà sento un impulso, come di muovere la mano, e apporgiartela sulla pelle, e farla scorrere, senza fretta.
Ma sento anche, ed è indubbiamente più forte, l’impulso di allontanarmi. Vorrei alzarmi e cambiare stanza, veramente.
Ma lo so che ti allarmeresti subito.
E non ho voglia di discutere, ora che le cose sembrano essere, perlomeno, tranquille.
 
Come siamo finiti così, Hana?
Cosa mi ha stancato di te?
E cosa invece ancora mi tiene tuttora ancorato a te, saldamente?
Probabilmente le stesse cose. Croce e delizia si dice, no?
Mi ricordo quando siamo venuti qui a convivere… Cristo ti avrei ucciso dopo un minuto, un singolo fottutissimo minuto: lasci costantemente la tua roba in giro, fai diciotto cose contemporaneamente riuscendo a non finirne diciannove; io che sono lo specchio del mio gioco: pulito, essenziale, efficace, non so come ho fatto a non lasciarti.
 
Lo so, in verità. Ti amo.
Cazzo se ti amo.
Ma non so se ti voglio bene…
Sono incongruenti le due cose?
Non lo so.
Ma una cosa la so, e l’ho capita in questi anni di relazione con te: non sono una persona intelligente. Non dico in generale. Non lo sono a livello relazionale, sociale. Ecco, direi che sono un “disabile emotivo”.
Leggo gli schemi di gioco come fossero un libro per bambini, con una facilità disarmante, ma non leggo le persone, e di conseguenza non so come muovermi: anche se sembro io qui il pilastro, in realtà chi ha in mano le redini della relazione sei tu. Non credo tu lo sappia. Ma lo so io, e questo mi terrorizza.
Per la prima volta non sono padrone di me stesso.
Mi capita solo con te, e considerando che, almeno in teoria, sei la fetta più grossa della mia vita, è alquanto destabilizzante.
 
Sì, in teoria.
Mi stai sfuggendo dalle mani, Hanamichi.
Me ne accorgo ogni giorno che passa.
Veramente pensavi che sarei cambiato? Veramente pensavo che sarei cambiato?
Cazzo sì, lo pensavamo. Ne eravamo certi.
Da quando abbiamo iniziato questa cosa, due ragazzi che trovavano sul parquet e sul materasso bastanti ragioni per amarsi e continuare a farlo, ci siamo resi conto che comincia a non bastare più.
Le persone non cambiano, Tesoro: si mitigano, forse, imparano a soprassedere, più che altro, acquistano pian piano indifferenza, drammaticamente.
Hanamichi io ti amo, te lo giuro, nel massimo modo in cui io ritengo per me possibile amare qualcun altro, ma lo sento, Cristo lo sento che manca qualcosa, e non so se prima c’era ed ora non c’è più (o, come spero, l’abbiamo solo momentaneamente persa di vista) o se non c’è mai stata.
Ho una paura fottuta.
Che cosa faccio se mi lasci?
Ma che cosa posso fare se continuiamo a stare insieme?
 
Non sono bravo a dire “Ti amo”.
Mai stato.
Ma ti amo. E tu devi saperlo.
E sai una cosa? È un tuo preciso compito saperlo. Lo sapevi, l’hai sempre saputo chi sono e come sono, se pretendi ora, dopo più di quindici anni, qualcosa di diverso, beh, sei tu quello che sbaglia, ok?
… Ecco, appunto… Emotivamente handicappato.
Che stronzo sono.
Uff…
 
Io te lo dico, in realtà, che ti amo: non li vedi i miei occhi, come ti guardano, mentre facciamo l’amore?
Non ti accorgi di come l’irruente magnificenza di te che hai un orgasmo mi faccia sentire il più potente essere del cosmo ma al contempo succube ai tuoi piedi?
Credo che entrambi, durante il sesso, siamo massimamente sinceri: è lì che ci diciamo le cose importanti.
Però, forse, a trentadue anni, non basta più… Vero?
Dovremmo probabilmente, a quest’ora, già aver costruito ben altri ponti oltre agli orgasmi vicendevoli e alle partite di basket in tv guardate assieme (sempre più distrattamente, da parte tua…).
 
Hanamichi… Mi hai tradito?
… Mi stai tradendo?
Nella nebbia che ogni tanto ti vela lo sguardo, da due anni a questa parte, a  volte mi pare di vedere dei rischiaramenti momentanei ed euforici… Ma la causa non ne sono io.
Sinceramente?
Non so se mi hai tradito.
Ma io sì. L’ho fatto.
Quella sera in cui tu eri ad arbitrare, e poi a cena con questi fantomatici amici arbitri, che di fatto io non ho mai visto.
Forse è per questo che questo divano ora mi appare angosciosamente piccolo: l’ho fatta venire qui, Hana.
La fisioterapista della mia squadra. Sapevo che mi muore dietro, e ne ho biecamente approfittato.
L’ho fatta venire con la scusa di una contrattura: me la sono fatta qui, sul nostro divano, qui dove mi stendo sempre io.
Vedi, ironicamente, nel tradirti, non ho voluto offenderti, scopandomela nel tuo abituale posto.
Ma ora che ci sei tu, da questo divano vorrei scappare.
Non mi ha chiesto nulla Hana, né prima né dopo. Da me voleva soltanto me stesso, ciò che di me ero disposto a concederle, e questo in qualche modo mi ha sgravato da una responsabilità che sento sempre più pressante nei tuoi confronti, quella di amarti come meriti. Bel modo contorto e paradossale di farlo, no?!
 
Non te lo dirò.
Probabilmente ne moriresti.
E ne morirei anche io.
Non so come supereremo tutto questo.
Se lo supereremo.
 
Intanto però mi accorgo che la mia mano, automaticamente, si è mossa, è ora sulla tua gamba, accarezzandoti.
E sento la tua pelle accogliermi, innamorata, offesa, delusa, ma innamorata.
Forse c’è speranza di redenzione.

 
 
  
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