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Autore: BeaterNightFury    09/01/2021    0 recensioni
Le riusciva persino difficile credere che una volta alzati tutti da tavola, Riku sarebbe andato finalmente a cercare la sua mamma… che ora gli era stato permesso. Che Sora sapeva dov’era Ventus e sarebbe andato a recuperarlo dopo che le Principesse fossero state al sicuro.
Che se avessero vinto quella guerra, Shiro avrebbe avuto di nuovo una famiglia, una casa.

Seguito di Legacy e Journey.
Sora, Riku e Kairi dividono le loro strade per proteggere le Principesse, salvare i Guardiani perduti, e prepararsi alla battaglia.
Lea si ritrova dopo undici lunghi anni a fare i conti con il proprio passato irrisolto.
Ventus e Roxas aspettano il momento in cui potranno tornare a fare qualcosa che non sia osservare...
Il momento dello scontro è vicino.
Sette contro tredici.
A volte, la differenza è tutto quello che un eroe può fare.
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Probabilmente un po' di dettagli di San Fransokyo (la prof, Karmi, Viscidino, il cappuccino di Krei, e Noodle Burger) non vi saranno familiari. Beh, è tutto nella serie TV. ;) 

Guardians – Capitolo 8
Una Ragione Per Combattere
 
«E poi Will dov’è finito?» Sora finì di pulire i pesci che erano riusciti a prendere prima di attraccare alla Baia dei Relitti. I Pirati Nobili si erano riuniti in Consiglio, ma a gran parte delle ciurme non era stato concesso di assistere.
A Sora sarebbe piaciuto vedere un consiglio di pirati, ma a giudicare dai rumori che venivano dal piano di sopra era stata una buona idea restare di sotto e aiutare nelle cambuse. D’altra parte, quello che aveva imparato con Piccolo Chef poteva tornargli utile, e quando era stato bambino, la mamma gli aveva sempre detto e ripetuto che c’erano abilità che erano necessarie per qualsiasi persona che si definisse un adulto – e cucinare era una di queste. Tanto valeva far pratica.
«Avevamo appena finito di parlare quando Jack ci ha sorpresi. Pare che Will stesse lanciando barili marcati in mare,» Ventus, che stava badando al fuoco, disse a voce bassa. «Voleva attirare qui l’Olandese Volante. Per uccidere Jones e liberare suo padre.»
«E la maledizione del forziere fantasma?» Sora chiese subito. Ricordava ancora le ultime parole del governatore Swann.
«Come ho detto, Jack lo ha scoperto.» Ventus sistemò una pentola sul fuoco e iniziò a buttarci dei pezzi di galletta e della carne salata che avevano trovato sulla nave. «Se non era stato proprio lui a lasciarlo uscire. Anche Jack ha dei piani… la maledizione lo renderebbe immortale, a quanto pare, e adesso è lui che vuol pugnalare Jones.»
«Oh. Okay.» Sora pulì il coltello, poi buttò il pesce nella pentola. «Non mi spiego perché Will non è qui con noi, allora.»
«Jack gli ha dato una bussola e lo ha buttato in mare in uno dei barili.» Ventus si strinse nelle spalle. «Poi ha fissato me e mi ha detto che nessuno doveva sapere cosa era successo, e non mi aveva spinto giù con Will solo perché a quanto pare il mio nome significa qualcosa di importante in un’antica lingua di questo mondo e non voleva tirarsi contro la malasorte.»
«Se Jack sa che mi hai detto tutto, potresti finire nei guai.» Sora guardò lo stufato che bolliva.
«Oh, non credo. Ha detto che nessuno doveva sapere.» Sul volto di Ventus si dipinse un sogghigno malandrino. «Non di non dirti nulla.»
Non ci credo. Ventus no, Ventus QUESTA è SQUALLIDA.” Roxas protestò nella testa di Sora. Ventus non poteva sentire, ma rise. Forse aveva immaginato che Roxas avrebbe reagito in quel modo.
«Non capisco però perché Jack abbia dato a Will una bussola.» Ventus si rifece serio.
«Gli ha dato la bussola?» Sora commentò. «Allora vuol dire che si fida di lui. Quella bussola non segna il Nord. Segna quello che cerchi e quello che vuoi
«Quindi se Will stava lasciando tracce per Beckett… e Jack lo ha lasciato assieme alle tracce con la sua bussola…» Ventus aggrottò le sopracciglia.
Vuol dire che stanno collaborando. O che Jack sta aiutando Will.” Roxas disse, e Sora ripeté.
«Sarebbe forte avere una bussola come quella,» Ventus ammise, tirando qualcosa fuori dai pantaloni. Sora riconobbe la stessa stella di vetro che avevano Aqua e Shiro, solo che questa era di due diversi toni di verde. «Quando Aqua fece questi, disse che ci avrebbero legati in qualche modo. Come se fossero stati una specie di bussola.»
«Da noi è una specie di tradizione. Li fanno i marinai… è una specie di scongiuro per tornare a casa.» Sora estrasse il suo. «Anche Terra ne ha uno, vero?»
Ventus sorrise e annuì, poi rimase in silenzio. Qualcosa lo aveva turbato in quei giorni, Sora ne era certo, ma aveva rinunciato a parlargliene per non sembrare un idiota. Quello, e aveva anche le sue, di gatte da pelare.
Avevano i Sette Guardiani anche senza aver salvato Terra, e quello voleva dire che da un momento all’altro, il telefono nella sua tasca avrebbe squillato, e Aqua o Topolino o Yen Sid avrebbero annunciato il momento di andare a quel cimitero maledetto e combattere. E Sora non si sentiva pronto.
Aveva visto come era stato rapido Ventus quando degli Heartless avevano cercato di abbordare la Perla Nera, ed era riuscito a tener testa ad Aqua solo dopo che lei era stata apparentemente stancata da Riku – che pur essendo più forte di Sora, ne era comunque uscito lievemente ferito.
Quanto a Terra, non era sicuro che fosse stato lui, ma settimane prima, appena prima che Pence fosse riuscito a contattarlo dicendo di aver ritrovato la doppia Crepuscopoli, Sora aveva indagato con Cip e Ciop su uno strano portale. Soltanto dopo essere arrivato ai Caraibi aveva fatto due più due, dopo aver visto l’armatura di Ventus e quella che era stata prestata a lui: l’armatura abbandonata nel deserto, quella che gliele aveva suonate di santa ragione prima di “rendersi conto” che lui non era un’Oscurità… somigliava tantissimo alle armature del Castello di Partenza… e se fosse stata l’armatura di Terra?
In tal caso, sarebbero stati cavoli amari. Xehanort da solo li ha tolti dai giochi, Riku aveva detto nei mondi dormienti, e Sora non era ancora all’altezza di nessuno dei tre.
  


Riku non ricordava l’ultima volta che era stato nella mensa di una scuola, ma questa era senza dubbio diversa dal suo liceo alle Isole. La sala mensa del San Fransokyo Institute of Technology era un edificio in vetro e metallo, ed era piena di ragazzi, chiasso, e odori vari.
«Immagino che tu sia abituato al liceo.» Gogo lo guidò – ahem, spinse – in avanti fino a quando il gruppo non arrivò a un tavolo. «Bene, scordatelo. Questo è un college, mozzo.»
Gli pareva quasi strano che fino a qualche ora prima, aveva dovuto proteggere i cinque ragazzi e il loro robot da un attacco di Heartless meccanici su un ponte, per poi essere portato di peso in un garage a spiegare cosa fossero gli Heartless e come combatterli.
A quanto pareva, i ragazzi, il quattordicenne Hiro e i suoi amici Gogo, Wasabi, Fred e Honey Lemon, erano studenti in quel college di giorno e supereroi di notte, con la direttrice del laboratorio, la professoressa Granville, a coprire i loro atti eroici e a garantire la scuola come base operativa. Ed era così che adesso Riku si trovava un cartellino con il suo nome e la scritta “IN VISITA” appuntato ai vestiti, i numeri dei cinque ragazzi sul telefono, e Baymax il robot che avvertiva Gogo di non spingere Riku troppo forte, o lui sarebbe potuto cadere a terra e provocarsi un trauma alle braccia o ai denti.
«Quindi hai detto di essere in visita dalle Hawaii e che stai considerando una possibile opzione di carriera dopo il liceo?» Hiro gli ripeté la recita che avevano messo a punto con la professoressa Granville perché Riku avesse una scusa per girare nella città e nella scuola senza dare troppo nell’occhio. «Ti consiglio di lavorare sodo, qui abbiamo un esame di ammissione per entrare.»
«Oh, guarda, ha parlato lui
A intervenire era stata una ragazza, piccola di statura rispetto agli altri studenti ma leggermente più alta di Hiro, che era il più basso in tutta la stanza. Aveva i capelli castano scuro raccolti in una coda e l’aria stizzita. Hiro alzò gli occhi al cielo.
«Karmi, devo ricordarti com’è andata quando hai dovuto fare gli onori di casa con me?»
La ragazza non rispose e si allontanò, lasciando Hiro a sogghignare.
«La Granville voleva che la spingessi a socializzare. Diciamo solo che parla con i batteri,» disse a Riku.
Si sedettero al tavolo e Hiro tirò fuori un tablet.
«Allora, questa è la città. Il sindaco ha posto un ordine di evacuazione nel quartiere dove sono stati avvistati gli Heartless, quindi se ci tieni alla pelle non andarci… disarmato.» Mostrò una mappa. «Principalmente si parla dei quartieri dello shopping, di alcuni edifici affaristici… e la Kreitech, per la mia gioia, dato che mi fanno fare lo stagista a tempo perso e ora non hanno più scuse per farmi portare il cappuccino ad Alistair Krei.»
«Beh, sei stato tu a pregarlo di avere quel posto dopo che Karmi è stata presa da Liv Amara.» Wasabi precisò. Hiro gli lanciò un’occhiataccia.
Riku ridacchiò. Evidentemente, Hiro e Karmi dovevano essere rivali sul campus. La cosa gli portava alla mente qualche ricordo dei tempi del liceo.
«Bene, quando cominciate questo lavoro di gruppo allora?» Riku cercò lo sguardo di Hiro, sperando che capisse l’allusione.
«Se vuoi vederci all’opera, possiamo vederci stasera, a casa di Fred. Da lì, ci rimbocchiamo le maniche.» Hiro chiuse il tablet e fece un sorrisetto.
 
Riku passò la giornata a fingere di visitare il campus, con sullo smartphone una delle mappe della città passatagli da Hiro, che prendeva a studiare ogni volta che poteva. Al tramonto del sole, si recò sul posto che Hiro aveva segnato sulla mappa come casa di Fred, che più che una casa, magari poteva definirsi una villa.
«Bene, hai fatto presto.» Hiro lo accolse con un sorriso. Come tutti i ragazzi del gruppo e Baymax, era coperto da un’armatura con un visore scuro che rendeva impossibile riconoscerlo. Se Riku non li avesse già visti così sul ponte, difficilmente avrebbe fatto due più due. Avevano quasi un portamento diverso rispetto agli studenti universitari, mascotte, e robot impacciato che gli avevano fatto da ciceroni nel campus.
«È l’ora di fare pulizia!» Fred, coperto da un costume da mostro, annunciò felice.
«Aspetta, credo che qualcuno Karmi potrebbe ricordarsi di aver visto Riku allo SFIT, se dovessimo venire ripresi.» Hiro prese qualcosa da uno zaino. «Riku, mettiti questo in faccia e quest’altro in testa. Non possiamo correre rischi, specie con quella zecca.» Gli mise nelle mani un visore e un berretto beanie.
«La biologa è pericolosa?» Riku si infilò il cappello in testa. Non sarebbe sicuramente stato peggio che portare cappa nera e benda.
«La biologa scrive fanfiction su di noi.» Wasabi si strinse nelle spalle. «E Hiro non le sopporta.»
Riku dovette trattenersi per non scoppiare a ridere. , la sua ipotesi sembrava giusta. Si sistemò il visore sul volto e fece cenno di essere pronto.
Si diressero verso il quartiere invaso, che rispetto alle luci e alla vita notturna della città attorno a loro sembrava quasi buio e spettrale. Pur essendo la persona più grossa tra i cinque esseri umani, Wasabi tremava come una foglia sotto l’armatura.
«L’ultima volta non è andata tanto bene… non è che stiamo sbagliando?» mormorò, quasi facendosi piccolo.
«Tranquilli, so quello che faccio.» Riku camminò davanti ai sei, il telefono nella mano con la telecamera accesa. Avendo principalmente girato il Reame Oscuro, non poteva dire di conoscere gli Heartless dei Reami della Luce, ma fortunatamente da quando Otto e Nove registravano i giornali dei Guardiani della Luce su un server collegato ai cellulari, la telecamera del telefono poteva essere usata per registrare e consultare quei mostri. Se ci fosse stato qualcosa che Sora o Kairi avevano già incontrato, Riku avrebbe potuto consultare il giornale e sapere come eliminarlo in fretta.
Erano arrivati al palazzo della Kreitech quando li videro. Heartless gelatinosi di colore giallo e marrone, con solo due braccia tozze e che camminavano ondeggiando sul loro stesso corpo. Riku puntò su di loro la telecamera – e il giornale li riconobbe.
Avevano l’appropriato nome di Budini, Sora li aveva segnalati nel mondo dei giocattoli, a Tebe e nella fabbrica di Mostropoli. C’erano anche una segnalazione di Kairi ad Arendelle, una di Ventus in un posto chiamato Baia dei Relitti… e persino una di Shiro, nelle foreste di Corona!
«Signori, la trama si infittisce!» Fred raggiunse Riku. «Viscidino è stato clonato!»
«Viscidino?» Riku lo fissò.
«Prima o poi te lo presento.» Il ragazzo tagliò corto. Riku si concentrò sulla voce del giornale che parlava dei Budini.
«Questi sono inoffensivi.» Non lesse ad alta voce, ma riassunse quel che aveva letto perché i suoi sei nuovi amici potessero capire. «Se ne andranno da soli non appena li avremo soddisfatti… giocando con loro
Sora, dimmi che stai scherzando.
«Giocando?» Gogo affiancò Riku, cercando di leggere. «Chi ha scritto questo database?»
«Giocare aumenta i livelli di serotonina nel sistema nervoso.» Baymax enunciò. «Riduce lo stress e…»
Fred non lo lasciò finire e spiccò una corsa verso i budini. «E allora giochiamo!» Urlò, alzando trionfalmente le braccia. «Allora, Viscidini, a che volete giocare?»
I Budini presero a saltellare sul posto, e alcuni di loro indicarono le loro stesse teste. Fred rimase per un momento perplesso dal loro comportamento, poi spiccò un salto… e atterrò sulla testa di uno di loro.
Il Budino si acquattò, poi scagliò Fred in alto, facendolo atterrare sulla testa di un altro Budino, che a sua volta lo lanciò su un altro. Fred rideva e urlava a gran voce una filastrocca su novantanove scimmie su un letto, e dopo un attimo, Honey Lemon buttò una delle sue bombe chimiche a terra, creando una bolla elastica e prendendo a saltare anche lei, dalla bolla a un Budino, a un altro Budino, ad un altro Budino ancora… Gogo e Hiro presero a saltare anche loro prima che Riku cedesse, e soltanto dopo che Riku fu al suo secondo Budino, anche Wasabi prese a saltare assieme a loro, lamentandosi a ogni balzo di soffrire di vertigini.
A poca distanza, Baymax li fissava impassibile, commentando nella sua voce piatta di fare attenzione a non cadere per evitare traumi.
Dopo alcuni minuti, i Budini li lasciarono scendere a terra, per poi dedicare loro un applauso con le loro zampe tozze, e svanire nel nulla. Riku aveva il fiatone e sentiva la sua vecchia ferita al fianco tirare, ma non poteva negare di essersi divertito.
«Dubito saranno tutti come questi.» Si sistemò il berretto. «Saranno stati Budini, ma questo non era che l’antipasto.»
Si maledisse mentalmente per la battuta involontaria. Aveva passato troppo tempo a parlare con Ventus, prima di partire.
Come Riku aveva previsto, gli altri Heartless non furono altrettanto innocui. Dovette più volte rimanere a spiegare a Hiro e agli altri come muoversi per affrontarli, e in più casi Baymax lo analizzava e riprendeva – letteralmente – prima di entrare nella mischia. A quanto pareva, il visore non serviva a Riku soltanto per mantenere l’incognito, ma raccoglieva anche dati sul suo modo di combattere.
Avevano ripulito una dozzina di isolati dalle creature del buio quando Hiro annunciò che era abbastanza per una serata, e propose di andare a ordinare qualcosa da mangiare e riposarsi.
«Ordiniamo le consegne da Noodle Burger?» Propose con un mezzo sorriso. «Riku, non so cosa ti piace, ma si può ordinare con l’app e hanno il menu per intero.»
A Riku ci volle qualche interminabile minuto per decidere – non era abituato ad una scelta così vasta, considerando che la tavola calda alle Isole non aveva tutta quella varietà – ma una mezz’ora dopo erano seduti sul divano in camera di Fred, intenti a tirare le somme sulle operazioni della serata.
«Tu com’è che sai come battere quei cosi, Riku?» Honey Lemon gli chiese dopo che i ragazzi ebbero discusso tra loro di quello che aveva funzionato e di come migliorarlo.
«Un anno fa attaccarono casa mia.» Riku abbassò lo sguardo. Non era troppo entusiasta di condividere con degli estranei la storia nei dettagli. «Io e i miei amici Sora e Kairi abbiamo imparato a combatterli e adesso siamo noi a inseguire loro.» Posò il panino accanto a sé e guardò i supereroi part-time. «E voi? Com’è che vi siete trovati a fare la ronda di notte?»
Fred, Gogo, Honey Lemon e Wasabi fissarono Hiro. Hiro fissò Riku, poi inghiottì il boccone e mise da parte il suo sacchetto di patatine.
«Ricordi di quando ho menzionato l’esame di ammissione? Beh, è accaduto appena dopo.» Hiro non sembrava voler guardare Riku negli occhi mentre parlava. «Mi venne rubato il mio lavoro d’esame, e l’incendio appiccato dal ladro uccise mio fratello. Volevo farla pagare all’uomo che aveva fatto tutto questo… e se non fosse stato per loro ci sarei anche riuscito. E il ladro a sua volta voleva distruggere la Kreitech perché sembrava che avessero provocato la morte di sua figlia.»
Fu allora che Hiro alzò lo sguardo e abbozzò un sorriso.
«Ma la ragazza era ancora viva. Fummo io e Baymax a portarla a casa.»
«E Baymax ci è quasi rimasto e lo hai dovuto ricostruire.» Wasabi precisò. «Il resto è storia. Dopo Callaghan, altri criminali hanno deciso di approfittare del polverone, quindi non abbiamo mai realmente smesso quello che abbiamo cominciato.»
«Il passato oscuro del cavaliere senza paura!» Fred commentò a bocca piena.
«Mio fratello Tadashi aveva costruito Baymax per aiutare la gente.» Hiro soffocò una risata al commento di Fred, ma non smise di raccontare. «Stiamo facendo tutto questo in sua memoria. Usiamo le nostre conoscenze per proteggere la nostra città.»
«Forza per proteggere quello che conta.» Riku annuì. «Vi capisco.»
Prese il suo panino e si rimise a mangiare in silenzio. La loro storia sembrava molto più complessa e lunga di come l’avevano raccontata, ma non erano realmente affari suoi e non insistette per i dettagli.
Per certi versi, un po’ invidiava Hiro. Da quanto tempo lui, Sora e Kairi non si sedevano alla tavola calda delle Isole, sotto il ventilatore che pendeva sbilenco dal soffitto, a discutere dei compiti di algebra davanti a una pizza con il salame?
Doveva parlare con loro una volta di nuovo al castello. Doveva.
 

 
Su un banco di sabbia che affiorava vicino all’Isola dei Relitti, due uomini e una donna si avvicinavano ad altre tre figure, una delle quali aveva entrambi i piedi in un grosso catino d’acqua.
Elizabeth Swann, recentemente eletta Re della Fratellanza, procedeva affiancata da Capitan Jack Sparrow e Capitan Hector Barbossa, a loro volta Pirati Nobili.
Dall’altro lato, Lord Cutler Beckett, Davy Jones… e Will Turner.
 
«Ecco la pecora che ci ha portato il lupo alla porta!» Barbossa squadrò Will con espressione di disgusto e sfida.
«Non incolpate Turner… lui non è che lo strumento del tradimento. Se volete vedere il grande architetto, guardate a sinistra.» Beckett asserì con voce strascicata, guardando Jack, che era in piedi alla sinistra di Elizabeth.
Barbossa ed Elizabeth girarono la testa, e così fece anche Jack, apparendo abbastanza stupido.
«Io ho le mani pulite!» Sparrow alzò le mani sudicie. «In senso figurato!» Iniziò a mangiarsi le unghie.
«Rivendico le mie azioni per raggiungere il mio scopo,» Will ribatté, restando impassibile per tutto il tempo. «E Jack non c’entra niente.»
«Ben detto!» Jack sorrise trionfante indicando Will. «Ascolta lo strumento!»
«Will, sono stata a bordo dell’Olandese.» Elizabeth era l’unica che apparisse realmente preoccupata dei presenti. «Posso capire il peso che porti, ma temo che sia una causa persa.»
Will sostenne lo sguardo della sua fidanzata, non cambiando minimamente la sua espressione.
«Nessuna causa è persa, finché ci sarà un solo folle a combattere per essa.»
Alla risposta del ragazzo calò il silenzio, e per alcuni interminabili attimi tutto ciò che si sentì fu il rumore delle onde.
Beckett ruppe il silenzio alzando una familiare bussola nera, fissando Jack.
«Se Turner non agiva per tuo conto, allora come mai mi ha dato questa? Tu avevi un accordo con me, Jack… di consegnarmi i pirati. E così è stato.»
Gli lanciò la bussola, che Jack prese al volo.
«Non essere timido, fatti avanti! Chiedi la ricompensa!»
«Il tuo debito con me non è stato ancora soddisfatto! Erano cento anni di schiavitù a bordo dell’Olandese, per iniziare!» Davy Jones intervenne nella conversazione, latrando contro Jack.
Will rimase fermo al suo posto, senza fare nulla che tradisse la sua posizione e i suoi colori. Beckett aveva parlato di tradimento, certo, di strumento e di architetto, ma ci aveva visto più che sbagliato in parecchi dettagli del piano.
Ad esempio nel piccolo dettaglio che Jack e Will non erano né strumento né architetto, ma semplicemente l’esca.
«Quello era stato pagato, compare, con un… aiuto!» Jack ribatté a Jones, indicando Elizabeth con il suo solito sorrisetto fastidioso.
«Tu sei scappato!» Jones lo fulminò con lo sguardo.
«Tecnicamente…»
Ecco, Will pensò. Proprio dove volevano arrivare. Jack sull’Olandese Volante non sarebbe stato solo un’esca, ma un boccone avvelenato. Se davvero la sua intenzione era di pugnalare il cuore, avrebbero potuto fare a pezzi la flotta nemica con l’Olandese come Beckett aveva ordinato a Jones di fare.
E suo padre sarebbe stato libero.
Era un ottimo piano, poteva funzionare.
Will incrociò lo sguardo di Elizabeth e le fece un cenno, sperando che capisse cosa stavano pianificando.
«Io propongo uno scambio!» Elizabeth alzò la voce, e in quel momento Will dovette trattenersi per non lasciar trapelare il suo sollievo e la sua soddisfazione.
«Will parte con noi… e tu ti tieni Jack.» Elizabeth sogghignò, guardando Beckett ma continuando a lanciare occhiate a Will.
«Andata!» Will si permise di sorridere, immediatamente.
«Ritorno!» Jack stette al gioco, con un’espressione di finta paura in volto.
«Andata.» Beckett concluse.
Barbossa prese Elizabeth per una manica.
«Jack è uno dei nove Pirati Nobili! Tu non hai il diritto!»
Elizabeth sostenne lo sguardo del pirata più anziano.
«Il Re?» gli chiese, senza battere ciglio, poi si girò verso Jack, che fece un inchino di scherno e si tolse il cappello, poi fece un passo in avanti.
«Come comandate, Vostra Altezza.»
Barbossa sguainò la sua sciabola.
«CANE!»
Nel tirargli un fendente pericolosamente vicino al volto, gli staccò una fila di perline che gli pendeva da sopra alla bandana. La scimmietta di Barbossa gli balzò dalla spalla e raccolse le perline dalla sabbia.
«Attento a quel che dirai. Avrei parecchio da dire anch’io.» Barbossa si avvicinò a Jack e lo fissò negli occhi.
«Facciamo a chi arriva prima?» Jack ribatté, poi si incamminò verso Beckett.
Will colse il segnale e si incamminò a sua volta, raggiungendo Barbossa ed Elizabeth.
Beckett fece un passo in avanti, come a concludere le trattative.
«Avvisate la Fratellanza… potete combattere e morire tutti quanti, oppure non combattere, e morire solo per la maggior parte.»
Non diresti queste parole, se sapessi cosa ti aspetta, Will pensò affiancando Elizabeth.
Elizabeth fece un passo in avanti a sua volta.
«Avete ucciso mio padre.»
«Si è scelto il suo fato.»
«E voi avete scelto il vostro.» La ragazza concluse. «Noi combatteremo. E voi morirete.»
Si girò e si incamminò nel punto in cui Will vedeva una scialuppa. Barbossa la seguì a ruota, e anche Will lo fece.
Potevano solo sperare che il loro piano andasse bene.
«Re?» Will chiese ad Elizabeth.
«Della Fratellanza.» Elizabeth sorrise. «Grazie a Jack.»
«Comincio a pensare che sappia quel che fa!» Will sorrise a sua volta.
Avrebbe soltanto dovuto trovare un altro capitano, a quel punto. E magari un testimone non sarebbe guastato… se avessero dovuto giocare il tutto per tutto in quella battaglia…
  


Guidati da cinque leader, i Denti di Leone lasciarono Auropoli al suono delle campane, con lo scopo di ricostruire i mondi quando la guerra fosse finita…
 
«Uhm, Maestra… ehm, Aqua, disturbo?»
Lea apparve sulla soglia della biblioteca, quasi avesse timore di essere là. Shiro era con lui, apparentemente imbronciata.
«Mia nonna ci lavorava, in una biblioteca. Tutte le volte che mettevo piede lì mi sentivo come un cane in un tempio.»
«Beh, un cane in un tempio non ha molto da fare.» Shiro incrociò le braccia. «Ma non sorprenderti se Kairi ti chiama tonto poi!»
Aqua stava per ridere, ma si trattenne. Le sembrava di sentire i commenti che faceva Terra da ragazzino, che spesso si erano conclusi con una mezza predica del Maestro. Non senza un peso al cuore, si rese conto che adesso il compito di rimproverare un allievo sfacciato sarebbe caduto su di lei.
«Forse abbiamo una pista. Qualcuno ha lasciato delle tracce in casa mia…» Lea prese a spiegare.
«Lo sai che è stato Saïx.» Shiro lo interruppe. Lea la fissò, ma riprese a parlare.
«… e tutte le tracce facevano capo ad un numero, il numero quattordici. Sapendo che ricordo che sette giorni dopo Roxas, Vexen portò al Castello che non Esiste una Replica, che con Roxas eravamo già tredici, e che tutti sembriamo esserci dimenticati di cosa sia successo, probabilmente Quattordici è esistito, ed è rimasto con noi per quasi un anno, perché le lacune nel diario di Shiro coprono più o meno quel periodo.»
«Trecentocinquanta giorni.» Shiro precisò. «Da quando scrissi che Xemnas voleva presentare un nuovo membro, a quando mi misero sotto chiave, Axel mi fece uscire, ed entrambi avevamo scordato qualcosa
«E non era qualcosa, era qualcuno.» Lea riprese la conversazione. «Abbiamo messo insieme i pezzi e ora ci ricordiamo di lui come Replica ma non di lui come individuo. E mi ci gioco il Keyblade, l’Organizzazione lo userà come contenitore per Xehanort.»
Rimase in silenzio per un momento.
«E considerando tutto quello che hanno fatto per mettere le loro mani su Sora, non mi stupirei se stessimo parlando di un altro doppio di Sora. Avrebbe senso. Anche perché Shiro si è subito affezionata a Sora quando lo ha incontrato.»
Aqua annuì. Sarebbe stato, assieme a Terra e Isa, un altro nome sull’elenco delle persone che avrebbero dovuto salvare dalle grinfie di Xehanort. Come se già non fossero stati abbastanza
Shiro non stava dicendo niente, ma camminò attorno al tavolo dove Aqua era seduta, si mise sulla panca accanto a lei e la strinse forte con un braccio. Per quanto non ne parlasse, probabilmente c’era qualcosa che la turbava.
«Ehi, funghetto.» Lea si sedette all’altro lato del tavolo, e il suo solito tono sfrontato era molto più calmo. «Neanche io mi ricordo chi era. Hai fatto tutto quello che potevi, Shiro, ed è stato più che abbastanza.»
Lea posò le mani sul tavolo e fissò per un momento le assi, poi guardò Aqua e fece un mezzo sorriso.
«Non voleva tornare. O meglio, così mi aveva detto. Ma pensavo che avesse bisogno di stare a casa per un po’.» Spiegò. «So cosa vuol dire. Avere tredici anni… e venire calciati nel mondo prima di essere pronti. Era quella l’età che avevo quando i miei…» Guardò da un’altra parte. «Quando accadde parlarono di un incidente nelle gallerie. Erano pompieri. Morti sul lavoro, disse Lord Ansem. Ma Cloud qualche giorno fa mi ha detto che c’erano gli Heartless lì sotto.»
Guardò di nuovo Aqua.
«Cos’è la Guerra dei Keyblade? Cosa vuole fare Xehanort con noi?»
Aqua esitò prima di rispondere. Non avrebbe voluto parlare, non davanti a Shiro – ma accanto a lei la bambina le fece un cenno col capo, come a convincerla a parlare.
«Non è nemmeno chiaro quando accadde, solo che è storia ed è divenuta leggenda ben prima che il nostro maestro nascesse.» Aqua mise le mani sul libro che stava leggendo. «Sette Maestri Perduti predissero una catastrofe, e cinque di loro ordinarono ai loro allievi di raccogliere la luce per impedirla. Le cose andarono male.»
«Male quanto?» La faccia di Lea si contorse in una smorfia.
«Esiste un mondo che ancora oggi chiamano il Cimitero dei Keyblade.» Aqua abbassò lo sguardo. «Ed è uno dei pochi posti che restano del mondo che era. Tutto quello che conosciamo ora è il lavoro di alcuni degli apprendisti, che anziché restare a combattere decisero di fuggire.»
«E Xehanort vuole… rifare tutto questo? Ricominciare daccapo? Perché
«Qualcosa deve averlo corrotto. O qualcuno.» Shiro intervenne, ma non nel suo solito tono di voce. Lea le lanciò un’occhiata, come se avesse già visto la bambina comportarsi in quel modo.
«Aqua, Shiro ti ha detto di Ephemer?» Le chiese.
Ephemer? L’amico d’infanzia che Ventus le aveva menzionato? Cosa c’entrava?
Shiro guardò Lea, poi Aqua, poi abbassò lo sguardo mentre il volto le si arrossiva.
«No… credevo che non mi avrebbe creduto.» La bambina ammise.
Lea le fece un sorriso di comprensione.
«Shiro, non siamo più al Castello che Non Esiste. Sii onesta.»
«Ephemer… è sempre stato con me, mamma.» Per Shiro, la frase di Lea fu quasi un permesso. Quanto male le avevano fatto, in tutto quel tempo. «Saïx diceva che è la mia coscienza. Sora che è un amico di Ventus di quando erano bambini. E… credo che fa come Ventus. Sa un sacco di cose… mi ha raccontato un sacco di cose.»
«E… riesce a sentirci?» Aqua chiese a Shiro, che annuì. «Ephemer… è grazie a te se Shiro ha il Keyblade?»
Shiro fece per parlare, ma la sua voce sembrava diversa.
«No, quello è tutto merito suo. Io gliel’ho semplicemente tenuto nascosto fino a quando non era lontana abbastanza da Xemnas.»
«Diciamo che ha tenute nascoste parecchie cose.» Lea scherzò. «Ienzo ha aggiornato il sistema. Bisognerà vedere se adesso Tron, Otto e Nove riusciranno a disfarsi delle trappole. Se così fosse… potremmo creare delle Repliche. Roxas, Zack ed Ephemer riavrebbero le loro vite.»
«E Naminé.» Shiro precisò.
«E Naminé, anche se per come interagisce con noi sembra quasi non esistere affatto.» Lea si fece mesto. «La Nessuno di Kairi. Ha potere sui ricordi. Per l’Organizzazione non era che una pedina, e non credo che capisca che può essere viva senza essere utile a qualcuno o avere un qualche scopo…»
Giudicando dalla rabbia nel suo tono di voce, Aqua dedusse che Lea stesse pensando che, se non fosse stato per Ephemer, probabilmente anche Shiro avrebbe potuto avere un’opinione simile di sé stessa.
Vedendo che Aqua lo fissava, Lea sembrò calmarsi un momento, e abbozzò di nuovo un sorriso.
«Beh, forse ce l’ho uno scopo per lei. A mia nonna non sarebbe dispiaciuta un’altra nipote, ora che ci penso. Glielo devo dire… o dirlo a Kairi, almeno.»
 
 
Nonostante in precedenza Will avesse rassicurato Ventus che Jack sapesse quel che faceva, il ragazzo aveva sempre più l’impressione che i pirati stessero improvvisando. E anche se fossero stati solo i suoi pensieri, il fatto che Tia Dalma fosse legata sul ponte della nave con molte più corde di quante sarebbero state necessarie per un essere umano non lo rassicurava, e nemmeno il fatto che avessero preso Will ed Elizabeth e li stessero spingendo via e tenendo a portata di tiro.
L’Organizzazione sembrava svanita nel nulla.
Sora sempre più taciturno fin dall’alba, poi? Quello era ragione di panico.
La situazione gli ricordava sempre più la lugubre canzone di quando erano arrivati in quel mondo. Il re, e ora i pirati avevano un re, la regina rapì, e Tia Dalma era in ceppi, su le bandiere, ed erano sull’orlo di una guerra. Che quella canzone fosse una sorta di profezia, una storia che si ripeteva, come la Guerra dei Keyblade? Forse era per quello che Sora era così pallido?
«Le mie scuse, vostra maestà. Troppo a lungo il mio fato non è stato nelle mie mani.» Barbossa strappò via qualcosa dai vestiti di Elizabeth, poi lo buttò in una ciotola in argilla dove già erano stati posizionati altri oggetti. «Adesso bruciamo questi oggetti e pronunciamo la formula!»
Un pirata versò dell’alcool nella ciotola e avvicinò una miccia accesa.
«Cosa contano di fare?» Ventus scosse la testa.
«Liberare Calypso, o così ho capito.» Sora aggrottò le sopracciglia. «Quei nove cosi. Devono essere una specie di sigillo
E se Tia Dalma era in ceppi, Ventus ci avrebbe giocato il Trovavia, probabilmente lei era Calypso. Tutto tornava, anche come faceva a sapere cosa fosse successo a Davy Jones.
Si tennero a distanza, ma entrambi erano tesi, pronti a scattare se qualcosa fosse accaduto. Dopo un primo momento in cui parve non accadere nulla – e uno degli uomini di Barbossa ripeté la formula avvicinandosi alla sacerdotessa fino a quasi toccarla – la ciotola prese fuoco con una vampata, e gli oggetti al suo interno divennero cenere.
«Tia Dalma! Calypso!» Will si liberò del pirata che lo teneva fermo e fissò la donna. «Quando il concilio della Fratellanza ti imprigionò… chi fu a dire loro come fare?»
«Dimmi il nome!» A giudicare dal suo tono di voce, lei sembrava non saperlo…
ma Will sì.
«Davy Jones!»
Davy Jones. Lo stesso uomo che una volta l’aveva amata, e che si era cavato dal petto il cuore per smettere di soffrire. Quella trama era sempre più intricata, Ventus pensò mentre davanti a loro Tia Dalma… no, Calypso… diveniva sempre più grande e spezzava una per una le funi e mandava in brandelli i suoi stessi vestiti; e se Ventus aveva capito il piano di Will, il giovane voleva sfruttare la sua furia contro il pirata maledetto.
«Oh-oh.» Sora commentò mentre Barbossa si inchinava e tentava una supplica di aiuto. «Ho già visto quella furia addosso a qualcuno. E quando è successo, ho passato un brutto quarto d’ora.»
«Davvero?» Ventus gli sussurrò.
«Un’armatura abbandonata in un deserto. Piena di ruggine e polvere. Pare che lo stesso odio del suo padrone verso Xehanort la faccia muovere.» Sora spiegò, anche lui a bassa voce.
Calypso urlò qualcosa contro i pirati davanti a lei, che nonostante Ventus avesse studiato più lingue nei suoi quattro anni di studi non riusciva comunque a capire… se non per il fatto che il suo tono e il suo volto fossero quelli di una maledizione. La dea mutò in un banco di granchi, e mentre ancora parlava svanì nell’oceano.
«Meno tredici punti per Barbossa.» Ventus scosse la testa con un sorriso amaro, mentre gli ultimi granchi lasciavano la nave. Il pirata più anziano aveva l’aria sconfitta.
«Abbiamo perso anche l’ultima speranza.» Barbossa asserì fissando il mare.
«Non è finita.»
Fu Elizabeth a fare un passo in avanti.
«La vendetta non vi renderà vostro padre, Miss Swann, e io non intendo morire perché voi saldiate il conto.» Barbossa la prese per un braccio.
«È giusto.» Elizabeth tolse il braccio dalla sua presa e lo dismise, camminando noncurantemente verso il parapetto. «E per che moriremo, allora?» Si girò verso Barbossa e Will.
Qualcosa nella sua freddezza, nel modo in cui parlava, ricordò subito a Ventus di Aqua. Ci aveva visto giusto quando gli sembrava di aver già visto quei momenti… Elizabeth aveva la stessa determinazione di Aqua al Cimitero quasi dodici anni prima.
«Voi, ascoltatemi!» Elizabeth continuò a parlare, alzando ancora la voce. Si aggrappò a una fune e si tirò sul parapetto della nave per farsi vedere e sentire. «Ascoltate! La Fratellanza ha gli occhi puntati qui, su di noi! Sull’ammiraglia, la Perla Nera! E cosa vedranno? Topi impauriti su una nave alla deriva? No, no! Vedranno uomini liberi… e libertà! E quel che vedrà il nemico sarà il lampo dei nostri cannoni, e udirà il fragore delle nostre spade, e si renderà conto di quel che valiamo noi!»
Mentre la ragazza parlava, Ventus sentiva un nodo salirgli in gola. Avrebbe voluto che in quella manciata di minuti di silenzio, al Cimitero, avessero potuto rimanere uniti come quella ciurma, prima che Xehanort, Vanitas e Braig attaccassero. Come loro dodici anni prima, i pirati erano inferiori di potenza, ma a loro differenza volevano affrontare il mostro davanti a loro a viso aperto. Forse sarebbero stati sconfitti, e Ventus e Sora sarebbero tornati al Castello di Partenza con una brutta storia da raccontare, ma avevano intenzione di andarsene a testa alta, che fosse verso una vittoria o verso la fine.
Ventus aveva avuto quel lusso soltanto nell’intimità del proprio cuore, apostrofando Vanitas che non capiva per quale motivo lui continuava a resistere.
Sono diventato parte del loro cuore, così come loro sono parte del mio.
«… grazie al sudore della fronte, e alla forza delle nostre schiene, e al coraggio dei nostri cuori!»
Sembrava quasi che la ragazza stesse per piangere… e Ventus non la biasimava. Ma in quel momento, Elizabeth doveva mostrarsi forte, e forte si stava mostrando.
«Signori, su le bandiere!»
I pirati della Perla Nera issarono la bandiera nera, e a loro volta così fecero tutti i pirati sulle altre navi.
Ma la Perla Nera fu la prima – e l’unica – nave ad avanzare.
Nella nebbia, dritto davanti a loro, veleggiava l’Olandese Volante.
 
 
«E che stavolta sia quella buona!» Vexen non poté evitare di storcere il naso per la puzza di pesci e cadaveri a bordo dell’Olandese Volante. «Se quel demonio di Xigbar ci ha mandati qui solo per mettere le grinfie sui miei esperimenti e mandarli in battaglia, gli cavo l’occhio che gli rimane!»
Erano nascosti in una delle stanze della stiva, pronti a scattare e cercare il forziere fantasma – la presunta scatola nera – non appena un eventuale arrembaggio avrebbe portato la ciurma allo scoperto del ponte. Xigbar aveva parlato di qualcosa che contenesse speranza, e secondo alcuni lupi di mare che avevano interrogato – uno dei marinai di Jones, un certo Sputafuoco, si era rivelato loquace e ripetitivo come un carillon rotto – il forziere conteneva il cuore del capitano.
Se fosse stato possibile isolare un cuore in qualche modo – un modo che non richiedesse un Keyblade – forse c’era speranza che No.i, responsivo come un sasso da quando aveva riaperto gli occhi animato solo dagli ultimi dati che Vexen aveva raccolto prima di venire mandato al Castello dell’Oblio, potesse riavere la sua vita e ricordare chi era.
Sto provando a trovare un modo di riportare i ricordi di chi lo conosceva, Saïx aveva detto, Lea e Shiro sembrano avere dei ricordi residui… ma non sembra io abbia sortito dei risultati.
Non era facile, quando nessuno ricordava l’identità che la Replica aveva assunto. A rigor di logica, avrebbe dovuto assumere l’aspetto di Sora, o forse di Roxas, ma il volto che aveva assunto era impersonale e anonimo, e la sua voce, le poche volte che apriva bocca per rispondere a una domanda, era quella acerba di un bambino che ancora non aveva raggiunto lo sviluppo.
Soltanto la sua arma aveva preso una forma – era una Catena Regale, come quella di Sora. E tanto per Xehanort sembrava bastare.
Luxord, l’altro clandestino nella stanza, si girò verso di lui.
«Ci basterà trovare Jack Sparrow. Porta su di sé una bussola che segna quello che chiunque vuole di più al mondo. Anche se il Forziere Fantasma non fosse quello che cerchiamo, prenderò quell’arnese e lo consegneremo al Superiore.»
 
 

 
«Ehi, nipote!»
Una voce fastidiosamente familiare distolse Noctis dalla sua passeggiata. Per ricambiare l’appuntamento a New York, si era deciso a portare Luna a fare un giro – principalmente, la stazione del tram, la Terrazza del Tramonto, le “sette meraviglie” che lui e i suoi amici avevano smascherato, e il cinema che aveva finalmente riaperto i battenti dopo anni.
In quel momento, il vecchio, cappello, cappotto, bastone e tutto, era seduto ad uno dei tavolini fuori dal bistrot, intento a giocare a scacchi con un altro uomo anziano, che invece indossava con una palandrana e un cappello a punta piegato all’indietro.
Noctis non gli aveva ancora parlato da quando era tornato a casa, determinato più che mai a evitarlo ora che Luna era con lui, ma a quanto pare lui non era della stessa opinione.
«Cosa c’è?» Noctis si avvicinò al suo anziano parente con fare seccato.
«Ho preso un po’ dei tuoi vecchi vestiti di quando avevi quattordici anni dalle casse in cantina. C’è un ragazzino comparso dal nulla a Città di Mezzo, e aveva un disperato bisogno di abiti.» Il vecchio si strinse nelle spalle. «Non credo che li user… un momento, signorino, è la tua ragazza quella?»
Noctis non disse nulla, ma si spostò istintivamente a nascondere Luna dalla sua vista. Se c’era una persona che non sopportava le stesse troppo vicino… beh, era quel vecchio.
«Andiamo, ragazzo, quante volte devo ripeterti che non mordo?»
«Noct, lascia stare.» Fu la stessa Luna a farsi avanti. «Siete suo zio, giusto? Noctis mi ha parlato di voi. Immagino di dovervi ringraziare se lo conosco. Molto piacere di conoscervi. Il mio nome è Luna, studio medicina a New York e pratico le Arti Mistiche quando non sono sui libri.»
Il vecchio si puntellò con il bastone per alzarsi, ma non le strinse la mano nonostante Luna gliela stesse offrendo. A Noctis tornò in mente la storia dei Fulcra che Strange aveva accennato a lui e ai suoi amici, e poi Luna aveva spiegato a Sora nei dettagli, e si chiese cosa potesse aver fatto loro il ve… cosa potesse aver fatto loro Ardyn in un’altra linea temporale perché fossero tanto reciprocamente guardinghi tra loro. Soltanto Luna sembrava voler resistere attivamente a quell’inspiegabile scorno.
«Merlino qui dice che si sta avvicinando un’altra tempesta.» Ardyn indicò il suo compagno di scacchi con il pollice.
«Abbiamo conosciuto un ragazzo che pare stia combattendo l’oscurità.» Noctis si infilò una mano in tasca. «Si chiama Sora. E ci sono anche Riku, Topolino, e Aqua. Guardiani della Luce, si fanno chiamare. E stanno tenendo di guardia sette ragazze che pare abbiano un cuore di pura luce.»
«E aveva menzionato un Roxas che pare abbia passato parecchio tempo in questa città.» Luna aggiunse. «Ma nessuno sembra ricordarsi di lui.»
«La gente dovrebbe stare più attenta. Io stesso ho visto un sacco di stranieri, specie durante lo scorso anno. Quasi tutti con cappe nere.» Ardyn annuì. «E non penso di essere stato l’unico. Il tipo del pub… il piccolo Vivi… li hanno visti anche loro. Forse c’entra qualcosa. Avete già pensato a pattugliare il paese?»
«Diciamo che ci ha già pensato il fratellino di Prompto.» Noctis commentò, quasi imbarazzato. Ardyn si schiacciò il cappello contro la testa.
«Ancora? Quei ragazzi hanno quindici anni.» Il vecchio tirò un sospiro, sibilando tra i denti. «Parlerò io con i genitori di quel ragazzino. Devono smetterla di mettersi in pericolo. Se c’è qualcuno che dovrebbe occuparsi di queste cose, Noctis, siete tu e i tuoi amici. Non vi ho mandati in giro per i mondi perché battiate la fiacca una volta a casa!»
Sembrava quasi che avesse fatto uno sforzo per pronunciare il nome di Noctis, come succedeva sempre le rare volte che lo diceva. E come succedeva sempre le rare volte che glielo sentiva dire, Noctis strinse i denti e dovette trattenersi per non brandire a mo’ di arma l’oggetto pericoloso più vicino che avesse a portata.
«Direi che sia il caso di trovare Prompto e gli altri.» Luna prese Noctis da parte. «Su, andiamo.» Gli tenne la mano e lo condusse verso la fermata del tram. Soltanto quando furono lontani dal vecchio, sulla carrozza del filobus che li avrebbe portati a casa di Prompto e Pence, Noctis si concesse di rilassarsi.
Fu allora che notò la tensione e la paura nello sguardo di Luna.
«Spero non ti abbia fatto una cattiva impressione. Il vecchio è insopportabile… ma in fondo non è cattivo.»
Scesero dal tram, e fu alla fermata deserta che Luna si appoggiò al muro più vicino.
«Quell’uomo mi ha pugnalata a morte,» asserì in un bisbiglio.
«Cosa?» Noctis scosse la testa, incredulo. Stava parlando di Ardyn? Quel vecchio non avrebbe fatto male a una mosca, era più inoffensivo di Babbo Natale…
«… e ha ucciso mio fratello. E ha cercato di uccidere te
Il ragazzo scosse la testa. Non il vecchio… no, aveva sempre avuto buone intenzioni…
Luna lo guardò negli occhi.
«Dovesti ottenere un potere che ti avrebbe ucciso per sconfiggerlo una volta per tutte. Lo facesti.» Il volto della ragazza era talmente serio che sembrava non avere affatto espressione. «Ho… ho sentito tutto questo, mentre gli parlavo. E credo che, in un’altra linea temporale, ci alleammo, tutti e tre, per detronizzare un dio folle. Capisco perché fai fatica a parlargli nonostante sia la tua famiglia. Capisco perché per lui è difficile dire il tuo nome.»
«Quindi è per questo che non lo sopporto?» La cosa iniziava, finalmente, ad avere senso. «Credevo ci fosse qualcosa che non andava. Ardyn… è un brav’uomo. È stato lui il primo a pensare che questa oscurità fosse pericolosa.»
«Quello che è successo agli altri noi non dovrebbe influenzare le nostre vite.» Luna sorrise. «In questa, non tocca a noi essere gli eroi della storia.»
Attraversarono la strada, e si diressero verso la porta della casa di Prompto e Pence. Luna si fermò prima di suonare il campanello.
«Ma questo non ci impedirà di aiutare.»

 

Non credo vi sia servito sapere il latino per sapere perché Jack temeva di far incacchiare Ventus. =P

E sì, il calcio di Hayner non s'ha da fare.

 
   
 
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