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Autore: An13Uta    10/01/2021    1 recensioni
A volte la sogna.
La radura dentro la Luna.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Link, Skull Kid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'occhi d'ambra'
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infanzia morta




A volte la sogna.

 

La radura dentro la Luna.


La sogna sempre più spesso.


E qualcosa cambia ogni volta.


Non è molto - cose da poco: i bambini che corrono si siedono un momento, un vento debolissimi fa stormire le foglie dell'albero. A volte, i bambini rimangono in piedi, perfettamente immobili per tutta la durata del sogno. Neanche lui si muove. Non è sicuro se sia perché non può muoversi, o perché non vuole.


Quando la sogna è sempre un bambino.

Sempre sé stesso bambino.

Porta sempre una qualche maschera in volto, ma non cambia mai aspetto.
 

Si muove raramente, nei sogni.


Osserva.


Un giorno, i bambini sono spariti.

Completamente volatilizzati.


Ne è rimasto solo uno - sono rimasti soli, solo loro due. Come allora.


Siede acciambellato su sé stesso all'ombra dell'albero, in silenzio.


Non vi è alcun suono.


Potrebbe camminare verso la fine della radura. Potrebbe vedere se effettivamente finisce, la radura, o se ad un certo punto l'albero ricomparirà alla vista, come se avesse girato in tondo. Oppure ancora, potrebbe continuare all'infinito verso un orizzonte sempre più lontano, più irraggiungibile, più verde, più pianeggiante.


Non si muove di un centimetro.


Più sogna, più il bambino cambia.


Non solo di posizione (a volte è abbarbicato su un ramo, altre si nasconde dietro al tronco; alcune rimane in piedi, fissando oltre quello che sembra sia il mondo intero, e altre è sdraiato in un qualche modo, ma sempre immobile come un morto), ma anche d'aspetto.


La limpida tunica si sgualcisce, si sporca, si allunga e si allarga fino a diventare troppo per un piccolo corpo, perdendo i semplici motivi ricamativi sopra mentre pende pericolosamente da una spalla. La pelle si scurisce, un po' per la polvere, la sabbia e la fuliggine che si accumulano su ossa sporgenti e un po' per una vita sotto un sole traditore, che brucia e asciuga e uccide. I capelli prima tagliati alla maniera del venditore di maschere, appena visibili dietro alla forma di cuore della sua maschera, ora la circondano con un'aureola fine insanguinata di curcuma.
 

In un sogno, si avvicina.

In un altro, si avvicina un po' di più.


Ci vogliono diversi sogni, ma finalmente, lentamente, si addormenta, ed è proprio sotto l'albero.


Occhi grandi ed arancioni su un viso viola lo fissano senza emozione.


Come allora.


Gli si siede davanti, e si osservano.


Che razza di coppia - rosso, cannella, bianco e biondo, rosa, verde.


Dei si osservano attraverso i loro visi coperti, le loro effigi impresse nel legno; si scrutano e si fulminano, stoici, senza pensieri.


Dita esili spingono dietro a un ligneo viso viola. Lentamente, come se fosse uno strato di pelle, lo rimuove quasi si stesse sbucciando il proprio volto. Lo vede, il segreto sotto alla maschera; eppure, per quanto ci provi, non riesce a tenerlo nella propria memoria. Ogni secondo che lo osserva è dimenticato, perso per sempre, e ogni dettaglio osservato sparisce sciogliendosi davanti ai suoi occhi, riemergendo sporadicamente in piccoli pezzi sconnessi e confusi.


Solo gli occhi rimangono.

Solo i piccoli, tondi, arancioni occhi.


"Io sono Oitesch," la sua voce sibila, allungando un palmo chiaro verso il suo mento, "E non ho nessuno al mondo."


Lui non si muove.


Permette che venga spogliato della divinità - permette che manine gracili passino sul suo viso senza faccia, che esplorino una landa pallida, squallida, rosata, desolata, perfettamente piatta perché privata della montagna di un naso, del canyon tra due labbra, dei crateri in cui vacillano debolmente laghi oculari.

Una delle sue mani chiare di bambino, segnate da anni ed anni di battaglie, si chiude sulla nuca coperta da ciocche selvatiche con una carezza. L'altra si arrampica fino a un polso scuro per accoglierlo gentilmente al suo interno.


Rimangono fermi così, immobili, fissandosi a lungo senza una parola.



Qualcosa gli stringe il petto per la nostalgia.

   
 
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